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Le difficoltà di convivenza nelle realtà urbane contemporanee




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Le difficoltà di convivenza nelle realtà urbane contemporanee 1. La convivenza
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Le difficoltà di convivenza nelle realtà urbane contemporanee



1. La convivenza civile nelle nuove periferie urbane: una realtà marginale i Rom in Lombardia


Dopo avere discusso di "legame civile" e di fondamenti razionali della società proviamo ora a addentrarci nel "tema pratico" qui proposto.



Prima di scendere nel particolare dovremmo evidenziare che la situazione dei Rom e i problemi di ordine sociale che portano, richiamano quelli tipici delle periferie urbane delle grosse metropoli contemporanee dove i "problemi" e le persone "problematiche" vengono spinte ai margini. I nuovi arrivati da paesi poveri (per quanto riguarda le città del cosiddetto mondo occidentale) o dalle zone più povere dello stato (per quanto riguarda i "paesi in via di sviluppo") cercano di raggiungere sia la ricchezza e il benessere (o almeno la stabilità) e, da un punto di vista fisico (ma anche simbolico) il centro della città stessa. Ma la "via del centro" (come quella del benessere) spesso è sbarrata oppure è impraticabile e gli "ultimi arrivati" ai margini sociali si ammassano anche ai margini "fisici" della città stessa creando dei quartieri "ghetto", delle "banlieue" (dei luoghi banditi) per dirla alla francese. C'è da aggiungere che le odierne grandi metropoli sono policentriche e che spesso un quartiere socialmente marginale può trovarsi in una posizione fisica e geografica centrale.

Tra i problemi di questi "luoghi banditi" c'è anche quello che ai "margini" non si ammassano solo i nuovi arrivati ma anche i vecchi residenti più poveri, quelli si sono fermati nel loro "cammino verso il centro" o che dal centro sono stati cacciati. Come spesso succede i conflitti che scoppiano in queste aree (come abbiamo visto per lo più urbane) sono conflitti tra poveri, conflitti che spesso scoppiano anche tra gruppi etnici differenti di "nuovi arrivati". Le situazioni appena enunciate le ritroviamo nel caso che andremo ad analizzare tra poco.


Sulla storia dei Rom già è stato scritto tanto e qui verrà citata solo per quello che ci interessa. La presenza dei Rom in Lombardia non è solo di origine recente, abbiamo anche comunità che vantano una presenza "storica", ci sono rom "italiani" talvolta provenienti da altre regioni (come, ad esempio, l'Abruzzo) dove la presenza di questo gruppo è testimoniata fin dal medioevo. Questi Rom "italiani" nonostante le difficoltà di convivenza che sempre sussistono, sono quelli che, naturalmente sono meglio inseriti nel tessuto sociale locale. Sono presenti anche Rom provenienti dai territori della ex-Jugoslavia arrivati in Italia negli anni '70 e '80. Le difficoltà ed i problemi più grossi sono "scoppiati" ora con l'arrivo delle ultime ondate migratori dei rom "rumeni" avutesi in modo più massiccio dopo l'entrata della Romania nell'Unione europea.

In una realtà come quella della periferia milanese, similmente ad altri casi che paiono ricalcare lo stesso modello, si sono aggiunti problemi a problemi, marginalità a marginalità. Una realtà come quella della metropoli lombarda è già provata dalla presenza di molteplici minoranze, gruppi di "migranti nuovi arrivati", già, purtroppo, protagoniste di momenti di scontro e tensione sociale. I Rumeni (o, meglio, i Rom di provenienza rumena) sono gli ultimi arrivati e, in pratica, hanno occupato nella percezione degli della popolazione italiana l'ultimo posto delle "etnie" "malviste", posizione, fino a poco tempo fa appannaggio degli albanesi. Nella percezione del comune cittadino il protagonista della maggior parte degli episodi criminosi presenti in cronaca e diventato il "rumeno" o il "rom". Anche qui le marginalità e le "percezioni negative" si intersecano.

Per noi italiani la percezione delle persone che compiono questi atti è legata all'aggettivo "rumeno" (in seconda battuta "zingaro" o, più politicamente corretto "rom") così è per i nostri quotidiani e fonti ufficiali e così è anche per i quotidiani e le fonti ufficiali rumene. Per i Rumeni invece, molto spesso, c'è differenza tra "rumeno" e "rom", anzi tra "rumeno" e "tsigano" (termine che equivale al nostro "zingaro") a livello popolare (di "percezione popolare", a livello della gente comune) i Rumeni "non rom" ci tengono a distinguersi dai Rumeni di etnia rom, attribuendo a questi ultimi la paternità dei fatti criminosi che riempiono le nostre cronache. I media locali spesso preferiscono dire "rumeni" che rom (o, peggio ancora, zingari) per evitare di risultare discriminatori nei riguardi di un'etnia spesso discriminata nel corso della sua storia, così anche le autorità per evitare di fomentare una sorta di identificazione rom = malavitoso. Così facendo però hanno diffuso la percezione che porta ad identificare tutti i cittadini rumeni in Italia come criminali (anche a volere essere troppo "politicamente corretti" si rischia sempre di diventare discriminatori). Lo stesso fanno le autorità e i media rumeni che, a differenza della "gente comune" rumena, parlando (o comunicando) anche loro di questi fatti preferiscono l'aggettivo "rom". Autorità e "media" rumeni preferiscono tenere questo comportamento per due chiari motivi. Il primo motivo consiste nell'evitare di fomentare l'odio etnico verso i Rom (o Tsigani, come li chiamano i rumeni), infatti in passato i contrasti tra popolazione rumena e popolazione zingara sono stati molto spesso "orientati allo scontro", senza considerare il passato di discriminazione o stermino subito dagli Zingari in Romania: questi furono schiavi fino ad oltre la metà del XIX° secolo. La schiavitù, nei principati di Moldavia e Valacchia, i due nuclei originari della futura nazione rumena, iniziò ad essere abolita a partire dal 1848 (di fatto lo sarà solamente tra il 1855 e il 1856) quando iniziò il processo di inidipendenza e di unificazione nazionale. Sotto il regime militare del maresciallo Antonescu (1940 - 1944) i Rom furono dapprima perseguitati e successivamente, con l'alleanza e la collaborazione del regime con la Germania nazista, inviati ai campi di concentramento e di stermino; sotto Nicolae Ceaucescu inoltre ci furono delle pesanti azioni di deculturazione e di assimilazione perpetrate ai danni degli stessi Rom. Si deve aggiungere in più che gli zingari in Romania si erano formati nei secoli una nomea di spie e di collaboratori con lo straniero e l'oppressore (a partire dalla dominazione turca fino al regime di Ceaucescu).

