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Impulsi: traduzione e trasformazione




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Impulsi: traduzione e trasformazione.


  • Morfologia degli impulsi: segni, simboli e allegorie.

Gli impulsi provenienti dai sensi e dalla memoria che arrivano al coordinatore sono trasformati in rappresentazioni, in immagini. La coscienza elabora tali strutture di percezione e reminiscenza al fine di elaborare risposte efficaci nel suo lavoro di equilibrare gli ambienti esterno ed interno. Mentre un insogno è un'immagine-risposta all'ambiente interno della coscienza, uno spostamento motorio è un movimento-risposta all'ambiente esterno dello psichismo, e anche questo spostamento è operato attraverso immagini. Nel caso delle ideazioni intellettuali portate a livelli segnici, contiamo su un altro tipo di immagine-risposta, che adempie funzioni di comunicazione: è il caso del linguaggio. Ma sappiamo anche che esistono determinati segni ed idee pure, astratte, che tornano all'interno dello psichismo.

D'altra parte, qualsiasi rappresentazione sorga nel campo di presenza del coordinatore suscita catene associative tra l'oggetto presentato e la sua compresenza. Così, mentre l'oggetto è colto con molta precisione nel campo della presenza, in quello della compresenza compaiono relazioni con oggetti non presenti ma vincolati all'oggetto in questione e che giocano un ruolo fondamentale nella memoria.

Il tema degli impulsi è importante per la forma particolare che il coordinatore ha di elaborare le rappresentazioni, operando su due percorsi: per via astrattiva, riducendo la molteplicità fenomenica ai suoi caratteri essenziali, perché un'attività astrattiva esiste che si tratti dei fenomeni del mondo esterno o di quelli del mondo interno, oppure per attività associativa. Le rappresentazioni si strutturano per similitudine, contiguità, contrasto e altre forme, minori, stabilendo ordinamenti differenti secondo il livello in cui operano.

Partendo da queste due vie, astrazione ed associazione, la coscienza organizza immagini all'interno di uno spazio di rappresentazione. Tali immagini sono nessi tra la coscienza che le forma e i fenomeni del mondo oggettuale (interno ed esterno) cui sono riferiti. Tra il mondo oggettuale e la coscienza non esisterebbe comunicazione senza questi fenomeni che, partiti come impulsi da alcuni dei percorsi generatori di tali immagini, si vanno a situare nello spazio di rappresentazione al livello corrispondente ed effettuano un'emissione di segnale sul centro corrispondente affinché il segnale, trasformato, si manifesti nel mondo esterno od interno.

Prima di arrivare alla coscienza, prima di giungere a quegli apparati astrattivi ed associativi, gli impulsi si vedranno fortemente tradotti e trasformati secondo le condizioni sensoriali prima e, successivamente, secondo il lavoro dei livelli di coscienza. Stiamo affermando che gli impulsi partiti dall'apparato sensoriale ed arrivati alla coscienza, coscienza in cui aprono o la via astrattiva o quella associativa, che questi impulsi possono, già prima di arrivare alla coscienza, essere trasformati o tradotti e, nell'essere trasformati o tradotti, aprire le differenti vie con informazioni non esattamente corrispondenti al dato arrivato al senso. La stessa cosa accade con dati che, provenienti dalla memoria, aprono le vie associativa od astrattiva nella coscienza ma che, prima di arrivare ad essa, hanno subito traduzioni e trasformazioni.

Poniamo l'accento ancora una volta su come da ciascun senso scaturiscano impulsi che presto si tradurranno in immagini corrispondenti, sebbene tali immagini non siano visive (salvo, naturalmente, quelle proprie della vista). Tutti i sensi lanciano un'emissione sensoriale che si traduce in un'immagine corrispondente al senso: immagini uditive, immagini tattili, cenestesiche, eccetera. In questo modo gli impulsi cenestesici produrranno immagini, ma i fenomeni di traduzione e trasformazione complicheranno le cose, a tal punto che compariranno immagini corrispondenti ad un senso quando, in realtà, tali immagini sono il risultato d'impulsi di un altro senso. Ecco che, per esempio, un dato cenestesico interno arriva alla coscienza e apre una via associativa od astrattiva ma, nell'arrivare alla coscienza, questo dato appare o si configura come immagine visiva mentre, in realtà la sua fonte principale è stata cenestesica. La cenestesia non informa mediante dati visivi, ma tuttavia si è verificata una traduzione dell'impulso, giunto poi alla coscienza. Del dato, che inizialmente era cenestesico, compare ora una rappresentazione visiva, uditiva o d'altro tipo. Seguire l'impulso in questione è molto difficile, precisamente per via di queste trasformazioni che intervengono strada facendo. Tutto ciò ha impedito a chi si occupa di questi temi di comprendere quale sia il funzionamento dell'apparato psichico, come funzioni la mobilità di un impulso, come sia la sua trasformazione, come avvenga la sua traduzione e quale sia la sua espressione ultima, tanto lontana dalle condizioni che la originarono.

Il problema del dolore acquisisce un'altra valutazione se comprendiamo ciò che produce dolore in un determinato punto e che può essere illusoriamente trasformato e tradotto per poi sperimentare nuove deformazioni al momento dell'evocazione. Quanto alla sofferenza, che è altro dal dolore, valgono le medesime considerazioni, poiché gli impulsi, nel trasformarsi in immagini non corrispondenti, metteranno in moto risposte anch'esse non corrispondenti agli impulsi iniziali della sofferenza. Ecco dunque che il problema del dolore e quello della sofferenza, considerati semplicemente come sensazioni, hanno una propria meccanica ma, siccome gli impulsi arrivano alla rappresentazione deformati e trasformati, è necessario ricorrere al lavoro dell'immaginazione per comprenderli nella loro totalità. Di conseguenza non basta spiegare il dolore semplicemente come sensazione: è necessario comprendere come questa sensazione, dolorosa o sofferente, si trasforma e traduce grazie sia all'immaginazione sia ai dati che provengono dalla memoria. Per concludere, numerose sofferenze non esistono in alcun luogo se non nelle immagini tradotte e trasformate dalla mente.

Parliamo ora degli impulsi prodotti in modo caratteristico nella coscienza, dopo aver preso strade particolari da noi conosciute come astrattive ed associative. Questi impulsi nella coscienza potrebbero aprire altri canali, ma noi ci occuperemo solamente di questi due.

Gli impulsi, nell'arrivare alla coscienza, si strutturano in modo caratteristico: questa strutturazione dipende, tra l'altro, dal livello di lavoro in cui si trova la coscienza in quei momenti. Le immagini che in seguito si producono saranno state strutturate in modo caratteristico. A queste strutturazioni create dagli impulsi diamo, generale, il nome di "forma". Se si pensa alle forme come entità separate dal processo psicologico si può arrivare a considerarle dotate di un'esistenza propria e a credere che le rappresentazioni vengano a riempire quelle forme. In realtà, le forme sono ambiti mentali di registro interno, che permettono di strutturare fenomeni differenti. Quando parliamo della "forma" di un fenomeno interno della coscienza stiamo facendo riferimento alla particolare struttura che tale fenomeno ha. Non parliamo di "forme" indipendenti bensì di come tali fenomeni si strutturano. Il linguaggio comune esprime tutto ciò in modo molto semplice: "Le cose sono organizzate in una forma speciale", dice la gente. "Le cose si fanno in una determinata forma, in una determinata maniera." A questo ci riferiamo quando parliamo di forma e, una volta che le immagini sono già partite dalle vie associative o astrattive, possiamo identificare le forme con tali immagini.

Possiamo, per esempio, parlare di forme come strutture di percezione. Ciascun senso ha la sua forma per strutturare i dati. La coscienza poi strutturerà quei dati con forme caratteristiche, corrispondenti alle differenti vie. Di un medesimo oggetto, per esempio, si possono avere forme differenti, secondo i canali di sensazione usati, secondo la prospettiva relativa all'oggetto in questione e secondo il tipo di strutturazione che la coscienza opera. Tutte le forme che si hanno di uno stesso oggetto possono farcelo sembrare quasi diverso da esso stesso, come se si trattasse di oggetti differenti, a seconda che l'oggetto in questione si percepito, per esempio, dall'udito o dall'occhio. Apparentemente si tratta di oggetti diversi, perché è diversa la strutturazione che si opera dei dati provenienti da quell'oggetto.

Nell'apprendimento c'è un problema particolare perché, a mano a mano che ci si avvicina ad ottenere un'immagine totale dell'oggetto, bisogna far corrispondere forme percettuali differenti. Ecco perciò che mi stupirò nell'ascoltare il suono di un oggetto che non coincide con l'immagine (uditiva) che mi sembrava dovesse corrispondergli. Ho tenuto quell'oggetto tra le mani, ne ho avvertito il peso, l' ho osservato con la vista: ma, quando l'oggetto cade a terra, produce un suono che mai avrei immaginato. Come faccio, allora, per far sì che dati sensoriali (uditivi, tattili, olfattivi e così via) strutturati in maniera tanto differente possano corrispondere alla mia struttura di coscienza? Ciò è possibile perché tutto questo sistema di percezione, nella sua diversità, si struttura all'interno di una forma di percezione che è legata a registri interni. Quando riconosco un oggetto affermo che esso può dare segnali diversi, segni diversi che sono codificazioni del registro. Quando, di un oggetto, ho un registro codificato, e quando tale oggetto si presenta alla mia percezione, allora posso considerarlo completo, anche qualora io abbia solamente una fascia della sua totalità. I segni, in me, risvegliano registri codificati. Non solamente quelli del linguaggio sono segni: ascolto una parola e, considerandola da un punto di vista concettuale, posso affermare che essa è un'espressione dotata di significato. Eppure, considerandola dal punto di vista della struttura della coscienza, la parola che mi arriva è un impulso il cui registro, per me, è codificato. Ecco dunque che una parola mette in moto numerose attività della mia mente, perché libera il registro che ad essa corrisponde; un'altra parola metterà in moto altre attività e via di seguito. Succede, però, che queste espressioni che mi arrivano sono strutturate con una determinata forma. Molte parole articoleranno frasi, articoleranno discorsi, articoleranno sequenze ed anche queste sequenze, a volte, funzionano come segni codificati. Ora il punto non è che io consideri la parola "casa" un segno perché, in me, è codificata come segno: il punto è che tutta una sequenza di parole è codificata in modo strutturato, cosicché queste strutture, queste forme d'organizzazione del linguaggio, anch'esse in me sembrano essere codificate.

