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Sviluppo e comportamenti sociali : la Dottrina Sociale della Chiesa




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Forse non tutto solo esternalità dello sviluppo


Dal precedente capitolo si possono prendere le mosse per cercare di motivare meglio, ora, la consapevolezza che lo sviluppo << non si esaurisce solo nella crescita dei beni e dei servizi che transitano per il mercato >>[136]. Comunque calcolato, si può sempre affermare che il tasso di crescita delle risorse totali di un paese non può essere assunto come unica misura del benessere sociale ; ciò in quanto lo sviluppo autentico, inteso proprio come maggior benessere, si realizza se ogni persona viene valorizzata attraverso una partecipazione responsabile alla vita economica e sociale, se vengono promosse la libertà, la creatività, l'autodeterminazione e l'iniziativa personale, se viene garantito il diritto al lavoro, se viene conservato l'ambiente naturale e così via.

Si prosegue ora a studiare lo sviluppo facendo attenzione che, come ci ricordano i vescovi italiani, << la visione dei fini, la sola che permette di orientare l'agire quotidiano, e la consapevolezza della ricchezza della persona umana, che non può essere impoverita e imprigionata dalle teorie riduzionistiche dell'agire economico - ispirate all'utilitarismo edonista e alla concezione soltanto materiale del benessere - , sono elementi indispensabili nell'analisi e nella valutazione dello sviluppo >>[138].

La tendenza a limitare l'analisi dei processi di sviluppo alle dimensioni meramente tecniche, senza indagare le prospettive umane, ostacola la comprensione della natura reale dell'andamento di tali processi. Tale riduzione rende inevitabilmente miopi e induce ad assai gravi errori che concorrono, assieme ad altri limiti, a non accorgersi che si pongono le premesse per la diffusione di situazioni di miseria e di indigenza o che, per lo meno, non apportano significative indicazioni per risolvere o limitare gli effetti negativi delle sofferenze esistenti.

Si può e si crede si debba parlare proprio di errori, perché le potenzialità della tecnologia moderna sono tali da rendere la povertà esistente nel mondo attuale, non più una questione di inadeguata capacità di controllo e utilizzo della natura, quanto piuttosto una questione di inefficienza organizzativa dell'attività di produzione e di non proporzionale distribuzione dei suoi frutti.

Tali fattori, più che mai dipendono dalla volontà dell'uomo, ancor più che dalla sua conoscenza.[139]

A tale riguardo il papa Giovanni Paolo II, nel suo intervento del 27 ottobre 1989 ai partecipanti alla Settimana di Studio sul tema "Scienza per lo sviluppo di una struttura di solidarietà" della Pontificia Accademia delle Scienze, ha evidenziato come : << Per tutta la sua lunga storia, il genere umano non ha mai conosciuto un'epoca di prosperità lontanamente paragonabile a quella che il mondo sta vivendo in questa seconda metà del ventesimo secolo. Eppure questa prosperità, ad un'analisi più accurata, si è dimostrata distorta e squilibrata >>. Di qui l'intervento della Chiesa, perché << lo sviluppo ha fatto sorgere problemi assai seri, che la Chiesa non può fare a meno di affrontare. Questi problemi non sono soltanto di ordine politico ed economico ; essi riguardano nello stesso tempo l'ordine morale. In effetti ciò che è in gioco è l'uomo stesso e il dovere principale della Chiesa è quello di far udire la sua voce ogniqualvolta si presenti un problema che riguardi l'uomo : nella sua dignità di persona umana ; nel suo diritto alla libera associazione per una crescita migliore e più umana ; nel suo diritto alla libertà >>.


Fondamenti e limiti della concezione attuale di sviluppo


E' forse anche grazie a questa consapevolezza, e all'attenzione suscitata dagli interventi di denuncia della Chiesa, che si è potuto assistere, in questi ultimi anni, ad una vera e propria inflazione di vertici internazionali, tutti collegati al "problema" dello sviluppo : "Ambiente e sviluppo" (1992 - Rio de Janeiro) ; "Popolazione e sviluppo" (1994 - Il Cairo) ; "Donna e sviluppo" ( 1995 - Pechino) ; e, in fine, "Sviluppo sociale" (1995 - Copenaghen). Questo interesse planetario verso lo viluppo e, dunque, verso l'economia, caratterizza ovviamente non solo i Paesi del Sud del mondo, ma anche l'Europa, sia quella a capitalismo avanzato dell'Ovest, sia quella in fase di transizione dell'Est, nonché le altre parti ricche del Nord del mondo.

Le analisi e le dichiarazioni di questi summit hanno messo in rilievo tre cose essenziali :

che lo sviluppo non riguarda solo l'economia, ma che l'economia deve delinearsi in funzione dello sviluppo ;

che la sfida dei nostri tempi consiste nella creazione di un modello di sviluppo incentrato sull'essere umano ;

che è necessario costruire una cultura di cooperazione e di partenariato.[140]

Queste cose si sapevano già, si potrebbe obiettare : si vuole ora prendere atto che esse sono state dette ufficialmente ; quello che però non è stato ancora detto è come tutto ciò vada realizzato.

Riflettendo sugli eventi storico - politici di questi ultimi decenni, per cogliere come in questi si inserisca il fattore economico e come quindi esso li influenzi, sembra di poter dire che l'economia, per prima, ha unificato il mondo, l'ha reso interdipendente, usando però forse troppo spesso forme coercitive, impositive, spingendo ad una vera e propria lotta per la sopravvivenza per mezzo della concorrenza sfrenata e persino del conflitto.

