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Vita da Dandy - La vita del Dandy di fine Ottocento tra musica, arte e letteratura




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Vita da Dandy

La vita del Dandy di fine Ottocento

tra musica, arte e letteratura

Prefazione


L'artista è il creatore di cose belle.


Rivelare l'arte e celare l'artista: questo è lo scopo dell'arte.


Il critico è colui che traduce in una nuova forma o in una diversa materia la percezione delle cose belle.


La critica, elevata o infima che sia, è una sorta di autobiografia.


Coloro che trovano significati brutti nelle cose belle sono corrotti, e peraltro privi di fascino. Questa è una colpa.


Coloro che trovano significati belli nelle cose belle sono colti.

Per essi c'è speranza.


Sono questi gli eletti, per i quali le cose belle significano soltanto Bellezza.


Non esistono libri morali o immorali.

I libri sono scritti bene o male. Nient'altro.


L'avversione del diciannovesimo secolo per il Realismo è la rabbia di

Calibano che vede il proprio volto allo specchio.


L'avversione del diciannovesimo secolo per il Romanticismo è la rabbia di Calibano che non vede il proprio volto allo specchio.


La moralità dell'uomo fa parte dei temi dell'arte,

ma la moralità dell'arte consiste nell'uso perfetto di un mezzo imperfetto.


Un artista non ha bisogno di dimostrare nulla.

Tutte le verità possono essere dimostrate.


L'artista non ha convinzioni etiche.

Una convinzione etica in un artista è un imperdonabile manierismo dello stile.


L'artista non è mai morboso. L'artista può esprimere tutto.

Pensiero e linguaggio sono per l'artista gli strumenti dell'arte.


Vizio e virtù sono per l'artista i materiali dell'arte.


Dal punto di vista formale, la musica è il modello di tutte le arti.

Dal punto di vista del sentimento, il modello è l'arte dell'attore.


L'Arte è, insieme, superficie e simbolo.

Coloro che si avventurano al di sotto della superficie lo fanno a loro rischio.

Coloro che interpretano i simboli lo fanno a loro rischio.


L'arte rispecchia lo spettatore, non la vita.


La diversità delle opinioni su un'opera d'arte dimostra che

l'opera è nuova, complessa e vitale.


Quando i critici sono in disaccordo, l'artista è in accordo con se stesso.


Possiamo perdonare a qualcuno di aver fatto qualcosa di utile,

purché non se ne compiaccia.

L'unica giustificazione per fare una cosa inutile è ammirarla intensamente.


L'Arte, tutta, è perfettamente inutile.

Introduzione


La figura del dandy è una delle più fraintese della storia del costume. La sua identità viene convenzionalmente definita, specialmente nell'epoca attuale, come forma di un'indefinita eccentricità, di una vaga stravaganza. Il dandy ha vissuto il suo periodo di massimo fulgore alla fine dell'Ottocento, e da quel momento in poi, se non con debite eccezioni, è finito per scomparire dalla società odierna.


La curiosità verso questa affascinante "tipologia umana" e la passione per le stesse discipline tanto amate dal dandy (quali arte, musica e letteratura) sono le fondamentali premesse che mi hanno spinto a realizzare una divertita e rigorosa indagine sull'esistenza di un mito disperso.


La squisita maschera del dandy viene svelata attraverso la sapiente tessitura dei gusti, delle passioni, delle manie e delle inclinazioni di alcuni grandi protagonisti della cultura di fine Ottocento - inizio Novecento, e anche dai personaggi nati dalla loro penna (come non citare Huysmans e il suo Des Esseintes, il Dorian Gray di Wilde e l'Andrea Sperelli dannunziano). Di essi ci si può fare un'idea ammirando alcuni quadri di Toulouse-Lautrec, denominati proprio dalla critica "quadri di dandy", probabilmente non molto noti al grande pubblico ma certamente non meno importanti delle più famose litografie.


Ma anche nella civiltà classica, tanto amata dagli esteti, vi erano stati alcuni personaggi che avevano anticipato le caratteristiche del movimento dandistico: il vero e proprio precursore dei dandy può essere infatti ritrovato in Petronio, arbiter elegantiae della Roma neroniana, un cortigiano eccentrico ed estremamente raffinato. Infine, la scelta di inserire un brano musicale è da me stata ritenuta necessaria per comprendere appieno non solo il periodo storico nel quale si colloca l'apoteosi del dandismo, ma anche per tracciare un quadro completo delle passioni attraverso cui ruota l'esistenza del dandy-esteta (il trivio è composto infatti da arte, letteratura e musica).


Perfezionista e solitario, assoluto individualista, impeccabile e raffinato, il dandy, come sostiene il critico Giuseppe Scaraffia nel suo saggio Gli ultimi dandies, persegue l'intento di trasformare se stesso in opera d'arte e lo stile che si manifesta in ogni suo gesto è quello che resta della morale smarrita della modernità. La sua eleganza rigorosa e ricercata è l'insegna, continuamente rinnovata, di una maestà incognita, il vellutato memento di una grandezza segreta, e la sua immutabile disinvoltura è il distillato di un disagio che nulla può mitigare .


Refrattario alle seduzioni del potere, sempre in cerca di nemici, fatalmente attratto dalle cause perse, il dandy cerca il distacco da ogni interesse, l'ebbrezza di essere in minoranza, il gusto dell'azzardo e del gioco sempre più stretto con la morte.


L'intento di questo lavoro è perciò quello di ridare alla figura del dandy la sua nobiltà e la sua profondità, troppo spesso sottovalutate o addirittura denigrate: in realtà il dandy è l'emblema di un' eleganza morale, di un' ironia tagliente e di un'indipendenza di giudizi, espressa con un'ineguagliabile leggerezza, che la nostra epoca, chiusa nella sua rozza trivialità e peraltro priva di fascino, dovrebbe riscoprire e rivalutare, invece che condannare.

Il dandy deve aspirare a essere ininterrottamente sublime.

Deve vivere e dormire

davanti a uno specchio."

