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Lucio Anneo Seneca - Biografia




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Lucio Anneo Seneca


Biografia

Lucio Anneo Seneca, filosofo e scrittore latino nacque a Cordova in Spagna nel 4 a. C. Secondo figlio di Seneca il Vecchio e di Elvia, studiò a Roma, manifestando subito interesse per la poesia e l'eloquenza come per la filosofia e le scienze.

Riceve istruzione retorica e filosofica: tra i suoi maestri egli ricorda Papirio Fabiano della scuola dei Sestii, lo stoico Attalo, il neopitagorico Sozione, da cui apprende abitudini di vita sobrie ed austere già ereditate dalla madre. Entra a far parte della setta dei Sestii, molto attiva fra il I sec. a.C. ed il I sec. d.C., che predica una morale intransigente ed un rigoroso ascetismo psicofisico (esame di coscienza, dieta vegetariana); la persecuzione di Tiberio nei confronti di questa setta lo costringe a fuggire in Egitto.

Questo viaggio in Egitto venne effettuato prima del 20 e tornò a Roma nel 31. Iniziò quindi la carriera politica, fu questore, entrò in Senato. Ma incorse nell'odio di Caligola e poi nell'ostilità di Claudio, allorché su istigazione della moglie di questi, Messalina, fu coinvolto in un processo di adulterio contro Giulia Livilla, sorella di Caligola, e relegato in Corsica. Seneca mal sopportò l'esilio, che durò dal 41 al 49. Aveva già perso un figlioletto appena nato e la prima moglie. Si diede così a scritti filosofici, riprendendo la forma della consolatio che aveva impiegato qualche anno prima rivolgendosi a Marcia figlia di Cremuzio Cordo, cui era morto un figlio. Indirizzò una Consolatio ad Helviam matrem, scrisse alcuni trattati e brevi poesie e la Consolatio ad Polybium, potente liberto di Claudio, per la perdita del fratello ma anche per chiedere la sua intercessione presso l'imperatore.
Il ritorno a Roma avvenne nel 49 per intervento di Agrippina Minore, seconda moglie di Claudio, che si appoggiò a Seneca per favorire la successione al trono del proprio figlio Nerone, a danno del figlio di Claudio e Messalina, Britannico. Nerone, dodicenne, fu affidato alle cure del filosofo; quando, nel 54, Claudio fu soppresso, Seneca si trovò a essere il consigliere del giovane sovrano, insieme ad Afranio Burro, altro insigne personaggio.
In quegli anni indirizzò a Nerone alcuni dei suoi maggiori trattati, propugnando una monarchia illuminata e conciliatrice dei vari organi e ceti dello Stato; altri ne scrisse su diversi temi etici. Ma ben presto la situazione si aggravò. Nerone compì una serie di delitti, fra cui l'uccisione di Britannico e della madre, che coinvolsero in vario modo anche Seneca. Più tardi avvenne il ripudio e poi l'uccisione di Ottavia. Seneca fu messo in cattiva luce presso l'imperatore; fu accusato di ammassare ricchezze e la sua influenza diminuì rapidamente, anche in seguito alla scomparsa di Burro, sostituito con Tigellino. All'incirca in quell'anno (62) il filosofo si ritirò a vita privata e attese ad altri suoi scritti. Nel 65, sospettato di avere preso parte alla congiura antineroniana dei Pisoni, venne accomunato nella loro condanna e ricevette l'ingiunzione di uccidersi: cosa che fece fermamente, dando ordine che gli venissero recise le vene e bevendo infine la cicuta; anche la seconda moglie, Pompea Paolina, vorrebbe seguire la sorte del marito, ma viene salvata dai soldati di Nerone.



Naturales quaestiones


Quando si accinge a scrivere le Naturales Quaestiones, Lucio Anneo Seneca, (Cordova, 4

a.C., Roma, 65 d.C,) è ormai vecchio e vicino alla morte. Non stupisce quindi che quest'opera sia un componimento di forte intensità e profonda riflessione.

