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Belloli e la mostra Proposta per un'evidenza dell'astrattismo italiano (1963)




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Belloli e la mostra Proposta per un'evidenza dell'astrattismo italiano (1963)




A cavallo tra 1963 e 19 4 Regina partecipa con due opere Torre e Blu-verde-bianco trasparente e opaco) alla piccola ma importante mostra Proposta per un evidenza dell'astrattismo italiano, curata da Carlo Belloli e allestita nelle sale milanesi della Galleria Minima di via Bagutta

Belloli, che già abbiamo incontrato tra i futuristi di cui ha scritto Acquaviva nel suo volume del


è stato - per evidenti ragioni anagrafiche, essendo nato nel 19 2 - davvero uno degli ulti- missimi adepti del Futurismo, in quello scorcio degli anni Quaranta in cui le ultime vicende del mo- vimento si mescolavano drammaticamente con la guerra e con la breve e violenta storia della RSI. Poeta tra i più interessanti del tardo Futurismo, nel 1943 Belloli aveva pubblicato i tipogrammi per Marinetti, mentre nel 1 44 aveva partecipato al numero unico Futuristi in armi e soprattutto aveva pubblicato il volume Parole per la guerra e i famosi testi-poemi murali, salutati entusiasticamente da Marinetti (che aveva 'collaudato' il volume) ed effettivamente per molti versi a tal punto innova- tivi da anticipare gli esiti della successiva poesia visivo-concreta. Nel dopoguerra, accanto al co- stante impegno nell'ambito della poesia visiva, si dedica inoltre all'attività teorico-critica, svolta pe- raltro anche dalle pagine di «Arte Viva» e di «Futurismo-oggi

Quando cura la mostra della Galleria Minima, ovvero alla fine del 1963, Belloli è già interessato da qualche tempo al lavoro di Regina. Esattamente un anno prima, infatti, in un interessante articolo dedicato alle nuove ricerche optical-cinetiche pubblicato su «Metro» e intitolato Nuove direzioni della cinevisualità plastica totale Belloli aveva citato i lavori concretisti dell'artista pavese (accan- to a quelli di Munari, innanzitutto, e di altri membri del MAC tra cui Veronesi e Di Salvatore) quali diretti antecedenti della «sintesi visuale totale» cui anelavano i membri del Gruppo N e del Gruppo T, del GRAV e dell'Equipo 57, così come più in generale tutti quegli artisti che in varie parti del mondo - pur muovendosi magari fuori dalla logica dei raggruppamenti - perseguivano la medesi- ma strada; e anzi, risalendo ancora più indietro, Belloli individuava la lontana origine di tutte queste ricerche nei concetti già quarant'anni prima «chiaramente auspicati ed introdotti» dal Futurismo , il  cui atteggiamento programmaticamente 'sconfinante' sarebbe dunque stato alla base sia del MAC , sia della «cinevisualità plastica totale».

Quando però torna ad occuparsi di Regina in occasione della mostra, Belloli si concentra per lo più su altre questioni. Tanto la rassegna in sé, quanto il correlato giudizio belloliano che compare sul suo minuscolo catalogo , sono per noi di grandissimo interesse. Innanzitutto, va precisato subito che con il vocabolo «astrattismo» Belloli intende grossomodo ciò che pochi anni prima i membri del MAC - nelle loro appassionate teorizzazioni e distinzioni - avevano più precisamente definito

«concretismo»: in due parole, cioè, Belloli non pensa all'astrazione come ad una 'realtà di secondo grado', ovvero come estrazione dal reale di dati ed elementi da riscrivere poi secondo una sintassi non naturalistica come può fare, ad esempio, un pittore cubista), ma pensa all'astrazione come assoluta mancanza di contatto con il reale, e dunque come creazione indipendente di forme che - in quanto appunto anch esse create dal nulla come le cose della vita quotidiana, e non mutuate da queste ultime - hanno il medesimo grado di concretezza degli oggetti

Posto questo, quali sono gli intenti di Belloli? Nello stesso titolo dell'esposizione, innanzitutto, si coglie un certo intento polemico, poiché chiaramente, nel sostenere la necessità di dare «eviden- za» al concretismo italiano, Belloli sta implicitamente affermando che esso è stato messo sotto silenzio o quanto meno sottovalutato, magari per concedere invece maggior spazio ad analoghe esperienze condotte fuori dai confini italiani. Il suo obiettivo, dunque, è quello di dare visibilità alle ri- cerche prebelliche e postbelliche di quei pochi artisti che in Italia hanno dimostrato una coerenza di percorso nel concretismo sin dagli anni Trenta, e che dunque non sono - come invece altri - degli astrattisti improvvisati spinti solo dalla crisi dell'informale e dalla necessità di stare al passo con quanto prodotto all estero, ma piuttosto dei lucidi e consapevoli ricercatori di lungo corso, che proprio per questa loro profonda serietà e continuità di azione possono appunto ambire a quel- l'«inserimento nell'ambito delle attività internazionali della ideazione plastica assoluta e della co- municazione visuale totalmente ottica» cui Belloli fa riferimento . Detto questo, prima di procede- re nell'analisi dell'opera dei singoli artisti, Belloli affronta poi un'altra questione per noi fondamenta- le, individuando in alcune esperienze del Futurismo - come già aveva fatto nell'articolo di «Metro», ma qui con puntualità ancora maggiore - i prodromi degli sviluppi del concretismo: al di là delle singole opere e degli autori citati , il senso di quanto Belloli intende è che



[.] proprio in Italia erano nati e avevano operato alcuni pionieri di ricerche confluenti all'orfi- smo costruttivista, all'elementarismo e al cinevisualismo.

il futurismo, sin dal 913, aveva, infatti, delineato una tendenza 'astratta', anche di cinevisualità, virtuale e reale, per animazione pneumatica o elettromeccanica [.].


