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Rosso Malpelo




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Rosso Malpelo


Rosso Malpelo è un "ragazzaccio" dai capelli rossi che lavorava in una cava di sabbia della Sicilia, un povero infelice, precocemente indurito - fino ad apparire cinico e spietato - dai rigori della vita e dall'atrocità della sua condizione di sfruttato. In realtà, Malpelo nasconde dentro di sé una sua umanità e un suo bisogno di amore che riversa nel rapporto, in apparenza violento e duro, con Ranocchio, un altro infelice adolescente come lui ma di lui ancora più debole e, soprattutto, in quello, tutto intimo e silenzioso, con il padre, morto in un incidente sul lavoro nella cava, nella quale anche Malpelo finirà i suoi giorni, senza lasciare alcuna traccia di sé.

Pubblicata nel 1880 nella raccolta Vita dei campi, la novella Rosso Malpelo di Giovanni Verga contiene e sviluppa già i capisaldi della poetica del grande scrittore siciliano sia dal punto di vista ideologico sia dal punto di vista espressivo: l'attenzione al mondo degli umili, dei perseguitati e dei reietti, la sostanziale visione pessimistica della condizione umana, il procedere 'oggettivo' e analitico della narrazione e l'adozione di un linguaggio 'popolare', volto a riecheggiare i modi e le forme del parlato. Ma, nel momento stesso in cui si presenta come un prodotto tipico della maniera 'verista', Rosso Malpelo appare anche come il più compiuto esempio dei particolari caratteri del verismo verghiano. Infatti, il distacco 'oggettivo' con cui Verga racconta la storia di Malpelo è ben diverso dall'impassibilità scientifica predicata dai teorici del Naturalismo e del Realismo: di fronte al suo personaggio, Verga, pur senza dimenticare il suo programma di narratore esterno ed estraneo ai fatti, non può non commuoversi e non esprimere amaramente la sua profonda simpatia per gli umili come Malpelo, la cui stessa sofferenza rende eroici e in qualche modo sacri, anche se, come Malpelo, sono stati disumanizzati e resi malvagi, cinici e violenti dalle circostanze della vita.

Dal punto di vista stilistico-espressivo, Rosso Malpelo si caratterizza come opera tipica del Verismo verghiano per la tecnica con cui la vicenda è narrata. Il racconto, infatti, è un tipico racconto verista d'ambiente: così non si svolge in modo organico, nel rispetto di una rigorosa successione degli eventi, ma si sviluppa per aggregazione successiva dei fatti, attraverso anticipazioni, riprese e aggiunte, proprio come se la vicenda di Malpelo, anziché narrata dallo scrittore, fosse narrata dagli stessi protagonisti, mediante i loro gesti oltre che mediante le loro parole.

CONTESTO

La novella è ambientata in una cava di rena rossa, in Sicilia, nella seconda metà dell'Ottocento. Nella cava lavorano il protagonista, Rosso Malpelo, suo padre e altri personaggi.

PERSONAGGI

Rosso Malpelo - il protagonista della novella, chiamato così per il colore dei suoi capelli. Secondo un proverbio sacro nel mondo popolare, -"Russu malu pilu" - chi ha i capelli rossi è persona cattiva e ribelle; conseguenza di questo detto è l'emarginazione ed il maltrattamento di tutti nei confronti di Rosso Malpelo. In realtà egli è un ragazzo buono ma, a forza di sentirsi dire da tutti che è un mascalzone, finisce per crederlo egli stesso. L'unica persona che vuole bene al ragazzo è suo padre, ma alla morte di questi Rosso non ha più punti di riferimento perché verrà abbandonato anche dalla madre e dalla sorella. Non avendo più nessuno, il protagonista si dedica solo alla cava e per lui scavare vuol dire solamente liberare il padre dalla rena che lo ha intrappolato, facendolo morire soffocato. Tutta la rabbia che Malpelo accumula per il modo in cui viene trattato, la riversa su un povero asino, che successivamente morirà, e su un ragazzino di nome Ranocchio, al quale vuole molto bene, che morirà anch'egli a causa di una malattia. Rosso Malpelo vede nella morte del padre, di Ranocchio e dell'asino un'evasione dalla cava e crede che l'unico modo per andare via da quell'orrendo luogo sia proprio la morte, che il ragazzino incontra quando accetta consapevolmente i rischi legati ad una missione esplorativa mortale che tutti avevano rifiutato.