Ritratto del Dandy


Delimitazioni storico - culturali

Lo sviluppo del dandismo è caratteristico della seconda metà dell'Ottocento, ove vi è la nascita di un movimento culturale che esaltava la fantasia, l'ignoto, il subconscio, il sogno: il Decandentismo. Da esso derivò l'Estetismo: l'esteta è la persona di gusti e modi eccessivamente raffinati, che riconosce nell'arte e nella vita tutto ciò che è bello.
Una vita da esteti chiede di essere vissuta alla ricerca della bellezza, del sublime e del capolavoro e viene indirizzata verso ogni possibile esperienza estrema, intellettuale, morale e fisica. Dorian Gray e Andrea Sperelli sono eroi decadenti, amorali e privi di valori. Il protagonista di Oscar Wilde, fonte di ispirazione per D'Annunzio, rinuncia a tutto, anche all'anima, per ottenere ciò che più desidera al mondo: la bellezza fisica e una giovinezza eterna proprie più del soggetto di un quadro che del personaggio di un romanzo.
Alla fine, la vita vissuta sul filo della bellezza, pari a un'opera d'arte, estranea a qualsiasi valore morale, dissoluta e "decadente", porta a un finale catastrofico, esteticamente altrettanto spettacolare.


La figura del Dandy


Secondo la definizione data da Oscar Wilde nel suo Ritratto di Dorian Gray, il dandismo


<< è un tentativo di asserire la modernità assoluta della bellezza. [2] >>

Il termine dandy, che probabilmente deriva dal diminutivo scozzese di Andrea (Andrew), venne utilizzato per la prima volta nella canzone Yankee Doodle Dandy, cantata dai soldati americani impegnati nella Rivoluzione Americana del 1770. La parola motteggiava la stramba uniforme dei soldati americani: il personaggio immaginario Yankee Doodle, che rappresentava il tipico ribelle americano, era rappresentato mentre cavalcava un pony, con vestiti colorati e con un cappello con una piuma. Così il termine dandy da quel momento in poi venne riferito a un uomo che si vantava della sua apparenza anche se indossava vestiti vecchi e ordinari.


Vanità, stravaganza, raffinatezza sono collegate alla più positiva concezione di dandy che si sviluppò grazie alla figura di George Bryan Brummell (1778-1840). Egli divenne un modello per gli uomini del suo tempo proprio per i suoi abiti e comportamenti raffinati. Visse la sua vita in modo incredibilmente ricercato e sperperò la sua ingente fortuna. Una piccola lite e i debiti sempre più incombenti fecero sì che si trasferisse in Francia, dove però presto morì in un ospizio per poveri.


Brummel sostenne il dandismo come un vero e proprio stile di vita. Dall'Inghilterra questa concezione si spostò in Francia, e da qui, rinforzata, ritornò in Inghilterra alla fine del XIV secolo, esprimendosi al meglio nella figura di Oscar Wilde.



Il Dandy e la moda


Si tende spesso a confondere l'abbigliamento del dandy con quello dello snob, che cerca nell'abito la definitiva differenza dalla sua classe. Non esiste una 'moda dandistica', come invece dichiarano certi giornali di moda oggigiorno.


L'eleganza del dandy non è che un mezzo di espressione: egli ricerca la bellezza, a tutti i costi - e cerca di esprimere la sua inimicizia con la moda e la società. L'abito del dandy è l'ornamento al suo Io; esso cioè vuole mostrare chi lo porta e la bellezza dell'abito in sé, mentre, snobisticamente parlando, l'abito mostra di essere firmato, alla moda. Poco importa se i colori sono orrendi, se il materiale è vile, ma il prezzo altissimo, se quelle scarpe fanno apparire il piede di venti centimetri più lungo, o se la camicia ha un colletto che tra pochi mesi verrà giudicato da tutti ridicolo: è alla moda!


L'eleganza del dandy è, si è capito, sottilmente démodé. Wilde, riproducendo uno stile passato, voleva opporre al peso crescente del futuro il fascino malinconico dell'antichità.


Il dandy non subisce mai la moda, anzi, a volte si diletta ad esserne il fiero assassino.


Un appunto particolare sull'abbigliamento dandistico riguarda il fiore all'occhiello. Esso per il dandy simboleggia il suo amore per il decorativo; se la decorazione è data poi dall'odiata natura, è da privilegiare. Esso simboleggia anche l'idea che ha il dandy della vita: bella e profumata, ma allo stesso tempo terribile e odiosa. Il fiore va anche interpretato come la rappresentazione "naturale" del dandy: nasce dalla terra, dal fango, ma poi si innalza verso l'alto, bellissimo ma delicato. Il fiore all'occhiello del dandy è la vita tramutata in decorazione.



La rivista dei Dandy: lo "Yellow Book"


Lo Yellow Book fu, nella Londra degli Yellow Nineties, cioè l'ultimo decennio del XIX secolo, la rivista che fece scandalo immediato. Gli articoli finemente trasgressivi, le poesie "maledette" e le illustrazioni non certo accademiche non furono altro che carbone da ardere nel fuoco del puritanesimo inglese di quegli anni.


Tutta la rivista sembrava studiata apposta per irritare i bravi borghesi vittoriani; il solo colore della copertina, di un giallo squillante ed irriverente, scuoteva gli animi più docili, e sbizzarriva i critici letterari di spirito, i quali, accanitamente, cercavano di demolire il più in fretta possibile gli impassibili giornalisti dello Yellow Book. Il Punch, all'uscita del primo numero dello Yellow Book, pubblicò una poesia satirica che aveva per tema il colore della rivista, nonchè le illustrazioni del direttore artistico, Aubrey Beardsley:



Foglie

Come foglie autunnali - color zabaione
copertina tipo cataplasma alla senape,
aspetto nell'insieme da itterizia.

Ma, buon Dio, le cose definite 'illustrazioni'!
Infamie mal disegnate e senza senso!
Strabilianti assurdità.


Era chiaro che una rivista tanto scandalosa non poteva che avere un successo enorme: già solo all'uscita del primo numero, il direttore dello Yellow Book, John Lane, fu costretto a raddoppiarne, e poi a triplicarne le tirature.


Lo scandalo che la rivista era in grado di suscitare venne immediatamente associato dal pubblico al nome di Oscar Wilde, considerando il tono esteticamente estatico degli articoli e la lucida pretenziosità dei disegni di Aubrey Beardsley. Il fatto che Wilde non c'entrasse assolutamente niente con le irriverenti pagine dello Yellow Book era un fatto pressoché ignorato.