<< Il processo di globalizzazione dell'economia sta svolgendo una unificazione a livello mondiale con una rapidità senza precedenti ; e, tuttavia, i benefici di questo fenomeno sono ancora distribuiti fra pochi e non sono condivisi dalla stragrande maggioranza delle popolazioni che vivono nel nostro pianeta >> .

Anche se si parla molto di "mercati liberi", "solidarietà", "libera circolazione delle merci e delle tecnologie", "rispetto per l'ambiente", vedendo i comportamenti abituali si può pensare che si tratti di attenzioni che rivestono talvolta con altri nomi nient'altro che egoismi nazionali, espansione dei mercati di propri prodotti, indifferenza verso i meno dotati e i più poveri, fattori tutti, questi, difficilmente accettabili se resi coscienti.

<< In questa economia di libero mercato c'è qualcosa di insufficiente, di inefficace, di degradante,. >>[142].

Come scrivono ancora i Vescovi italiani, << il lungo processo storico di gestazione dell'economia di tipo capitalistico, con i suoi successi e le sue deviazioni, chiarisce come i meccanismi economici di mercato possano dispiegare la loro positiva influenza sul processo di sviluppo dei popoli solo se sono progettati, istituiti e protetti da una società civile ispirata democraticamente, che persegue il bene comune e lo sviluppo >> e, continuando mettono ancora bene in risalto il fatto che, al contrario di quanto spesso si pensi << I fini e i valori non sono immanenti al mercato in modo automatico : non c'è libertà solo perché c'è libero mercato, piuttosto il mercato è libero in quelle società dove si persegue e assicura la libertà>> (enfasi aggiunta).

La società civile, allora, deve saper dare al mercato il suo giusto valore tracciando i confini della sfera delle relazioni mercantili, in modo che non venga ostacolato il raggiungimento di quei fini degni di essere perseguiti.[144]

Si può concordare, così, anche col pensiero della sociologa Vera Araùjo ritenendo che il mercato abbia ormai assunto un ruolo e una consistenza che vanno molto al di là di ciò che deve essere e che è sempre stato nella cultura dei popoli : il luogo della compravendita dei prodotti, ma anche dell'incontro delle persone e dei popoli, uno spazio di relazioni umane.

Si potrebbe convenire sul fatto che, oramai, il mercato sia diventato qualcosa di pressoché automatico, quasi un potere autonomo, un'entità a sé stante, a cui talvolta, volendo eccedere, si sacrificano addirittura alcuni diritti che dovrebbero essere inviolabili. Si intende con ciò affermare che il mercato e le organizzazioni in generale, incluse quelle imprenditoriali appaiono senza eccessivo pudore come il luogo dell'egoismo e non proprio della morale. Esempi recenti, desumibili dalla comune esperienza inducono a ritenere che il principio regolatore delle organizzazioni sia la << legge della giungla >>. Sovente l'obiettivo principale degli attori economici sarebbe "partecipare alla battaglia portando a casa la propria parte di bottino" ; oppure "avvantaggiare comunque se stessi a spese degli altri" ; o infine, in mancanza di meglio "stare fermi al riparo in attesa di tempi migliori". Per fare solo alcuni esempi di tali situazioni - beninteso patologie organizzative - , spesso nelle organizzazioni si "scaricano" agli ultimi arrivati le pratiche più indisponenti, con la scusante che, come si dice in gergo "devono fare gavetta" oppure le promozioni sono guidate non tanto dal merito quanto piuttosto dalla convenienza, se non anche dall'utilità personale o extra - aziendale ;. o in fine, spesso le scelte strategiche e organizzative sono orientate ad avvantaggiare alcune componenti rispetto ad altre a svantaggiare gruppi avversi, o peggio ancora tutti tranne se stessi. Tali dinamiche sono proprie di tutti i tempi, di tutte le organizzazioni e di tutti i paesi ancorché, si ripete, si tratti di patologie.[145]


Plausibili linee per una nuova visione


Da questa presa di coscienza si prosegue suggerendo le modifiche e i cambiamenti che si ritengono più significativi, per poter dare una connotazione più umana e attribuire una valenza etica all'idea di sviluppo, beninteso, ove questo sia possibile.

Come si è avuto modo di precisare in precedenza, nell'intento di proporre un modello di << sviluppo etico >>, si fa riferimento agli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa poiché, come risulterà chiaro e si cercherà di evidenziare poco più avanti, tale insegnamento è in favore dell'uomo, indipendentemente dalla confessione religiosa.

La dottrina sociale della Chiesa propone una serie di principi etici che devono essere applicati all'economia, in primo luogo dai cattolici, affinché il loro impegno sociale e politico acquisti un senso ben preciso.

Principio fondamentale della dottrina sociale cristiana contemporanea è la dignità eminente della persona umana . Tale dignità si fonda sull'essere dell'uomo creato a immagine e somiglianza di Dio, chiamato a partecipare alla stessa vita divina e a rispondere liberamente a questa vocazione ; è connaturato quindi il diritto - dovere di svilupparsi come persona umana, in tutti gli aspetti della sua vita individuale e sociale. Il vero sviluppo, pertanto non si colloca solamente sul piano materiale e quantitativo, ma dev'essere integrale, deve riguardare tutto l'uomo e tutti gli uomini.[146]

Come scrive ancora la sociologa brasiliana Araúio, gli economisti oramai sono consapevoli che non si può procedere indefinitamente col modello di sviluppo consueto basato esclusivamente sulla crescita materiale e quantitativa, poiché un siffatto cammino non è percorribile da parte di tutti a causa degli elevati sprechi di risorse ed energie.[147] Questa è forse una spiegazione anche ai sempre più ingenti flussi di migrazione clandestina dai paesi poveri verso quelli più ricchi. Con ciò non si vuole

certo apparire pessimisti o disfattisti, perché nell'affermare queste cose c'è profondo ottimismo e una grande fiducia nella capacità dell'essere umano di "costruire la storia" ; solo la condizione per poter fare questo al meglio, sta innanzitutto, nel rendersi conto delle inefficenze e degli errori passati.