Ciascuno dei differenti livelli di coscienza pone il proprio ambito formale. Ciò significa che i differenti livelli di coscienza strutturano i dati che arrivano alla mia coscienza in modo differente, in forma differente. Ciascun livello procede come la struttura dell'ambito più generale ed è legato a forme caratteristiche. Le forme che emergono nella coscienza dipenderanno, in grande misura, da quel livello, che sta ponendo il proprio ambito strutturante. Lo stimolo si tradurrà in forma, vale a dire che lo stimolo si convertirà in immagine quando la coscienza lo strutturerà dal proprio livello di lavoro. È così che uno stesso stimolo si tradurrà in forme differenti, in immagini differenti, e queste immagini si possono trasferire nella coscienza.

Come il segno in me codificato compare nuovamente lo riconosco e, con una forma caratteristica, appare situato nel mio spazio di rappresentazione. La mia coscienza può tradurre perfettamente l'immagine proveniente da un senso in immagini provenienti da altri sensi, perché, agli effetti del riconoscimento, una sola caratteristica o fascia di percezione può essere sufficiente a strutturare l'insieme oggettuale. Può così accadere che un dato proveniente dalla vista venga tradotto internamente in un dato proveniente dall'udito. Cioè, nella coscienza potrebbe innescarsi la traduzione di un dato percettivo, come se questo dato fosse arrivato da un altro senso. Perciò, anche quando il segno in questione risveglia immagini differenti, esse corrisponderanno l'una all'altra relativamente alla loro collocazione nello spazio di rappresentazione nonché alla funzione che poi assolveranno come immagine nel momento in cui lanceranno il proprio segnale al centro corrispondente. Mettiamo il caso che io ascolti il crepitio del fuoco, molto vicino a me; che io veda il fuoco, molto vicino a me; che io senta l'odore del fuoco, molto vicino a me; in ognuno di questi casi le percezioni che mi arrivano da canali differenti si struttureranno in una rappresentazione globale caratteristica. Tali percezioni saranno tutte intercambiabili, tutte sostituibili l'una con l'altra. Sostituibili e, dunque, traducibili. Esse sono situate allo stesso livello di rappresentazione, pronte a lanciare lo stesso tipo di segnale di pericolo. Perciò che io oda, veda o senta l'odore del fuoco, comunque le percezioni iniziali possono essere tradotte. Lo spostamento dei dati percettivi esterni mette in moto il mio registro interno. Se osservo una linea nello spazio e il mio occhio segue tale linea in una determinata direzione, anche nel mio registro interno noterò questo spostamento. In questo modo ciò che accade con l'occhio accade nel mio spazio interno di rappresentazione. Perciò il tipo d'immagine che appare all'esterno non è affatto indifferente, in quanto l'immagine corrispondente seguirà determinati movimenti, collocandosi in diversi punti e a diverse profondità del mio spazio interno. Basterebbe dunque studiare ciò che fa l'occhio seguendo determinati fenomeni di percezione per comprendere quel che accade internamente nel mio sistema di registro.


Segni


Esiste ciò che convenzionalmente si chiama "simbolo" e ciò che si chiama "allegoria", per quanto né l'una né l'altra di queste rappresentazioni sia stata definita con molta precisione. Internamente un simbolo è un'immagine che sorge dal canale astrattivo, un'allegoria è un'immagine che sorge dal canale associativo. Entrambe presentano differenze di strutturazione e, in generale, di forma. Le immagini partite dalla via astrattiva, riduttive e prive di caratteri secondari, sintetizzano un'ampia quantità di caratteristiche o astraggono l'essenziale di tutte le caratteristiche presenti, mentre le immagini corrispondenti alla via associativa sono immagini moltiplicative.

Esistono anche rappresentazioni che adempiono la funzione di codificare registri: a tali rappresentazioni diamo il nome di "segni". In questo senso la parola, per esempio, è un segno codificato che suscita in me un tipo di registro e che, inoltre, risveglia una gamma di fenomeni e processi. Se diciamo "incendio" ad una qualunque persona probabilmente non percepirà altro che la parola "incendio"; eppure, poiché in lei quel registro è codificato, le si risveglierà dentro un complesso sistema di reazioni. Con ogni parola che si esclama, con ciascun segno che si lancia, si evoca tale codificazione e le codificazioni che le sono immediatamente vicine.

I segni, sicuramente, provengono da vie differenti. Per esempio, muovendo le braccia, gesticolando in un determinato modo, posso stabilire un sistema di relazioni segniche con un'altra persona e, se le gesticolo di fronte in un certo modo, essa riceverà il dato che avrà codificato internamente. Ma che cosa succede con la codificazione interna di quel dato? Succede che, in tale persona, esso suscita lo stesso processo che ha generato l'immagine nell'altra persona, quella che ha lanciato il segno, cosicché si produce un fenomeno di sdoppiamento in cui, finalmente, arriviamo allo stesso registro. Se non arrivassimo allo stesso registro non vi sarebbe alcuna possibilità di comunicazione tra le persone. Se una persona mi indica qualcosa con un gesto io, di quel gesto, devo avere lo stesso tipo di registro interno che tale persona ha; infatti, se così non fosse, non potrei comprendere il significato che tale operazione riveste per lei. È grazie ai registri codificati che si possono stabilire relazioni tra le persone. Si tratti di parole, si tratti di gesti, si tratti di sguardi, si tratti di posture corporee in generale, in qualsiasi caso stiamo parlando di segni che stabiliscono una comunicazione grazie al fatto che, di tali segni, si ha la stessa codificazione di registro. Basta un gesto per far partire un intero sistema complesso di registri codificati. Con un solo gesto si può, per esempio, inquietare molto qualcuno.

Possiamo parlare di una segnica e studiarla nell'ambito della comunicazione tra persone. Espressione e significato formano una struttura e sono inseparabili. Quando il significato di un'espressione è sconosciuto perde la sua operatività. Le espressioni che ammettono significati differenti si comprendono grazie al contesto. Un segno può essere l'espressione di un significato o segnalarlo per carattere associativo. I codici di segnaletica sono realizzati tramite segni che indicano oggetti, fenomeni o attività. È chiaro che tanto il simbolo quanto l'allegoria possono adempiere funzioni segniche. Nel primo caso un segnale con un triangolo capovolto posto lungo la strada può segnalare l'azione da compiere relativamente alla viabilità; nel secondo caso, un fulmine disegnato su un segnale appeso a un filo spinato può significare "Pericolo: corrente elettrica".

Il nostro interesse è rivolto ai segni interni, o meglio a quei segni che stimolano registri codificati all'interno di ciascuno. Come il gesto è lanciato verso l'esterno come segno che l'altro interpreta, così anche numerosi segni, simboli ed allegorie possono essere posti nel mondo esterno e venire interpretati da altri.


Simboli


Un punto, nello spazio esterno, funziona nello stesso modo del punto nello spazio interno di rappresentazione. È provato che la percezione di un punto privo di riferimenti fa muovere gli occhi in ogni direzione, perché l'occhio è alla ricerca di parametri percettivi per inquadrarlo. La stessa cosa accade con un punto di rappresentazione. Davanti ad un punto immaginato si cercheranno parametri, riferimenti, fosse pure ai margini dello spazio di rappresentazione. Il punto sale, scende, si mette di lato da una parte o dall'altra e, per quanti sforzi si facciano per tenere fermo il punto, si noterà come l'"occhio interno" cerchi di trovare riferimenti interni allo spazio mentale. Ecco dunque che un punto privo di riferimenti porta gli occhi a muoversi in ogni direzione.

La linea orizzontale porta l'occhio nella propria direzione, la direzione orizzontale, senza sforzi particolari, mentre la linea verticale provoca un certo tipo di tensione. Nello spazio di rappresentazione, al fine di riuscire a collocare l'immagine in base ad "altezze" e "profondità", si evidenziano maggiori difficoltà di quanto non accada in senso orizzontale. Internamente si potrebbe seguire un movimento "orizzontale" costante che terminerebbe tornando alla posizione originale, mentre sarebbe più difficile "salire" e tornare dal "basso", in senso circolare, al punto d'origine. Perciò anche l'occhio può spostarsi con più facilità in senso orizzontale.

Due linee che s'incrociano portano l'occhio a dirigersi verso il centro e rimanere inquadrato.

La curva porta l'occhio a includere spazio, provocando la sensazione di limite tra ciò che si trova all'interno e ciò che si trova all'esterno della curva stessa e facendo scivolare l'occhio verso ciò che è compreso all'interno dell'arco.

L'incrocio di curve fissa l'occhio facendo emergere di nuovo il punto.

L'incrocio tra linea curva e linea retta fissa il punto centrale e rompe l'isolamento tra spazi inclusi e spazi esclusi dall'arco.

Le rette spezzate rompono l'inerzia dello spostamento dell'occhio e comportano un aumento di tensione dello sguardo. La stessa cosa accade con gli archi discontinui: se, nello spazio di rappresentazione, osservo una linea orizzontale e se si spezza questa linea orizzontale portandola verso il basso, l'inerzia comportata dal fenomeno si rompe, si "frena", provocando così un aumento della tensione. Se facciamo la stessa cosa con la linea orizzontale, ma spezzandola verso l'alto invece che verso il basso, il fenomeno che si produce è d'altro tipo, ma in ogni caso si rompe l'inerzia.