La rivista ebbe però vita breve; uscita nel 1894, terminò la sua esistenza al tredicesimo numero, nel 1897. In realtà già dopo il quarto numero lo Yellow Book decadde. Nel 1895, infatti, Wilde venne arrestato per "oltraggio alla morale", e condannato al massimo della pena prevista per i trasgressori della morale vittoriana: due anni di lavori forzati. Lane, per paura di altre sommosse moraliste aveva abbassato il tono della rivista, e questa era diventata tanto scialba e insipida da suscitare l'indifferenza dei critici e del pubblico. E. F. Benson, un contemporaneo di Beardsley, scrisse: [Beardsley] era stata la principale risorsa dello Yellow Book; e non appena smise di disegnare per la rivista, quella si spense, come tutti notarono, in una sola notte, pur trascinandosi avanti, debole e assolutamente rispettabile, per altri nove numeri.



Il Dandy e l'amore


C'è da sfatare immediatamente un mito: il dandy non è sempre omosessuale o pederasta: la raffinatezza del dandy non è esclusivo sinonimo di preferenze sessuali fuori dal comune. Certo, è anche vero che il dandy non ama autodefinirsi come la virilità in persona. In un certo senso, è quasi una donna: ama i profumi, i fiori, i bei vestiti, le buone maniere, l'eleganza formale; ha sentimento, spesso dipinge o scrive poesie, ascolta musica melodica e predilige la calma di un buon libro ad una partita di calcio.


Ma l'amore del dandy non è certo rose e fiori. Egli non si vuole assolutamente accontentare di essere un romantico alla ricerca della donna giusta. D'Annunzio era famoso per le sue innumerevoli relazioni con donne carpite grazie ad entusiasmanti lettere d'amore, e spesso non si accontentava di tenerne una per volta: il Vittoriale diventava così un luogo d'incontro tra il Vate e le sue numerose amanti, le quali erano invitate a rimanere solo una mattinata, perchè poi, alla loro partenza, ne sarebbe arrivata un'altra, ed un'altra ancora. Tom Antognini ricorda, nel suo Vita segreta di Gabriele D'Annunzio, non senza una punta di malizia, gli errori negli inviti che a volte commetteva il malcapitato Vate, che si ritrovava a riceverne ben due per volta, le quali naturalmente passavano ore a contenderselo. In quel caso D'Annunzio fingeva l'aria più dispiaciuta possibile, e se ne stava in un angolo ad osservare interdetto lo svolgersi della vicenda in cui era lui, in fondo, il soggetto principale, e badava d'intervenire solo se la discussione s'accendeva di toni più violenti.


Il dandy generalmente non ha una grande stima per la donna. Più spesso egli lusinga, corteggia e seduce solo per vedersi all'azione; più che il fine, al dandy interessa il preambolo, la seduzione fatta di sguardi, parole, gesti. Il dandy, come giustamente rileva Scaraffia, è più un Don Giovanni che un Casanova. La differenza sostanziale tra i due seduttori per eccellenza è che il primo è un ammaliatore, il secondo è un ammaliato. Casanova cerca e ama le donne che lo hanno sedotto, Don Giovanni deve fuggirle, per non esserne sommerso. Le epistole d'amore di D'Annunzio non sono altro che splendidi esercizi di retorica dove, per meglio essere sicuri della loro carica artistica, è necessario "provarli", per verificarne gli effetti.


Ma ciò che sempre ripugna il dandy nella donna è quel suo essere naturale, sentenzia Baudelaire: La donna è il contrario del dandy. Dunque, deve fare orrore. La donna è naturale, cioè abominevole - o, meglio, la donna fa ancora più orrore se prototipo di ogni femme fatale, il cui compito consiste nel seminare la sofferenza e guardarla crescere. Non a caso il famoso pittore, nonché dandy, Henry de Toulouse-Lautrec, quando gli fu chiesto quale fosse mai il motivo del dipingere sempre donne dalle espressioni orribili, rispose con non-chalance: Perché le donne che dipingo sono tutte brutte? Ma, mio caro, perché lo sono!





Il Dandy e l'unico ideale: la Bellezza


Il dandy non è attratto dal successo fine a se stesso, dal denaro, dal sesso, dal potere: che cos'è allora che lo smuove? Cos'è che lo porta a vestire camicie di seta, ad ondularsi i capelli artificialmente, a disprezzare la borghesia come l'aristocrazia, ad amare l'eleganza contro la comodità, il lusso contro il comfort, a trasgredire le regole e nello stesso tempo a rispettarle sempre? La risposta è una sola: la Bellezza.

L'intera sua vita è dominata da un sublime desiderio di essere sempre proiettato verso la Bellezza. Le pose innaturali, le ricercatezze, le raffinatezze, le illogicità, le piccole nevrosi e tutto il resto non servono a perseguire altro scopo. Il dandy insegue una bellezza esclusivamente contemplabile, cercando di fare di se stesso un'opera d'arte, in tutti i sensi. Dopotutto, non vi è nulla di sano nel culto della bellezza. Esso è troppo stupendo per essere sano (Wilde).

Ma intanto, come definiscono i dandies stessi la 'bellezza'? Sempre Wilde dà una spiegazione interessante, ironica, e concisa: La bellezza è tutto ciò che non piace ai borghesi. Qualcun'altro invece generalizza: E' bello ciò che non piace agli altri. Dalla prima massima intuiamo il disprezzo del dandy verso quella classe borghese che, fin dai tempi della Rivoluzione francese, premeva per avere il potere: una classe sociale non più colta né estetizzante, ma gretta, ipocrita e unicamente interessata a come accrescere il proprio tornaconto.

Difatti l'arte è fatta per la vita, e non la vita per l'arte, sentenzia ancora Wilde. La Bellezza si veste allora con le ricche o ascetiche vesti dell'Arte, per avvolgersi e ricoprirsene completamente. I dandies diventano cosìamanti del lusso, alcuni anche sfrenatamente, come D'Annunzio, con la sua villa sulle rive del lago di Garda straripante di ammennicoli preziosi e meno, mobili antichi, quintali di argenteria, una ragguardevole quadreria, e giardini immensi, pieni di rose d'ogni specie.

