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Giovanni pascoli e il nazionalismo- "la grande proletaria s'è mossa"




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GIOVANNI PASCOLI E IL NAZIONALISMO

"La grande Proletaria s'è mossa"


Il lasso di tempo che precedette la conquista della Libia fu caratterizzato da un'intesa propaganda a favore dell'azione coloniale: può dare un'idea di quanto fosse dirommpente il fatto che fra tutti gli intellettuali impegnati vi fu persino un poeta come Giovanni Pascoli, che riflesse nelle sue opere tanto profondamente la semplicità dei sentimenti umani come il dolore e l'attaccamento alla natura.

La grande Proletaria s'è mossa, discorso pubblicato nel novembre 1911, si discosta dalla sua normale elaborazione poetica ed è un'esaltazione sincera della grande conquista coloniale del Regno, e si inserisce in quel confuso mosaico di interventisti formato da destra nazionalista, cattolici moderati, sinistra rivoluzionaria e giolittiani.

Nel testo ricorrono tutti i temi della propaganda degli anni precedenti, esaltati con tanta retorica piena di riferimenti al passato Romano e disprezzo verso il popolo libico, come si evince dal seguente passaggio:


<< [.] (riferendosi alla Libia) una vasta regione che già per opera dei nostri progenitori fu abbondevole d'acque e di messi, e verdeggiante d'alberi e giardini; e ora, da un pezzo, per l'inerzia di popolazioni nomadi e neghittose, è per gran parte un deserto. >>


L'esaltazione è anche verso la forza dell'esercito, non distruttiva e predatrice ma portatrice di civiltà e di umanità:


<< [.] in guerra, combattiamo e spargiamo sangue, e in prima il nostro, non per disertare ma per coltivare, non per inselvatichire e corrompere ma per umanare e incivilire, non per asservire ma per liberare. >>


La polemica si rivolge soprattutto alle nazioni che Corradini chiamava borghesi, accusandole di sfruttare il lavoro degli emigranti italiani nei loro paesi e di calunniare, dopo la sconfitta in Etiopia, le milizie italiane che furono fautrici del Risorgimento. Pascoli rivendica la natura proletaria della patria, accostandola all'aggettivo grande per rendere conto dei sacrifici che i suoi lavoratori compiono in terra straniera nonostante l'intolleranza dei padroni (riferendosi in particolare all'America che, ricorda Pascoli, proprio un italiano scoprì):


<< [.] Il mondo li aveva presi a opra, i lavoratori d'Italia; e più ne aveva bisogno, meno mostrava di averne, e li pagava poco e li trattava male e li stranomava. Diceva Carcamanos! Gringos! Cincali! Degos! Erano diventati un po' come i negri, in America, questi connazionali di colui che la scoprì [.] >>

Finalmente con la conquista libica gli italiani potranno finalmente lavorare in questa nuova terra considerandola come la propria patria, senza subire alcun tipo di umiliazione operando orgogliosamente sotto il vessillo tricolore senza aver il timore di dover rinnegare le proprie radici:


<< [.] Là i lavoratori saranno, non l'opre, mal pagate mal pregiate mal nomate, degli stranieri, ma, nel senso più alto e forte delle parole, agricoltori sul suo, sul terreno della patria; non dovranno, il nome della patria, a forza, abiurarlo, ma apriranno vie, colteranno terre, deriveranno acque, costruiranno case, faranno porti, sempre vedendo in alto agitato dall'immenso palpito del mare nostro il nostro tricolore. [.] >>


In particolare, la Libia viene considerata a tutti gli effetti non come colonia, ma come una sorta di "prolungamento" territoriale e giuridico dell'Italia, di cui essi stessi sono sovrani (concetto ripreso dal fascismo col nome di Grande Italia):


<< Veglieranno su loro le leggi alle quali diedero il loro voto. Vivranno liberi e sereni su quella terra che sarà una continuazione della terra nativa, con frapposta la strada vicinale del mare. Troveranno, come in patria, ogni tratto le vestigia dei grandi antenati.
Anche là è Roma. [.] >>


E' tuttavia errato considerare Pascoli come nazionalista, nonostate questo scritto dimostrerebbe l'esatto contrario: a differenza dei contemporanei, fieramente sostenitori della guerra in tutto e per tutto (come, ad esempio, Marinetti), il poeta romagnolo è identificabile come una sorta di socialista (come testimonia il suo passato politico) sicuramente non razionale e pragmatico come quello marxista, ma più morbido e improntato ad un'uguaglianza pacifica più che ad una ottenuta strenuamente con la lotta di classe. E' qua che lo si può differenziare con Corradini, colui che adattò il linguaggio di Marx ai rapporti fra le nazioni: mentre il politico nazionalista propugnava la lotta di classe fra le nazioni, Pascoli preferisce ottenere la rivalsa nazionale come una sorta di continuum spirituale e morale del Risorgimento; lo scopo è il riottenimento del prestigio (il posto al sole) dovuto di fronte alle nazioni mediante grandi azioni patriottiche come la conquista della Libia, però sempre rivendicando orgogliosamente il carattere proletario della nazione italiana.








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