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Pirandello (l'annullamento dell'identità)




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Pirandello (l'annullamento dell'identità)


Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica, che è affine a quella della filosofia di Henri Bergson, e che si basa sulla certezza che la realtà è vita, perpetuo movimento vitale, inteso come eterno divenire. Tutto ciò che si stacca da questo flusso, e assume forma distinta e individuale, si irrigidisce e comincia, secondo Pirandello, a morire. Un esempio lampante è quello dell'identità personale dell'uomo, perchè noi siamo parte indistinta nell'eterno fluire della vita, ma tendiamo a cristallizzarci in forme individuali, in una personalità ben definita. In realtà questa personalità è un illusione e scaturisce solo dalla nostra visione soggettiva del mondo. Non solo noi stessi però, ci fissiamo in una forma. Anche le persone che ci circondano, ci attribuiscono determinate forme in base all'opinione che hanno di noi. Noi crediamo di essere uno per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi, a seconda della visione di chi ci guarda. Ciascuna di queste forme è una costruzione fittizia, una maschera che noi stessi ci imponiamo e che ci impone la società. Pirandello fu influenzato dalle teorie dello psicologo Alfred Binet sulle alterazioni della personalità, ed era convinto che nell'uomo coesistessero più persone, ignote a lui stesso, che possono emergere inaspettatamente. Pirandello condusse quindi una critica serrata al concetto d'identità personale su cui era fondata una lunga tradizione filosofica. Nella civiltà novecentesca l'io si disgrega, e questa crisi dell'identità risente dei grandi processi in atto nella realtà contemporanea, che tende ad accentuarla in maniera significativa attraverso eventi spersonalizzanti nella società, quali l'instaurarsi del capitalismo, l'alienazione del lavoro, il formarsi delle grandi metropoli moderne, che annullano l'identità dell'uomo, riducendolo alla sua pura funzione esteriore. Pirandello è uno degli interpreti più acuti di questi fenomeni, e li riflette nelle sue teorie e nelle sue costruzioni letterarie. La presa di coscienza di questa inconsistenza dell'io suscita nei personaggi pirandelliani smarrimento e dolore. Queste forme di ogni uomo sono per Pirandello come una sorta di trappola. La società gli appare come una costruzione fittizia, che isola l'uomo dalla vita, lo impoverisce, lo conduce alla morte anche se egli apparentemente continua a vivere. Alla base di tutta l'opera pirandelliana vi è quindi un rifiuto delle forme di vita sociale,dei ruoli che essa ci impone, e un bisogno disperato di autenticità, di immediatezza e di spontaneità vitale. Nei romanzi la critica di Pirandello è diretta contro la condizione piccolo borghese, mentre il teatro predilige ambienti alto borghesi. L'istituto in cui si manifesta per eccellenza la trappola della forma che imprigiona l'uomo, separandolo dall'immediatezza della vita, è la famiglia in cui si concentrano sentimenti contrastanti come gli odi, le ipocrisie, gli affetti, le tensioni ecc. L'altra trappola è quella economica, costituita dalla condizione sociale e dal lavoro. Il pessimismo di Pirandello è totale e non gli consente d'immaginare altre forme di società. Infatti i suoi eroi vivono in condizioni misere e stentate e di lavori monotoni e frustranti. L'unica via di salvezza per i suoi eroi è la fuga nell'irrazionale, nell'immaginazione che trasporta verso un altrove fantastico, come per l'impiegato Belluca di 'Il treno ha fischiato' che sogna paesi lontani e attraverso questa evasione può sopportare l'oppressione del suo lavoro di contabile e della famiglia, oppure nella follia, che è per Pirandello lo strumento per eccellenza di contestazione sociale. Il rifiuto della società dà luogo nell'opera pirandelliana ad una figura ricorrente, il 'forestiere della vita', l'eroe estraniato, colui che ha capito il giuoco, ha preso