Mastro Misciu Bestia - il padre di Rosso Malpelo. Mastro (nome solitamente assegnato ai muratori) Misciu (diminutivo di Domenico) Bestia (così soprannominato perché ritenuto la bestia da soma di tutta la cava) lavora anch'egli nella cava, fino alla morte che avviene mentre esegue un lavoro molto pericoloso.

Ranocchio - il ragazzino che Rosso Malpelo incontra nella cava, molto debole fisicamente e chiamato così perché, in quanto zoppo, ha un modo di camminare che fa pensare ad una rana.

COMMENTO

La novella è scritta con un linguaggio non molto comprensibile perché ha una forma tipica del dialetto siciliano di quei tempi. I fatti sono raccontati da un narratore onnisciente, il quale conosce gli avvenimenti e gli stati d'animo dei personaggi. La novella, anche se triste poiché si conclude con la morte del protagonista, nonché con quella precedente del padre e di Ranocchio, è molto interessante perché fa riflettere su problematiche che hanno interessato l'Italia, in particolare la Sicilia, nel periodo della seconda metà dell'Ottocento, quali la durezza delle condizioni di vita e di lavoro e la realtà di sfruttamento della gente siciliana, senza escludere neanche i bambini.

Altri temi trattati da Verga sono:

la solitudine: il protagonista, dopo la morte del padre, si ritrova da solo perché abbandonato anche dagli unici familiari che gli sono rimasti (madre e sorella);

la discriminazione: Malpelo è giudicato malamente a causa del colore dei suoi capelli;

la violenza: il ragazzo viene maltrattato e preso a calci da tutti coloro che lavorano nella cava;

l'emarginazione: proprio per il colore dei suoi capelli e quindi perché ritenuto cattivo, Malpelo viene scacciato da tutti.

Questa novella, anche se scritta in un diverso periodo storico, può rispecchiare perfettamente anche il mondo d'oggi, dove solitudine, discriminazione, violenza ed emarginazione sono ancora problemi molto diffusi in tutto il mondo e difficili da essere superati.

La novella "Rosso Malpelo" di G. Verga risponde a due obiettivi di scrittura: il primo è quello di produrre un testo realistico e oggettivo; il secondo è quello di documentare le condizioni misere dei "vinti", verso gli ultimi anni del 1800. Ciò spiega il pessimismo del Verga, che era convinto dell'impossibilità da parte delle persone umili di migliorare le loro condizioni economiche e sociali.

Giovanni Verga

Nato a Catania nel 1840, fu il massimo esponente del verismo.

La sua prima formazione romantico-risorgimentale si svolse a Catania, dove abbandonando gli studi giuridici, decise di dedicarsi esclusivamente alla letteratura.

Trasferitosi a Firenze nel 1865 compose i suoi primi romanzi Una peccatrice e Storia di una Capinera. Successivamente a Milano frequentò l'ambiente degli Scapigliati, rappresentando in modo fortemente critico il mondo aristocratico-borghese (Eva, 1873; Tigre Reale, 1873; Eros, 1875).

In seguito alla scoperta del naturalismo francese matura la sua svolta decisiva verso il verismo che sarà segnato dai racconti e dai romanzi di ambiente siciliano (Vita dei campi, 1880; I Malavoglia, 1881; Novelle rusticane, 1883; Mastro don Gesualdo, 1889). Lo scrittore crede nel progresso ma si interessa ai vinti e ai deboli; la sua è una visione della vita tragicamente pessimistica che si pone in antitesi con l'ottimismo imperante nei suoi tempi.