Il secondo motivo è evitare di perdere finanziamenti e agevolazioni in quanto neo-membri dell'Unione Europea, difatti una delle critiche che venivano mosse spesso alla Romania dal Parlamento Europeo prima dell'entrata nell'Unione era che l'etnia rom veniva decisamente discriminata e questo costituì uno dei maggiori ostacoli all'entrata dello stato rumeno nella comunità europea. Le "discriminazioni incrociate" non finiscono qui, anzi, queste sono solo le prime.

A loro volta, molto spesso, anche Rom di nazionalità non rumena sottolineano il fatto che i protagonisti di questi crimini non sono rom ma rumeni. Chi ha ragione allora? I Rumeni che dicono che questi malavitosi non sono rumeni ma rom o i Rom che affermano che i delinquenti in questione non sono Rom ma Rumeni? Tutte due e nessuno perché accade spesso che i migranti rumeni che delinquono e commettono atti criminosi sono sì di origine rom ma di rom non hanno più nulla se non il disagio e le condizioni di vita precarie. Queste persone appartengono o discendono da quei gruppi che, durante il regime comunista antecedente al 1989 vennero "sedentarizzati a forza" (una sedentarizzazione più "culturale" che "fisica", poiché la maggioranza dei Rom rumeni era già stanziale da secoli, ma non per questo meno dura) e forzatamente "inculturati" al modello nazionale rumeno, ottenendo come unico risultato di avere ulteriormente "sradicato" i Rom protagonisti di questi esperimenti togliendo loro anche i pochi e flebili legami sociali e culturali con il gruppo di origine. In effetti queste persone non sono più "rom" ma non sono neanche rumeni, in pratica questi individui sono "rom" per i rumeni e sono rumeni per i rom, hanno un'identità che viene definita solo negativamente e non positivamente: sono solo "altri", non sono più un "noi".

Un'altra situazione da prendere in considerazione è il rapporto e il contrasto che c'è tra i "vecchi" rom ed i "nuovi arrivati", anche tra di loro troviamo diffidenza reciproca e rancori incrociati. A questo punto basta citare gli scontri avvenuti nel campo di Opera tra rom e forze dell'ordine dove, oltre che contro quest'ultimi, i rivoltosi si rivolgevano anche contro i rom "vecchi arrivati", i quali avrebbero avuto più agevolazioni rispetto ai nuovi. Si sono addirittura trovati "contro" i vecchi Zingari ed i nuovi Zingari.

Come si può vedere diffidenze, discriminazioni e percezioni negative sono incrociate, il tema in questione non è così semplice da essere affrontato solo sui giornali, nei media più tecnologici o dalla politica (spesso in modo molto superficiale da tutti gli schieramenti) ed è proprio in questi casi che si ha più bisogno di uno studio più approfondito e meno grossolano anche se, ovviamente, uno studio di tal fatta non sarà fruibile dalla gran parte della gente.

Le relazioni, come è appena stato spiegato, non sono così semplici e lineari come apparentemente può sembrare (e come viene fatto sembrare) ma "intricate" e "profonde", costituitesi e sedimentatesi attraverso secoli di rapporti reciproci (e come abbiamo visto, purtroppo, quasi sempre negativi), così come le relazioni anche le diffidenze, per non parlare delle "xenofobie" e dei razzismi, sono reciproche, incrociate, biunivoche.

Contrariamente a quello che comunemente si pensa, un rapporto di diffidenza dovuto a etnocentrismo o a xenofobia raramente è univoco. Chi subisce discriminazione spesso attua una discriminazione lui stesso, o verso i suoi "oppressori" o considerati tali oppure, addirittura, verso le persone appartenenti a frange ulteriormente marginali della popolazione, come se tra poveri e marginali esistesse anche al loro interno una gerarchia. I "residenti", i "locali", quelli che "sono già presenti sul posto", guardano cono diffidenza e sono ostili nei confronti dei "nuovi arrivati" e i "nuovi arrivati" ripagano i "residenti" con la stessa moneta. Per quanto riguarda i Rom esistono molti racconti popolari che questi ultimi rapiscono i bambini ma tra i Rom si racconta che invece sono i "Gagé" che rapiscono i bambini rom per rieducarli al proprio modello (come è effettivamente successo in passato non solo nei paesi dell'ex blocco comunista ma anche in Svizzera) . Per i "Gagé" gli Zingari sono dediti al furto, alla delinquenza e all'imbroglio; per i Rom invece sono i "Gagé" che vogliono sempre imbrogliare gli Zingari. Allo stesso modo, come appena accennato, l'atteggiamento ostile può assumere una forma "piramidale" dove gli "ultimissimi arrivati" (o gli "ultimissimi" nella gerarchia sociale) si sentono discriminati dai "penultimi" arrivati (o dai "penultimi" della scala sociale).

