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Fascismo e libertà: come la persona si perde creando il consenso




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Fascismo e libertà:
come la persona si perde
creando il consenso






Il concetto di consenso

La parola "consenso" deriva dal latino consensus, participio passato del verbo consentire, dall'etimo "cum sentire", sentire la stessa cosa. Un uomo esprime quindi il proprio consenso ad un'idea quando l'idea proposta è uguale o vicina alle sue idee. Tuttavia una percezione alterata fa percepire cose alterate. Di conseguenza la radice di un consenso incosciente è una percezione non cosciente, quindi una percezione alterata. Affinché si possa operare un consenso cosciente sono necessari due elementi: conoscere le possibili scelte ed essere liberi di scegliere. Nel corso dei totalitarismi del Novecento, con particolare riferimento al fascismo in Italia, si sono evidenziati tre gradi di consenso:

il consenso passivo, vero e proprio conformismo da automi, tipico di coloro che non conoscevano i programmi dei partiti a cui davano la propria adesione, né si preoccupavano di conoscerli, ma che comunque si ritenevano liberi poiché il loro voto era giuridicamente valido;

il cosiddetto "consenso deponente" (etimologicamente de ponere, "porre giù"), di coloro che erano sgravati della possibilità di pensare con la propria testa dallo Stato e a cui veniva fatto credere attraverso i più vari strumenti che quella possibilità (in Italia il fascismo) era la migliore possibile;

il consenso attivo, proprio di coloro che conoscevano veramente ciò a cui davano il proprio consenso e le scelte ad esso alternative.

L'unica vera forma di consenso è la terza: le prime due sono semplice coazione mascherata. Tutte le tre forme sono approvazione: tuttavia, chi dà consenso attivo riflette (ed ha una coscienza politica), chi dà un consenso deponente non viene fatto riflettere (e crede di avere una coscienza politica, e in effetti ce l'ha, ma alterata), chi dà consenso passivo si rifiuta di riflettere (e non ha alcuna coscienza politica).

Nei totalitarismi:

i consensi passivi sono i più comodi, ma anche i più instabili;

i consensi deponenti sono i più stabili, ma anche i più alienati;

i consensi attivi sono i più reali, ma anche i più pericolosi;


Il consenso al fascismo

Il fine dei totalitarismi in Italia e in Germania è stato quello di creare consensi deponenti. La causa della loro affermazione è in larga parte da rintracciare nei consensi passivi (anche se ovviamente non sono mancati gli altri due tipi di consensi, dovuti alle contingenze storiche che in seguito esamineremo). Scrive la filosofa Hannah Arendt a questo proposito: «La maggior parte delle persone non si schiera politicamente, e per questo spesso non viene considerata dai partiti stessi come stupida o apatica. È proprio a questa massa che danno importanza i regimi, non per fare crescere in essa una coscienza politica e sociale, ma per avere un consenso numerico maggiore degli altri partiti, magari meno sentito, ma comunque ostile a prendere una posizione decisa e pronto a schierarsi in favore di chi colpisce la sua attenzione in maniera fittizia, anche attraverso la propaganda».

È evidente come i totalitarismi mirino a costruirsi un consenso numerico, quantitativo, più che a favorire una coscienza politica e sociale nel popolo, e quindi un consenso qualitativo. Ciò nasce dalla paura di perdere il consenso, dettata soprattutto dal fatto che «il popolo è gregge» (Mussolini). Ed è proprio dal concetto di popolo del duce che possiamo avviare un'analisi storico-sociale sulle cause del consenso di massa a questo totalitarismo.

«Il popolo non fu mai definito. È una entità meramente astratta, come entità politica. Non si sa dove cominci esattamente, né dove finisca. L'aggettivo di sovrano applicato al popolo è una tragica burla. Il popolo tutto al più, delega, ma non può certo esercitare sovranità alcuna. I sistemi rappresentativi appartengono più alla meccanica che alla morale»

«Al popolo non resta che un monosillabo per affermare e obbedire. La sovranità gli viene lasciata solo quando è innocua o è reputata tale, cioè nei momenti di ordinaria amministrazione»

(Mussolini - Preludio al Machiavelli, in Gerarchia dell'Aprile 1924)


Il duce e il fuhrer erano molto vicini sull'idea di popolo come oggetto facilmente corruttibile, e molto devono a Gustave Le Bon, studioso francese che nel 1895 scrisse sulla Psicologia delle folle fornendo gli strumenti per la comprensione dei caratteri delle masse e le "strategie di persuasione" per dominarle.

