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L'europa democratica - la tenuta della democrazia in gran bretagna




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L'EUROPA DEMOCRATICA


LA TENUTA DELLA DEMOCRAZIA IN GRAN BRETAGNA


Crisi economica e trasformazioni politiche in Gran Bretagna


Le democrazie rappresentative sopravvissero solo nei paesi di più antica tradizione liberaldemocratica, come la Francia, la Gran Bretagna, il Belgio, l'Olanda e i paesi scandinavi. Anche in queste nazioni, però la crisi economica lasciò un segno profondo nelle istituzioni politiche. La Gran Bretagna riuscì a far fronte agli effetti della crisi e a mantenere una notevole stabilità politica e sociale introducendo due importanti trasformazioni: il riassetto del sistema dei partiti e il protezionismo economico. La crisi investì la Gran Bretagna durante il governo di Ramsay MacDonald. Per fronteggiare le difficoltà economiche e il rischio del collasso della sterlina, fu formato un governo di coalizione, guidato sempre da MacDonald; si trattava di una formula politica del tutto nuova, dato che il governo si trovava per la prima volta a non avere praticamente opposizione. Dopo questa esperienza (che durò quasi un decennio) la geografia dei partiti risultò completamente modificata: il sistema bipartitico si ricostruì attorno ai due poli fondamentali del Partito conservatore e del Partito laburista, sancendo il declino dei liberali. Questa ampia coalizione, guidata dal laburista MacDonald, fu in grado di gestire la complessa ristrutturazione del sistema produttivo britannico mantenendo il consenso della maggioranza della popolazione. Per rispondere alla crisi monetaria, fu attuata una prudente svalutazione della sterlina, che culminò nell'abbandono del gold standard, una misura che ridiede fiato all'industria britannica. Il governo promosse la creazione di cartelli di produzione e di vendita nei settori strategici del ferro e dell'acciaio per regolamentare i prezzi e controllare l'offerta e pianificò la produzione dei settori più colpiti, quali le industrie cotoniera e cantieristica. Era stata promossa una stagione di negoziati che aveva consentito al movimento operaio inglese di mantenere ampie garanzie salariali; vennero inoltre progressivamente estese da tutti i governi diverse misure di protezione sociale, compreso il sussidio di disoccupazione (dole), che consentirono di non far precipitare il potere d'acquisto della popolazione. Le politiche anticrisi in Gran Bretagna non furono dunque fatte pagare, come invece avvenne negli altri paesi europei, alle classi popolari, ma anzi realizzarono una più equa redistribuzione dei redditi. Fu ripreso e intensificato il sistema delle "preferenze imperiali"; il presupposto di tale politica fu la trasformazione del Commonwealth in area doganale comune: con lo statuto di Westminster venne definita la struttura dell'organismo, cui partecipavano le ex colonie divenute stati indipendenti (i dominions). Nonostante i progressi nelle relazioni con i dominions, la Gran Bretagna faticava a tenere sotto controllo le spinte nazionalistiche nelle colonie. In India si intensificò l'azione di Gandhi; la crisi economica fu decisiva nell'alimentare questa nuova ondata di proteste, poiché colpì l'agricoltura indiana che rappresentava la principale attività dell'immensa penisola, favorendo un'ulteriore accelerazione verso l'indipendenza. Nel 1935 la corona inglese emanò una nuova Costituzione che faceva dell'India uno stato federale.


La diffidenza verso l'Urss e la politica dell'appeasement


Nel complesso i governi di coalizione a prevalenza conservatrice seppero rispondere con efficacia agli sconquassi prodotti dalla crisi economica. Questa politica, però implicò un disimpegno britannico negli affari europei. L'egemonia dei conservatori, inoltre, si fece sentire nella perdurante diffidenza verso l'Unione Sovietica, che tentava di inserirsi nel quadro europeo: il ministro degli Esteri russo Litvinov aveva partecipato alla conferenza internazionale sul disarmo, poi aveva sottoscritto patti di non aggressione con la Polonia, la Cecoslovacchia e la Romania e siglato un'alleanza con la Francia. L'ascesa al potere di Hitler spinse l'Urss a cercare un più stretto rapporto con le democrazie in funzione antifascista, ma non ottenne mai il credito britannico e fu lasciata fuori dagli accordi di Monaco.