Inoltre troviamo anche ostilità e diffidenze trasversali tra gruppi allo stesso livello sociale ma di differente ceppo etnico originario. Se si limita il discorso relativo all'accoglienza degli ultimi arrivati (degli elementi allogeni) ai classici binomi residenti diffidenti/razzisti - migranti/ultimi arrivati discriminati/vittime e migranti/ultimi arrivati taglieggiatori/prepotenti - residenti vittime, si rischia sempre di più che la nostra società più che "multirazziale" rischierà seriamente di diventare "multirazzista".

Appunto perché le relazioni appena esplicitate non sono mai semplici e lineari, le discipline che studiano le relazioni come la sociologia e l'antropologia culturale possono contribuire a comprendere meglio le strutture di fondo (sociali, storiche e culturali) che possono aver generato certe situazioni. Il lavoro non sarà certo breve e semplice poiché bisogna analizzare molte variabili ( e spesso non si riesce neanche a scovarle tutte) e servirsi di strumenti presi in prestito da diverse discipline ma lo scavare nei rapporti sociali, nella cultura e nella storia degli uomini e dei gruppi umani non è mai semplice né indolore. Per tutti questi motivi è stato scelto questo esempio legato agli ultimi rom arrivati in Italia e specialmente quelli presenti nei campi lombardi e dell'hinterland milanese perché, come è già stato scritto nell'introduzione, questo caso è emblematico e paradigmatico per quanto riguarda i rapporti tra differenti etnie e per quanto concerne anche i rapporti e le relazioni (intricate ed incrociate) che si possono creare tra due gruppi (etnici o sociali) differenti. Il riuscire ad analizzare un rapporto molto particolare, intricato e antico come quello tra i rom e gli "stanziali" (anche se come abbiamo visto e vedremo ancora gli Zingari ormai non sono più nomadi e gli "stanziali" non sono più tali) può essere d'aiuto per poter affrontare lo studio di tutti i rapporti esistenti tra gruppi differenti. Al giorno d'oggi, ed in particolar modo nella società italiana, in un momento dove gruppi di diversa provenienza etnica entrano in contatto, ed in contrasto, molto velocemente e pare non ci sia il tempo a sufficienza per costruire delle relazioni "positive", lo studio di una relazione "antica", anche se certamente molto problematica, può sicuramente essere di grande aiuto: potrebbe aiutare, grazie allo studio di questa stessa relazione, a evitare errori già commessi e a fare tesoro dell'esperienza passata. Tanti secoli di astio e diffidenza reciproca non sarebbero passati inutilmente.







I Rom in Lombardia e a Milano


La stima della consistenza numerica della presenza Rom in Italia è particolarmente difficile in quanto, oltre al fatto che i censimenti non rivelano il dato delle minoranze linguistiche, mancano criteri precisi per classificare una persona o un gruppo come Zingari (Ambrosini, Tosi 2006). A questo bisogna aggiungere, come ha affermato Leonardo Piasere, che è difficile considerare i Rom come una minoranza propriamente detta, essi rappresentano piuttosto una categoria "politetica", ossia un gruppo non caratterizzato univocamente ma un insieme di gruppi che hanno tra loro delle caratteristiche in comune che li legano insieme come una sorta di catena (Piasere, 2004, pag. 3) (specificare "essere minoranza"?) (difatti non costituiscono una minoranza) (mettere a posto la parte in giallo evidenziata qui di seguito)

E' difficile considerarli una minoranza propriamente detta, poiché se lo fossero dovrebbero essere riconosciuti come tali, ma, ad esempio qui in Italia così non è: non sono considerati minoranze come, ad esempio, Occitani e Albanesi che possono godere di tutele particolari ( per esempio corsi relativi alla propria lingua). I Rom invece sono percepiti solo come una frangia marginale della popolazione che vive nell'illegalità e nel degrado: un corpo totalmente estraneo col quale è anche difficile (se non percepito come impossibile) comunicare e mettersi in relazione. I Rom sfuggono alle logiche "territoriali" che tengono un'identità strettamente legata ad un dato territorio.

Anche in Romania sotto i regimi comunisti i Rom non erano considerati una "minoranza etnica" ma solamente uno ".strato marginale della società per il quale c'è bisogno di un'azione massiccia di inserimento in fabbrica e in cooperativa." (Piasere, 2004, pag.61).

Ci sono nel mondo gruppi allogeni considerati minoranze, alcune di queste sono riconosciute come tali, altre no, alcune sono dimenticate ed esistono pure minoranze che dimenticano sé stesse, dimenticano la coscienza di essere minoranza.


Queste aree periferiche della città non solo in senso fisico ma anche in senso sociale e simbolico hanno raccolto, nei "bloc" e nelle baraccopoli, gran parte delle frange sociali marginali della città composte, molto spesso, dai protagonisti di questo contributo, ossia quei Rom che ormai di Rom non hanno più niente se non il disagio sociale.

Per cercare di comprendere meglio come la povertà e la "deculturazione" si siano diffuse in questa zona cercheremo, tra poco, di offrire un breve sguardo sulle problematiche socio-antropologiche.