Varie sono le componenti che in Italia hanno determinato il consenso al fascismo, sia nella sua affermazione che nel suo consolidamento, e molti sono gli aspetti comuni al nazismo tedesco. Tutti questi elementi tuttavia possono essere sintetizzati in tre punti:

la "religione fascista";

lo "stato-teatro";

il cesarismo;

Esaminiamoli con ordine.


La "religione fascista"

«Il fascismo è un fenomeno religioso, il prodotto di una razza. Il fascismo è forza spirituale e religione»

(Mussolini - Discorso di Cremona, 19 Giugno 1923)

Tra gli ultimi decenni dell'800 e i primi anni del '900 si avvia la crociata antireligiosa, diretta alla progressiva scristianizzazione della società: positivismo, naturalismo, decadentismo, futurismo, segnano le principali tappe di una frattura sempre più ampia con il cattolicesimo. Tuttavia, il prezzo della scristianizzazione per gli uomini di questa società diventa la disperazione: ucciso Dio si trovano troppo liberi, soli e senza alcuna consolazione alle sofferenze. Ciò li induce a cercare qualcosa che possa prendere il posto di Dio nel piedistallo della loro anima. Ciascuno di loro è confuso, vulnerabile. Ed è in questo contesto che si inserisce il fascismo: esso propone uno Stato etico, un progetto salvifico della storia, una religione senza Dio. Il fascismo era qualcosa che coinvolgeva non semplicemente l'ambito politico, ma ogni aspetto della vita dell'uomo: in apparenza ideologia, in realtà religione. Era un partito unico, interclassista, con la pretesa di poter costruire una nuova Italia attraverso la "bonifica" degli italiani, «"bonifica" che mirava a conquistare le anime, modificando radicalmente i comportamenti, i pregiudizi e le preferenze degli italiani. [.] una politica terapeutica [.] per curare gli impulsi decadenti e devianti, creando energie positive che potevano essere incanalate e coordinate per realizzare gli obiettivi» (Bianca Leopardi). Dando il proprio assenso al fascismo, ogni uomo si sarebbe - per usare le parole di Mussolini - "consacrato alla patria". Lo Stato avrebbe dato nuove certezze, nuovi diritti e nuovi doveri. Lo Stato avrebbe conosciuto tutti i suoi cittadini per nome e cognome, li avrebbe rimproverati per i loro errori, ma soprattutto li avrebbe tutelati. Evidente il paradosso della natura umana: l'uomo vuole che qualcuno gli dica cosa fare e che tuttavia lo faccia credere libero; vuole qualcuno che lo comandi senza dargli la sensazione di essere comandato.

«La folla non ha bisogno di conoscere. Deve credere. Le masse non vogliono la discussione o il dibattito, ma solo essere comandate»

(Mussolini)

Il duce era "la luce" ("Dux mea lux"), il messia della religione fascista, l'atteso della storia, colui che amava l'Italia ed insegnava il suo amore patriottico al popolo. Ogni manifestazione era una liturgia del fascismo, ricca di simbolismi religiosi, spesso tratti dallo stesso cristianesimo (dopo averli stravolti nel loro significato). È importante chiarire anche il rapporto con la Chiesa: mai essa si è espressa apertamente contraria al fascismo (e probabilmente se l'avesse fatto non avrebbe avuto vita facile). Al contrario, è risaputa la connivenza di queste due istituzioni, che prese veste ufficiale nei Patti Lateranensi del '29. Tuttavia è semplicistico non tenere conto dei rilevanti sviluppi avvenuti tra il '30 e il '40, come lo scontro di Mussolini con l'Azione Cattolica, l'ostilità di Pio XI verso la guerra in Etiopia e all'alleanza con Hitler: a rigore, è corretto quantomeno citarli. Nonostante tutto, i Patti Lateranensi costituirono un'ulteriore certificazione al fascismo (Mussolini come "Uomo della Provvidenza").