Un aiuto in questo senso sembra lo si possa trovare proprio nell'Enciclica Sollicitudo rei socialis di Giovanni Paolo II (30 dicembre 1987), ricchissima di spunti e di richiami alla Populorum progressio di Paolo VI, della quale celebra il ventennio (1967 - 1987), e ad altri documenti della dottrina sociale della Chiesa, integrando così la trattazione dell'argomento principale, ossia l'allargamento del concetto di sviluppo dei popoli su dimensioni sempre più marcatamente mondiali, per rapporto all'intuizione e all'impostazione del problema dovuta a Paolo VI.


Spunti dalle Encicliche Populorum progressio e Sollicitudo rei socialis


Quando Papa Paolo VI, nel 1967, emanò l'enciclica Populorum progressio nell'opinione pubblica, come nel sentimento comune dei principali paesi del mondo progredito, vi era una sorta di << passione per lo sviluppo >>. Mentre stavano dissolvendosi le grandi ideologie del liberalismo e del collettivismo, se ne formavano altre di mediocri, che ripetevano gli stessi errori delle antiche, soprattutto per la mancanza di controllo critico e d'equilibrio nelle posizioni assunte, esasperando così autentici valori e nobili impegni che in quella ideologizzazione finivano con l'essere vanificati.

La carenza principale che si poteva scoprire nella impostazione teoretica e nella programmazione politica dello sviluppo era la quasi esclusività degli interessi economico - sociali ai quali si mirava, senza tener presente - o non valutando sufficientemente - la necessità di provvedere all'integralità dello sviluppo, - << di tutto l'uomo e di tutti gli uomini >>, come scriveva Paolo VI, - secondo le esigenze della stessa natura dell'uomo.[148]

Si correva il rischio di non contribuire affatto a una promozione reale degli individui e dei popoli al cui sviluppo si intendeva lavorare, peggio, di concorrere al decadimento dei valori culturali e spirituali e diffondere la condizione di unidimensionalità denunciata da alcuni sociologi come la
"piaga che infetta l'uomo della società del benessere" e dello sviluppo. Paolo VI aveva tentato di dare una nozione più completa dello sviluppo, presentandolo come << il passaggio da condizioni meno umane a condizioni più umane >>[149], a condizioni nelle quali << l'essere >>, primeggi << sull'avere >>, a una società e a un ordinamento dell'economia che portino a una reale elevazione del livello culturale e spirituale della persona umana.

Il documento di Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis (30 dicembre 1987), fa notare come il non aver tenuto conto per tempo di tali indicazioni, sia all'origine della crisi depressiva nella quale si trovano i popoli, delusi dai modelli di sviluppo che non sono serviti a risolvere i loro problemi, e della tentazione ora del fatalismo, ora delle spinte sociologiche e psicologiche di una aggressività collettiva, che facilmente si scatena in forme di violenza.

Il Papa puntualmente, richiama l'attenzione sul fatto che le condizioni di alcuni paesi in via di sviluppo << si sono notevolmente aggravate >> a motivo di << una concezione troppo limitata, ossia prevalentemente economica dello sviluppo >>, e non esita ad asserire che i paesi industrializzati sono responsabili di questo fatto, poiché, << non sempre, almeno non nella debita misura, hanno sentito il dovere di portare aiuto >> ai paesi più svantaggiati. Infatti mentre una molti uomini mancano ancora del necessario, gran parte delle risorse in paesi ricchi vengono impiegate in settori che poco o nulla hanno da offrire al miglioramento globale della vita sul pianeta, e tendono piuttosto a produrre i mezzi per la sua distruzione aumentando sovente le diseguaglianze.

Passiamo però ora, ad analizzare più profondamente il documento di Giovanni Paolo II, che si inserisce bene nel quadro della situazione socio - economica venutasi a creare nel ventennio dopo l'emanazione della
Populorum progressio, riprendendo l'idea di sviluppo per denunciare che se è entrato in crisi, o è addirittura fallito, quel progetto che negli anni '60 aveva suscitato tanto entusiasmo, ciò è dovuto in gran parte alla dimensione troppo limitata attribuita allo sviluppo, considerato senza la dovuta attenzione nei suoi fattori culturali e spirituali, che ne sono i motivi e i componenti essenziali, come evidenziato da Paolo VI.

Lo sviluppo non è un processo rettilineo, quasi automatico e di per sé illimitato, come se, a certe condizioni, il genere umano debba camminare spedito verso una specie di imperfezione indefinita, o ancora, << la storia non è semplicemente un progresso necessario verso il meglio, bensì un evento di libertà, ed anzi un combattimento fra libertà >>[151]. Ad un ingenuo ottimismo meccanicistico, vissuto negli anni '60 è più recentemente subentrata una fondata inquietudine per il destino dell'umanità.