De resto la Gran Bretagna non si oppose mai con fermezza all'avanzare del fascismo e del nazismo, manifestando anzi una certa condiscendenza. La politica dell'appeasement, ovvero l'arrendevolezza verso il "revisionismo" tedesco e italiano, fu alla base dell'opposizione britannica all'aggressione italiana dell'Etiopia e del mancato sostegno al governo del Fronte popolare in Spagna durante la guerra civile. Nei confronti del nazismo, poi, non fu minimamente contrastata l'escalation militarista della Germania hitleriana che a rapide tappe portò l'Europa alle soglie della guerra mondiale.


I FRONTI POPOLARI


Il pericolo fascista in Francia e la nascita del Fronte popolare


Anche in Francia si fecero sentire gli effetti della crisi, sebbene in misura meno dirompente che negli altri paesi industrializzati. La strategia dei governi di centro-destra che occuparono la scena politica fu quella di tutelare la moneta sui mercati internazionali e di difendere il mercato interno innalzando pesanti barriere doganali.

Nel contempo si tentò di combattere l'inflazione riducendo gli interessi sul debito pubblico e gli stipendi dei dipendenti pubblici, col risultato di aggravare la recessione. In questa situazione si polarizzò lo scontro fra il Partito comunista, capace di raccogliere crescenti consensi tra i lavoratori, e la destra filofascista.

Nel 1934 i movimenti di destra, fra cui l'Action Française e formazioni come la Croix de Feu, tentarono di marciare sul palazzo del governo per attuare un colpo di stato. Il tentativo fallì, ma il pericolo fascista divenne allarmante anche in Francia. Di fronte alla minaccia di una svolta autoritaria nonché alla minaccia esterna rappresentata dal nazismo, le sinistre riuscirono a trovare un'intesa, presentandosi unite all'elettorato e candidandosi alla guida del paese. Nel frattempo la stessa Internazionale comunista aveva varato la politica del Fronte popolare antifascista, favorendo il riavvicinamento fra i comunisti europei e le varie formazioni socialiste, socialdemocratiche e liberaldemocratiche.

Nel 1936 il Fronte popolare, composto da comunisti, socialisti e radiali, vinse le elezioni: il socialista Léon Blum, leader del socialismo francese, assunse la guida del governo.

La vittoria del fronte popolare diede fiato al movimento operaio, che dopo anni di riflusso e di compressione salariale diede subito l'avvio a un imponente ciclo di lotte. Sotto la pressione di scioperi e occupazioni delle fabbriche, furono stipulati fra lavoratori e industriali gli accordi di palazzo Matignon, che accolsero in gran parte le rivendicazioni sindacali: diritti di rappresentanza dei lavoratori nelle fabbriche, contratti collettivi, aumenti salariali fino al 15%, 15 giorni di ferie pagate, settimana lavorativa di 40 ore.

Su questa scia il governo Blum cercò di attuare rilevanti riforme economiche e avviò finalmente la svalutazione de franco. La borghesia imprenditoriale rispose però con una netta opposizione, attuando il blocco degli investimenti e l'esportazione dei capitali. Questa azione, unita alla crescita dei prezzi provocata dalla svalutazione e dagli aumenti salariali, indebolì rapidamente il sistema economico e provocò la precoce crisi dell'esperimento del Fronte popolare: Blum rassegnò le dimissioni e l'anno successivo il conservatore Daladier era di nuovo alla guida di un governo di centro-destra.


La nascita della repubblica in Spagna


Contemporaneamente, in Spagna, si era formato un governo delle sinistre costituitosi sulla base di una formula politica analoga a quella francese. La situazione spagnola, però, era ben diversa.

La Spagna era rimasta ai margini della modernizzazione europea e degli stessi sconvolgimenti causati dalla guerra mondiale, cui non aveva partecipato.

L'arretratezza del paese si manifestava nel perdurare di rapporti sociali di stampo feudale, nella prevalenza della grande proprietà fondiaria, appoggiata da una chiesa cattolica di tradizione autoritaria e reazionaria ed essa sessa fra i maggiori latifondisti.

La stessa unità del paese era minacciata da rivendicazioni autonomistiche, soprattutto dei Paesi baschi e della Catalogna. Il re Alfonso XIII di Borbone aveva appoggiato il regime autoritario e militare del generale Miguel Primo de Rivera, che uscì indebolito dalle ripercussioni della grande crisi. Le elezioni del 1931 segnarono una netta vittoria delle forze di sinistra; il fatto nuovo fu costituito dallo spostamento del settore più avanzato della borghesia spagnola nelle file del Partito repubblicano. Il re abbandonò il paese e fu proclamata la repubblica.