L'altra difficoltà relativa allo "identificare" e "contare" gli zingari è connessa anche alla precarietà dei loro insediamenti che possono essere campi nomadi autorizzati dagli enti locali oppure degli accampamenti "abusivi" che vengono regolarmente smantellati e sgombrati per poi ricomparire dopo un certo tempo in altri luoghi se non addirittura nella stessa area. Anche i campi nomadi "autorizzati" ed allestiti dalle stesse autorità sovente risultano "temporanei" poiché non sono rari i casi di rivolta e proteste della cittadinanza locale per la situazione di degrado che questi insediamenti porterebbero. Gli insediamenti "legali" diventano spesso a rischio a causa del sovrappopolamento dovuto alla sistemazione dei "nuovi arrivati" magari appena sgomberati dagli insediamenti abusivi. In ogni caso per quanto riguarda la presenza in Lombardia di Rom e Sinti è stato stimato il numero di circa 13.000 individui. Il numero in questione non può essere che indicativo in quanto, specialmente a causa degli ultimi arrivi dall'est europeo, è difficile tenere il conto degli immigrati irregolari, inoltre molti "nuovi arrivati" dai paesi della ex Europa orientale e neo membri della Unione Europea (come Romania e Bulgaria) preferiscono non dichiarare la loro identità o le loro origini "zingare", anzi talvolta essi stessi le proprie origini le ignorano. Tale aspetto può apparire paradossale ma, in molte nazioni di quella che fu l'Europa comunista, molti Rom che hanno subito politiche di assimilazione forzata sono rimasti totalmente "deculturati", non sanno più di essere Rom. In fondo di zingaro non hanno più nulla se non la marginalità ed il disagio sociale (auto-citazione?)

Dopo aver segnalato le difficoltà di "identificare" e di classificare nel nostro Paese gli Zingari in generale (non solo i Rom ma anche i Sinti e i Caminanti), facciamo un breve accenno alle modalità di residenza.

Utilizzando come fonte sempre il rapporto ISMU prima citato (Ambrosini, Tosi 2006) sono stati stimati, sempre in Lombardia dai 290 ai 350 insediamenti, anche se ufficialmente ne sono stati censiti 241. Di questi il 43% sono regolarmente autorizzati dalle amministrazioni locali e consistono in aree di sosta permanenti o temporanee gestite normalmente da volontari. Il restante 57% è costituito da insediamenti "irregolari" baraccopoli abusive di differenti dimensioni e piccoli abitati situati in terreni privati prevalentemente di proprietà della famiglia che vi abita. La maggior parte dei campi nomadi e degli insediamenti di zingari si trova a Milano e nella sua provincia. Soltanto nel capoluogo si trovano 45 insediamenti ed una popolazione di più di 4300 persone, in più bisogna aggiungere ancora un centinaio di accampamenti nel resto della provincia per un numero di abitanti che va dalle 2300 alle 3100 persone (Pavan, 1999). Per quanto concerne la composizione "etnica" di questi insediamenti si riscontra che più della metà è composta da "Zingari stranieri" provenienti per lo più dalla Macedonia, dal Kossovo, dalla Bulgaria e dalla Romania.

Questi dati ci possono fare notare come la maggior parte degli Zingari è insediata nel territorio del capoluogo e nel suo "hinterland", la grande metropoli funge sempre da polo di attrazione anche se i Rom, come tutte le frange marginali, restano ad abitare le periferie, restano ai margini. Un altro dato è l'esiguità del numero rispetto alla popolazione di Milano (1.303.670 abitanti), della sua provincia (4.472.264 abitanti compresa la futura provincia di Monza), e dell'intera Lombardia (9.584.175 abitanti; tutti questi dati si riferiscono all'anno appena passato, il 2007). Anche se, per i motivi sopra citati, il numero effettivo di Rom può essere più alto di quello stimato, quella degli Zingari è una realtà minoritaria non solo in riferimento agli Italiani ma anche rispetto al numero totale degli stranieri presenti a Milano e in Lombardia. Le tensioni ed i problemi sorti tra la comunità rom e le altre persone non sono scaturiti dal numero in sé dei Rom, probabilmente ciò è successo a causa di alcuni cambiamenti repentini degli ultimi tempi che hanno risvegliato e fomentato una diffidenza antica presente tra due gruppi diversi.




2. La diversa percezione della società e della comunità tra i differenti gruppi etnici e sociali.


Un punto importante da analizzare arrivati a questo punto è la differente percezione della società e del "gruppo" presente tra i "rom" e gli stanziali che incontrano. Questa differenza non è solamente di origine "etnica" ma anche, potremmo dire, storica e sociale. Per iniziare partiamo dalle differenze di origine etnica, anche se queste, è doveroso ricordarlo, costituiscono solo una parte di differenze, le quali non sono neppure maggioritarie ma esercitano una loro importante influenza. Il contrasto tra nomadi e sedentari ha caratterizzato per secoli la storia dell'umanità e delle culture umane e in alcuni casi, come quello che stiamo analizzando, lo caratterizza ancora. Il nomade e lo stanziale sono due categorie per molti versi apparentemente irriducibili ed inconciliabili.

Nel rapporto tra Rom e "locali" si ripropongono spesso le dinamiche tipiche dei rapporti tra popoli nomadi e sedentari, un tipo di relazione che, fin dalla notte dei tempi della storia umana, ha creato contrasti tra le popolazioni che utilizzavano questi differenti stili di vita. E' da sottolineare, come è già stato specificato, che se oramai anche i Rom non sono più nomadi (o, meglio la stragrande maggioranza non lo è più), spesso il modo di comportarsi e di rapportarsi con gli altri è ancora tipico di quello dei nomadi: cioè uno stile di vita che entrava spesso (e quasi automaticamente) in conflitto con quello stanziale.