Effettivamente oggi meglio si comprende che la pura accumulazione di beni e di servizi, anche a favore della maggioranza, non basta a realizzare la felicità umana, né di conseguenza la disponibilità di molteplici benefici reali comporta la liberazione da ogni forma di schiavitù ; anzi, proprio l'esperienza di questi ultimi anni dimostra che se tutta la massa delle risorse e delle potenzialità, messe a disposizione dell'uomo, non è retta da un intendimento morale e da un orientamento verso il vero bene del genere umano, essa si ritorce facilmente contro di lui opprimendolo.

E' sconcertante constatare, infatti, come, accanto alle estreme povertà in cui si trovano alcuni paesi sottosviluppati ci sia altrove una sorta di supersviluppo, altrettanto inammissibile, perché, come il primo contrario al bene e alla felicità autentica. Col termine supersviluppo, infatti, si vuole indicare l'eccessiva disponibilità di ogni tipo di beni materiali in favore di alcune fasce di popolazione, che talvolta rende gli uomini inavvertitamente schiavi del << possesso >>[152] e del godimento immediato, senza altro soddisfazione se non la continua ricerca di esperienze e beni nuovi in sostituzione delle cose, che già si posseggono e che non sono neancora del tutto inutili con altre ancora più perfette.

E' la cosiddetta civiltà dei << consumi >>, o consumismo, che comporta tanti scarti ; un oggetto posseduto, è presto superato da un altro più innovativo, ed è quindi messo da parte, senza tener conto del suo possibile valore residuale per sé o in favore di un altri più poveri. Ne risulta una forma di materialismo crasso, e al tempo stesso una radicale insoddisfazione perché si comprende che quanto più si possiede tanto più si desidera, mentre le aspirazioni più profonde restano insoddisfatte e forse anche soffocate.


Lo sviluppo "dall'avere, all'essere"


Già Paolo VI segnalò la differenza, oggi così frequentemente accentuata, tra << l'avere >> e << l'essere >> ; << Avere di più, per i popoli come per le persone, non è dunque lo scopo ultimo. Ogni crescita è ambivalente La ricerca esclusiva dell'avere diventa così un ostacolo alla crescita dell'essere e si oppone alla sua vera grandezza : per le Nazioni come per le persone, l'avarizia è la forma più evidente del sottosviluppo morale >> , differenza questa, in precedenza espressa con parole precise anche dal Concilio Vaticano II . L'avere oggetti e beni non perfeziona di per se il soggetto umano, se non contribuisce alla maturazione e
all'arricchimento del suo << essere >>
, cioè alla realizzazione della vocazione umana in quanto tale. La differenza fra << avere >> ed << essere >> non deve trasformarsi necessariamente in una antinomia : una fra le ingiustizie più grandi del tempo contemporaneo consiste proprio nel fatto che sono relativamente pochi coloro che possiedono molto, in relazione alle molte persone che ancora non possiedono l'indispensabile per condurre una vita dignitosa. E' un'ingiustizia che si crede derivi da una egoistica distribuzione dei beni e dei servizi destinabili altrimenti a tutti.

Il quadro allora è il seguente : ci sono pochi che possiedono molto, talvolta anche il superfluo - i quali non riescono veramente ad << essere >>, poiché, per un capovolgimento della gerarchia dei valori, ne sono impediti dal mito << dell'avere >> ; ci sono poi molti che possiedono poco o nulla - , che sovente non riescono a realizzare la loro vocazione umana fondamentale alla vita, in quanto privi di beni indispensabili. Il male, si badi bene, non pare assolutamente consista << nell'avere >> in quanto tale, ma piuttosto nel possedere in modo egoistico e senza rispetto di una qualche forma di perequazione dei beni. Con questo resta per ora dimostrato che se lo sviluppo ha una necessaria dimensione economica, poiché deve promuovere a favore del maggior numero di uomini la disponibilità dei beni indispensabili per << essere >>, tuttavia non si deve esaurire in tale dimensione, altrimenti si ritorce proprio contro coloro che esso dovrebbe invece favorire.

Giovanni Paolo II a questo riguardo insiste nell'ammonire che << lo sviluppo ridotto a problema tecnico, sarebbe svuotato del suo vero contenuto >>, sicché, se si continuasse a perseguirlo in una forma così unilaterale e dunque parziale, << si compirebbe un atto di tradimento verso l'uomo e i popoli, al cui servizio esso deve essere messo >>[155]. E' allora ben comprensibile come, pur riconoscendo e descrivendo le componenti
razionali e scientifiche di ogni politica dello sviluppo, il Pontefice additi principalmente l'orizzonte cristiano sul quale vanno collocate anche le questioni riguardanti lo sviluppo, poiché << la nozione di sviluppo non è soltanto "laica" o "profana", ma appare anche come l'espressione moderna di un'essenziale dimensione della vocazione dell'uomo >>
, e quindi trova la sua illuminazione decisiva nel Vangelo.

Alla radice di quella vera solidarietà - tra individui categorie e gruppi sociali - che è la condizione indispensabile dello sviluppo, c'è soprattutto il messaggio di Carità. Questa è l'espressione sintetica che in modo originale presenta il cardine della visione cristiana dello sviluppo ed enuncia la legge fondamentale da seguire per la sua realizzazione storica appunto la Carità.


§ 6 Alcuni risultati positivi recenti


Lo stesso Pontefice Giovanni Paolo II, nel prosieguo della sua lettera -enciclica, non trascura di evidenziare alcuni fatti positivi di grande importanza avvenuti nel ventennio trascorso a partire dall'enciclica del suo venerabile predecessore.

Il primo elemento positivo è che si è prestata sempre maggiore coscienza alla interdipendenza fra tutti i popoli, nessuno escluso, e così la conseguente nuova solidarietà suscitata da tale interiorizzazione può portare a tutti, anche coloro che hanno economie floride, importanti vantaggi.