La ripetizione di segmenti uguali di rette o di curve discontinue porta il movimento dell'occhio nuovamente in un sistema d'inerzia. Diminuisce così la tensione dell'atto del guardare e si produce distensione, vale a dire il piacere del ritmo che si registra grazie alle curve che si ripetono o alle rette spezzate in segmenti che si ripetono e che è stato tanto importante nell'arte della decorazione. L'effetto del ritmo si verifica con facilità anche nel caso dell'udito.

Quando rette e curve terminano collegandosi in un circuito sorge il simbolo dell'inquadramento e del campo. Nello spazio di rappresentazione l'inquadramento maggiore è data dai limiti di tale spazio interno ma, naturalmente, è variabile. In ogni caso, però, i suoi limiti sono la cornice maggiore. Ciò che accade all'interno di tale inquadramento è interno al campo di rappresentazione. Prendiamo, ad esempio, un quadrato e collochiamo un punto all'interno del suo campo: noteremo allora un sistema di tensioni differenti, a seconda se il punto sia vicino ad una retta discontinua (un angolo del quadrato) o sia invece equidistante da tutti gli angoli. Nel secondo caso si noterà una sorta d'equilibrio. Possiamo poi togliere quel punto dal quadrato e collocarlo al suo esterno: noteremo allora come l'occhio abbia la tendenza ad includerlo nel campo del quadrato. Sicuramente la stessa cosa accadrà nella rappresentazione interna.

Quando rette e curve si separano dal circuito sorge un simbolo d'espansione (qualora rette e curve vadano in direzione di un'apertura) oppure un simbolo di contrazione (qualora esse vadano in direzione di una chiusura).

Una figura geometrica elementare agisce come riferimento di centri manifesti. C'è differenza tra centro manifesto (dove si incrociano linee) e centro tacito (dove l'occhio si dirige senza direzione di linee). Dato un quadrato, nel punto d'incrocio delle sue diagonali (quand'anche tali linee non siano state disegnate) troveremo il centro tacito, che si renderà manifesto solo quando vi si collochi un punto. I centri manifesti, pertanto, sorgono quando si tagliano curve o rette e la visione si ferma lì. I centri taciti sono quelli che appaiono come se fossero stati indicati, che operano come se il fenomeno esistesse. Il fenomeno non esiste, ma esiste il registro del fermarsi dell'occhio.

Nel cerchio non esistono centri manifesti. Esiste solamente il centro tacito, che provoca il movimento dell'occhio verso tale centro.

Il punto è il centro manifesto per eccellenza. Poiché non esistono né cornice né centro tacito, questo centro può spostarsi in qualsiasi direzione.

Il vuoto è il centro tacito per eccellenza. Poiché non esistono né cornice né centro manifesto, questo centro provoca un movimento generale verso di sé.


Quando un simbolo ne include un altro nel proprio campo, il secondo è il centro manifesto. I centri manifesti attraggono l'occhio verso di essi. Un centro manifesto collocato nello spazio di rappresentazione attrae verso di sé tutte le tensioni dello psichismo.

Due centri di tensione provocano un vuoto nel centro tacito, spostando la visione verso entrambi i poli e poi verso il centro del vuoto, creando così tensioni intermittenti.

Nel campo del simbolo di inquadramento tutti i simboli sono in relazione; collocando uno dei simboli all'esterno dell'inquadramento si stabilisce una tensione tra questo e l'insieme di quelli inclusi all'interno. Con lo spazio di rappresentazione, in quanto inquadramento maggiore, succede la stessa cosa: tutte le immagini tendono ad essere incluse presentemente in tale spazio e le immagini compresenti tenderanno ad esprimersi in tale spazio. Altrettanto accade tra i livelli nella loro relazione di immagini. Nello spazio di rappresentazione potrebbe esistere una determinata immagine (per esempio un'immagine ossessiva) che potrebbe impedire l'accostarsi di altre rappresentazioni. Ciò accade, per lo più, qualora l'attenzione stia agendo su un contenuto impedendo l'interferenza di altri. Ma potrebbe anche esistere un grande vuoto, che permetterebbe di manifestare con facilità i contenuti profondi che arrivassero nel suo campo.

I simboli esterni all'inquadramento sono in relazione l'uno con l'altro, solo per il loro riferimento all'inquadramento.

I segni, le allegorie ed i simboli possono servirsi reciprocamente da inquadramento o fare da collegamento tra inquadramenti.

Le curve concentrano la visione verso il centro e le punte disperdono l'attenzione all'esterno del campo.

Il colore non modifica l'essenza del simbolo, anche se gli dà più o meno peso come fenomeno psicologico.

L'azione di forma del simbolo si verifica nella misura in cui si registri tale simbolo; vale a dire che se una persona si trova all'interno di una costruzione e non sa se essa sia cubica, sferica o piramidale, l'azione di forma non si verifica. Ma se tale persona sa, o crede di sapere (per esempio sperimentalmente, con gli occhi bendati), di trovarsi all'interno d'una costruzione piramidale, sperimenterà registri molto diversi da quelli che sperimenterebbe se credesse di trovarsi all'interno di una costruzione sferica. Il fenomeno dell'"azione della forma" non si verifica in base alla forma in sé bensì in base alla rappresentazione che a tale forma corrisponde. Questi simboli, che operano come contenitori, produrranno numerose tensioni in altri contenuti; ad alcuni daranno dinamica, altri li includeranno, altri ancora li escluderanno e così via. In definitiva si stabilirà un sistema di relazioni specifiche tra contenuti, a seconda del tipo di contenitori simbolici che si configurino.


Allegorie


Le allegorie sono agglomerati di contenuti diversi in una sola rappresentazione. Per via delle origini di ciascun elemento si usa definire le allegorie come rappresentazioni d'esseri "immaginari" o favolosi, come per esempio una sfinge. Queste immagini, sebbene fisse in una rappresentazione, adempiono una funzione "narrativa". Se nominiamo "la Giustizia" per qualcuno potrebbe trattarsi solo di un'espressione priva di registro, oppure potrebbe rivestire vari significati che si presenterebbero secondo catene associative, ma potrebbe anche darsi il caso che questo qualcuno si rappresenti "la Giustizia" come una scena in cui diverse persone compiono attività giudiziarie, o ancora potrebbe apparirgli l'immagine di una signora con gli occhi bendati, una spada in una mano ed una bilancia nell'altra: quest'allegoria avrebbe sintetizzato i vari aspetti, presentando una sorta di narrazione in una sola immagine.

Le allegorie, nello spazio di rappresentazione, hanno una curiosa attitudine a muoversi, a modificarsi, a trasformarsi. Mentre i simboli sono immagini fisse le allegorie sono immagini che si trasformano, che mettono in moto una sequenza d'operazioni. È sufficiente che si liberi un'immagine di questa natura perché essa assuma vita propria e si metta a compiere operazioni in modo divagatorio; un simbolo invece, collocato in uno spazio di rappresentazione, va contro corrente rispetto alla dinamica della coscienza ed è un notevole sforzo cercare di mantenerlo senza divagazioni, che lo porterebbero a trasformarsi facendogli perdere le sue proprietà.


Si può portare fuori un'allegoria dalla dimensione interiore e situarla al di fuori, per esempio sotto forma di statua in una piazza. Le allegorie sono narrazioni trasformate in cui i diversi elementi si fissano o si moltiplicano per allusione, ma anche in cui si rende concreto ciò che è astratto. Il carattere moltiplicativo di ciò che è allegorico è chiaramente legato ai processi associativi.

Per comprendere l'allegorico sarà bene rivedere le caratteristiche dell'associazione d'idee. In un primo caso si afferma che a guidare la mente, quando questa cerca la somiglianza ad un oggetto dato, sia la similitudine; che a guidarla sia invece la contiguità quando la mente cerca ciò che è proprio di un oggetto dato o ciò che è, è stato o sarà in contatto con esso; che infine, quando cerca ciò che si oppone ad un oggetto dato o che è in relazione dialettica con esso, la guidi il contrasto.

Osserviamo come l'allegorico sia fortemente situazionale. E' dinamico e mette in relazione situazioni riferite alla mente individuale come accade nei sogni, in alcune divagazioni personali, nella patologia e nella mistica. Ma ciò accade anche nello psichismo collettivo: è il caso del racconto, dell'arte, del folklore, del mito e della religione.

Le allegorie adempiono funzioni differenti. Raccontano situazioni, compensando  difficoltà di completa comprensione. Quando insorge un fenomeno e non lo si capisce perfettamente lo si allegorizza e, invece di farne una descrizione precisa, si racconta una storia. Se non si sa bene che cosa accade quando tuona è probabile che si ricorra ad un racconto in cui qualcuno corre nel cielo; parimenti, se non si capisce come funziona lo psichismo, ecco che, per spiegare ciò che accade all'interno di se stessi, si ricorre ai racconti o ai miti.

Prendendo le situazioni allegoricamente si può intervenire sulle situazioni reali in modo indiretto, o per lo meno questo è ciò che crede chi ricorre all'allegoria.

Nell'allegorico il fattore emotivo non è dipendente dalla rappresentazione. Nei sogni sorgono allegorie che, se corrispondessero esattamente alla vita quotidiana, provocherebbero esplosioni di emozioni tipiche. Tuttavia, nel sogno si generano esplosioni di emozioni che non hanno a che vedere con le rappresentazioni in atto.

Facciamo un esempio: la persona che sogna si vede legata ai binari del treno che, con un rumore assordante, si avvicina a forte velocità, ma, invece di cadere nella disperazione, inizia a ridere, a tal punto da svegliarsi stupita.