Segue, infine, una rapida analisi dell'opera dei singoli artisti in mostra, in cui Belloli non risparmia giudizi anche scomodi ; decisamente positivi sono solo i giudizi su Munari (la cui opera, dall'epo- ca delle Macchine inutili in poi, «verrà coerentemente evolvendo verso la presentazione di puri messaggi di comunicazione ottica») e su Regina:



regina [sic] nel 1935 decide di rendere plastico quello che pensa e non quello che vede.


nel 19 6 nascono le sue prime forme non rappresentative che, gradualmente, perverranno all'organizzazione di progressioni spaziali, assolute attraverso una personale soluzione del rapporto spazio-tempo-movimento.



Chiudono l articolo, infine, alcune considerazioni di carattere generale sull'astrattismo italiano, al- l'interno del quale solo alcuni episodi «pervennero all'approfondimento e allo sviluppo di una ricer- ca che avrebbe dovuto condurli al concretismo e da questo alla cinevisualità totale: presentazione di puri messaggi di comunicazione ottica»; e tra questi pochi episodi Belloli segnala l'opera di Re- gina «attorno al 1950».

Cerchiamo dunque, a questo punto, di comprendere il senso ultimo della lettura belloliana. Innanzi- tutto, per quanto ci riguarda, già il solo fatto che Belloli abbia inserito Regina in una mostra che si pone l'obiettivo di individuare gli episodi di continuità della ricerca astratta in Italia tra anni Trenta e Cinquanta, è cosa di grande significato: si tratta, infatti, di una palese testimonianza di come il cu- ratore interpreti la produzione della scultrice pavese come quella di un artista precocemente indi- rizzata verso l'astrazione concretista. A questo proposito, peraltro, credo non sia ozioso segnalare che il nome di Regina è l'unico insolito tra quelli dei dodici artisti espositori, poiché tutti gli altri sono unanimemente riconosciuti come esponenti del primo astrattismo italiano . Secondariamente, è altrettanto importante sottolineare che Belloli - come già nel contributo pubblicato un anno prima - interpreta l astrattismo italiano come una filiazione più o meno diretta dal Futurismo, pur ricono- scendo - anche stavolta - che senz altro sui concretisti italiani hanno agito anche altre fonti di ispi- razione provenienti da oltralpe . Infine, leggendo le parole specificamente dedicate a Regina e confrontandole con il riferimento ai «puri messaggi di comunicazione ottica» che Belloli cita in con- clusione, risulta anche chiaro che a suo avviso almeno alcune delle opere reginiane degli anni Cinquanta (quelle in plastica colorata e trasparente, che fluttuano nell'aria) sono da interpretare - più e prima ancora che come pezzi concretisti - come sperimentazioni con una valenza «cinevi- suale», ovvero optical-cinetica. E d'altra parte, nella sua attività di poeta visivo, Belloli aveva sem- pre dimostrato, sin dai pionieristici tipogrammi per Marinetti del 1943 e dai testi-poemi murali del

1944, di conferire particolare significato ed importanza al ritmo e alla strutturazione puramente otti- ca della pagina: ad esempio, nella «nota teorica» che introduce il secondo dei due testi citati, Bel- loli aveva potuto scrivere che il suo «ricercare parole per poesia» era «solo nuda architettura ver- bale, dinamica nella sua inedita distribuzione spaziale, totalmente ottica nel suo decorso struttura- le-tipografico» . Dunque, nelle opere di Regina e in quelle assai simili di Munari, Belloli legge in parte anche la propria opera in seno al Futurismo, ovvero quella preoccupazione di ricercare - a- veva scritto Marinetti - un nuovo concetto di comunicazione sensibile», atto a creare «serie di pa- role-segnali alle folle bisognose di concentrati spirituali



La mostra risulta essere stata recensita solo tardivamente . «Il Giornale di Lecco» del 27 gen- naio , che pure elogia la presentazione «accurata e criticamente acuta di Belloli», si limita prati- camente ad informare circa gli artisti presenti. L'Avanti!» del giorno seguente sposa le convin- zioni espresse nella «densa e bella presentazione» di Belloli, pur ritenendo tutto sommato ingenerosa l'accusa di provincialismo che il curatore rivolge agli artisti (i quali per lo meno erano riusciti a sfuggire al soffocante conformismo pittorico-accademico»); assai simile alla posizione belloliana è anche l'atteggiamento nei confronti di Regina, a proposito della quale si definiscono «interessanti i saggi di scultura, specie la costruttivistica Torre (1936) ». Lusinghiera è la recensione del «Cor- riere degli artisti , che oltre ad elogiare - ancora una volta - il contributo belloliano (che parafra- sa con precisione), loda la mostra definendola di una severità e d'un interesse tali da meritare la massima attenzione del visitatore»; certo però fa un po' pensare il fatto che lo stesso articolo ven- ga ripubblicato a firma di Luigi Bracchi (che ne era dunque l'estensore) su «La Martinella di Mila- no»175 di gennaio-febbraio.


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