Già Dorian Gray si era però accorto di come il culto maniacale della Bellezza coincidesse pericolosamente con l'annullamento e con la morte, lasciandogli ben poco spazio per respirare; ma in fondo è questo il vero obbiettivo: mettere a repentaglio la vita con il culto smodato del Bello. Il dandy ama il rischio quasi quanto ama se stesso.

Jean Cocteau dedicò a Narciso queste poche ma eloquenti righe,
che fanno riflettere sul rapporto indissolubile tra Bellezza e Morte:

Colui che in quest' acqua soggiorna
Smascherato, visse nel raggiro.
E la morte, per scherzo, lo rigira,
come il dito di un guanto, alla rovescia.



Il Dandy e la musica


Il dandy amava la musica come amava qualsiasi altra forma d'arte, ad eccezione di Wilde, che la trovava estremamente noiosa.


Baudelaire scrisse invece un trattato sulle melodie di Wagner, difendendolo laddove molti altri lo canzonavano: di enorme importanza è l'amicizia tra questi due artisti, sorretta anche da un voluminoso scambio letterario. Wilde disse, a proposito del compositore tedesco: Mi piace la musica di Wagner: è così rumorosa che si può tranquillamente parlare col proprio vicino senza farsi ascoltare da altri, ma questo probabilmente non conta molto, dato che Wilde pensava la stessa cosa anche degli altri compositori. Anche Listz era tra i musicisti preferiti dagli esteti del tempo.


A proposito di Listz, bisogna ricordare il suo determinante contributo musicale per l'epoca in cui visse. Infatti la seconda metà dell'Ottocento è caratterizzata della progressiva decadenza del Romanticismo musicale. Cominciano ad affacciarsi correnti anti-romantiche, le quali non determinano sul piano generale sostanziali inversioni di tendenza, ma introducono nella cultura del tempo fattori di esasperazione nel linguaggio musicale.


In Listz questi cambiamenti sono molto evidenti: se le composizioni di altri autori, quali Chopin, ricercavano l'intimità, le forme brevi e la perfezione formale, quelle di Listz presuppongono invece la folle e spettacolare dimensione dell'esibizione virtuosistica, prediligendo le sonorità irruente, i grossi contrasti e le forme ampie che danno spazio all'improvvisazione acrobatica.


Questa assoluta libertà nei confronti degli schemi tradizionali, che lo porta ad assimilare immediatamente i tratti di un'epoca e i segni della modernità, e l'esuberanza espressiva ma sempre raffinata e piacevole, sono riscontrabili nel brano seguente, un virtuosissimo e famosissimo "Notturno", tanto amato da Baudelaire e dai dandy del tempo.



Non c'è niente di sano

nel culto della bellezza.

Esso è troppo stupendo

per essere sano.'

Il precursore dei Dandy


Petronio: l' arbiter elegantiae latino

Già in epoca latina possiamo riscontrare canoni di vita che rimandano alla nascita del movimento dandistico. L'esempio più eclatante a questo proposito è Petronio, che si può considerare il primo vero dandy mai esistito. Non a caso Nerone lo nominò arbiter elegantiae, ovvero giudice dello chic e della raffinatezza. Il suo innato gusto per le cose di classe e le sue doti di eccellente intrattenitore lo resero popolare nell'ambito della corte neroniana, tanto che Tacito, negli Annales, sostiene che Petronio


<< passava le giornate dormendo, la notte la riservava agli affari e ai piaceri della vita e, se altri erano arrivati alla fama con l'operosità, egli vi era giunto per il suo rallentato distacco. Non passava per un volgare crapulone e uno scialacquatore, bensì per un raffinato uomo di mondo. Le sue parole e i suoi gesti, quanto più liberi e all'insegna di una trascurata noncuranza, tanto più incontravano favore per la loro apparenza di semplicità. Peraltro, come proconsole in Bitinia e più tardi come console, si rivelò energico e all'altezza dei compiti. Tornato poi ai suoi vizi, o meglio alla loro ostentazione, fu ammesso nella ristretta cerchia degli intimi di Nerone, come arbitro di eleganza, al punto che il principe, in quel turbine di piaceri, trovava amabile e raffinato solo ciò che ricevesse approvazione da Petronio. [4] >>


Quindi è comprensibile che il Petronio tacitiano abbia goduto di una sua fortuna letteraria autonoma come esteta perseguitato, molto cara ai protagonisti dell' Estetismo Decadente europeo: non solo la sua opera è molto amata da Des Esseintes, ma addirittura lo stesso Oscar Wilde mette in bocca al suo Dorian Gray un sentito elogio dello stravagante cortigiano.

Anche il Satyricon presenta le stesse caratteristiche di originalità e irriverenza del suo autore. Il protagonista Encolpio potrebbe benissimo venire paragonato a un eroe decadente: è colto, raffinato, elegante, e vive ogni momento dell'esistenza in modo intenso e passionale. Nonostante questo, però, il romanzo si sviluppa in modo decisamente alternativo rispetto ai modelli cui l'autore si ispira - romanzo d'amore greco, fabula milesia, satira menippea - : il protagonista è sballottato tra avventure di ogni tipo, alcune al confine con il paradossale, a contatto con personaggi singolari, probabilmente maschere dei frequentatori della corte neroniana.

Neppure Encolpio risulta però immune dalla pungente satira petroniana: egli infatti si immedesima negli eroi mitici celebrati dalla grande letteratura del passato, rimanendo vittima delle sue illusioni. Nonostante la sua raffinatezza, anche l' "eroe" viene presentato come un "mitomane" libertino e debosciato alla pari dei suoi compagni di viaggio.

Detto questo, il fatto che Tacito non alluda ad un'attività letteraria di Petronio è dovuto appunto alla volontà di evitare compromettenti allusioni ad un'opera decisamente scandalosa (citarla equivarrebbe ad ammettere di averla letta). Di conseguenza, il silenzio delle fonti su Petronio romanziere e sulla sua opera per circa un secolo non è difficile da spiegare, se si pensa all'imbarazzo della cultura ufficiale nei confronti di un'opera così anomala e spregiudicata, interamente imperniata su un "triangolo" omosessuale e sull'impotenza del protagonista.