Si può allegorizzare uno stato interno e dire, per esempio: "È come se mi sentissi cadere dentro un tubo". La sensazione interna che si sperimenta e si registra ha a che vedere con la disperazione, o con il vuoto e così via, ma tutto ciò lo si può allegorizzare come una "caduta dentro un tubo".

Per capire un sistema allegorico è necessario prendere in considerazione il clima che accompagna l'allegoria, perché è tale clima che ne denuncia il significato; e, qualora non vi sia accordo tra immagine e clima, per comprendere i significati profondi dobbiamo orientarci in base a quest'ultimo, non in base all'immagine. Quando il clima è in perfetto legame con l'immagine corrispondente non c'è problema nel seguire l'immagine, che, di fatto, è più facile da seguire: ma, qualora vi fosse discordanza, propenderemmo sempre per il clima.

Le immagini allegoriche tendono a trasferire energia ai centri,  per effettuare la risposta,. Naturalmente esiste un sistema di tensioni e un sistema di scarica di tali tensioni, e l'allegorico opera queste "connessioni da globulo rosso" che trasportano cariche lungo il torrente, in questo caso lungo il circuito della coscienza. Quando avviene uno spostamento di queste cariche, dell'allegoria che agisce su un centro, si produce una manifestazione energetica. Tali manifestazioni energetiche si possono osservare con chiarezza nel riso, nel pianto, nell'atto d'amore, nel confronto aggressivo e così via. Sono questi i mezzi più adeguati all'alleggerimento della tensione interna e, quando sorgono queste allegorie, normalmente tendono ad adempiere tale funzione di scarica.

Considerando la composizione dell'allegorico si può fare una sorta d'inventario delle risorse che ha a disposizione. Potremo così parlare, per esempio, dei "contenitori". I contenitori custodiscono, proteggono o racchiudono ciò che si trova al loro interno. I "contenuti", invece, sono gli elementi che si trovano inclusi in un ambito. Le "connettive" sono entità che facilitano o impediscono la connessione tra contenuti, tra ambiti o tra ambiti e contenuti. Gli "attributi", che possono essere manifesti o taciti (qualora siano nascosti), si riferiscono alle proprietà possedute dagli elementi allegorici o dall'allegoria nel suo complesso. Individuiamo poi i "livelli", la "consistenza", gli "elementi" e i "momenti di processo". Questi momenti di processo si allegorizzano, per esempio, come età. Infine dobbiamo indicare i "trasformismi" e le "inversioni".

Nel momento in cui c'interessiamo di un'allegoria, nel momento in cui cerchiamo di comprenderla, cerchiamo di stabilire determinate regole di interpretazione che ci aiutino a capire che cosa significhi quell'allegoria e quale funzione stia adempiendo nell'economia dello psichismo.


1. - Quando vogliamo dare un'interpretazione allegorica, per comprendere il sistema di tensioni in cui l'allegoria in questione si colloca riduciamo l'allegorico a simbolo. Il contenitore di un'allegoria è il simbolo, cosicché, se in un sistema allegorico appaiono varie persone che discutono in una piazza (quadrata od ovale, per esempio), questa sarà il contenitore maggiore (con il suo particolare sistema di tensioni armoniche alla conformazione simbolica) e al suo interno vi saranno le persone che discutono (i contenuti di questo simbolo). La riduzione simbolica considera la piazza come contenitore che impone il suo sistema di tensioni (per esempio tensione bifocale se la piazza è ovale) alla situazione in cui, conflittualmente, si sviluppano i contenuti (le persone che discutono).


2. - Cerchiamo di comprendere la materia prima dell'allegorico, vale a dire da quali canali proviene l'impulso principale: se proviene dai sensi (e se sì, da quale, o da quali); se proviene dalla memoria;  se proviene da una miscela di sensi e memoria, o da uno stato caratteristico di coscienza che tende a compiere queste articolazioni particolari.


3. - Cerchiamo di interpretare secondo leggi associative che seguono modelli comunemente accettati. Ecco dunque che, quando andiamo ad interpretare queste associazioni, dobbiamo chiedere a noi stessi che cosa significhi quell'allegoria, che cosa significhi per noi; e, se vogliamo interpretare un'allegoria che si trova nel mondo esterno, come per esempio un quadro, dovremmo chiedere a chi l'ha prodotta che cosa significhino per lui le allegorie in questione. Ma noi e chi ha prodotto l'allegoria potremmo essere separati da centinaia d'anni e, dati i significati propri della nostra epoca o della nostra cultura, difficilmente arriveremmo ad interpretare ciò che l'allegoria significava per l'economia dello psichismo di chi la produsse: ma potremmo arrivare ad intuire i significati propri di quell'epoca, o ad ottenere informazioni su di essi. Diciamo, perciò, che è sempre bene interpretare in base a leggi associative e secondo i modelli comunemente accettati. E, se si studia un'allegoria sociale, si deve indagarne il significato consultando le persone che sono o sono state agenti di tale sistema allegorico. Saranno tali persone a chiarirne il significato, non noi, giacché non siamo stati gli agenti di quel sistema allegorico e, pertanto, "infiltreremmo" i nostri contenuti (personali o culturali), deformando i significati. Esemplificando: qualcuno mi parla di un quadro che raffigura un'anziana. Se, nel domandare al mio interlocutore che cosa significhi per lui l'anziana del quadro, egli mi risponderà che significa "la bontà", io lo dovrò accettare e non potrò darne un'altra interpretazione infiltrando i miei contenuti personali e d il mio sistema di tensioni. Se chiederò a qualcun altro di raccontarmi l'allegoria dell'anziana piena di bontà dovrò attenermi a ciò che mi sarà detto; in caso contrario io, in modo dittatoriale e illegittimo, ignorerei l'interpretazione altrui, preferendo spiegare tutto in base a quel che succede a me. Ne consegue che se chi ha prodotto l'allegoria mi parla della "bontà", non ho motivo di interpretare tale "bontà" come un contenuto sessuale represso e deformato. Il mio interlocutore non vive in una società sessualmente repressa come la Vienna del secolo XIX e non partecipa dell'atmosfera neoclassica dei culterani che leggevano le tragedie di Sofocle: vive nel XX secolo, a Rio de Janeiro e, in ogni caso, partecipa di un'atmosfera culturale neopagana. Ecco allora che la soluzione migliore sarà quella di attenermi all'interpretazione dell'allegoria che ne dà l'autore, che vive e respira il clima culturale della città di Rio de Janeiro. Sappiamo bene dove siano andate a parare le interpretazioni di determinate correnti psicologiche ed antropologiche, che hanno sostituito i racconti e le interpretazioni delle persone direttamente coinvolte con le devozioni particolari del ricercatore.


4. - Cerchiamo di capire l'argomento. Distinguiamo tra argomenti e temi. Un argomento è il racconto, ma all'interno del racconto vi sono temi particolari. A volte i temi permangono e l'argomento varia, oppure cambiano i temi ma l'argomento rimane lo stesso. Ciò accade, per esempio, in un sogno od in una sequenza di sogni.


5. - Quando c'è coincidenza tra clima e immagine, si segue l'immagine.


6. - Quando clima e immagine non coincidono, il filo conduttore è il clima.


7. - Prendiamo in considerazione il nucleo d'insogno, che appare allegorizzato come immagine o come clima continuo (fissato), attraverso diverse allegorizzazioni e nel corso del tempo.


8. - Tutto ciò che svolge una funzione è quella stessa funzione e nessun'altra. Se in un sogno si uccide con una parola, quella parola è un'arma. Se con una parola si resuscita qualcuno o lo si cura, quella parola è uno strumento per resuscitare o curare, non altro.


9. - Si cerca di interpretare il colore, riconoscendo come nelle rappresentazioni allegoriche lo spazio di rappresentazione vada dallo scuro al chiaro in modo tale che, via via che le rappresentazioni salgono, lo stesso spazio si schiarisce mentre, a mano a mano che scendono, lo spazio si oscura. In tutti i piani dello spazio di rappresentazione possono apparire diversi colori e con diversa gradazione.


10. - Quando si comprende la composizione dei diversi elementi che configurano un sistema allegorico, quando si capisce la relazione tra i componenti e quando si può operare una sintesi relativa alla funzione che svolgono gli elementi e le loro relazioni, allora un livello d'interpretazione può considerarsi risolto. Naturalmente, se fosse necessario, si potrebbe approfondire con nuovi livelli d'interpretazione.


11. - Per comprendere il processo e lo svolgimento di un sistema allegorico bisogna riuscire ad avere, nel corso del tempo, varie sintesi interpretative. Ecco perciò che un'interpretazione completa in un determinato momento può non essere sufficiente se non si possono intravedere il processo o le tendenze verso le quali il sistema allegorico in esame potrebbe incamminarsi. A volte, nel corso del tempo, potrà essere necessario ricorrere a varie interpretazioni.



Operativa.


Lo spazio mentale che corrisponde esattamente al corpo è da me registrabile come somma di sensazioni cenestesiche.

Questo "secondo corpo" è un corpo di sensazione, di memoria e d'immaginazione. In sé non ha esistenza, sebbene di tanto in tanto alcuni abbiano preteso di attribuirgli un'entità separata dal corpo. È un "corpo" che si forma grazie alla somma delle sensazioni provenienti dal corpo fisico ma, a seconda che l'energia della rappresentazione vada verso un punto o un altro, mette in moto una parte del corpo o un'altra. Così, se un'immagine si concentra in un livello dello spazio di rappresentazione più interno o più esterno, ad un'altezza o ad un'altra, i centri del caso si mettono in moto, mobilitando energia verso il punto corporeo corrispondente.

Queste immagini che sorgono lo fanno, per esempio, grazie ad una determinata tensione corporea; andremo allora a cercare la tensione nel corpo, nel punto corrispondente.