Seneca dichiara di osservare l'universo con ammirazione e stupore (obstupefactus). Davanti alle bellezze naturali e ai profondi misteri della Natura egli prova un'estatica e commossa ammirazione e non perde occasione, da filosofo stoico, di riconoscere, in ogni cosa che colpisce l'animo e la mente dell'uomo, la grandezza di Dio. La necessità di comprendere i fenomeni naturali è, per Seneca, un mezzo per giungere alla salvezza e alla perfezione che avvicina l'uomo all'onnipotente e non come per Plinio il Vecchio, la cui opera enciclopedica, Naturalis Historia, è un semplice inventario del mondo. La scientificità di Seneca non può essere certo intesa in termini moderni, ma alcuni suoi atteggiamenti verso lo studio delle scienze naturali sono sicuramente ispirati da una curiosità ed un interesse che possono definirsi, sotto certi aspetti, scientifici. Per lui la scienza non è un capriccio senile. Da giovane aveva scritto un volume sui terremoti, e sicuramente altri di cui sono pervenuti solo i titoli: de situ Indiae; de situ et sacris Aegyptiorum; de lapidum natura; de piscium natura; de forma mundi. Nell'Epistola 90 a Lucilio, il filosofo romano esalta la prontezza e l'ingegnosità della mente che permette all'uomo di penetrare i misteri della natura. Egli, infatti, in contrasto con l'insegnamento dello stoico Posidonio (135-51 a.C.) che attribuiva ai sapientes la costruzione di strumenti di lavoro, sostiene che la vera sapienza guida le anime, non le mani: sapientia altius sedet nec manus edocet: animorum magistra est. La filosofia e la scienza, per Seneca coincidono poiché entrambe hanno, come loro compito principale, quello di guidare l'uomo verso il suo perfezionamento morale. Nelle Naturales quaestiones è presente anche un certo

sperimentalismo, ma si tratta però di un approccio deduttivo, non induttivo. Esso, infatti, non ha lo

scopo di individuare nuove leggi di natura, nel senso che sarà poi di Galileo, ma piuttosto quello di

confermare osservazioni già fatte, verificare ipotesi già ampiamente formulate da altri.

Concludendo, la scientificità di Seneca si può riconoscere nei seguenti tratti:

. Ricorso ad un'attenta osservazione dei fenomeni che si vogliono studiare e ad una profonda

riflessione critica.

. Discussione delle teorie presentate da altri, anche da coloro che sono considerati autorevoli

maestri. Ad esempio egli si pone in contrasto con le congetture di altri filosofi, compreso

Aristotele, che si ostinano a considerare le comete come masse di gas che si accendono e

spengono all'improvviso, all'interno dell'atmosfera terrestre.

. La consapevolezza che nello studio dei fenomeni della natura l'errore è sempre possibile, e

quindi la continua necessità di rivedere le conclusioni cui si è giunti.

. La fiducia nel progresso della conoscenza. Ciò che non si conosce, in un dato momento storico,

sarà sicuramente conosciuto da chi verrà dopo ("Molte cose sapranno gli uomini del domani che

noi ignoriamo, molte cose sono riservate alle generazioni future quando di noi si sarà spento

anche il ricordo. Piccola cosa sarebbe l'universo se ogni età non trovasse in esso qualcosa da

indagare. Libro VII 30-5,30-33

. L'esaltazione della scienza disinteressata.


La stessa fiducia nelle capacità dell'uomo di conoscere ancora ciò che al momento sfugge,

traspare sempre nel Libro VII (13,1).."A queste argomentazioni Artemidoro oppone quanto

segue: non sono solo cinque i pianeti che attraversano il cielo, (Mercurio, Venere, Marte, Giove e

Saturno), ma questi sono gli unici che siano stati osservati; anzi, innumerevoli altri si muovono in

modo occulto, a noi sconosciuto o per debolezza della loro luce o per la posizione delle orbite.

Le Naturales quaestiones rappresentano, dunque, il tentativo di organizzare gli argomenti scientifici, noti per conoscenza diretta o indiretta, in un più ampio quadro filosofico da cui emerga

che quanto vediamo e quanto non vediamo, quanto sappiamo o ignoriamo, ma un giorno sapremo,

fa parte di un'armonica creazione divina in cui disordine e arbitrio sono apparenti e spesso causati

dall'uomo che ha sovvertito, o comunque forzato la natura. L'uomo deve liberarsi delle false paure,

rimediare ai mali da lui stesso prodotti. Questo progetto può realizzarsi solo se egli riesce ad

elevarsi al disopra della dimensione terrena, conoscendo la natura di cui egli è parte privilegiata,

(marcato antropocentrismo).

Le osservazioni di Seneca dimostrano le scarse conoscenze scientifiche dell'epoca quando,

ad esempio, discute sulle cause della rotondità dei chicchi di grandine:.Può darsi inoltre che,

sebbene la grandine non sia in origine tonda, lo diventi mentre vien giù e che rotolando più volte

attraverso lo spazio intermedio formato da aria densa, si consumi in modo uniforme e acquisti la

forma di una sfera.( IVb-3,5). Il ricorso all'analogia, nello studio di certi fenomeni, può considerarsi un primo passo verso la ricerca scientifica. D'altronde, l'autore latino resta fedele alla

dottrina stoica, per la quale è importante, nel processo della conoscenza, l'evidenza empirica.