Rappresenta un mondo di primitivi in lotta con il destino avverso cui inesorabilmente soccombono quando si staccano dalla religione, dalla famiglia e dal lavoro. Il linguaggio verghiano è arditamente innovatore: dando spazio al linguaggio dialettale riesce a raggiungere effetti di grandiosa coralità.

Alla produzione narrativa si accompagnò quella teatrale, connotata sempre da un'intensa drammaticità (Cavalleria rusticana, 1884; La lupa, 1884; In portineria, 1885; Dal tuo al mio, 1903).


Lo scrittore muore nella sua città natale nel 1922.


Prima produzione verghiana

Verga scrive i suoi primi romanzi tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta dell'Ottocento (Amore e patria, I carbonari della montagna, Sulle lagune), opere ancora legate a un romanticismo patetico e risorgimentale, frutto di un gusto un po' antiquato lontano dalle novità di altri ambienti culturali.

Accortosi della ristrettezza del mondo letterario catanese, Verga sente il bisogno di entrare in contatto con le correnti più moderne e avanzate della cultura italiana; dal 1865 compie viaggi a Firenze, capitale dell'Italia unificata, con una grande voglia di successo e mondanità; è qui che ha i primi contatti con artisti e letterati all'avanguardia, tra cui Luigi Capuana. In questa occasione ha modo di rivedere e arricchire il suo modo di scrivere e di pubblicare i suoi primi due romanzi, Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (1871).

Nel 1872 si trasferisce a Milano, realtà più dinamica e stimolante al tempo rispetto alla città toscana, di maggiore apertura internazionale, luogo d'incontro privilegiato di artisti e intellettuali. Qui, oltre a Luigi Capuana che lo raggiunge, frequenta Boito e Praga, inizia a leggere Balzac, Zola, ad avvicinarsi al naturalismo francese. La produzione dello scrittore si intensifica velocemente, pubblica Eva (1873), Eros (1874) e Tigre reale (1875), romanzi d'ambientazione borghese, nei quali sono esplicite le influenze del gusto tardo-romantico e scapigliato, accanto ai quali, però, nascono i primi esempi di novelle e bozzetti di ambientazione siciliana, Nedda (1874) e Padron 'Ntoni, il primo progetto per I Malavoglia (1881).

I romanzi del decennio 1865-1875 hanno subito incontrato il favore del pubblico e sono stati fonte di buoni affari per gli editori dell'epoca; sono opere che hanno molto in comune, innanzitutto la storia ruota, quasi sempre, intorno alla figura di un artista provinciale trasferitosi in una grande città, in secondo luogo si tratta di una sorta di autobiografia in cui l'autore vuole evidenziare le conseguenze dovute all'incontro con un mondo corrotto, immorale, che minaccia l'integrità del protagonista. Questo nuovo mondo è rappresentato sempre dalle donne, dalla loro artificiale e diabolica bellezza. Tema ricorrente è, infatti, il mistero dell'innamoramento, legato al fascino della lontananza e all'illusione che si nasconde dietro la figura femminile; ma anche il mito dell'apparenza: una volta caduti gli apparati scenici, nel momento in cui subentra la quotidianità, la realtà della donna si rivela in tutta la sua povertà e suscita repulsione. Nelle sue opere c'è la volontà di analizzare le passioni, affinché si raggiunga il fine dell'arte che, per Verga, è la rappresentazione del vero. Questo è spiegato dallo scrittore nella prefazione ad Eva, in cui, tra l'altro, Verga polemizza con la società a lui contemporanea, che considera salottiera, frivola, avida di piaceri. L'autore, con i suoi valori provinciali profondi, è affascinato dalla città cosmopolita, dalla sua eleganza e cultura, ma allo stesso tempo vi si sente a disagio e non ne può accettare l'ipocrisia, l'egoismo, il culto del denaro. E' molto significativo allora che la quasi totalità dei protagonisti, ormai sconfitti nelle passioni e già "vinti" dalla vita, possa trovare pace solo tornando nel paese d'origine, riscoprendo il valore della famiglia, andando ad abitare in campagna, fuggendo così dai mali della città.