Altro punto importante, acquisito dalla coscienza universale, è la comune necessità di superare i blocchi contrapposti e di coordinare gli sforzi di tutti i popoli, nella collaborazione per lo sviluppo :[158]

<< La collaborazione allo sviluppo è un dovere di tutti verso tutti e
deve, al tempo stesso, essere comune alle quattro parti del mondo : Est e Ovest, Nord e Sud >>[159]. Solo in questo modo si potrà evitare che lo sviluppo, da una parte, continui a << ipertrofizzarsi >> e, dall'altra, a essere troppo in ritardo per rapporto alle nuove esigenze e alla nuova coscienza dei popoli, con la conseguenza di un'aggravarsi della frantumazione del mondo.

Fra le strutture istituzionali il Papa è poi felice di constatare che la presenza e l'azione delle organizzazioni internazionali ha un peso crescente in ordine all'avvicinamento e alla collaborazione fra i popoli e che, pur tra le gravi difficoltà che creano intralci, determinano ritardi, provocano divari, esse tuttavia contribuiscono in modo decisivo allo sviluppo.

A tale riguardo, è opportuno far brevemente menzione della "Dichiarazione sul Diritto allo Sviluppo" approvata dall'assemblea Generale delle Nazioni Unite il 4 dicembre 1986, la quale è senza dubbio un testo importante dal punto di vista etico - politico.

In essa, infatti, si trovano felici coincidenze con ciò che la Chiesa sostiene e auspica da sempre e che si è cercato, e si cercherà ancora, brevemente di riassumere.

La Dichiarazione ONU all'art.1 afferma :

il << diritto inalienabile di ogni persona umana e di tutti i popoli a partecipare e contribuire a uno sviluppo economico, sociale, culturale e politico, in cui tutti i diritti dell'uomo e tutte le libertà fondamentali possano venire pienamente realizzati, e beneficiare di tale sviluppo >> ;

base presupposta è la piena realizzazione del diritto dei popoli all'autodeterminazione.

All'art.2 :

<< l'essere umano è il soggetto centrale dello sviluppo e deve essere pertanto il protagonista attivo e il beneficiario del diritto allo sviluppo.

Tutti gli esseri umani hanno la responsabilità dello sviluppo sul piano individuale e collettivo

Gli Stati hanno il diritto e il dovere di formulare politiche adeguate di sviluppo nazionale

All'art.3 :

Vi è una responsabilità e un dovere degli Stati a collaborare gli uni con gli altri per lo sviluppo >> [160].

A ben osservare, si nota che, pur muovendosi su una linea di pensiero e di etica non riferita a particolari contesti religiosi e confessionali, la Dichiarazione fa le stesse affermazioni e formula gli stessi voti espressi dalla Chiesa Cattolica in una lunga serie di interventi - da Benedetto XV a Giovanni Paolo II - che qui si sono riportati solo attraverso i documenti temporalmente più vicini e quindi di più facile comprensione. Ciò sta a significare la valenza, se non si vuole "universale", certamente molto diffusa delle indicazioni che non sono indubbiamente dettate da interessi di parte, - quali per citarne uno spesso troppo frettolosamente denunciato, quello di aumentare il numero di fedeli -, ma piuttosto, da una serena e attenta analisi vocata alla salvaguardia dell'uomo nella sua interezza, includendone quindi anche la sfera spirituale.


§ 7 Lo sviluppo secondo una visione teologica


Ecco allora che lo sviluppo non meramente economico si orienta secondo questa realtà e vocazione dell'uomo visto nella sua globalità, ossia secondo un suo parametro interiore. L'uomo ha indubbiamente bisogno dei beni creati e prodotti dall'industria, e la disponibilità sempre nuova di beni materiali, mentre soddisfa le necessità, apre nuovi orizzonti. Il pericolo dell'abuso consumistico e l'apparizione di necessità artificiali ideate sempre più dalla pubblicità, non debbono affatto impedire la stima e l'uso di nuovi beni e delle risorse poste a nostra disposizione ; in ciò si deve, anzi, vedere un dono di Dio e una riposta alla vocazione dell'uomo, che si realizza pienamente in Cristo.[161]

Per conseguire il vero sviluppo è tuttavia indispensabile non perdere mai di vista detto parametro, che è nella natura specifica dell'uomo, creato da Dio a sua immagine e somiglianza (Cfr. Gen. 1, 26) come già ricordato. Natura corporale e spirituale, simboleggiata nel secondo racconto della creazione dai due elementi : la terra, con cui Dio plasma il fisico dell'uomo, e l'alito di vita, soffiato nelle narici (Cfr. Gen. 2, 7). L'uomo è chiamato a dominare sulle altre creature, a occuparsi di esse, e sempre secondo la narrazione della Genesi (2, 15) è posto nel giardino con il compito di coltivarlo e custodirlo, al di sopra di tutti gli altri esseri collocati da Dio sotto il suo dominio (Gen. 1. 25 ss.). Nello stesso tempo l'uomo, però, deve rimanere sottomesso alla volontà di Dio, che gli prescrive limiti nell'uso e nel dominio delle cose ( ibidem 2, 16), così come gli promette l'immortalità (ibidem 2, 9 ; Sap. 2, 23).