Molti studi di tipo socio antropologico (ad esempio quello redatto dall'ISMU da Maurizio Ambrosini in collaborazione con A Tosi nel 2006, ) hanno evidenziato come anche i Rom arrivati in Italia a seguito delle ultime migrazioni (quelle di Bosniaci, Kossovari e, in ultimo, Rumeni) provengano da realtà dove questi gruppi erano già sedentari da secoli quindi sarebbe anche in questo caso inappropriato chiamarli "nomadi". Tutto questo è vero però le situazioni di guerra e povertà che hanno spinto queste persone a emigrare le hanno fatte tornare nomadi, dedite allo spostamento, hanno intrapreso una strada a loro sconosciuta da secoli da un punto di vista fisico ("materiale") ma ancora profondamente radicata nella loro cultura, nella loro società e nel loro agire. Inoltre nei territori da cui questi "ultimi immigrati zingari" provengono, anche se sedentarizzati hanno vissuto sempre separati dal resto della popolazione locale limitando i contatti con quest'ultima, comportamento tipico dei gruppi nomadi sia per la diffidenza che gli stanziali provano per i nomadi sia per la diffidenza che i nomadi provano per gli stanziali (più avanti vedremo come questi gruppi posseggano dei pregiudizi "reciproci" molto simili).



La premessa appena esposta dovrebbe servire a far notare come anche se i Rom vivano ormai da tempo in situazioni sedentarie hanno mantenuto (specialmente in quei paesi dove sono rimasti divisi i maniera marcata dal resto della popolazione come la Romania) una stile di vita (ed una gestione dei rapporti sociali all'interno e all'esterno del gruppo) di tipo nomadico. Si cercherà di mettere in evidenza questo aspetto nelle prossime pagine.

Iniziamo ad analizzare brevemente i tratti tipici del nomade, di chi "si sposta". Una popolazione o un gruppo nomade è sempre in spostamento, ha contatti frequenti e numerosi con popolazioni differenti, per mantenere una buona coesione interna e quindi una certa solidità sviluppa naturalmente legami interni molto forti, legami famigliari, sociali ed anche economici. La comunità nomade cerca di possedere ricchezze il più possibile "mobili" e "spendibili" e accumulabili dovunque il gruppo vada, per questo motivo i beni più ambiti sono quelli trasportabili come bestiame e gioielli (oro ma anche altri metalli preziosi o di grande utilità come il rame). Difatti le professioni praticate dagli zingari nel corso dei secoli sono stati il commercio, la riparazione di utensili e oggetti metallici, il piccolo artigianato oltre alle attività circensi e musicali. Come possiamo ben vedere tutti mestieri legati ad una vita girovaga.

Il gruppo nomade cerca di ottenere il maggior profitto possibile dai territori che attraversa temporaneamente, cerca "in giro" il più possibile per sé stesso e per il gruppo, non ha grossi interessi a sviluppare contatti durevoli con l'ambiente e con le differenti comunità locali che trova sul suo cammino. La società nomade ha al suo interno elementi culturali sia molto conservativi che "innovativi". Gli elementi conservativi sono in genere quelli legati all'organizzazione sociale. Come già detto confrontandosi spesso con popolazioni "esterne", "altre", spesso anche più "organizzate" e "forti" hanno avuto sempre bisogno di una forte "coesione" interna quindi tutti quegli elementi culturali che tendono a "conservare" le loro strutture sociali, le loro relazioni famigliari e la loro gerarchia vengono mantenuti e conservati, l'autorità della famiglia o della tribù non viene né può venire messa in discussione. Si potrebbe dire, parimenti, che anche gli elementi culturali innovativi sono finalizzati alla difesa ed al sostentamento del gruppo. Gli zingari nel corso della loro storia, essendo nomadi e spostandosi di continuo, hanno adottato molti elementi culturali delle popolazioni che incontravano, specialmente se questi potevano essere per loro vantaggiosi, come tutti gli elementi culturali legati a quelle che, nel corso dei secoli sono diventate le loro attività principali ed alla loro produzione artistica (musica, danza attività circense); elementi questi che sono sia esterni che estetici) che pratici.

Il nomade è poi spesso refrattario all'autorità stanziale, autorità che più che altro subisce. Come appena scritto l'autorità più forte alla quale deve rendere conto è quella del suo gruppo (famiglia o "tribù" che sia). Se proprio deve rendere conto ad una "autorità esterna" questa deve richiamarsi ad un potere che esercita il suo dominio su vasta scala ed anche in questo caso, il rendere conto ad una autorità più "alta", ha un fine utilitaristico, ossia ottenere delle "tutele" e dei privilegi nei confronti degli altri sottomessi "stanziali". Per tale motivo i Rom in passato sono diventati "pedine" o "mezzi" nelle mani dei "dominatori" (loro accettano questa situazione in base al fattore di prendere il più possibile nel minor tempo possibile).

Gli zingari di Ungheria, Transilvania e Banato, durante il dominio dei turchi ottomani erano diventati dei "funzionari" statali grazie anche al loro "nomadismo" che permetteva loro di "girovagare" per i territori (controllarli, conoscerli e fare rapporti). Durante i regimi comunisti della ex Europa orientale, nonostante questi stessi sistemi non fossero "teneri" nei confronti dei Rom, gli zingari spesso diventavano anche qui funzionari (se non spie e delatori) dello stato.