coscienza del carattere fittizio della società e si esclude, si isola, guardando vivere gli altri dall'esterno, gli uomini imprigionati dalla trappola verso cui ha un atteggiamento umoristico, di irrisione e pietà. E' quella che Pirandello definisce anche'filosofia del lontano':essa consiste nel contemplare la realtà come da un'infinita distanza,in modo da vedere in una prospettiva straniata tutto ciò che l'abitudine ci fa considerare 'normale' e in modo quindi da coglierne l'inconsistenza e l'assurdità. In questa figura di eroe estraniato dalla realtà si proietta la condizione stessa di Pirandello come intellettuale, che rifiuta il ruolo politico attivo perseguito dagli altri intellettuali e nel suo pessimismo si riserva un ruolo contemplativo. Dal vitalismo pirandelliano scaturiscono anche importanti conseguenze sul piano conoscitivo. Se la realtà è in perpetuo divenire, essa non si può in schemi totalizzanti. Ogni immagine globale che intenda sistemarla organicamente non è che un proiezione soggettiva. Il reale è multiforme e polivalente e le sue prospettive sono infinite. Quindi, la visione pirandelliana è caratterizzata da un radicale relativismo conoscitivo. Non esiste una verità assoluta, ognuno ha la sua verità che nasce dal suo modo soggettivo di vedere le cose. Ne deriva un'inevitabile incomunicabilità tra gli uomini: essi non possono intendersi, perchè ciascuno fa riferimento alla realtà com'è per lui, e non sa come sia per gli altri. Questa incomunicabiltà accresce il senso di solitudine dell'individuo. Il relativismo conoscitivo collega Pirandello a quel clima culturale europeo del primo Novecento, in cui si verifica la crisi delle certezze positivistiche e della fiducia in una conoscenza oggettiva della realtà mediante gli strumenti della razionalità scientifica. La posizione di Pirandello sia per quanto riguarda questa crisi gnoseologica, sia per il suo vitalismo razionalistico, viene quindi fatta rientrare nell'ambito del Decadentismo. Se però consideriamo il Decadentismo come una seconda fase del clima culturale romantico, allora per vari aspetti Pirandello appare già al di fuori di essi. Per Pirandello, la realtà non è più una totalità organica, ma una pluralità di frammenti che non hanno un senso complessivo. Questa crisi della totalità colloca Pirandello già oltre il Decadentismo. Una situazione analoga è quella inerente alla crisi dell'io. Il Decadentismo, come il Romanticismo, poneva l'io al centro del mondo, e quest'ultimo si identificava con l'io. Per Pirandello questa assolutizzazione del soggetto è impossibile in quanto esso si frantuma in una serie di frammenti incoerenti. Dalla visione complessiva del mondo scaturiscono anche la concezione dell'arte e la poetica di Pirandello, che vengono trattate nel saggio più famoso 'L'umorismo' del 1908. Il volume è composto da una parte storica, in cui l'autore esamina varie manifestazioni dell'arte umoristica, e da una parte teorica, in cui viene definito il concetto stesso di umorismo. L'opera d'arte, secondo Pirandello, nasce dal libero movimento della vita interiore, la riflessione è una forma di sentimento, al contrario di quando avviene nell'opera umoristica, dove la riflessione analizza e scompone il sentimento e permette di vedere la realtà da molteplici prospettive. Nel saggio, Pirandello afferma che l'umorismo si trova nella letteratura di tutti i tempi e in particolare in quella contemporanea. Si tratta dell'arte moderna per eccellenza perchè riflette la coscienza di un mondo non più ordinato ma frantumato, un'arte in cui ogni pensiero genera sempre il suo opposto. Di qui nasce il 'sentimento del contrario', che è il tratto caratterizzante l'umorismo per Pirandello. La poetica pirandelliana è basata sull'umorismo, le sue opere, le novelle, i romanzi, i drammi sono tutti testi umoristici, in cui tragico e comico sono indissolubilmente mescolati e da cui emerge il senso di un mondo frantumato.


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