Sulla base di questo insegnamento, lo sviluppo non può consistere soltanto nell'uso e nel dominio indiscriminato delle cose create e dei prodotti dell'ingegno umano, ma piuttosto nel subordinare il possesso, e l'uso alla vocazione dell'uomo all'immortalità. Ecco la realtà trascendente dell'essere umano, la quale appare partecipata fin dal principio ad una coppia di uomo e donna e quindi è essenzialmente sociale. In quanto sociale, questa vocazione non dovrebbe certo essere considerata con troppa facilità avulsa pure dalla stessa realtà aziendale che, come si è cercato di proporre in precedenza è pervasa inevitabilmente da aspetti di socialità.

Si comprende come tutto ciò immetta nell'essere umano il germe, l'anelito e l'esigenza di un compito originario da svolgere, sia individualmente che socialmente. Il compito è di << dominare >> sulle altre creature, << coltivare il giardino >>, ed è da assolvere nel quadro dell'obbedienza alla legge divina e, quindi, nel rispetto dell'immagine ricevuta, fondamento chiaro del potere di dominio, riconosciuto in ordine al suo perfezionamento ( cfr. Gen. 1, 26 - 30 ; 2, 15 ss. ; Sap 9, 2 - 3). In questo modo riesce a spiegare anche il già citato << anelito all'Essere, e il profondo afflato filantropico >>.

Quando l'uomo, poi, disobbedisce a Dio e rifiuta di sottomettersi alla sua potestà, allora la natura gli si ribella contro e non lo riconosce più come << signore >>, perché egli ha appannato in se l'immagine divina. L'appello al possesso e all'uso dei mezzi creati rimane sempre valido, ma dopo il peccato l'esercizio è estremamente arduo e carico di sofferenze (Gen. 3, 17 - 19) ; infatti il successivo capitolo della Genesi ci mostra la discendenza di Caino, la quale costruisce << una città >>, si dedica alla pastorizia, si da alle arti e alla tecnica (la musica e la metallurgia), mentre al tempo steso si comincia << ad invocare il nome del Signore >> (ibidem 4, 17 - 26).

La storia del genere umano delineata dalla Sacra Scrittura, anche dopo il peccato, è caratterizzata da realizzazioni continue che, sempre rimesse in questione e in pericolo dal peccato, si ripetono, si arricchiscono e si diffondono come risposta alla vocazione divina, assegnata sin da principio all'uomo e alla donna.[162]

Cercando ora di cogliere il senso di questa spiegazione in termini più teologici che economici dell'idea di sviluppo si potrebbe concludere, almeno da parte di quanti credono nella Parola di Dio, che lo sviluppo di oggi debba essere visto come un momento della storia iniziata con la creazione e reso arduo dalla continua tentazione dell'idolatria e dell'infedeltà alla volontà del Creatore. Chi volesse rinunciare al compito, difficile ma esaltante, di elevare la sorte di tutto l'uomo e di tutti gli uomini, sotto il pretesto del peso della lotta e dello sforzo incessante di superamento, o addirittura per l'esperienza della sconfitta e del ritorno al punto di partenza, verrebbe meno, si crede, alla volontà di Dio creatore. Sotto questo aspetto anche nell'enciclica Laborem Exercens c'è un esplicito riferimento alla vocazione dell'uomo al lavoro, per sottolineare il concetto che è sempre l'uomo il protagonista dello sviluppo.[163]

Si può ricordare ancora, come lo stesso Signore Gesù, nella parabola dei talenti, metta in rilievo il severo trattamento riservato a chi osò nascondere il dono ricevuto : << Servo malvagio e infingardo, sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso Toglietegli, dunque, il talento e datelo a chi ha dieci talenti >> (Mt. 25, 26 - 28). A noi, che riceviamo i doni di Dio per farli fruttificare, tocca << seminare >> e raccogliere, altrimenti ci sarà tolto anche quello che abbiamo.

L'approfondimento di queste severe parole potrà spingerci a impegnarci con più decisione nel dovere, oggi per tutti urgente, di collaborare allo sviluppo pieno degli altri : << sviluppo di tutto l'uomo e di tutti gli uomini >> [164].

L'obbligo di impegnarsi per lo sviluppo dei popoli non è, si crede, un dovere soltanto individuale, ne tanto meno individualistico, come se fosse possibile conseguirlo con singoli sforzi, si tratta invece di un imperativo per ciascuno, uomini e donne ; per le società e le Nazioni, in particolare per la Chiesa cattolica e le altre Comunità Ecclesiali ; è un dovere di tutti verso tutti. I popoli e le Nazioni hanno diritto al proprio pieno sviluppo, che deve comprendere pure la rispettiva identità culturale e l'apertura verso il trascendente Non sarebbe veramente degno dell'uomo nemmeno uno sviluppo irrispettoso o peggio ostile alla promozione dei diritti umani, personali e sociali, economici e politici, inclusi i diritti delle nazioni e dei popoli. Oggi più che mai si può vedere come uno sviluppo limitato soltanto al lato economico possa subordinare facilmente la persona umana e le sue necessità più profonde alle esigenze della pianificazione economica e del profitto esclusivo. L'intrinseca connessione tra sviluppo autentico e rispetto dei diritti dell'uomo ne rivela ancora una volta il carattere morale : la vera elevazione dell'uomo, la realizzazione piena, non si raggiunge sfruttando solamente l'abbondanza dei beni e dei servizi, o disponendo di perfette infrastrutture. Quando gli individui e le comunità non vedono rispettate rigorosamente le esigenze morali, culturali e spirituali, fondate sulla dignità della persona e sull'identità propria di ciascuna comunità, sia essa una famiglia, un'azienda o altro, tutto il resto - disponibilità di beni, benessere materiale e quant'altro - risulterà insoddisfacente e, a lungo andare effimero.