Forte, in Seneca, è il senso della corporeità, la precisa e costante corrispondenza tra sensazione e

rappresentazione; ed ecco il motivo per il quale egli individua la terra come un unico corpo,

precorrendo in qualche modo l'ipotesi che sarà formulata, in tempi moderni, di una visione olistica

del nostro pianeta.

La fisica presentata da Seneca è la fisica stoica che, a differenza di quella democritea, prevede un solo principio unificante che governa la totalità dell'esistente, il logos, o pneuma o fuoco. Tale principio, immanente alla realtà, dà forma alla materia e contiene i semi generatori di tutte le cose, grazie ai quali la materia si differenzia e si qualifica nella varietà delle forme che noi percepiamo. Questa visione deterministica e finalistica postula la divisibilità della materia all'infinito, ed esclude l'esistenza di indivisibili (gli atomi), ponendosi quindi in netta opposizione con il più scientifico meccanicismo democriteo (si veda Lucrezio "De rerum natura"). Gli argomenti delle Naturales quaestiones sono prevalentemente di geografia fisica ed astronomica.

L'opera originale comprendeva otto libri che secondo la numerazione vulgata si sono ridotti a sette:

. Libro I. Meteore e specchi

. Libro II. Fulmini e tuoni

. Libro III. Acque terrestri

. Libro IV A. Nilo

. Libro IV B. Nubi, grandine e neve

. Libro V. Venti

. Libro VI. Terremoti

. Libro VII. Comete


Il richiamo alla morale è costantemente presente in ogni argomento trattato. I venti non si

generano per dare all'uomo la possibilità di armare navi da guerra che porteranno distruzione e

morte.La provvidenza e il Dio ordinatore del mondo hanno concesso all'aria di essere agitata dai

venti e li hanno profusi dovunque perché nulla ristagnando marcisse, non già perché noi

stipassimo di armati, flotte destinate a riempire una distesa d'acqua e inseguissimo nemici sul

mare e al di là del mare.(Libro V 18-5). Lo specchio non deve essere strumento di vanità, né di

sfrenata lussuria come avviene per Ostio Quadra .s'era fatto costruire uno specchio capace di

riflettere immagini di gran lunga maggiori della realtà, nei quali un dito sopravanzava la lunghezza e la grossezza d'un braccio. (Libro I 16,1). Al contrario esso deve essere utilizzato per conoscere più approfonditamente gli oggetti che ci circondano, e noi stessi.Gli specchi furono inventati perché l'uomo si conoscesse, perché da questa invenzione ricavasse molti benefici, prima la cognizione di sé, poi consigli per alcune riflessioni: il bello per evitare la cattiva reputazione, il

brutto perché sapesse che tutto ciò che manca al corpo si può riscattare con le virtù.per questi

scopi la natura ci ha concesso la facoltà di vederci riflessi. L'uomo non avrebbe potuto ammirare il

sole, seguire il suo percorso, svelarne la forma, senza l'aiuto di una opportuna superficie riflettente. dove tenda l'aver predisposto una sostanza capace di ricevere le immagini,. certo

non perché noi uomini ci strappassimo i peli della barba davanti allo specchio o ci acconciassimo il viso, ma prima di tutto, dato che i nostri occhi, troppo deboli a reggere la vista diretta del sole, non

ne avrebbero mai conosciuta la forma, volle mostrarcelo attenuandone lo splendore. Infatti, benché

sia possibile guardarlo quando sorge e quando tramonta, tuttavia ignoreremmo il suo aspetto,

quello vero, se non ci apparisse riflesso in qualche liquido, più smorzato e più facile da guardare.

(Libro I 17,2) Questa attenzione all'aspetto etico ha una sua attuale validità, se si pensa ai gravi

interrogativi che le moderne scoperte della scienza, in particolare in campo biologico, pongono alle

coscienze degli scienziati, e per riflesso a tutti noi. La conoscenza disinteressata della Natura può

dare all'uomo la capacità di elevarsi dal suo stato primitivo, dargli la consapevolezza di essere

parte privilegiata dell'Universo. Egli potrà conquistare questa meta, se saprà sfruttare appieno gli

strumenti che ha ricevuto in dono, per indagare, con animo sgombro da paure, le meraviglie che lo

circondano. ".Quanto è meglio allora che uno indaghi le cause, e per di più a ciò proteso con tutta la mente!.«Quale sarà», dici, «il frutto di fatica?» Quello di cui non vi è altro più grande,

conoscere la Natura. ( Libro IV 4,-1-2).





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