In questi primi racconti la personalità dello scrittore non è ancora ben definita, è influenzata da esperienze diverse; ad esempio, Una peccatrice risente molto del romanzo psicologico mentre la narrativa milanese è ispirata ai romanzi francesi d'appendice e fa emergere maggiormente l'intento di denuncia della corruzione e immoralità della società.

Proprio Una peccatrice è stato il primo romanzo di questo "ciclo mondano", definito così da Lo Castro; una vicenda che è frutto della sensibilità tardo-romantica dell'autore, dell'idea di un amore passionale e travolgente che può condurre unicamente alla disperazione o alla morte. Già in questo racconto la donna è oggetto di desiderio solo per mezzo dell'artificio: modi eleganti, abiti sfarzosi, forme esteriori. Con il passaggio dal mondano al quotidiano il suo fascino decade e la passione dell'uomo si spegne. La figura femminile si abbandona all'avventura con il giovane romantico perché annoiata dalla vita mondana, un atteggiamento che lo scrittore attribuisce alla società borghese con cui polemizza; la protagonista mostra una maggiore capacità di lasciarsi andare alla passione, di non restarne delusa e di rinunciare alla vita quando capisce che il fallimento è definitivo. Per distaccare il lettore dall'estremo romanticismo del protagonista maschile, è inserito un terzo personaggio, il medico Raimondo Angiolini, che analizza la storia con il suo sguardo scientifico. Ancora manca l'ambientazione che Verga riterrà invece necessaria nelle opere veriste, soprattutto per rendere la verosimiglianza dell'azione; la vicenda si svolge, infatti, lontano dalla vita comune. Non si può certo parlare di verismo, ma di realismo sì, anche se visto con un'accezione negativa, come un difetto dei personaggi che va corretto e superato.

Storia di una capinera fa parte di questa produzione ma è un'opera più autentica, già in linea con i futuri romanzi veristi. Scegliendo il tema della clausura forzata di una giovane ragazza, tema molto attuale all'epoca, Verga cerca di far presa sul pubblico femminile borghese. Ma la novità sta proprio nel raccontare la storia dal punto di vista di una donna. I vezzeggiativi e i sentimentalismi, di cui il testo è pieno, sono le espressioni di una ragazza per bene, quale è la protagonista e quali sono le destinatarie del romanzo. Lo scrittore verista si nasconde dietro ai personaggi e preferisce far parlare loro, con il limite della loro cultura e delle loro esperienze. La forma epistolare con cui viene costruito il racconto aiuta a rendere ancora più invisibile la presenza del narratore, risultando come un lungo monologo nel quale la ragazza descrive tutte le sue emozioni e le sue angosce.

Contemporaneamente a questo romanzo Verga scrive Eva, poi terminato e pubblicato a Milano; ci troviamo di nuovo a contatto con uno dei primi personaggi femminili verghiani, che vivono passioni amorose travolgenti ma proiettate verso la delusione e la sconfitta, si avvalgono dell'artificio, del mascheramento estetico. Come in Una peccatrice, si percepisce molto bene il contrasto tra artificio e natura, una natura considerata volgare, da cui alla fine si fugge.