Il governo a guida repubblicana tentò subito di attuare le più urgenti riforme: laicizzazione dello stato e limitazione del potere della chiesa, nazionalizzazione dei servizi pubblici, riforma agraria. Già due anni dopo, però, con la vittoria del cattolico di destra Gil Robles alle elezioni, la situazione si rovesciò: la nuova maggioranza di centro-destra, formata da gruppi monarchici e cattolici, attuò una dura repressione sociale, soffocando nel sangue uno sciopero dei minatori delle Asturie.


Fronte popolare, guerra civile, vittoria del franchismo


Alle elezioni del febbraio 1936 tutte le forze di sinistra si presentarono unite, e il Frente popular, formato da repubblicani, socialisti, comunisti, anarchici e dal Poum (i comunisti trockisti e antistalinisti), conquistò il governo della repubblica. Il governo guidato da Azana tentò subito di attuare la riforma agraria e una decisa laicizzazione dello stato in senso anticlericale. Le forze reazionarie - la grande proprietà terriera, la chiesa, la maggioranza dell'esercito - che rimanevano molto forti nonostante la sconfitta elettorale, presero la via della contrapposizione frontale. Le truppe di stanza in Marocco guidate dal generale Francisco Franco marciarono su Madrid con l'intenzione di rovesciare il governo con la forza. L'insurrezione militare raccolse l'adesione della maggioranza dell'esercito e fu l'inizio di una durissima guerra civile che insanguinò per tre anni il paese. Le forze reazionarie raccolte intorno a Franco diedero forma a uno schieramento clerico-fascista fondato sulla forza militare dell'esercito e galvanizzato dall'esaltazione delle tradizioni nazionali riaffermate contro la democrazia dalla nuova figura del caudillo, come fu chiamato Franco con evidente riferimento al duce e al fürher.

Tutti i partiti democratici e di sinistra si armarono e distribuirono armi alla popolazione per combattere il fronte nazionalista, mentre anche i movimenti autonomisti basco e catalano si schierarono dalla parte del governo legittimo. Le maggiori nazioni democratiche, Francia e Gran Bretagna, optarono per il non-intervento, di fatto legittimando la ribellione franchista, mentre l'Italia fascista e la Germania nazista intervennero a fianco dei nazionalisti.

Solo l'Urss diede il suo appoggio concreto in uomini e mezzi al governo repubblicano e attraverso il Comintern favorì la formazione delle brigate internazionali. Nel frattempo 40000 volontari antifascisti affluirono in Spagna a difesa del governo repubblicano, senza però riuscire a controbilanciare la superiorità militare dei rivoltosi. Inoltre la crescente preponderanza dei comunisti nella formazione delle brigate internazionali causò forti contrasti. Repubblicani, comunisti e una parte dei socialisti mettevano in primo piano la difesa della repubblica democratica, mentre gli anarchici puntavano a una radicale riforma agraria e all'instaurazione del socialismo. Il nuovo governo repubblicano di Juan Negrin, riconosciuto dall'Urss, perdeva terreno. La caduta di Madrid nel 1939 segnò la vittoria del franchismo, un regime autoritario clerico-fascista fondato sul partito unico, la Falange, che si conservò fino alla morte del caudillo nel 1975.


L'ANTIFASCISMO


Verso l'unità d'azione di socialisti e comunisti


L'affermazione del fascismo su scala europea alimentò la formazione di gruppi di resistenza, animati in prevalenza dalle forze politiche antifasciste che erano state sciolte d'autorità e messe fuori legge. Queste minoranze organizzate operavano in patria in una condizione di clandestinità, attraverso una vasta azione di propaganda, per sensibilizzare l'opinione pubblica internazionale contro i regimi autoritari. Fino alla metà degli anni trenta, però, il movimento antifascista rimase estremamente disunito, poiché su di esso pesavano ancora le divisioni che avevano favorito l'ascesa del fascismo.

Tra le cause che favorirono l'ascesa del fascismo in Italia vanno infatti annoverati i contrasti tra le forze politiche democratiche. Questi contrasti si aggravarono quando i socialisti e i liberal-democratici in esilio diedero vita a Parigi alla Concentrazione antifascista, da cui rimasero fuori i comunisti, fortemente critici con queste forze politiche e soprattutto con i socialisti, ritenuti responsabili, per eccesso di prudenza e di legalitarismo, dell'avvento del fascismo.

La Concentrazione tentò di raccogliere adesioni attorno ai due principali obiettivi del suo programma: la restaurazione della democrazia e l'abbattimento delle istituzioni monarchiche in nome della repubblica.







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