    Innovativo, oltre al contenuto, è anche il linguaggio: soprattutto nella "cena di Trimalcione" esso non corrisponde alla norma espressiva tipica della letteratura del tempo; al contrario, rispecchia il parlato di un ceto sociale ben preciso, quello dei liberti arricchiti. Anche in questa scelta Petronio dimostra le caratteristiche di perfetto dandy: anticonformismo, forte spirito critico, desiderio di stupire, disgusto per la banalità. Il linguaggio è infatti volutamente caricaturale, e va interpretato come emblema della crisi morale dell'aristocrazia pagana.

    Spesso è sorto il dubbio che l'autore del Satyricon non sia l'arbiter elegantiae neroniano, e che si tratti perciò solamente di un caso di omonimia. Ma il ritratto tacitiano, e soprattutto il racconto del suo spettacolare suicidio, sono troppo in sintonia con l'esasperata sensibilità estetica e con il gusto della provocazione paradossale propri dell'autore del Satyricon, per pensare che si tratti di un altro Petronio: se così fosse, saremmo di fronte ad un autentico alter ego del cortigiano di Nerone.

Possiamo trovare la conferma di questa supposizione nella descrizione del suo scenografico suicidio fatta sempre da Tacito: stando alla sua narrazione, l'autore del Satyricon


<< non corse a liberarsi della vita: si fece aprire le vene, per poi, a capriccio, chiuderle e poi riaprirle ancora, intrattenendosi con gli amici ma non su temi seri, quelli che gli procurassero gloria di fermezza. Non ascoltava discorsi sull'immortalità dell'anima o massime di filosofi, ma poesie leggere e versi giocosi. Ad alcuni servi distribuì doni, ad altri frustate. Sedette a banchetto, indulse al sonno, perché la sua morte, benché imposta, apparisse accidentale. Neppure nel suo ultimo scritto, cosa che invece facevano i più, avviandosi alla morte, adulò Nerone o Tigellino o qualche altro potente, ma scrisse dettagliatamente le infamie del principe, coi nomi dei suoi amanti e delle sue amanti e con specificata l'eccentrica novità di ogni rapporto sessuale, e mandò il testo, con tanto di sigillo, a Nerone. Poi spezzò l'anello del sigillo, perché non servisse in seguito a danneggiare altre persone. [5] >>




Dietro

esistenze sublimi

c'è sempre qualcosa

di tragico."


Le "Bibbie" del Dandy


Huysmans : Des Esseintes


Jean Floresses Des Esseintes, il protagonista di "A Rèbours" ("Controcorrente", o "A ritroso") è un aristocratico per vocazione oltre che per diritto, ammiratore del macabro e marinaresco Gordon Pym di Poe come della preziosa pittura di Moreau.


Per tutto il romanzo Des Esseintes si destreggia tra fantasmagorici ricordi del suo passato parigino, e constatazioni sul suo presente: si è ritirato in una principesca tenuta di campagna al riparo dalla volgarità cittadina e dal tedio degli impegni modani, tenuta dove addirittura i servi sono istruiti di modo ché il loro padrone non debba sentirli e nemmeno accorgersi, per quanto possibile, della loro presenza fisica.


Memorabili rimangono i precetti di dandismo variamente suggeriti da Huysmans (che invero aveva in odio il personaggio), ove una redingote di velluto bianco od un mazzo di fiori al posto della cravatta suggeriscono un'eccentricità velata di candore mistico e decadente fragilità. La villa viene inaugurata con un banchetto funebre, laddove l'estremo saluto sarà da porgere alla "virilità" di Des Esseintes, come recita il cartoncino d'invito; trascorsa una vita nella crapula, tra bordelli e droghe esotiche, il protagonista infatti decide di depurarsi da tutto ciò, senza alcun pentimento. Una preziosa tartaruga tiene compagnia al nostro, col guscio cosparso di minerali preziosi che porteranno l'animale ad una lenta ed agonizzante morte; un nuovo sacrificio alla dea della bellezza. La religione è vista solo come dispensatrice di pompa e lusso, ed i libri della immensa biblioteca del protagonista divengono fin più importanti per la loro rilegatura che per il loro effettivo contenuto.


Tutta la casa è addobbata considerando gli inusuali orari del padrone, il quale dorme di giorno e vive di notte: i colori delle pareti pertanto vanno considerati non alla luce del giorno, ma alla luce dei candelabri.


Perennemente contro la volgarità e la banalità della Natura, Des Esseintes coltiva fiori inodori ed incolori, e finisce per soccombere a questo suo desiderio di totale artificio che lo porterà, suo malgrado, a sistemi di vita più "ragionevoli".

Des Esseintes è quindi il capostipite dei dandy,in aperta opposizione col mondo e la vita di ogni giorno, con i valori e le norme borghesi: egli quindi è un ribelle, a cui manca tuttavia una ricca vita interiore che dia senso alla sua costruzione di mondi alternativi. La sua violazione delle regole, che determinano la civile convivenza, lo spingono ad un rigido isolamento, retto sull'artificiosa ricostruzione di un ambiente di vita del tutto fittizio, in cui il soggetto tenta di ricostruirsi una dimensione esistenziale privilegiata e protetta rispetto alla volgarità della normale vita della sua società, producendo uno schermo dalle onde della mediocrità umana che salgono fino al cielo.

Il distacco definitivo tra arte e vita (ove la prima si assume il compito di assorbire la seconda) è segno di malattia, di crisi esistenziale e di nevrosi, che rasenta la follia. Des Esseintes ama del resto la letteratura della decadenza, il suo è un ritorno all'indietro ( A rèbours ) a quelle età che hanno assaporato il gusto malato della crisi di valori e l'estenuazione di una raffinata preziosità, che sa di morte e sconfitta di antichi valori morali.



2. Wilde's dandies


Wilde's dandy is an aristocrat whose elegance is a symbol of the superiority of his spirit: he uses his wit to shock, and is an individualist who demands absolute freedom. Life was meant for pleasure, and pleasure was an indulgence in beauty, so his main interests were beautiful clothes, good conversation, and delicious food.


