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L'internazionale dei lavoratori: marxisti e anarchici




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L'internazionale dei lavoratori: marxisti e anarchici


Il movimento operaio avvertì preso l'esigenza di un collegamento internazionale. La prima occasione si presentò nel 1862 quando una delegazione di lavoratori francesi incontrò i dirigenti delle Trade Unions britanniche e stabilirono di dar vita a un organizzazione permanente di coordinamento aperta ai rappresentanti di altri paesi. Questa nuova organizzazione prese il nome di Associazione Internazionale dei Lavoratori. Marx di assunse il compito di redigere lo statuto provvisorio, e riuscì ad inserire nel documento alcuni punti che qualificavano l'Associazione in senso classista, nonostante l'opposizione del rappresentante italiano. Ciò che risultava più evidente era l'affermazione dell'autonomia del proletariato e la priorità data alla lotta contro lo sfruttamento. La fondazione dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori (o Prima Internazionale) fu senza dubbio un evento capitale nella storia del movimento operaio. Questa costituì subito un punto di riferimento per i lavoratori di tutta Europa, oltre che uno spauracchio per i governi conservatori. Fino alla fine degli anni '60, il dibattito ai vertici dell'Internazionale vide contrapposti da un lato i socialisti e dall'altro i proudhoniani, fautori di un sistema fondato sulle cooperative e sulle autonomie locali. Nei primi congressi le tesi dei proudhoniani furono ripetutamente sconfitte. Ma gli ideali libertari e federalisti esercitavano ancora un fascino notevole sul proletariato rivoluzionario: una volta tramontata la stella del proudhonismo, essi conobbero nuova fortuna nella versione assai più radicalmente rivoluzionaria che ne diede il russo Bakunin, massimo teorico dell'anarchismo moderno. Per Bakunin l'ostacolo principale che impediva all'uomo il conseguimento della piena libertà era costituito non tanto dai rapporti di produzione, quanto dall'esistenza dello Stato stesso. Lo Stato era, insieme alla religione, lo strumento di cui si servivano le classi dominanti per mantenere la stragrande maggioranza della popolazione in condizioni di inferiorità economica e intellettuale. Compito prioritario dei rivoluzionari era quindi liberare le masse dall'influenza della religione, abbattuto questo il sistema di sfruttamento economico basato sulla proprietà privata sarebbe inevitabilmente caduto. E' evidente quanto queste concezioni fossero distanti da quelle di Marx. Anche Marx vedeva nella religione e nello stato degli strumenti al servizio delle classi dominanti; ma collocava l'uno e l'altra nella sfera della sovrastruttura. Per Marx inoltre il protagonista del processo rivoluzionario non poteva essere che il proletariato industriale; per Bakunin invece il vero soggetto della rivoluzione erano le masse diseredate in quanto tali. La lotta fra marxisti e bukininiani si sviluppò agli inizi degli anni '70, soprattutto sui problemi riguardanti i compiti e la struttura dell'Internazionale. Marx riuscì a mettere in minoranza i seguaci di bakunin e spostò la sede dell'Internazionale da Londra a New York, avendo consapevolmente decretato la morte dell'Internazionale.

La seconda rivoluzione industriale

L'ultimo trentennio dell'800 vide una profonda trasformazione economica ("seconda rivoluzione industriale"). La crisi di sovrapproduzione del 1873 dette inizio a una fase di rallentamento dello sviluppo durata oltre un ventennio. La prolungata caduta dei prezzi che le si accompagnò era però conseguenza soprattutto di profonde trasformazioni organizzative e innovazioni tecnologiche. Vari fattori - tra cui la diminuzione dei prezzi e l'acuirsi della concorrenza internazionale - portarono allo sviluppo delle grandi concentrazioni produttive e finanziarie e a una stretta compenetrazione tra banche e industrie. Si affermava contemporaneamente nei vari Stati una politica di appoggio all'economia nazionale attraverso il protezionismo e una maggiore aggressività sul piano dell'affermazione economica all'estero, che fu tra le principali cause della politica di espansione coloniale seguita dalle maggiori potenze. Gli effetti più gravi della caduta dei prezzi si ebbero nell'agricoltura. Qui i progressi tecnici rimasero limitati ad alcune aree europee più sviluppate. Diverso, invece, perché privo di tali squilibri, il rilevante sviluppo agricolo degli Stati Uniti, i cui prodotti a buon mercato inflissero un colpo durissimo alla più arretrata agricoltura europea. Di conseguenza nelle campagne d'Europa aumentarono la conflittualità sociale e l'emigrazione (soprattutto quella transoceanica, che conobbe un vero e proprio boom). Anche la crisi agraria spinse in direzione di politiche doganali che proteggessero la produzione nazionale delle concorrenza estera. Nel complesso, comunque, il calo dell'agricoltura in rapporto al complesso delle attività economiche fu comune a tutti i paesi industrializzati. Caratteristica fondamentale della seconda rivoluzione industriale fu la stretta integrazione fra scienza e tecnologia e fra tecnologia e attività produttive. Il rinnovamento tecnologico si concentrò nelle industrie giovani: chimica, elettrica, dell'acciaio (la prima rivoluzione industriale del secolo precedente era stata invece dominata dal cotone e dal ferro). Soprattutto gli sviluppi della chimica aprirono nuove prospettive un po' in tutti i settori produttivi: dalla produzione di alluminio a quella di prodotti "intermedi" (come acido solforico e soda) con impieghi estesissimi, dalle fibre tessili artificiali ai nuovi metodi di conservazione degli alimenti. L'invenzione del motore a scoppio e la produzione di energia elettrica furono le caratteristiche salienti della seconda rivoluzione industriale. L'energia elettrica, in particolare, forniva una nuova importante forza motrice per gli usi industriali, e rivoluzionava - anzitutto con l'illuminazione - la vita quotidiana. Questo periodo vide anche la trasformazione scientifica della medicina, dovuta a quattro fattori: prevenzione e contenimento delle malattie epidemiche attraverso la diffusione delle pratiche igieniste; identificazione dei microrganismi; progressi della farmacologia; nuova ingegneria ospedaliera. I progressi della medicina e dell'igiene, sommandosi allo sviluppo dell'industria alimentare, determinarono in Europa una riduzione della mortalità. Nonostante il calo delle nascite verificatosi nei paesi economicamente più avanzati (dovuto alla diffusione dei metodi contraccettivi e a una nuova mentalità tesa a programmare razionalmente la famiglia), si ebbe così un sensibile aumento della popolazione.

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