Questo si può evincere chiaramente anche dal Vangelo, dove il Signore, richiamando l'attenzione di tutti sulla vera gerarchia dei valori afferma : << Qual vantaggio avrà l'uomo, se guadagnerà il mondo intero e poi perderà la propria anima ? >> (Mt. 16, 26). Un vero sviluppo, secondo le esigenze proprie dell'essere umano, implica soprattutto da parte di quanti intervengono attivamente in questo cammino e ne sono responsabili una viva coscienza del valore dei diritti di tutti e di ciascuno, nonché della necessità di rispettare il diritto di ognuno all'utilizzazione piena dei benefici offerti dalla scienza e dalla tecnica. Sul piano interno di ogni nazione, assume grande importanza il rispetto di tutti i diritti come quello alla vita, della famiglia in quanto comunità sociale di base, o << cellula della società >>, i diritti inerenti alla vita della comunità, quindi anche dell'azienda, la giustizia nei rapporti di lavoro e anche i diritti basati sulla vocazione trascendente appena menzionata dell'essere umano. L'enciclica prosegue poi enunciando i doveri sul piano internazionale, ossia dei rapporti tra gli Stati, fra i quali spicca il necessario pieno rispetto dell'identità di ciascun popolo con le sue caratteristiche storiche e culturali. << Si tratta di costruire un mondo in cui ogni uomo, senza esclusioni di razza, di religione, di nazionalità, possa vivere una vita pienamente umana, affrancata dalle servitù che gli vengono dagli uomini >>[165]. Sia i popoli che le persone debbono godere dell'uguaglianza fondamentale, su cui si basa, per esempio, come già illustrato prima, anche la Carta dell'Organizzazione delle Nazioni Unite : eguaglianza che è il fondamento del diritto di tutti alla partecipazione al processo di pieno sviluppo. Per essere tale, oramai sarà chiaro, lo sviluppo deve realizzarsi nel quadro della solidarietà e della libertà, senza sacrificare mai l'una e l'altra per nessun pretesto ; il carattere morale di tale processo e la sua necessaria promozione sono esaltati quando c'è il più rigoroso rispetto di tutte le esigenze derivanti dall'ordine della verità e del bene, propri della natura umana. Il cristiano, in particolare, educato a vedere nell'uomo l'immagine di Dio, chiamato alla partecipazione della verità e del bene, non comprende l'impegno per lo sviluppo e la sua attuazione, fuori del rispetto e dell'osservanza della dignità unica di questa << immagine >>. In altre parole, il vero sviluppo per un cristiano, ma si direbbe non solo per questi, deve fondarsi sull'amore (di Dio e) del prossimo, e contribuire a favorire i rapporti tra individui e società.


§ 8 Alcune precisazioni conclusive


Avviandoci ora alla conclusione del capitolo si ritiene di dover precisare ancora che, il carattere morale dello sviluppo non può prescindere neppure dal rispetto per gli esseri che formano la natura visibile e che i Greci, alludendo appunto all'ordine che la contraddistingue, chiamavano il << cosmo >>. Anche tali realtà esigono rispetto, come detto prima ma pure in virtù di una triplice considerazione, su cui giova attentamente riflettere.

La prima consiste nella convenienza di prendere crescente consapevolezza che non si può fare impunemente uso dei diversi esseri, viventi o inanimati - animali, piante, oggetti - come si vuole, a seconda delle proprie esigenze economiche, ma occorre invece tener conto della natura di ciascun essere e della sua mutua connessione dentro un sistema ordinato, che è appunto il cosmo.

La seconda considerazione, invece, si fonda sulla constatazione, si direbbe inequivocabile, della limitazione delle risorse naturali, alcune delle quali non sono rinnovabili. Ebbene, un loro utilizzo indiscriminato, con assoluto dominio come fossero inesauribili, mette in serio pericolo la loro disponibilità non solo e non tanto forse per la generazione presente, quanto piuttosto per quelle future.

La terza considerazione si riferisce direttamente alle conseguenze che un certo tipo di sviluppo ha sulla qualità della vita nelle zone industrializzate ; il risultato dell'industrializzazione è anche, sempre più di frequente, la contaminazione dell'ambiente, talvolta con gravi conseguenze per la salute di molte persone.

Ancora di più risulta ora evidente che lo sviluppo e l'uso delle risorse non possono essere distaccati dal rispetto delle esigenze morali ; il dominio dell'uomo non può trasformarsi in un potere assoluto, ne tanto meno si può parlare di libertà di << usare e abusare >>, o di disporre delle cose come meglio aggrada. La limitazione imposta dallo stesso Creatore fin dal principio, ed espressa simbolicamente con la proibizione di << mangiare il frutto dell'albero >> (Cfr. Gen. 2, 16 ss.), mostra con chiarezza che, nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire, e di questo si potrebbero portare alcuni comuni esempi come, per citarne solo uno gli sconvolgimenti atmosferici e climatici - tifoni, alluvioni, inondazioni e siccità - che stanno martoriando svariati paesi a causa, anche degli effetti dell'inquinamento atmosferico.

Una più attenta concezione dello sviluppo non può prescindere da queste considerazioni - relative all'uso degli elementi della natura, alla rinnovabilità delle risorse e agli effetti di una industrializzazione indiscriminata -, le quali ripropongono alla coscienza generale la dimensione morale, che deve contraddistinguere lo sviluppo.[167]

La descrizione della situazione economica del mondo e della sua evoluzione verso nuove condizioni di vita, proposta in questo capitolo, e si potrebbe dire in tutta la sezione, con particolare riferimento alle encicliche papali, presenta molti aspetti negativi - anche se si è cercato di ricordare alcuni elementi positivi presenti - , sicché si potrebbe ritenere tale visione pessimistica.