His behaviour is more important than his nature. To be artificial! is the real saying of the aesthete, who understands this reality. The truthfulness is a pose; and the most irritating one that I know, says Lord Henry at the beginning of the story. Then he observes: I like the theatre. It is truer than life! , and he praises hypocrisy, typical of the good society, where manners are more important than morality, and then, as in art, the form is everything. The mask makes life richer. It allows the aesthete to feel pleasure for every kind of experiences and the thinker to play with ideas, to have different points of view for the love of speaking.



Lord Henry Wotton


Lord Henry is a man possessed of wrong, fascinating, poisonous, delightful theories. He is a charming talker, a famous wit, and a brilliant intellect. Given the seductive way in which he leads conversation, it is little wonder that Dorian falls under his spell so completely. Lord Henry's theories are radical; they aim to shock and purposefully attempt to topple established, untested, or conventional notions of truth. In the end, however, they prove naïve, and Lord Henry himself fails to realize the implications of most of what he says.


Lord Henry is a relatively static character, in fact he does not undergo a significant change in the course of the narrative. He is as coolly composed, unshakable, and possessed of the same dry wit in the final pages of the novel as he is upon his introduction. Because he does not change while Dorian and Basil clearly do, his philosophy seems amusing and enticing in the first half of the book, but improbable and shallow in the second. Lord Henry muses in Chapter Nineteen, for instance, that there are no immoral books; he claims that the books that the world calls immoral are books that show the world its own shame. But since the decadent book that Lord Henry lends Dorian facilitates Dorian's downfall, it is difficult to accept what Lord Henry says as true.


Although Lord Henry is a self-proclaimed hedonist who advocates the equal pursuit of both moral and immoral experience, he lives a rather steady life. He participates in polite London society and attends parties and the theater, but he does not indulge in sordid behavior. Unlike Dorian, he neither leads innocent girls, like Sybil, a young actress who loves Dorian, to suicide; or travel incognito to the city's most despised and desperate quarters. Lord Henry thus has little notion of the practical effects of his philosophy. His claim that Dorian could never commit a murder because crime belongs exclusively to the lower orders demonstrates the limitations of his understanding of the human world.


Lord Henry Wotton has diabolical connotations and exercises a powerful and wicked influence on him. His familiar name Harry is an allusion to the expression Old Harry, a common and familiar name for the devil. His low, languid voice has seductive power that is characteristic of representations of the devil in literature. The scene in which he delivers his panegyric on youth and beauty takes place in the garden and borrows several images from the episode between Eve and the serpent in Milton's Paradise Lost (1667).



Dorian Gray


At the opening of the novel, Dorian Gray exists as something of an ideal: he is the archetype of male youth and beauty. As such, he captures the imagination of Basil Hallward, a painter, and Lord Henry Wotton, a nobleman who imagines fashioning the impressionable Dorian into an unremitting pleasure-seeker. Dorian is exceptionally vain and becomes convinced, in the course of a brief conversation with Lord Henry, that his most important characteristics - his youth and physical attractiveness - are ever waning. The thought of waking one day without these attributes sends Dorian into a tailspin: he curses his fate and pledges his soul if only he could live without bearing the physical burdens of aging and sinning. He longs to be as youthful and lovely as the masterpiece that Basil has painted of him, and he wishes that the portrait could age in his stead. His vulnerability and insecurity in these moments make him excellent clay for Lord Henry's willing hands.


Dorian soon leaves Basil's studio for Lord Henry's parlour, where he adopts the code of belief of the new Hedonism and resolves to live his life as a pleasure-seeker with no regard for conventional morality. His relationship with Sibyl Vane tests his commitment to this philosophy: his love of the young actress nearly leads him to dispense with Lord Henry's teachings, but his love proves to be as shallow as he is. When he breaks Sibyl's heart and drives her to suicide, Dorian notices the first change in his portrait - evidence that his portrait is showing the effects of age and experience while his body remains ever youthful. Dorian experiences a moment of crisis, as he weighs his guilt about his treatment of Sibyl against the freedom from worry that Lord Henry's philosophy has promised. When Dorian decides to view Sibyl's death as the achievement of an artistic ideal rather than a needless tragedy for which he is responsible, he starts down the steep and slippery slope of his own demise.


As Dorian's sins grow worse over the years, his likeness in Basil's portrait grows more hideous. Dorian seems to lack a conscience, but the desire to repent that he eventually feels illustrates that he is indeed human. Despite the beautiful things with which he surrounds himself, he is unable to distract himself from the dissipation of his soul. His murder of Basil marks the beginning of his end: although in the past he has been able to sweep infamies from his mind, he cannot shake the thought that he has killed his friend. Dorian's guilt tortures him relentlessly until he is forced to do away with his portrait. In the end, Dorian seems punished by his ability to be influenced: if the new social order celebrates individualism, as Lord Henry claims, Dorian falters because he fails to establish and live by his own moral code.


Its name was meaningful: as the matter of fact, Dorian means of Doria, a part of Ancient Greek. It suggests both the young man's classical beauty and Lord Henry's 'Hellenic ideal' to which he aspired to return. Gray indicates the contrast between the good and evil.


In fact the primary concern of Wilde in his novel is the exploration of the power of the language. It is rich, elaborated and ornamented as the embroideries, the jewels and the works of art it so accurately describes. Similes and metaphors compare things in the real world to the products of art and craftsmanship, to the materials and effects created by artists.


The novel is mostly written in an intensely poetic style that does not only describe, but communicates sensuous pleasure. Words produce in the reader the same hypnotic that Dorian experiences at the sound of Lord Henry's voice and while reading his book.