Lo "Stato-teatro"

«Le masse sono stupide e sporche; e non lavorano abbastanza, felici di godersi i loro mediocri spettacoli cinematografici»

(Mussolini)

Non a torto si attesta che la propaganda sia stata l'anima del fascismo. Per quanto Mussolini affermasse di disapprovare i troppi discorsi in pubblico, dedicò gran parte del suo tempo all'arte oratoria e alla preparazione dei suddetti. Tutte le scelte che lo Stato prendeva erano trasformate in una campagna pubblicitaria per il partito. «L'Italia è una "terra teatrale" - diceva - e i suoi capi devono allestire i loro contatti col pubblico come spettacoli». Nella stampa e nelle telecomunicazioni (la radio in primis) vedeva un grande strumento per affermarsi (creando consensi deponenti). In un discorso ai giornalisti italiani, il 10 Ottobre 1928, disse:

«La stampa più libera del mondo intero è la stampa italiana. Il giornalismo italiano è libero perché serve soltanto una causa e un regime; è libero perché, nell'ambito delle leggi del Regime, può esercitare, e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione»

Ruolo non meno importante in questo quadro ebbero le coreografie spettacolari in tutte le numerose adunanze fasciste: oltre al già citato simbolismo religioso, tutto era preparato con precisione estrema. Dalla sistemazione dei partecipanti (i reduci, le vedove e i mutilati avevano i posti d'onore) alle sfilate, dai discorsi (solitamente le parole di Mussolini ascoltate alla radio) ai filmati celebrativi del nazionalismo: feste tenute sempre a intervalli regolari e ideate per superare le differenze di classe. Tutti partecipanti, nessuno spettatore. Erano celebrazioni realizzate secondo il modello di Rousseau, organizzate dall'alto per il popolo, affinché il popolo crescesse in devozione allo Stato. 

Numerose erano anche le organizzazioni extra-lavorative (Ordine Nazionale Dopolavoro, Ordine Nazionale Balilla, Figli della lupa, Gioventù Fascista.), create perché «il tempo libero è pericoloso» (Mussolini).

Le scuole (dalle elementari alle superiori) usavano libri di testo scelti dal Partito, per formare i nuovi giovani e per assicurare, in un futuro prossimo, continuità al regime. Da evidenziare l'importanza che il fascismo dava allo sport nel piano formativo scolastico, con il chiaro intento di fornire un certo grado di addestramento fisico e paramilitare.

Durante il fascismo si ebbe una discreta crescita della produzione industriale. Il dirigismo economico fu largamente approvato sempre grazie alla costante propaganda. Della politica economica fascista è possibile evidenziare quattro fasi.

Fase liberista

Dal 1921 al 1925, caratterizzata dagli aiuti dati all'alta borghesia capitalistica attraverso l'attenuazione dell'alto livello di protezionismo (con la nuova tariffa doganale del 1921). Crebbero le produzioni dell'industria siderurgica e meccanica. Tutto fu favorito dalla fine delle prima numerose agitazioni operaie.


Fase protezionistica

Dal 1925 al 1933 si verifica un'inversione di marcia: dal liberismo si passa al protezionismo. L'interventismo statale doveva avere l'obiettivo di rivalutare la lira. Per rendere meno costose le importazioni fu introdotta la cosiddetta "quota 90". Nel 1925, al fine di rendere indipendente l'economia dello Stato, fu avviata la campagna del grano, con lo scopo di ridurre le importazioni aumentando l'area seminativa. Nel '29 la crisi economica americana ebbe notevole influenza anche in Italia: crollarono i prezzi agricoli e industriali, calò la produzione interna e aumentò la disoccupazione.


Fase imprenditoriale

Sin dal '29 aumentò l'interventismo statale per far fronte alla crisi, ma solo nel '33 si raggiunse l'acme di questo processo: una legge che impose l'autorizzazione del governo per ogni progetto di una nuova industria. Attraverso un ampio programma di opere pubbliche si cercò di assorbire la disoccupazione: strade, costruzioni edilizie e bonifiche delle paludi pontine. Attraverso l'IRI (Istituto per la Rifondazione Industriale) furono posti sotto il controllo dello Stato i più importanti istituti finanziari del Paese.


Fase autarchica

Dal 1934 venne proclamata l'autarchia (l'autosufficienza economica). L'Italia sarebbe dovuta essere indipendente dalle importazioni straniere. I risultati furono pessimi: il Paese mancava di un'industria forte, ma soprattutto, mancava di materie prime. Ciò che determinò una crescita delle industrie (in particolare dal '36 al '39) fu la produzione di guerra.


Come vediamo, non sono mancati i momenti di crisi economica; tuttavia, essendo assente l'opposizione politica e, soprattutto, grazie alla propaganda, gli Italiani si lasciarono guidare senza reali resistenze (com'è realistico credere, non mancava chi dissentiva dal fascismo, tuttavia si trattava di casi isolati ed ovviamente non supportati dalla stampa).