Ma che cosa succede quando non c'è questa tensione nel corpo e, tuttavia, sullo schermo di rappresentazione appare un fenomeno di allegorizzazione? Può darsi che nel corpo tale tensione non sia presente, ma può anche darsi che un segnale, che partito dalla memoria agisce sulla coscienza e nella coscienza esplode come immagine, riveli come l'impulso della memoria abbia influito su qualche parte del corpo. In quel momento si è prodotta una contrazione che ha lanciato l'impulso, registrato nella coscienza e apparso sullo schermo come allegorizzazione, il che ci fa capire come il fenomeno stia lanciando il suo impulso da un punto del corpo. Questi fenomeni appartengono al passato, non sono presenti e non c'è una tensione permanente che stia agendo: e tuttavia questa tensione (che non è una tensione in sé, bensì un impulso impresso nella memoria) mette in moto una tensione con il registro cenestesico corrispondente per terminare infine con l'apparire come immagine. A seconda che nel sistema di registro si evochi un determinato "bit", un determinato segnale, e tale segnale sia lanciato al meccanismo della coscienza, potranno concomitantemente apparire fenomeni di contrazioni del corpo, o fenomeni d'irritazione del corpo.

Sto indagando fenomeni che al momento attuale non esistono, fenomeni che posso registrare nel mio stesso copro a mano a mano che sono evocati ma che non esistono costantemente nel corpo bensì nella memoria e che, nel momento in cui sono evocati, si esprimono nel corpo. È così che questo spazio di rappresentazione assume il carattere d'intermediario tra gli uni e gli altri meccanismi, perché è formato dalla somma delle sensazioni cenestesiche. In esso si manifestano fenomeni trasformati di sensazioni esterne o interne e in esso si esprimono fenomeni già prodottisi molto tempo fa e che sono situati nella memoria. Ancora in esso compaiono fenomeni che nel corpo in quel momento non esistono ma che, essendo prodotti dal lavoro immaginario del coordinatore stesso, finiscono per agire sul corpo.

A questo punto sarà opportuno fare una revisione delle attività che si orientano verso la modifica di determinati comportamenti psichici.

L'insieme delle tecniche che chiamiamo "Operativa" ci permette di operare sui fenomeni, di modificare i fenomeni. Tra le tecniche di "Operativa" includiamo diverse tecniche: tecniche che definiamo di catarsi, tecniche che definiamo di trasferenze e diverse forme di autotrasferenze.

In tempi recenti si è tornati ad usare la parola "catarsi". È comparso di nuovo un signore che si metteva in presenza di chi aveva problemi psichici e che di nuovo, come migliaia d'anni fa, gli diceva: "Amico, sciolga la lingua e mi spieghi i suoi problemi". Ed ecco che la gente scioglieva la lingua, spiegava i propri problemi e si verificava una sorta di lavaggio interno (o di "vomito" interno). A questa tecnica si attribuiva il nome di "catarsi".

Un'altra tecnica di Operativa fu chiamata anche "trasferenza". Si prendeva una persona che aveva già operato la propria catarsi e che aveva alleviato le proprie tensioni per addentrarsi in un lavoro un po' più complesso; questo lavoro consisteva nel far "transitare" la persona in questione attraverso differenti stati interni. Nel transitare attraverso tali stati la persona, che ormai non aveva più tensioni rilevanti, poteva muoversi nel proprio paesaggio interno spostando, "trasferendo", problemi o difficoltà. Il soggetto, immaginariamente, trasferiva contenuti opprimenti verso altre immagini prive di carica affettiva e che non rappresentavano una difficoltà biografica.

Precedentemente abbiamo parlato dei registri delle tensioni insiti nel semplice fatto di fare attenzione. Sapete bene a che cosa mi riferisco. Potete fare attenzione con tensione o senza: è molto diverso. A volte potete sciogliere quella tensione e fare attenzione. Normalmente si crede che, quando si elimina la tensione nel fare attenzione, ci si sta disinteressando del tema: non è così. Tuttavia molto tempo fa avete associato una certa tensione muscolare con il fatto di fare attenzione, e credete d'essere attenti quando siete tesi: ma nulla ha a che vedere l'attenzione con tutto ciò.

E che cosa succede con le tensioni in generale, non solo con quelle legate all'attenzione? In genere ubichiamo le tensioni in diverse parti del corpo, specialmente nei muscoli. Stiamo parlando delle tensioni muscolari esterne. Tendo un muscolo volontariamente e ho un registro di questa tensione. Tendo volontariamente i muscoli facciali e ho un registro di questa tensione. Tendo vari muscoli del mio corpo e ho un registro di questa tensione. Prendo familiarità con questa tecnica di tensione artificiale. M'interessa molto riuscire ad ottenere la maggior quantità di registri possibile, tendendo i vari muscoli del mio corpo, e altrettanto m'interessa dissociare quelle tensioni precedentemente provocate. Ho osservato che nel tendere un punto se ne tendono altri; cerco allora di rilassare quel punto, ma a volte gli altri muscoli che hanno accompagnato la tensione non si rilassano. Se si lavora con determinate parti del corpo si scopre che, nel voler tendere un punto, si tendono quel punto ed altri, mentre, nel rilassare quel punto, quel punto si rilassa ma gli altri no.

Questo non accade soltanto in questi lavori volontari: questo accade nella vita quotidiana. Infatti, di fronte ad un problema con cui ci si confronta quotidianamente, un intero sistema di muscoli, per esempio, diventa teso: scompare il confronto con l'oggetto e i muscoli in questione si rilassano, ma non così gli altri che hanno accompagnato il momento della tensione. Ancora un po' di tempo e finalmente tutto si rilassa: ma, a volte, passa un bel po' di tempo e gli altri punti non si rilassano.

Chi di voi non riconosce tensioni muscolari più o meno permanenti? C'è chi registra queste tensioni nel collo, a volte, oppure in altre parti del corpo. In questo stesso istante, se solo ci fate caso, potrete scoprire tensioni indebite che stanno agendo in diverse parti del corpo. Potete registralo voi stessi e, come vedete, ciò che state registrando in varie parti del corpo non adempie alcuna funzione.


Ebbene: operiamo una distinzione tra tensioni muscolari esterne di tipo situazionale e tensioni muscolari esterne di tipo continuo. Nelle tensioni situazionali il soggetto tende determinate parti del proprio corpo e, nel momento in cui scompare la difficoltà (nel nostro esempio, il confronto) scompare anche la tensione. Queste tensioni situazionali sicuramente adempiono funzioni molto importanti e si capisce che non abbiamo intenzione di eliminarle. Ma ci sono le altre, quelle non situazionali, quelle continue, e queste tensioni continue hanno la circostanza aggravante che, se si produce un determinato fenomeno di confronto, per di più, aumentano. In seguito diminuiscono di nuovo, ma conservando un livello di tensione continua.

Posso, con determinati procedimenti, rilassare le tensioni continue, ma ciò non garantisce che al mio interno non permangano vari sistemi di tensione. Posso lavorare con tutta la muscolatura esterna, posso fare tutti gli esercizi che voglio eppure, internamente, le tensioni continuano ad agire. Ora, di che natura sono queste tensioni interne? A volte sono di tipo muscolare profondo e, a volte, registro queste tensioni come irritazioni profonde, come irritazioni viscerali che danno impulsi e che configurano un sistema di tensione.

Quando parliamo di queste tensioni profonde stiamo parlando di tensioni che non sono molto differenti da quelle esterne, ma che posseggono una componente emotiva importante. Potremmo considerare questi due fenomeni come gradazioni di un medesimo tipo di operazione. Parliamo adesso di queste tensioni interne colorate emotivamente e definiamole come climi, non molto differenti dalle tensioni in generale ma con una forte componente emotiva.

Che cosa succede con alcuni fenomeni come la  depressione e le tensioni? Una persona è preda della noia (e la noia è parente della depressione), una persona per la quale una cosa vale quanto un'altra, che non ha preferenze speciali: potremmo dire che questa persona non ha tensioni. Forse registra se stessa come priva di vitalità, ma dietro tutto ciò è molto probabile che esista una forte componente emotiva. Nella situazione in cui questa persona si trova notiamo come esistano forti correnti emotive di tipo negativo e pensiamo che, se tali correnti emotive compaiono, è perché, pur non esistendo tensione muscolare esterna, ci sono tensioni interne che possono essere sia tensioni muscolari interne sia, in altri casi, fenomeni d'irritazione interna. A volte accade che non esista un sistema di tensioni continuo o d'irritazione continuo, ma che per via del confronto con una situazione data s'inneschino fenomeni mnemici, fenomeni di memoria che provocano un'esplosione interna e che sorga allora quel registro di mancanza di vitalità o di noia, o d'oppressione interna, o una sensazione di essere rinchiusi o così via.

Normalmente possiamo intervenire volontariamente sulle tensioni muscolari esterne; sui climi, invece, non possiamo intervenire volontariamente, perché hanno un'altra caratteristica: seguono il soggetto anche qualora sia uscito dalla situazione che ha motivato il clima. Ricorderete i fenomeni di trascinamento, quelli che seguono il soggetto anche quando la situazione è passata. Questi climi seguono il soggetto a tal punto che egli può cambiare completamente la propria situazione e transitare attraverso situazioni differenti un anno dopo l'altro ma continuare ad essere perseguitato dallo stesso clima. Queste tensioni interne si traducono in modo diffuso e totalizzante. Questo punto spiega anche le caratteristiche dell'emozione in generale, che lavora totalizzando, sintetizzando: non lavora riferendosi al punto particolare di una tensione del corpo, né tanto meno si riferisce ad un punto di dolore nell'intracorpo, che può essere localizzato molto facilmente: piuttosto si riferisce ad uno stato d'invasione della coscienza. Si tratta dunque di impulsi cenestesici non puntuali, questo è chiaro.