D' Annunzio: Andrea Sperelli


Andrea Sperelli Fieschi d'Ugenta è stato il personaggio più noto e divulgato fra i tanti creati da D'Annunzio, ed è il risultato di un'abile contaminazione fra l'esperienza biografica dell'autore e sollecitazioni culturali straniere. Egli rappresenta la versione italiana dell'eroe decadente e D'Annunzio non trascura occasione per metterne in luce l'aristocratica ascendenza, la bellezza fisica, la raffinatezza, il costante impegno per dare alla vita una dimensione estetica:



<< Egli era giunto a compiere in sé stesso l'intimo connubio dell'arte con la vita e a ritrovare così nel fondo della sua sostanza una sorgente perenne di armonie. Egli era giunto a perpetuare nel suo spirito, senza intervalli, la condizione misteriosa da cui nasce l'opera di bellezza e a trasformare così ad un tratto in specie ideali tutte le figure passeggere della sua esistenza volubile. Egli aveva indicato appunto questa sua conquista quando aveva messo in bocca ad una delle sue persone le parole: 'Io assisteva in me medesimo alla continua genesi di una vita superiore in cui tutte le apparenze si trasfiguravano come nella virtù di un magico specchio." [6] >>


La singolarità dei gusti di Andrea Sperelli e il suo distacco dalla norma sono tutte caratteristiche dell'eroe decadente europeo, ma D'Annunzio si sofferma a precisare, delineando così una figura non priva di riferimenti autobiografici, che Sperelli è anche un artista:



<< eleggeva nell'esercizio dell'arte gli strumenti più difficili, esatti, perfetti, incorruttibili: la metrica e l'incisione. Il suo spirito era essenzialmente formale. Più che il pensiero amava l'espressione.. [7] >>



Sperelli è stato il più delle volte identificato come la chiara e semplice trasposizione letteraria del suo creatore, Gabriele d'Annunzio. D'Annunzio scrisse Il Piacere nel 1889, durante i suoi anni romani, ed in esso romanza tutti i frutti delle sue esperienze, sociali e sentimentali, ma con una nota in più: Andrea Sperelli è infatti anche l'incarnazione di un primo ideale dannunziano, se vogliamo un po' snobistico, ma sofferto ed infine, in parte, raggiunto; difatti Sperelli è un uomo distinto, che ha fascino e sa come usarlo, proprio come il suo autore. È giovane, elegante, raffinato e piacente, ma è pure - e non come d'Annunzio - nobile, ricco e alto di statura; come lui è un intellettuale, ma Sperelli oltre che poeta è anche ottimo disegnatore ed incisore. Diversamente da d'Annunzio, Sperelli è libero da vincoli coniugali e da obblighi familiari. Ha facile accesso ai riti mondani, ai salotti ed ai ricevimenti: Sperelli però è uno spettatore tollerato, mentre d'Annunzio è un cronista.


Per il resto comunque i due personaggi si somigliano in tutto. Tuttavia, non si sa se per scrupolo ipocrita o per reale cambiamento, d'Annunzio prese una posizione antagonista rispetto al suo Sperelli; e infatti nel romanzo non mancano le critiche negative. In una lettera all'editore Treves definisce Sperelli come un mostro sul piano morale. Di fatto Andrea, quel giovin signore del XIX secolo corrotto e sensuale e debole assai, moralmente parlando, diviene sempre più cinico e perverso.


Con il descrivere tutte le presunte "mostruosità" di Sperelli, d'Annunzio finisce paradossalmente per ingigantire e quindi per nobilitare se non legittimare il suo egoismo, la sua sensualità, il suo estetismo ed il suo cinismo. Così, a furia di insistere nella descrizione, Il Piacere finisce per divenire un autentico monumento celebrativo. E' proprio nell'ambiguità che caratterizza il protagonista a risiedere il suo fascino permanente di antieroe.


In seguito d'Annunzio avrà modo di forgiare altri protagonisti, tutti più o meno simili a lui, ma nessuno sarà mai ricco e vivo come Andrea; ricco e vivo proprio come lo era il suo giovane autore, caratterizzato dall'ingenuità propria del dandy ancora alle prime armi, e dalle sue contraddizioni: cinico, falso e immorale, ma anche sentimentale e sensibile, egoista e sensuale, aguzzino e vittima, capace di fare il male ma anche di lasciarsi sedurre dal fascino dei suoi stessi inganni con cui tenta di mascherare la propria miseria morale.



Henry de Toulouse-Lautrec: i "quadri di dandy"


Nei cosiddetti "ritratti di Dandy" si può scorgere la definizione di un tipo sociale, che in Toulouse-Lautrec non assume comunque tratti stereotipati, ma si presenta all'interno di varie situazioni e in varie modalità esistenziali. Fenomeno analogo a quello dei contemporanei 'lions' francesi, dello 'zerbino' cinquecentesco, del seicentesco 'galante', del 'cicisbeo' del Settecento, il dandismo ebbe il suo iniziatore e modello in Lord George Bryan Brummel e si diffuse soprattutto in Francia nel corso dell'Ottocento.


Baudelaire così parla del dandy nel saggio Il pittore della vita moderna



<< L'uomo ricco, ozioso, e che, anche se scettico, ha come unica occupazione quella di correre sulla pista della felicità: l'uomo educato nel lusso e avvezzo sin dalla giovinezza all'ossequio obbediente degli altri, chi, in conclusione, non professa altro mestiere se non l'eleganza, avrà sempre in ogni epoca, a suo beneficio una fisionomia distinta, che fa parte per se stessa. Il dandismo è una istituzione vaga, bizzarra quanto il duello; antichissima () . Il dandismo, che è una istituzione al di fuori delle leggi, ha leggi rigorose alle quali sono strettamente soggetti tutti i suoi mèmbri, quale che sia, comunque, la passione, l'indipendenza del loro carattere.. [8] >>



In realtà, a livello sociale il dandismo, negli anni '90 del XIX secolo, si confonde con altri atteggiamenti come quelli del viveur, del perenne corteggiatore, dell'uomo dedito ai piaceri dei divertimenti, senza che questi soggetti elaborino un vero e proprio estetismo.


Nella nuova realtà di fine secolo, Toulouse-Lautrec sceglie di riproporre gli schemi di un individualismo i cui caratteri costitutivi si sono polarizzati: tormentato dall'antitesi tra il bene e il male, l'estetico e l'anti-estetico, la pietà e la crudeltà, l'eterno e il contingente, la tradizione e la modernità, lo spirito e il corpo. In questo contesto, il dandismo sembra non essere altro che un modo improbabile, e impraticabile, di far convivere polarità inconciliabili.