Bisogna però tenere conto del fatto che il loro essere considerati spie o delatori per il regime era molto spesso dovuto ad una "leggenda nera" nei loro confronti (una delle tante) nata anche a causa dell'atteggiamento ostile e di diffidenza che aleggiava sugli Zingari locali; leggende di questo tipo sono rimaste in particolare in quei luoghi che hanno visto dei regimi comunisti tra i più oppressivi e totalitari come la Romania e la Bulgaria.

Vediamo ora di analizzare nello stesso modo la figura e il modo di vivere la società dello "stanziale" e di compararla con quello del "nomade".

Anche nella società "stanziale" possiamo trovare dei legami interni di tipo famigliare, tribale o sociale molto forti (moto dipende anche dalla contingenza storica e culturale) spesso però il legame del gruppo "stanziale" si lega molto con il luogo, con l'ambiente circostante che abita e che modifica. Il territorio che abita lo stanziale diventa una "heimat", la sua casa è anche un luogo geografico ben preciso. Anche lo stanziale cerca di sfruttare il più possibile il territorio e, in passato, abbiamo trovato gruppi stanziali che hanno "rovinato" il proprio ambiente. Tra i gruppi stanziali è però più facile che si cerchi di sfruttare più razionalmente il territorio "patrio", che si cerchi di "rispettarlo" in modo che possa continuare a dare frutti anche alle generazioni successive. Il territorio diventa parte integrante non solo del gruppo famigliare ma anche del gruppo etnico (o nazionale?) . (anche per il nomade il territorio è parte integrante della sua cultura ma questo è costituito da un ambiente "mutevole", per il sedentario l'ambiente, almeno come viene concepito e percepito (anche se non sempre è così) è "immutabile". La società stanziale contiene essa stessa al suo interno elementi sia conservativi che innovativi anche se diversi da quella di tipo nomade. Ad esempio l'immutabilità del proprio habitat può favorire una cultura di tipo conservativo, ma anche ciò che è immobile può essere in continuo divenire e particolarmente orientato agli scambi, la città (o l'insediamento stabile in generale) è sì stanziale (sicuramente da un punto di vista fisico) ma può permettere al tempo stesso situazioni molto vivaci di scambio culturale.

La storia dell'umanità è piena di esempi di insediamenti stabili nati e cresciuti in luoghi "strategici" lungo importanti vie di comunicazione divenuti in seguito naturali crocevia e punto di contatto tra popoli e culture, favorendo così la nascita di grandi civiltà. La città è vista come occasione di arricchimento e di miglioramento della propria situazione sociale e diventa quindi appetibile, arrivano ad insediarvisi gruppi molto diversi tra loro favorendo rapporti, scambi e commerci. Anche dei piccoli villaggi stanziali situati nei pressi di valichi e passi di montagna possono diventare dei crocevia di informazioni, di merci ma anche di idee e di popoli. Anche per il nomade la città è vista come un'occasione di "arricchimento" ma temporaneo e a breve termine: il nomade arriva, allestisce l'accampamento, fa quello che deve fare (commercia, offre i suoi servizi e, purtroppo, spesso ruba come una volta razziava) e se ne va, verso un'altra città dove fare affare e dove cercherà di accaparrarsi quello che può.

Il nomade "vero" è diverso dal migrante che cerca un nuovo territorio dove stanziarsi stabilmente come è differente da chi viaggia per lavoro ed è nomade e/o migrante solo temporaneamente; difatti il primo guarda al nuovo territorio come un luogo dove stabilirsi definitivamente mentre il nomade ed il migrante temporaneo, una volta ottenuti i propri obiettivi) torna nel luogo di provenienza ed ha lo sguardo diretto verso le sue origini e radici, mantiene sempre come punto di riferimento una "heimat" nuova o originaria, reale o mitica che sia. Il nomade invece è sempre in movimento non ha una patria fissa, la sua patria è al tempo stesso il mondo (non ha confini) e il suo accampamento, il suo territorio è altempo stesso sconfinato e limitato agli angusti spazi del suo insediamento.

Lo stanziale inoltre è generalmente molto attaccato e legato alla autorità del luogo che vede come una fonte d'ordine e stabilità, (la "stanzialità" ha dato vita agli stati moderni; più importanza allo "Ius soli") talvolta subisce anche lui la "autorità" ma più spesso il rapporto (almeno a livello tradizionale) tra popolazione e governanti è reciproco: i governanti assicurano pace, sicurezza e la possibilità di prosperare (o così almeno dovrebbero fare) alla popolazione ed il popolo li appoggia, li sostiene e dà loro parte del prodotto del proprio lavoro. In molte società tradizionali le "tasse" (o i "servizii") che i contadini danno ai governanti (al re e/o a chi li rappresenta) non sono viste come un pesante balzello ma come un giusto prezzo per la sicurezza e per la possibilità di vivere e prosperare ricevute. Il popolo (a livello tradizionale ma non solo) generalmente si riconosce nel proprio governante, nel proprio re. L'organizzazione di molte società tradizionali sono legate ad una visione "organicista" della società, difatti i componenti di gruppi di questo tipo (siano essi comandati o comandanti) si sentono parte di uno stesso organismo. Una visione di questo tipo è stata successivamente ripresa dalle dittature moderne anche se estrapolata totalmente del suo contesto originario.