In Eros, a differenza degli altri romanzi di questa stagione letteraria, la vicenda non è racchiusa nel racconto di un'unica passione, bensì introduce un quadro più vasto della vita di un uomo; l'intreccio è più movimentato, la visuale narrativa è allargata a più personaggi. Viene rivelato l'intero corso dell'educazione sentimentale del giovane protagonista, il quale, come esito, non otterrà altro che scetticismo. Verga non concepisce un riscatto morale o una catarsi nei personaggi per risollevarli dalla loro vita, consumata nelle passioni e nella vuota mondanità. Già con questi romanzi lo scrittore sta maturando la consapevolezza delle difficoltà che l'esistenza offre a tutti i livelli sociali. Anche chi, come il marchese Alberti, ha il privilegio di godere di una buona cultura e una posizione sociale invidiabile, è comunque vittima delle menzogne che la società mondana gli offre con amori futili e passioni illusorie. Contro il modello di una vita dissipata e incerta Verga pone la sincera e schietta condotta di Adele, ricca dei valori sani e fermi della vita domestica, di cui godrà anche il marchese, seppure per un breve periodo, accanto alla cugina. Le altre figure femminili che le sono affiancate sono, al contrario, l'emblema della frivolezza, come Velleda, o dell'infedeltà matrimoniale, come la marchesa Armandi. Le sensazioni immediate del marchese si scontrano con il continuo freno posto dall'etichetta sociale. Verga delega ad un narratore esterno il compito di parlare dei personaggi. Ma il narratore, che si appresta a raccontare la vicenda, non riesce ad approfondire la loro psicologia e la sua capacità di analisi del comportamento umano si ferma alla pura osservazione. Come lo stesso Verga ammetterà nei successivi romanzi, più si sale nella scala sociale, più le passioni degli uomini sono celate e filtrate dalla compostezza imposta dalle regole del vivere civile. Poiché, però, l'uomo è dominato dalle passioni, lì dove vige il buon costume e il silenzio può nascondersi la menzogna di un'emozione non confessata. Una logica di inganno e simulazione, quindi, regola le convenienze e la buona educazione dell'alta società.

Successiva alla pubblicazione di Eros si colloca l'uscita di Tigre reale, scritto in due momenti distinti. La prima stesura si avvicina molto al modello di Una peccatrice, raccontando la storia della passione tra un giovane e una baronessa, e riprende alcuni elementi dal repertorio d'appendice, come un'avventura con i briganti e altri colpi di scena. Nella seconda e definitiva redazione, Verga mette in primo piano la famiglia, rappresentata dalla figura della moglie Erminia. In lei sono racchiuse le virtù femminili e le doti della dolcezza coniugale, caratteristiche che la rendono capace di saper resistere alle passioni proibite, contrariamente al marito Giorgio. Costui è continuamente attratto dal forte coinvolgimento sentimentale per la baronessa russa Nata. Con questa opera, l'ultima del gruppo dei "romanzi mondani", il narratore si distacca sempre più dalla vicenda. La sua figura è quella di un confidente del protagonista che si limita a riferire le stravaganti disavventure dell'amico mondano, mostrando al contempo la sua distanza dai suoi frivoli comportamenti.


Verga verista

Lo scrittore concepisce le prime sperimentazioni veriste pochi anni dopo il suo trasferimento a Milano, capitale e centro di diffusione culturale dell'Italia unita.

Già nel 1874, contemporaneamente alla pubblicazione di romanzi mondani, escono la novella Nedda e il bozzetto Padron 'Ntoni dove, per la prima volta, i protagonisti sono di umili condizioni economiche inseriti nella dura realtà di un piccolo paese siciliano.

Il 1878 è, però, l'anno chiave nella svolta letteraria di Verga, in cui una serie di eventi contribuiscono al cambiamento. Appaiono le novelle Rosso Malpelo e Fantasticheria, dove l'autore dichiara esplicitamente la sua nuova poetica. Inoltre, nell'aprile dello stesso anno, espone, in una lettera a Salvatore Paola Verdura, il progetto di realizzare un ciclo di romanzi, intitolato Marea, dove si propone di indagare i meccanismi che scatenano le passioni dell'animo umano dai più bassi ceti sociali fino a quelli più elevati. L'anno precedente approda a Milano anche il suo amico Luigi Capuana, con cui condivide le idee delle nuove sperimentazioni narrative provenienti dalla Francia.