Ma anche il dandismo doveva rivelarsi una nuova utopia: immagine mitica, il dandy era in fondo un ruolo meno praticabile di quello del poeta o del pittore. Così, è forse proprio il fallimento sulla strada del dandismo e l'impossibilità di realizzare in se stessi la dimensione di quella moderna mitologia a scatenare in Baudelaire la grandezza del suo linguaggio, ed è quella stessa impraticabilità, non solo storica, a far da premessa alla pittura amara che rese celebre Toulouse-Lautrec.


L'arte di Toulouse-Lautrec nasce proprio dalla fallita presunzione di attingere l'olimpica imperturbabilità che accompagnava l'immagine mitica del dandy, nei fatti incapace di sanare o comunque di ridurre a serena convivenza le polarità contrapposte della vita moderna. Questa quotidiana, ripetuta coscienza del fallimento di un occhio che osserva, fa nascere lo stile di Toulouse-Lautrec. E' lo scarto tra dominio sulle cose e perdita della distanza che di quel dominio è il presupposto a squilibrare l'occhio dell'artista, deviandolo nell'emozione dello sguardo.


Toulouse-Lautrec Fu, da ricco dandy, rampollo di un'aristocrazia intelligente e in decadenza. Fu lo spirito del dandy ad attrarlo verso la più disperata indigenza nel momento stesso in cui si faceva ritrarre, orgoglioso della propria eleganza, nel suo inappuntabile abito di aristocratico. Fu il dandismo a fargli assaporare il piacere e l'ebbrezza delle folle notturne, i lustrini del circo, i lussi artefatti e kitsch dei caffè-concerto o dei salotti dell'amore mercenario; fu ancora il dandismo a ispirargli sensazioni parallele di orrore e allucinazione, di repulsione tradotta in ironia, di rifiuto espresso in una sorta di odio-amore, di schiavitù e insieme di dominio: elementi contrastanti che si riversano in una pittura di inesauste folgorazioni emotive.

Tavole



Ogni ritratto dipinto

con sentimento

è il ritratto dell'artista,

non del modello".


 




H. de Toulouse-Lautrec,

"Ritratto di Louis Pascal" , 1891.

Albi, Musèe Toulouse-Lautrec.


H. de Toulouse-Lautrec,

"Ritratto di Paul Sescau" , 1891.

New York, The Brooklyn Museum.



H. de Toulouse-Lautrec,

"Ritratto di Paul Leclercq" , 1897.

Parigi, Musèe D'Orsay.


Fonti


La figura del Dandy


Scaraffia G., Gli ultimi dandies, Sellerio editore, Palermo 2002.

https://www.noveporte.it/dandy

https://www.dandysm.net


Storia della Musica


Listz F., Sogno d'Amore: Notturno n° 3 per Pianoforte.

Tratto da Linnemann M., Maister der Romantik, Ricordi.


Storia dell'Arte


AA. VV. , Art Nouveau, Giunti Art Dossier, Firenze 2003, pagg. 137-141.

AA. VV., Toulouse-Lautrec, Giunti Art Dossier, Firenze      2004.

AA. VV. , Enciclopedia dell'Arte, Garzanti, Milano 1987, pp. 3098-3102.

Baudelaire C. , Il pittore della vita moderna, Mondadori, pagg. 87-88.


English Literature


Wilde O., Il Ritratto di Dorian Gray, Giunti Demetra, Torino 2006.

Wilde O., The Picture of Dorian Gray, Mondadori, Firenze 2005.

Elmann R. , Oscar Wilde, Mondadori, Milano 2004, pagg. 239-250.

https://www.oscarwildecollection.com/dorian


Letteratura Europea


Huysmans J. K., A ritroso, Garzanti, Milano 2004.

Huysmans J. K., Controcorrente, trad. di Sbarbaro C., introd. di Bo C., illustrazioni di Redon O., Rusconi, Milano, 1972.

Livi F., Huysmans e lo spirito decadente, Parigi, 1972.

Trugdain H., L'èstetique de J.-K. Huysmans, Paris, 1934, trad. italiana di A. Lizioni.


Letteratura Italiana


D'Annunzio G., Il Piacere, Oscar Mondadori, 2004.

D'Annunzio G. , Tutte le opere, Giunti, pagg. 156.

Canonici R., Come leggere "Il Piacere" di G. D'Annunzio, Mursia, Milano 1990.

Antognini T., Vita segreta di Gabriele D'Annunzio, Sansoni, Firenze 2001, pagg. 10-16.

Serra M., L'esteta armato, Bologna 1990, pagg. 168-179.

Croce B., G. D'Annunzio in "La letteratura della Nuova

Italia", IV, Bari, Laterza 1973,pp. 7-66.

Praz M., La carne, la morte, il diavolo nella letteratura

romantica, Sansoni, Firenze 1988, pp. 379-428.


Letteratura Latina


Petronio Arbitro, Satyricon, edizione a cura di A. Aragosti, BUR, Milano 1995.

Ciaffi A. , Struttura del "Satyricon", Torino 1955, pagg. 89-90.

Sullivan J. P. , Il Satyricon di Petronio, trad. it., Giunti, Firenze 1975, pagg. 53-55.

Conte G. B., L'autore nascosto. Un'interpretazione del Satyricon, Bologna 1997, pagg. 12-18.

Tacito. , Annales, trad. di Giussani C., Torino 1998, pagg. 143-145.

https://www.atuttascuola.it/vita_estetismo/petronio




Ringraziamenti

Un ringraziamento speciale a tutti coloro che mi hanno aiutato nello sviluppo di questa tesina, e a tutte le persone che durante questi anni hanno influito sulla mia maturazione non solo culturale, ma anche - e soprattutto - morale.


Luglio 2008.



Scaraffia G., Gli ultimi dandies, Sellerio editore, Palermo 2002, pag. 5.

Wilde O. , Il ritratto di Dorian Gray, Giunti Demetra, pag. 221.

da AA.VV. , Poeti francesi del Novecento; Lucarini, 1991, pag. 348.

Tacito. , Annales, XVI, 18, trad. di Giussani C., Torino 1998, pag. 143.

Tacito. , Annales, XVI, 20, trad. di Giussani C., Torino 1998, pag 145.

D'Annunzio G. , Tutte le opere, Giunti, pagg. 156.

D'Annunzio G. , Il Piacere, Giunti, pagg. 62.

Baudelaire C. , Il pittore della vita moderna, Mondadori, pagg. 87-88.

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