Cerchiamo ora di trattare brevemente quelli che possono essere i legami, anche giuridici, che possono "unire" degli individui in un unico gruppo e quali possano essere le differenti tipologie di legame presenti tra i nomadi e gli stanziali. Utilizzando un esempio molto classico, quello dell'Impero Romano, si vede qui come una grande civiltà, per poter consolidarsi e prosperare introdusse il principio dello "Ius soli" (diritto di suolo), dove si era cittadini in base alla residenza, luogo di nascita, al suolo che si occupava. Basti pensare alla "Lex Julia" del 59 a.C. dove tutti gl abitanti della penisola italiana diventavano cittadini romani e all'imperatore Caracolla che, nel III° secolo allargò questo privilegio a tutti gli abitanti dentro i confini dell'Impero Romano. Dopo queste leggi si abbandonò sempre più il principio dello "Ius sanguinis" (diritto di sangue), principio che regolò la società romana in epoca arcaica. La distinzione originaria tra "patrizi" e "plebei" fu proprio una distinzione basata sulla "casata", sulla "discendenza" quindi sul sangue. E' opportuno fare notare come la società latina arcaica (dalla quale derivò la cultura romana delle origini) era una società di tipo nomadico (i Latini in origine erano probabilmente degli allevatori nomadi o seminomadi provenienti dal nord; (Piganiol 1968), le "ferie latine", una festività celebrata dai Romani ancora in epoca imperiale, manteneva delle caratteristiche tipiche di una cultura nomade (erano officiate all'aperto a differenza di tutti gli altri culti celebrati al "chiuso" dentro dei templi; si offrivano alle divinità carne e latte, prodotti tipici di una popolazione formata da pastori nomadi). In un gruppo nomade, ovviamente, per identificare gli appartenenti al gruppo stesso lo "Ius Solis" è praticamente inutilizzabile non essendoci un "territorio di riferimento", mentre è molto più pratico ed utile lo "Ius Sanguinis", i legami famigliari e di sangue assumono un'importanza basilare. Per utilizzare la terminologia di Patrick Pharo il "legame civile" (elemento che noi potremmo anche definire minimo comun denominatore) di un gruppo nomade sarebbe la comune "parentela", il legame di sangue, mentre quello di un gruppo stanziale potrebbe diventare (anche se non è sufficiente) l'abitare uno stesso territorio una stessa area. In pratica un gruppo stanziale sarebbe più orientate a porre i propri le legami in riferimento allo "Ius soli".



E' vero che in passato (così come ne abbiamo oggi) ci furono esempi di stretti collegamenti tra "diritto di sangue" e "diritto di suolo" , ma questi esempi si sono riscontrati in casi particolari: nel caso delle cosiddette "piccole patrie" dove un gruppo etnico circoscritto veniva ( o viene) identificato con un territorio particolare e circoscritto esso stesso (come è il caso delle "minoranze etniche"); con i "nazionalismi" moderni (potremmo dire post-rivoluzionari o post-giacobini) dove il territorio nazionale veniva (e viene) identificato con la comunità di stirpe di chi vi abita, la stessa parola "Patria" identifica la "terra dei Padri" e collega gli abitanti di quella stessa patria agli stessi "padri", quindi i "compatrioti" sono tutti parenti, hanno lo stesso sangue, lo "Ius Sanguinis" si identifica, in questo caso con lo "Ius Soli". Per utilizzare una terminologia "tedesca", in questo caso la "Vaterland" (la terra dei padri) si identifica con la "Heimat" (patria nel senso di "casa", luogo dove abitare). Questa concezione, venendo esasperata, porterà poi nell'ideologia nazista alla "Blut und Boden Gemeinschaft", la "comunità di sangue e suolo", che corrisponde all'ultimo e più tragico passo delle ideologie nazionaliste moderne.

I grandi stati e imperi multinazionali (potremmo definirli degli stati multietnci ante litteram) sono tutti arrivati a una applicazione dello "ius soli" e nonostante avessero potuto permanere certe etnie dominanti, durante lo sviluppo storico-culturale di queste entità le classi dominanti erano composte da uomini appartenenti a etnie diverse (e molteplici). Così fu per tutti i grandi imperi del passato a partire da quello romano fino agli ultimi imperi (tradizionali e sopranazionali) come quelli austro-ungarico, zarista e ottomano. Uno stato moderno che può mantenere caratteristiche simili a quelle degli imperi prima citati sono gli Stati Uniti d'America la cui popolazione possiede origini etniche diversissime e differenti. Una sfida di questo tipo si proporrà in futuro anche agli stati "nazione" europei che diventeranno sempre più multi etnici, anche se, almeno a livello teorico, applicano tutti il principio dello "Ius Soli", dal punto di vista culturale e della convivenza civile la coesistenza di più gruppi etnici differenti pone sempre dei problemi da risolvere e il caso della Francia delle "banlieue" lo sta a testimoniare tragicamente.


Lasciamo ora per il momento il tema pur interessante e centrale dello "Ius Soli" e torniamo alla percezione dell'altro dello stanziale. Sente gli elementi "allogeni" talvolta come minaccia e talvolta come strumento di un potere oppressivo, vede il nomade come un razziatore, malvagio ed "illegale". Lo stanziale vede il nomade illegale nel senso che lo percepisce al di fuori della legge del luogo (o meglio, del suo luogo), un essere "anomico" ossia al di fuori del "nomos", delle norme locali estraneo, se vogliamo usare una espressione schmittiana, al "nomos della terra".