Negli anni Sessanta, infatti, i circoli letterari milanesi sono animati da dibattiti sulle nuove correnti culturali, sulla scia di quelli sollevati in Francia già intorno alla seconda metà dell'Ottocento, su come rappresentare la realtà e su come avvicinare il mondo letterario al vero. Negli anni successivi prende forma in Italia il Verismo, un nuovo modello narrativo, vicino alle esperienze del Naturalismo francese ma caratterizzato da sue autonome specificità.

Il Verismo assume vari aspetti nelle mani di diversi scrittori. Tra questi spicca soprattutto l'operato di Verga e Capuana i quali, assieme al loro conterraneo De Roberto, vivono il Verismo legandolo saldamente al forte interesse per le proprie realtà regionali. Pur attraversando esperienze diverse, i tre scrittori siciliani sono accomunati dal desiderio di inserirsi nel mondo della cultura unitaria e, allo stesso tempo, sono testimoni della peculiarità culturale e della condizione emarginata degli isolani, concentrando nei loro racconti tutta le realtà siciliane e facendone il luogo dell'immaginario collettivo.

Le due novelle pubblicate da Verga nel 1878 confluiscono nel 1880 nella più ampia raccolta intitolata Vita dei Campi, in cui lo scenario delle storie è una Sicilia arretrata e repressa abitata da poveri contadini. Le novelle introducono le figure più caratteristiche tra tutte quelle della lunga sfilata dei personaggi verghiani: l'ingenuo pastore Jeli, il selvaggio e malefico Rosso Malpelo, il focoso Turiddu di Cavalleria Rusticana e la passionale Lupa. Gli uomini e le donne che compaiono nei suoi racconti sono fatti di carne ed ossa e come tali rispondono ai più primitivi istinti umani.

Verga sostiene che la scelta di una narrativa basata su persone appartenenti alle sfere sociali più basse sia la condizione necessaria per indagare le pulsioni dell'agire umano. Secondo la sua poetica è più facile ricercare negli individui umili i meccanismi che portano alle azioni poiché queste sono comandate da un unico bisogno: l'istinto per la sopravvivenza. Al contrario nelle classi più agiate le necessità dell'uomo sono diverse e velate dall'etichetta sociale. Il personaggio "primitivo" di Verga vede nel nutrirsi l'unico gesto utile per vivere e le altre funzioni, come il pensare o il sentire con l'anima, ne sono subordinate. In questo si differenzia la produzione verista di Verga da quella dei suoi primi romanzi, in cui i personaggi vivono per soddisfare capricci o per seguire illusioni perdendo di vista i bisogni primari.

Sono molteplici gli stimoli che hanno agito sulla svolta narrativa di Verga verista. In passato la critica ha voluto individuare varie ragioni, da quelle di tipo sociale e politico a quelle più legate all'esperienza personale dello scrittore. Secondo quest'ultima la scelta di voler trattare il mondo povero siciliano nasce da una repulsione provata negli anni milanesi nei confronti dell'ambiente cittadino borghese, a cui è seguita una volontà di ritorno alle origini. In base ad altre letture critiche fondamentale è l'influenza del naturalismo francese esercitata sui circoli letterari della città.

E' difficile, però, misurare quale di questi motivi abbia pesato maggiormente nel passaggio da una letteratura mondana di successo ad una di ambientazione siciliana popolare.

I recenti studi tendono a ridimensionare l'apporto del naturalismo nelle opere dell'autore; la narrativa naturalista e quella verghiana hanno molti punti di contatto ma non hanno le stesse finalità.