Quando il meccanismo di traduzione degli impulsi apporta immagini che corrispondono a quel clima diffuso, parliamo di corrispondenza tra clima e tema (esiste cioè un tema che corrisponde a quel clima). È dunque molto probabile che la persona che sperimenta un determinato clima dica, per esempio, che si sente "rinchiusa". Questo "sentirsi rinchiusi" è un tipo di rappresentazione visuale, che coincide con il registro emotivo; ci sono poi persone più esagerate che non dicono solo di "sentirsi rinchiusi" in generale, ma arrivano a dire di sentirsi rinchiusi in una cassa precisa e con precise caratteristiche. Tutto ciò, in stato di veglia, non gli è molto chiaro, ma non appena il loro livello di coscienza scende anche di poco ecco che appare la cassa in cui si trovano rinchiusi. Naturalmente quando i meccanismi di traduzione lavorano a pieno ritmo, quando i registri cenestesici sono più intensi e quando la via allegorica si mette in moto, è più facile individuare questi fenomeni.


A volte appaiono immagini che non corrispondono ai climi. Esistono infine casi in cui si registra il clima senza immagini. In realtà ci sono immagini cenestesiche in tutti i casi e collocare quest'immagine diffusa generale nello spazio di rappresentazione perturba le attività di tutti i centri, perché è da quello spazio di rappresentazione che le immagini lanciano la propria attività ai centri.

Il potenziale dei climi si abbassa per mezzo di scariche catartiche, per mezzo di abreazioni motorie che sono manifestazioni di quell'energia verso l'esterno del corpo; però, per quanto in queste occasioni si verifichi una diminuzione della tensione, non per questo se ne verifica lo spostamento né l'eliminazione.

Le tecniche che corrispondono alla trasformazione ed allo spostamento dei climi sono le tecniche transferenziali. Il loro obiettivo non è la diminuzione di una tensione interna bensì il trasferimento della carica da un'immagine ad un'altra immagine.

Non basta dire che i climi si generano unicamente grazie alla traduzione dei segnali delle contrazioni involontarie profonde e che tali contrazioni, captate tramite cenestesia, si trasformano in immagini diffuse che occupano lo spazio di rappresentazione. No, dire questo non è sufficiente. In primo luogo perché il registro può non essere puntuale bensì generale, come nel caso delle emozioni violente; e questi stati corrispondono a scariche che circolano in tutto l'organismo, senza riferirsi alla puntualità di una determinata tensione.

Quanto all'origine di questi fenomeni, essa può risiedere nei sensi interni oppure agire dalla memoria, o ancora agire dalla coscienza. Quando l'impulso corrisponde ad un fenomeno prettamente corporeo la cenestesia prende questo dato ed invia il segnale corrispondente che appare come immagine diffusa, vale a dire non visualizzabile (come immagine cenestesica, non come immagine visiva). La cenestesia allora invia il segnale corrispondente ed appare l'immagine diffusa, che in ogni caso si genera nello spazio di rappresentazione.

C'è chi afferma che quando si arrabbia "vede rosso", o che il suo spazio di rappresentazione si modifica e l'oggetto che gli provoca la rabbia lo vede "più piccolo"; altri dicono di vederlo "più nitido" e così via. Non stiamo parlando dell'impulso localizzato bensì dello stato diffuso, emotivo, che in ogni caso è partito dal registro cenestesico e si è tradotto in immagine cenestesica non visualizzabile. A volte ci sono anche traduzioni visualizzabili, ma non è questo il caso. Tale "apparizione" dell'immagine non visualizzabile si dà nello spazio di rappresentazione e mette in moto, fondamentalmente, i centri istintivi. Di tutto quel che è successo si crea un registro in memoria: se, invece, il primo impulso proviene da sensi esterni ed alla fine del circuito d'impulso si mettono in moto anche in questo caso i centri istintivi, ciò si imprime in memoria associato alla situazione esterna. Questo dà luogo ad una memorizzazione in cui l'impulso esterno, l'impulso provenuto dall'esterno, resta ora legato ad uno stato corporeo interno.

Torniamo al primo caso, quello in cui l'impulso interno parte per disordine vegetativo, per esempio. Anche in questo caso esiste una memorizzazione situazionale associata, se i sensi esterni, da parte loro, stanno lavorando. Ma se ciò si verificasse quando i sensi esterni non lavorano o lavorano in modo molto leggero (come nel livello del sonno), allora la memorizzazione situazionale potrebbe riferirsi unicamente a dati di memoria, giacché in questo momento si produrrebbe, restando a sua volta in memoria alla fine del circuito, una strana associazione tra fenomeni di un tempo 2 (vale a dire, il registro cenestesico) e fenomeni di un tempo 1 (vale a dire il dato di memoria).

Abbiamo visto casi in cui la partenza dell'impulso è dall'intracorpo, e si associa a situazioni di percezione esterna, e casi in cui lo stesso impulso è invece associato a memoria, perché, in quel momento, i sensi esterni non stanno lavorando. Abbiamo poi visto anche il caso dell'impulso che parte da sensi esterni e termina col mettere in moto registri cenestesici interni, essendo possibile, a partire da quel momento, che la situazione esterna ed il registro interno rimangano impressi in memoria.

Da parte sua la memoria può inviare impulsi e, nel mettere in moto i registri, liberare catene associative di immagini (non solo visive ma di qualsiasi altro senso, cenestesia inclusa), che a loro volta risvegliano nuovi invii di dati; si configura così uno stato emotivo climatico che ora però si associa alla nuova situazione che si sta percependo grazie ai sensi esterni.

Infine, la coscienza stessa, nella sua elaborazione di immagini, può mettere in moto tutto ciò che abbiamo detto e a questo aggiungere la propria attività, cosicché nella memoria alla fine si imprimono situazioni esterne associate ad elementi immaginari. In tutti i modi, la concatenazione sensi-memoria-coscienza è indissolubile, non lineare e, naturalmente, strutturale.


Ecco dunque che se la prima "esplosione" è dolorosa e fisica, la configurazione finale può essere di sofferenza morale e presentare autentici registri cenestesici fortemente impressi nella memoria ma associati semplicemente all'immaginazione. Spesso il dolore fisico sfocia in sofferenza morale, articolata con elementi illusori ma registrabili, il che c'insegna come l'illusorio, pur senza possedere un'esistenza "reale", sia registrabile grazie a diverse concomitanze che possiedono un'indubitabile realtà psichica. Dire che un fenomeno è "illusorio" non è una grande spiegazione, né lo è di più dire che le illusioni si registrano così come le percezioni chiamate "non illusorie". Per la coscienza la sofferenza illusoria ha un suo registro reale. È qui, nella sofferenza illusoria, che la trasferenza ha le più grandi possibilità di lavoro. Differente quel che accade con gli impulsi dolorosi fondamentali, tradotti o trasformati, che si possono anche spogliare di altri componenti illusori senza che per questo scompaia il dolore fisico: ma non è questo il tema proprio della trasferenza.

La concatenazione automatica della sofferenza può essere dissociata, ed è a questo che punta, in modo principale, la trasferenza. Consideriamo la trasferenza uno dei tanti strumenti dell'Operativa, destinato fondamentalmente a disarticolare la sofferenza, a liberare la coscienza da contenuti oppressivi. Come la catarsi libera cariche e produce sollievi provvisori, anche se a volte necessari, così la trasferenza punta al trasferimento di queste cariche in modo permanente, per lo meno per quanto concerne un determinato problema specifico.

Vediamo ora alcuni aspetti del funzionamento compensatorio degli apparati dello psichismo. Le soglie dei diversi sensi variano in struttura e le soglie dei sensi interni variano in modo compensatorio rispetto alle soglie dei sensi esterni. Quando gli impulsi dei sensi esterni diminuiscono, i fenomeni della soglia cenestesica entrano nella percezione e iniziano ad emettere segnali. Stiamo dicendo che, quando diminuisce l'impulso esterno, gli altri fenomeni interni che stavano lavorando a livello di soglia, e che non registravamo, appaiono in modo registrabile. Per tanto, nella caduta di livello della coscienza, si può percepire l'insorgere di fenomeni dell'intracorpo che, in veglia, non apparivano. Nel momento in cui scompare il rumore dei sensi esterni questi diventano palesi. Nella caduta di livello appaiono gli impulsi interni che, imboccando canali associativi, danno segnali alla coscienza. Quando tale via associativa si risveglia i fenomeni di traduzione operano con grande forza.

Torniamo ai problemi legati ai fenomeni di traduzione e trasformazione d'impulsi. Di un oggetto che percepisco visivamente riconosco altre caratteristiche non visive, che posso percepire a seconda della situazione. Nel corso della mia esperienza di vita tali differenti percezioni di uno stesso oggetto mi si sono progressivamente associate in memoria: ho un registro articolato delle percezioni. Quel che ora stiamo prendendo in considerazione va al di là della strutturazione che la percezione compie rispetto ad un singolo senso: stiamo considerando la strutturazione che si realizza di fronte a un oggetto per via della somma dei dati di sensi differenti che progressivamente, nel corso del tempo, si sono incorporati alla memoria. Conto sull'articolazione di differenti caratteristiche di ogni oggetto, in modo tale che, prendendone una, escono fuori le altre caratteristiche associate. Questo è già il meccanismo fondamentale della traduzione degli impulsi. Ma che cos'è che si traduce? Facciamo un esempio. Un impulso uditivo risveglia registri mnemici, registri in cui gli impulsi visivi di quel momento erano associati ad impulsi uditivi. Adesso mi arriva solamente l'impulso esterno uditivo e, nel mio spazio di rappresentazione, compare il registro visivo. In stato di veglia ciò accade spesso, ed è grazie a questo meccanismo d'associazione dei sensi, a questa strutturazione dei sensi, che possiamo configurare fasce rilevanti del mondo esterno.