Ma la lettura delle encicliche dovrebbe far cogliere piuttosto il realismo con cui la Chiesa guarda alle vicende quotidiane, libera dalle illusioni pseudo - messianiche, che generalmente sono proprie delle ideologie, più disparate.

Il messaggio che si spera si possa cogliere non è certo quello tipicamente passivo o fatalista, è anzi un monito a non farsi avvinghiare in questo stato di patologia psicologica e sociale.

Il Pontefice stesso afferma che : << la Chiesa ha fiducia nell'uomo >>, per la sua bontà di fondo, ma soprattutto , perché in lui, nel suo cuore, come è innato l'anelito all'Essere, la spinta alla crescita, allo stesso modo vi è pure la presenza e l'azione dell'Essere, - il Pontefice dice di Dio - che lo spinge alla conversione, e quindi a una condotta guidata dai principi e dalle norme etiche anche nella vita sociale, anche nei rapporti tra i popoli e nell'organizzazione della comunità mondiale, ma quindi, in definitiva, anche delle comunità aziendali.



Cfr. Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica. Sollicitudo rei socialis, n. 10.

Cfr. ivi, nn. 33 e 34.

Democrazia economica sviluppo e bene comune, Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro CEI, 1994, p. 22.

Ibidem Un esempio a riguardo è individuabile nelle surrettizie politiche agricole che all'interno della stessa CEE rendevano conveniente per gli agricoltori distruggere arance o altra frutta per poter mantenere i prezzi a livelli per loro accettabili, grazie anche a dazi o contingentamenti quantitativi alle importazioni, che tendevano ad escludere la concorrenza dei paesi esteri capaci di produrre a prezzi inferiori. Con ciò, oltre ad "impedire" alle nazioni extra - europee di sfruttare i loro vantaggi competitivi di prezzo, si distruggono pure prodotti alimentari che potrebbero essere utili se commercializzati in paesi poveri. Si propone allora di riflettere sulla legittimità di alcune facili ed economicamente ineccepibili scelte che aiutano ad aumentare i guadagni riducendo le quantità delle vendite, in relazione alle scelte possibili. Si confronti a questo riguardo P. Krugman e M. Obsfeld, Economia Internazionale ; Höpli, seconda edizione.

Vera Araùjo Economia di Comunione e comportamenti sociali, in "Umanità Nuova XIX" ;    pp. 301, 302 ;

G. Bonalumi, Il nuovo disordine internazionale,  in "Politica internazionale" 4 (1994), p. 11.

Vara Araùjo cfr. nota 140

Vedasi nota 138.

Cfr. Giovanni Paolo II, Encicl. Centesimus annus, n.34.

Cfr. Canziani, Etica dei dirigenti e degli imprenditori :quando cominciano i doveri.

Cfr. nota 138.

<< Se si procede per questa strada, si va verso il disastro totale ; non è pensabile, infatti, che i popoli sopportino ancora a lungo l'impossibilità di accedere al banchetto della vita >>; cfr. nota 140.

Josè Saraiva Martins (Segretario della Congregazione per l'Educazione Cattolica), Lo sviluppo.



Paolo VI, Encicl. Populorum progressio.

Josè Saraiva Martins.

Cfr. Esortazione Apostolica Familiaris consortio (22 novembre 1981), 6 : AAS 74 (1982), p. 88.

Scriveva un illustre classico del denaro : il denaro non rende mai felici ; quando non se ne possiede si brama il suo possesso, quando se ne possiede si desidera accrescerne la quantità per poi temere di venirne derubati; si veda anche Tibullo.

Paolo VI, Encicl. Populorum progressio, 19, pp. 266 s. ; cfr. anche dello stesso pontefice, Epist. Apost. Octogesima Adveniens (14 maggio 1971), 9 : AAS 63 (1971), pp. 407 s.

Cfr. Cost. past. Su Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes. 35 ; Paolo VI, allocuzione al Corpo Diplomatico (7 gennaio 1965) : AAS 57 (1965), p. 232.

Sollicitudo rei socialis, n. 41.

Ibidem n. 30.

Cfr. nota 140.

Sollicitudo rei socialis, nn. 20 - 21.

Ibidem, n. 32.

Articoli ripresi da : Lo sviluppo, di Josè Saraiva Martins, pp.833.

Paolo Magagnotti, Il principio di sussidiarietà nella dottrina sociale della chiesa, edizioni studio domenicano.

Ibidem.

Cfr. Lett. Encicl. Laborem Exercens (14 settembre 1981), 4 :AAS 73 (1981), pp. 584 s. : Paolo VI, lett. Encicl. Populorum Progressio, 15 : l.c., p. 265.

Lett. Encicl. Populorum progressio.

Cfr. Lett. Encicl. Populorum progressio, 47 : l. c., p. 280 e anche Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et Spes, 29.

Paolo Magagnotti Il principio di sussidiarietà nella dottrina sociale della chiesa, Ed. Studio Domenicano pag.397.

Cfr. Omelia a val Visdene (12 luglio 1987), 5 : L'osservatore Romano, 13 - 14 luglio 1987 ; Paolo VI, epist. Apost. Octogesima Adveniens (14 maggio 1971), 12 : AAS 63 (1971), pp. 416 ss.

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