Il più importante punto in comune è la tecnica dell'impersonalità nel racconto: i personaggi sembrano rivelarsi da soli attraverso i loro comportamenti e le loro azioni. Con questo metodo il narratore è invisibile e prende in prestito, di volta in volta, la voce dei personaggi attraverso il discorso diretto o il discorso indiretto. La sua figura è parte integrante dell'ambientazione e ragiona con gli stessi criteri con cui ragionano i personaggi facendo in modo che il lettore riesca a crearsi un'idea di loro non mediata dal narratore. Inoltre la storia segue il naturale corso degli eventi e si costruisce da sola, basandosi direttamente sui comportamenti dei soggetti narrati.

Anche il naturalismo nei suoi racconti attinge alle sfere sociali più basse, ma si propone uno studio clinico delle forme dei sentimenti umani. L'arte non è il punto di partenza ma il mezzo per rendere al meglio l'analisi esatta degli eventi. Il fine dell'opera è quello di guarire le malattie dell'uomo o della società facendone una dettagliata denuncia. Contrariamente, nella poetica di Verga verista l'analisi dei personaggi non è realizzata con un approccio da medico, né da scienziato, ma da semplice conoscitore dell'animo umano

Tuttavia il Naturalismo deve aver rappresentato per Verga un grosso stimolo, anche tenendo conto della presa che la nuova narrativa francese aveva sul pubblico. Quando infatti Verga pubblica il suo primo esperimento verista, Nedda, la borghesia cittadina era già abituata a leggere storie di realtà umili, narrate dal Naturalismo francese. Passare, quindi, da contesti nobili e borghesi a quello di una povera venditrice di olive non avrebbe rappresentato un grosso trauma per i lettori dell'epoca, né apportato problemi al suo successo.

La sua produzione verista è stata così motivata da una duplice pulsione: da una parte la volontà di raccontare storie della sua terra, dall'altra quella di farlo seguendo dei canoni che già in Francia stavano sperimentando con successo.


Il Verismo

Il Verismo è un movimento letterario che si diffonde in Italia negli ultimi decenni dell'Ottocento e nei primi anni del Novecento.

Il termine Verismo deriva dalla parola "vero": secondo i veristi lo scrittore ha il compito di riprodurre la realtà in modo oggettivo e di far emergere la verità senza esprimere giudizi né partecipare emotivamente.

Il verismo si colloca in una epoca storica in cui trionfa la borghesia industriale: in questi anni si fanno grandi scoperte scientifiche, si inventano nuove macchine, come quella a vapore, c'è un continuo progresso della tecnica. È anche l'epoca in cui si sviluppa la "questione sociale": le masse dei lavoratori prendono coscienza dei loro diritti e delle disuguaglianze sociali e cercano di lottare contro il capitalismo.

Il Verismo ha le sue radici nel Positivismo e nel Naturalismo.

Il Positivismo , il cui nome deriva dall'aggettivo "positivo", è un movimento filosofico: i positivisti affermano che la ricerca della verità deve essere fatta con il metodo scientifico sperimentale e rifiutano tutte le idee astratte come ad esempio la religione.

Il Naturalismo è una corrente letteraria francese, i cui maggiori autori furono Emile Zola e Guy de Maupassant: essa ritiene che il romanzo debba essere un documento oggettivo della realtà. Perciò il romanziere deve rappresentare tutti gli aspetti della realtà, anche i più penosi e sgradevoli, nella maniera più fedele possibile.

I caratteri del Verismo sono:

il regionalismo: gli scrittori veristi analizzano le realtà sociali tipiche di una regione;

il pessimismo, poiché esprimono una concezione pessimista della vita del destino del popolo;

l'impersonalità perché rappresentano la realtà in modo oggettivo, senza commentarla o interpretarla;

il linguaggio: gli scrittori veristi adottano la lingua nazionale della gente semplice, senza però far ricorso al dialetto.

Il Verismo si sviluppa a Milano, dove si ritrovano intellettuali di regioni diverse. Così la Sicilia è descritta nelle opere di Giovanni Verga, la Campania nelle opere di Matilde Serao, la Sardegna nelle opere di Grazia Deledda.



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