Lo stanziale ha anche una certa "invidia" nei confronti del nomade, un 'invidia che è presente molto più spesso a livello "inconscio" che conscio, un'invidia legata alla "maggiore libertà" che (almeno a livello di percezione) il nomade avrebbe rispetto allo stanziale (si ricordi la classica definizione "senza tetto né legge"), oppure legata al fatto che anche lo stanziale, in origine, era nomade. Lo stanziale nutrirebbe quindi una sorta di invidia "atavica" nei confronti del nomade oppure vuole "cancellare dalla propria coscienza la provenienza da un'unica situazione primigenia di nomadismo" (Salvioni 2007, 7).

A quanto pare e secondo la maggior parte delle teorie antropologiche, l'uomo nacque nomade, l'umanità avrebbe vagabondato per milioni di anni prima di diventare sedentaria, anzi l'umanità non avrebbe mai smesso di essere nomade in quanto (anche all'interno di gruppi stanziali) il fenomeno del nomadismo è tornato ciclicamente.

Ciò è mostrato dai grandi spostamenti di popoli avvenuti in epoca storica fino ad arrivare ai fenomeni di migrazione contemporanei ed attuali che interessano le nostre città e la nostra società.

Le popolazioni indoeuropee arcaiche erano popolazioni nomadi o seminomadi (così erano i Celti, i Germani e anche, come abbiamo già visto, i Latini arcaici) diventate poi sempre più sedentarie e stanziali per rispondere ad esigenze sociali. Non solo le cosiddette "invasioni barbariche" che caratterizzarono la fine dell'epoca classica e l'inizio del medioevo costituiscono un fenomeno dove il nomadismo è tornato prepotentemente alla ribalta, non solo le ultime migrazioni della fine del XX° secolo e dell'inizio del XXI°, ma anche tutte quelle migrazioni che dal XVI° secolo all'inizio del XX° secolo hanno visto genti d'origine europea emigrare e diffondersi nel mondo intero.

Nella diffidenza degli attuali stanziali verso gli attuali nomadi giocano vari fattori tra i quali una sorta di "invidia" nei loro confronti o, come già detto, nei confronti di una caratteristica arcaica di tutta l'umanità (anche quella stanziale) oggi perduta. Lo stanziale, in fondo, invidia il nomande perché rappresenta quello che lui stesso era ed ora non è più. In più secondo alcune teorie contemporanee, proprio nella nostra epoca attuale, starebbe tornando nomade anche lo "stanziale". Anche in società divenute tradizionalmente stanziali, come la "nostra, vengono sempre più adottati stili di vita nomadici, (si viaggia da una parte all'altra del mondo per lavoro ma anche per turismo). Può essere utile anche fare notare che nelle nostre società si sta diventando "nomadici" anche nel rapporto verso le autorità e verso gli altri. Forse, si potrebbe dire che oggi giorno i nomadi (ci danno o ci fanno più fastidio) non solo perché, come già esposto, si può provare una sorta di invidia nei loro confronti pensando alla "nomadicità perduta" ma anche perché stiamo tornando "nomadici" spesso si entra in contrasto anche verso chi è troppo simile non solamente verso chi è troppo differente., non solo perché viaggiamo di più ma pure per il fatto che gli "stanziali" della cosiddetta "civiltà occidentale" stanno tornando nomadi anche nei comportamenti e negli atteggiamenti, Zygmunt Baumann parla di "modernità liquida", "società liquida" e "rapporti liquidi"; questa "mancanza di solidità" si riflette si sui rapporti interpersonali sia sul rapporto che abbiamo noi verso l'ambiente. Tutto questo però non ci porta ad un nomadismo come quello dei Rom tradizionali (slegati e "liquidi" verso l'esterno, ma coesi e "solidi" all'interno del loro gruppo) ma ad una situazione più anomica.


Un punto importante da analizzare arrivati a questo punto è la differente percezione della società e del "gruppo" presente tra i "rom" e gli stanziali che incontrano (in ogni caso stanziali sì più nomadi ma meno uniti mentre i "nomadi" hanno legami interni molto più forti) Specificare e completare) (forse è meglio mettere questo nel paragrafo successivo)


Come abbiamo visto in questo paragrafo le differenze tra questi due gruppi sono molte e importanti, e sottendono un modo di rapportarsi agli altri componenti del proprio gruppo e agli altri (all'Altro in senso generale) totalmente diverso e spesso antagonista. In questo caso ed in questi contesti così esacerbati e degradati anche le similitudini possono essere conflittuali e controproducenti nell'ottica di perseguire una convivenza pacifica. Nel prossimo paragrafo tratteremo della condizione legata al vivere "gomito a gomito" di due gruppi così differenti e delle conseguenze che esso porta. Nel capitolo successivo invece cercheremo di vedere dove queste differenze seppur grandi e generatrici di tensioni e di problemi possano essere "risolte" o "ricondotte" ad una "minimo comune denominatore", un comune legame civile





3. Confini invisibili: diversità culturali tra comunità costrette a vivere "gomito a gomito"


In una realtà come quella milanese (mettere e specificare quali periferie) pochi metri di confine possono rappresentare una distanza storico - culturale abissale. Il rapporto tra la comunità "rom" e gli altri, per tutti i motivi appena visti, può essere molto problematico e la vicinanza in molti casi non aiuta ma anzi peggiora la situazione. Avere sempre vicino a sé chi è identificato come il "nemico" ed assume i classici segni "vittimari" (per usare un'espressione alla Girard) , può fomentare e peggiorare atteggiamenti già orientati di per sé allo scontro (completare e mettere meglio) . (mettere situazione della città come punto di incontro ma anche come punto di scontro) (tema da sviluppare)

Falsi miti, pregiudizi, fatti reali e documentati controintuitivi (sviluppare bene e mettere meglio) (imprenditorialità, pulizia, storia).






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