Come lo spazio di rappresentazione inizia ad articolarsi sin dalla prima infanzia, così anche il mondo oggettivo si articola sin dalla prima infanzia. In questa fase dell'apprendimento i bambini non sembrano articolare coerentemente i vari registri che hanno di un medesimo oggetto. Come abbiamo chiarito a suo tempo, i bambini non distinguono bene tra il proprio corpo e il corpo della madre. Inoltre non mettono bene in rapporto il tipo di stimolo che arriva ad un senso con la funzione che quell'oggetto può adempiere. Ancora, confondono l'apparato di registro, in tale maniera che a volte vediamo un bimbo portarsi all'udito, all'orecchio, un oggetto che vorrebbe mangiare e li vediamo anche fare altri tipi di scambio; non articolano tutto il complesso sistema della percezione, non lo articolano in modo più o meno coerente, né è articolato in modo coerente il loro spazio di rappresentazione. Un edificio lontano naturalmente sarà percepito di dimensioni più piccole di uno vicino, eppure allungano le mani per afferrarne i comignoli o, forse, una finestra per mangiarla. Ci sono bambini che lo fanno con la Luna che, naturalmente, non è raggiungibile da mano umana, o forse dovremmo dire che non lo era. La visione stereoscopica, che ci dà profondità permettendoci di articolare le differenti distanze nello spazio, nel bambino ha un lento processo di configurazione. Parallelamente lo spazio interno di rappresentazione acquista volume. È chiaro che non si nasce con la stessa articolazione oggettuale degli adulti; quel che avviene è che i dati portati dai sensi metteranno in grado l'apparato psichico di svolgere il proprio lavoro, sempre basandosi sulla memoria.

Stiamo studiando i primi fenomeni della traduzione d'impulsi. Per esempio, un fenomeno che incide su un senso scioglie una catena in cui appaiono le immagini corrispondenti ad altri sensi ma in rapporto con lo stesso oggetto. Che cosa succede in quegli strani casi d'associazione in cui le caratteristiche di un oggetto si trasferiscono su un altro oggetto? Ecco qui una traduzione assai più interessante. Prendiamo un signore che ascolti il suono di una campana e non evochi l'immagine di una campana bensì quella di un familiare. In questo caso non si sta mettendo in relazione l'oggetto che si ode con l'oggetto che si è visto in quel momento, con l'oggetto che si è udito in quel momento, no: in questo caso si sta associando quell'oggetto ad altri fenomeni, ad altre immagini che avevano accompagnato la memorizzazione di quel momento e che, però, non si riferivano all'oggetto in questione bensì ad un altro tipo d'oggetto. Primariamente, ad un determinato oggetto, si associano le sue differenti caratteristiche percettuali; ma andiamo oltre e parliamo di un oggetto cui non solo si associano le sue differenti caratteristiche ma anche tutti quei fenomeni che con l'oggetto sono stati in rapporto. Questi fenomeni chiamano in causa altri oggetti, altre persone, intere situazioni. Parliamo dunque del fenomeno della traduzione d'impulsi che non si riferisce solo alle caratteristiche di uno stesso oggetto ma anche a quelle di altri oggetti e strutture situazionali che si erano associate all'oggetto in questione. Sembra, dunque, che la strutturazione si effettui mettendo in relazione diverse percezioni di uno stesso oggetto e secondo il contesto situazionale.

Andiamo più in là. Quel che accade è che, siccome esiste l'impulso interno, il soggetto, qualora tale impulso interno abbia il sufficiente potenziale di segnale necessario ad arrivare alla soglia di registro, nel momento in cui percepisce il suono della campana prova una curiosa emozione. Non sta più traducendo impulsi, o associando impulsi tra le diverse caratteristiche di quell'oggetto e di altri che l'accompagnano, o tra intere strutture di percezione, no, il soggetto fa qualche cosa di più: sta traducendo tra strutture di percezione completa e strutture del registro che le aveva accompagnate in quel momento.

Se abbiamo visto come si possa tradurre l'impulso corrispondente ad un senso e trasferirlo ad un altro, allora perché non dovremmo essere in grado di tradurre anche gli impulsi che sono registrati dai sensi esterni e che per contiguità evocano impulsi che sono stati impressi in memoria dai sensi interni? Non è molto più difficile. Il punto è che il fenomeno mette un po' di timore e ha caratteristiche sempre più vaghe a mano a mano che il livello di coscienza diminuisce: ma la sua meccanica non è particolarmente strana.

Ricordiamo che la memoria studiata per strati, come la memoria antica, la memoria mediata e quella recente, è sempre in movimento. La materia prima più prossima è quella del giorno in corso, in cui abbiamo i dati più freschi. Ma ci sono anche numerosi fenomeni associati che si riferiscono alla memoria antica e questi ci mettono in difficoltà, giacché il registro di un oggetto che può essere associato a fenomeni recenti è accompagnato, dal punto di vista della traduzione, a fenomeni di memoria antica. Questo è straordinario e succede in particolare con determinati tipi di senso. Il senso dell'olfatto, per via della sua strutturazione, è il più ricco in questo genere di produzioni. Il senso dell'olfatto, infatti, suole risvegliare catene associative molto ampie di tipo situazionale, molte delle quali estremamente antiche. Conoscete l'esempio: si percepisce la qualità di un determinato odore e appaiono immagini complete dell'infanzia. Ma come si risvegliano queste immagini? Forse ricordate quello stesso odore, semplicemente lo stesso odore, dopo più di vent'anni? No. Ricordate un'intera situazione passata, antica, che è saltata fuori grazie alla percezione attuale dello stesso odore.

La traduzione d'impulsi, che inizialmente è sembrata semplice e di facile ricerca, termina in maniera complessa. Aree diverse della memoria, strutturazioni apparentemente incoerenti della percezione, registri interni che si associano a fenomeni percepiti esternamente, produzioni immaginarie che a volte interferiscono col registro esterno e vi si associano, operazioni della memoria che, nel tradursi, imboccano le vie associative di un livello di coscienza, tutto ciò rende più difficile la comprensione dello schema generale.

Finora abbiamo esaminato come gli impulsi si associno e si traducano l'uno nell'altro: ma esistono anche fenomeni molto curiosi, vale a dire i fenomeni di trasformazione. L'immagine, che era strutturata in un modo, inizia ben presto ad assumere altre configurazioni. Questo processo, che avviene nelle vie associative e in cui gli impulsi associati che sorgono nello spazio di rappresentazione acquistano vita propria iniziando a deformarsi e trasformarsi, ci mostra una mobilità che si sovrappone ad un'altra mobilità. Questi sono i problemi che troviamo nelle tecniche di trasferenza. Dobbiamo dare stabilità a tutto questo, dobbiamo poter contare su qualche genere di leggi generali che ci permettano di operare in questo caos in movimento. Abbiamo bisogno di alcune leggi operative, qualche cosa che risponda sempre, nelle stesse condizioni, dando gli stessi risultati: il che esiste, perché, fortunatamente, il corpo ha una certa stabilità. È grazie al fatto che il corpo ha una certa permanenza che siamo in grado di operare; ma se questo accadesse nel mondo psichico, esclusivamente, non sarebbe possibile operare in alcun modo, non ci sarebbe alcun punto di riferimento.

Il riferimento oggettuale corporeo è ciò che ci permette di affermare che un dolore in una determinata zona del corpo, anche se si traduce in modi diversi, evoca diverse contiguità di immagini, crea miscele di memorie e tempi, ciò nonostante è un fenomeno che sarà individuato in una determinata zona dello spazio di rappresentazione. Grazie alla stabilità del corpo possiamo comprendere molti altri fenomeni curiosi e molte funzioni. Questo corpo è un vecchio amico, un buon compagno che ci fornisce punti di riferimento per muoverci nello psichismo. Non abbiamo altro modo.

Vediamo ora che cosa succede con lo spazio di rappresentazione e con i fenomeni che s'innescano a partire da esso.

Immagino una linea orizzontale davanti ai miei occhi. Poi chiudo gli occhi: dove l'immagino? Ebbene, l'immagino davanti e fuori. Immagino ora il mio stomaco: dove l'immagino? In basso e dentro. Adesso immagino quella linea nello stesso luogo in cui è lo stomaco e ciò mi crea un problema di ubicazione. Se poi immagino lo stomaco davanti a me e fuori di me, anche questo mi creerà un problema di ubicazione. Quando immagino lo stomaco in basso e dentro non solo immagino lo stomaco ma ho anche un registro cenestesico di esso e questo è un secondo componente della rappresentazione. Ora, posso anche immaginare lo stomaco davanti a me, verso l'alto e al di fuori di me, ma non ne ho lo stesso registro cenestesico; ne consegue che l'immagine, quando si situa nel luogo che le corrisponde, ha anche il componente cenestesico di registro che ci dà un importante riferimento. Se fate un piccolo sforzo, potete immaginare di avere lo stomaco verso l'alto e all'esterno di voi: ma come lo immaginate? Forse come un disegno, come l'avete visto nei libri. Se invece lo immaginate in basso e dentro, ebbene: come lo immaginate? Sempre come il disegno? Impossibile. Ne avete un'immagine visiva? Impossibile. Potreste averne associata una per via del fenomeno della traduzione, ma che cosa significa immaginarlo nello spazio di rappresentazione, in basso e dentro? Significa lavorare con altro tipo d'immagine, un'immagine cenestesica.

Ecco allora che, a seconda che si situi l'immagine in un punto o in un altro dello spazio di rappresentazione, a un determinato livello di profondità o ad un altro, non solo si avrà il registro di tale immagine ma si avrà anche la rappresentazione cenestesica corrispondente a tale spazio e tale profondità. Quando gli oggetti situati nello spazio di rappresentazione sono osservati "dal fondo" di tale spazio diciamo che stiamo lavorando con l'articolazione vigilica. Vale a dire che vediamo i fenomeni esterni a noi (o definiti "esterni" a noi) come se fossero fuori della nostra testa.