Importanti anche la politica imperialistica e le guerre coloniali intraprese dall'Italia e largamente pubblicizzate dal fascismo. L'Italia doveva seguire la sua "vocazione imperiale". L'occupazione di Adis Abeba suscitò un entusiasmo inaudito, segnando probabilmente il punto più alto di consenso al fascismo.

In questo quadro non mancò la violenza: la soppressione degli avversari politici e di tutte le culture opposte fu sistematica, soprattutto nella fase di affermazione del partito. Non bisogna tuttavia credere che il consenso si sia basato totalmente sulla violenza: come abbiamo avuto modo di capire, larga parte degli italiani "voleva" il fascismo (seppure questa volontà mancasse di libertà.).


2.3. Il cesarismo

«Nel sentire gli stati d'animo delle moltitudini, non ho mai, dico mai, fallito»

(Mussolini)

Così come Stato e partito erano un'unica realtà, tra fascismo e Mussolini non vi era alcuna differenza. Mussolini non era il rappresentante del fascismo; Mussolini era il fascismo. E i più vicini a lui sapevano bene che la loro possibilità di rimanere al governo era intrinsecamente legata alla reggenza di Mussolini: senza di lui non ci sarebbero stati neppure loro. Unendo questo elemento alla volontà popolare di siffatto ducismo, alcuni storici hanno definito il fascismo più un cesarismo che un totalitarismo. Per cesarismo si definisce il culto del capo assoluto e, citando le parole di Robert Michels nel 1915, «mentre il concetto di monarchia è incompatibile con il principio della democrazia, il cesarismo può ancora pretendere di ispirarvisi qualora esso si basi sulla volontà popolare». Da questo punto di vista il termine totalitarismo, inteso come una "dittatura totale", nella quale il popolo viene sottomesso totalmente, contro la sua volontà, è privo di senso se collegato al fascismo. Nel cesarismo il popolo vuole essere sottomesso dal dittatore (seppure con una volontà alienata), ed è disposto a perdere i suoi istituti rappresentativi, intermediari tra il governo e i sudditi. Già Proudhon si servì di questa parola per esprimere la sua paura nei confronti di questo tipo di rapporto tra il capo e il popolo. Cesare fu il primo romano ad essere deificato dal popolo stesso: potremmo azzardare un parallelo dicendo che Mussolini era la vera "divinità della religione fascista", o, moderando questa espressione forse troppo ardita, "un profeta venuto a portare il fascismo". Ben si inquadra dunque il cesarismo nel contesto di religione fascista, di cui già si è parlato.

Mussolini sapeva bene quanto il popolo lo amasse, tuttavia temeva che i suoi collaboratori potessero diventare potenziali rivali: era noto il suo piacere nel fomentare liti tra i suoi generali, onde evitare che essi, uniti, potessero diventare una forza indipendente capace di destituirlo. Non si fidava di nessuno e si teneva sempre informato attraverso delle spie personali sui movimenti di tutti i gruppi scettici o al fascismo o, più specificatamente, al ducismo.


3. Conclusioni

A conclusione di questa analisi del consenso emergono due aspetti secondo i quali l'uomo nella società fascista perde la sua essenza di persona: uno di carattere ontologico e l'altro di carattere sociologico.

La persona si perde dal punto di vista ontologico quando perde gli elementi essenziali del suo essere. Nel fascismo l'uomo perde la libertà, poiché nel suo consenso deponente gli viene tolta la possibilità di conoscere le alternative e di vedere con occhio critico la realtà (la propaganda come pura demagogia). E una persona senza libertà, come abbiamo già visto, non è più una persona.


La persona si perde dal punto di vista sociologico: nel fascismo si assiste ad una sorta di giustificazionismo hegeliano dello Stato ("lo Stato è sempre giusto") e al progressivo smarrimento del singolo rispetto al genere. Il "popolo" è più importante del "singolo"; il "singolo" deve essere disposto anche a morire per lo Stato. Significativa a questo riguardo la reintroduzione del saluto romano e la sostituzione del "lei" (ritenuto troppo femmineo) con il "voi" nelle forme di cortesia: espressione questa del «tentativo di abolire l'idea del cittadino e di fondere l'individuo con la massa» (Bianca Leopardi).



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