Ora posso immaginare oggetti lontani che siano fuori della mia testa. Da dove registro queste immagini? Dall'interno della mia testa, questa è la sensazione che ho. Tuttavia non sostengo che questi oggetti siano dentro la mia testa. Se adesso quest'oggetto che immagino fuori di me lo colloco immaginariamente dentro la mia testa avrò un registro cenestesico, oltre all'immagine che ho collocato all'interno della mia testa.

Secondo il livello di profondità interno allo spazio di rappresentazione arriveremo a possedere un tipo di registro esterno o un tipo di registro cenestesico. Ciò è piuttosto importante al fine di comprendere il fenomeno trasferenziale posteriore.

Posso immaginare, dal fondo di questa sorta di schermo, i fenomeni che sono fuori della mia testa e, pure, immaginando fenomeni che siano invece dentro la mia testa, avere una collocazione all'interno di questo spazio mentale. Posso fare uno sforzo ulteriore ed immaginare quest'oggetto interno alla mia testa come se lo vedessi contemporaneamente in diversi momenti e da diversi punti di vista. È possibile vedere l'oggetto da diversi punti di vista come se "colui che rappresenta" fosse intorno all'oggetto ma, normalmente, si rappresenta l'oggetto a partire  da un certo "fondo".

Ci sono parecchi inconvenienti con lo spazio mentale situato verso la parte posteriore della testa, non invece con quello situato nella parte anteriore. Quasi tutti i sensi esterni sono ubicati nella zona anteriore della testa; è così che si percepisce il mondo e si articola lo spazio mentale che gli corrisponde. Partendo dalle orecchie e andando verso la parte posteriore, invece, rappresentazione e percezione diventano più difficili.

Alle vostre spalle ci sono le tende di questa sala, potete immaginarle senza vederle. Ma, quando nello spazio di rappresentazione si osservano le tende che sono in fondo, ci si può domandare: da dove vedete le tende? Le vedete dallo stesso schermo, solo che in esso si è prodotta una sorta d'inversione. Non siete dietro alle tende, siete nello stesso luogo d'osservazione interno e le tende ora vi sembrano fuori di voi, ma dietro. Questo ci crea qualche problema, ma in ogni caso continuiamo a stare nel trasfondo dello spazio di rappresentazione.

Questo spazio di rappresentazione crea alcuni problemi "topografici". Immaginiamo adesso fenomeni che si diano lontano da questa sala, fuori di questa sala. Non posso certo sostenere che la mia coscienza sia fuori di questa sala: tuttavia includo questi oggetti nel mio spazio di rappresentazione. Ecco, questi oggetti sono situati all'interno del mio spazio di rappresentazione. Ma dov'è allora lo spazio di rappresentazione, se si riferisce ad oggetti che stanno fuori? Questo fenomeno illusorio è estremamente interessante, perché la rappresentazione degli oggetti può estendersi fuori dello spazio percettivo immediato dei miei sensi ma mai arrivare fuori del mio spazio di rappresentazione; ne consegue che il mio spazio di rappresentazione è assolutamente interno e mai esterno.

Chi non comprendesse appieno tutto ciò, chi lo fraintendesse, potrebbe credere che lo spazio di rappresentazione si estenda dal corpo verso l'esterno, mentre in realtà lo spazio di rappresentazione si estende verso l'interno del corpo. Questo "schermo" si configura grazie alla somma degli impulsi cenestesici che offrono continui riferimenti. Tale schermo è interno e non è che in questo schermo vi si proiettino i fenomeni che immagino fuori; in tutti i casi io li immagino dentro, anche se ai diversi livelli di profondità di questo schermo interno.

Quando affermiamo che le immagini che nascono in diversi punti dello spazio di rappresentazione agiscono sui centri resta chiaro che non potrebbero agire sui centri se lo schermo si trovasse all'esterno. Le immagini agiscono sui centri perché, anche qualora il soggetto creda che tali fenomeni si trovino all'esterno, questi impulsi vanno verso l'interno. A questo punto sarà bene chiarire che non sto minimamente negando l'esistenza dei fenomeni esterni; sto, questo sì, analizzando la loro configurazione, giacché tali fenomeni attraversano i filtri della mia percezione e si articolano nello schermo di rappresentazione.

A mano a mano che il livello di coscienza cade si modifica la strutturazione dello spazio di rappresentazione e quei fenomeni che prima erano visti da dentro credendoli fuori ora, con la caduta del livello di coscienza, sono visti fuori credendoli dentro oppure sono visti dentro credendoli fuori. Dov'è quel fondo dello schermo nel quale mi trovavo quando mi riferivo a fenomeni esterni immaginati, dov'è ora nei miei sogni, quando "io" stesso mi vedo esterno a "colui" che vede? Senza contare che mi vedo da sopra, da sotto, da lontano, da più vicino e così via. Ne consegue che ora i limiti dello spazio di rappresentazione acquistano veramente caratteristiche interne. Lo spazio di rappresentazione, alla caduta di livello della coscienza, si fa più interno, perché gli stimoli dei sensi esterni sono scomparsi ed il lavoro di quelli interni si è rafforzato. Nel momento in cui gli impulsi cenestesici si rafforzano lo spazio di rappresentazione interno ha acquisito pienezza; accade, ora, che questi fenomeni avvengano all'"interno" dello spazio di rappresentazione in quanto tale. Compaiono immagini in cui lo spazio di rappresentazione acquisisce caratteristiche più rilevanti, secondo la rilevazione compiuta dagli impulsi della cenestesia. Nei sogni lo spazio di rappresentazione presenta limiti simili a pareti o contenitori di vario tipo e, a volte, è raffigurato come la testa stessa all'interno della quale stanno avvenendo tutti gli altri fenomeni onirici. Quando il livello di coscienza cade, il maggiore dei contenitori è precisamente il limite dello spazio di rappresentazione.


I centri istintivi (quello vegetativo e quello sessuale) si mettono in moto con forza quando il livello di coscienza cade, anche se esistono alcune concomitanze di tipo emotivo, altre intellettuali e quasi nessuna concomitanza motoria. Quando il situarsi dei fenomeni avviene nello spazio di rappresentazione corrispondente al livello di coscienza basso, il maggior lancio  di immagini colpisce il centro vegetativo ed il sesso, che sono i centri più interni e lavorano con registri di sensazioni cenestesiche, mentre gli altri centri sono in genere molto legati ad impulsi che provengono dai sensi esterni. D'altra parte, immagini che nella vita quotidiana non mettono in moto cariche o scariche rilevanti per i centri menzionati, possono essere di grande potenza nella caduta del livello di coscienza. A loro volta, dal lavoro di questi centri, si configurano forti immagini interne, giacché del lavoro dei centri si ha una percezione che si converte in immagine. Questo fenomeno è reversibile e, come lo spazio di rappresentazione si configura per via degli impulsi cenestesici, così anche qualsiasi immagine che si situa in un determinato livello dello strato interno dello spazio di rappresentazione agisce sul livello corporeo che ad essa corrisponde.

Torniamo ad esaminare ciò che avevamo affermato sulle associazioni oggettuali dei diversi sensi, sulle traduzioni degli impulsi relative ad uno stesso oggetto, sulle associazioni oggettuali tra oggetti e situazioni e sulle traduzioni degli impulsi di un oggetto rispetto ad altri oggetti che lo circondano. Le associazioni oggettuali, riferite a situazioni esterne ed a situazioni interne (vale a dire ad impulsi cenestesici), sono registri complessi che progressivamente si imprimono nella memoria. Queste impressioni esistono sempre come sfondo di qualsiasi fenomeno di rappresentazione (vale a dire d'immagine) e sono legate a zone e profondità precise dello spazio di rappresentazione.

Possediamo già alcuni elementi necessari a comprendere ciò che accade nello spazio di rappresentazione con il transito delle immagini nei livelli del sogno e del dormiveglia, e abbiamo ormai capito i primi passi di quelle che chiameremo "tecniche di trasferenza". Tali tecniche saranno efficaci, saranno in grado di raggiungere i loro obiettivi, se effettivamente i fenomeni che appaiono sullo schermo di rappresentazione ai livelli bassi della coscienza metteranno in moto, nel trasformarsi, varie parti del corpo, varie tensioni nel corpo, o se porteranno alla luce fenomeni mnemici che producono tensioni espresse da immagini corrispondenti. Agendo su queste immagini modifichiamo il sistema di associazioni che hanno motivato quelle tensioni.

Il nostro problema, in queste tecniche di trasferenza, sarà associare o dissociare climi e immagini: vale a dire separare i climi dai temi.

A volte ci si presentano situazioni nelle quali dobbiamo associare un'immagine ad un clima, perché senza tale immagine avremmo a disposizione solo immagini cenestesiche ma non visualizzabili; e, non essendo queste visualizzabili, non potremmo spostarle a diverse altezze e diversi livelli nello spazio di rappresentazione. Ci troveremmo dunque obbligati ad associare a determinati climi determinate immagini, per poi far muovere tali immagini nello spazio di rappresentazione e con ciò "trascinare" i climi. Se non procedessimo così il clima diffuso si distribuirebbe nello spazio di rappresentazione in modo tale che non potremmo agire con esso.

A volte invece, per un altro peculiare funzionamento dei fenomeni ai livelli di sonno, troviamo immagini visive cui aderiscono cariche che non corrispondono esattamente a tali immagini; cercheremo allora di dissociare queste cariche e trasferire al loro posto cariche corrispondenti.

Ecco allora che dovremo risolvere parecchi problemi nel trasferimento delle cariche, nel trasferimento di immagini, nello spostamento delle immagini e nella loro trasformazione.



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