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Frammenti di conoscenza per una riflessione etica




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FRAMMENTI DI CONOSCENZA PER UNA RIFLESSIONE ETICA



Traccia sintetica della presentazione multimediale













PREMESSA







Mediante un breve percorso attraverso l'ambito scientifico - filosofico e quello artistico - letterario ho provato a raccogliere alcuni frammenti della conoscenza umana che maggiormente mi hanno interessato e colpito.

Il filo con il quale ho voluto legare questi frammenti, quindi il tema di fondo che accompagna ogni frammento, è il rapporto tra l'uomo e ciò che lo circonda, la realtà.

Parlo di frammenti in quanto, il fine di questa breve ricerca, non mira ad effettuare un'analisi esaustiva e completa di ciò che è la realtà, ma a comprendere come utilizzare gli strumenti e le conoscenze che il percorso scolastico formativo finora svolto mi ha fornito. Cosciente del fatto che questi sono per forza di cose strumenti e conoscenze parziali, frammentarie, diventa indispensabile correlarli, metterli a sistema per potermi in ogni caso relazionarmi, nel modo più consapevole possibile, con la realtà che mi circonda e in cui sono chiamato a vivere.





FRAMMENTI


Ho deciso di dividere questi frammenti in due filoni:

  1. i frammenti provenienti dall'ambito scientifico e filosofico;
  2. i frammenti provenienti, invece, dall'ambito artistico e letterario.








FRAMMENTI SCIENTIFICI - FILOSOFICI


La scienza intesa come attività investigativa dell'uomo sulla natura, come desiderio e tentativo di spiegazione dei fenomeni naturali, ha origini molto antiche, in un certo senso si può dire che nasca con l'uomo. Caratteristica peculiare e naturale dell'uomo è infatti il desiderio di conoscere e capire quello che succede nell'ambiente che lo circonda e in cui si svolge la sua vita. L'uomo, infatti, tra tutti gli esseri viventi, si distingue per la facoltà dell'autocoscienza, facoltà che lo porta ad interrogarsi in continuazione per generare significati che diano senso alla sua esistenza.

In particolar modo ho analizzato, con un punto di vista ampio e molto sinteticamente, come è cambiato il rapporto tra lo scienziato e la realtà da lui indagata, prima e dopo quella che può essere definita la seconda rivoluzione scientifica degli inizi del Novecento.

Questo primo approfondimento si articola in una prima parte, che si occupa di analizzare gli sviluppi del pensiero scientifico dalla nascita della "scienza moderna", con la "Rivoluzione scientifica" avvenuta a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, fino alla concezione di scienza che ha dominato l'Ottocento. Nella seconda parte, invece, si prende in considerazione la Seconda Rivoluzione Scientifica avvenuta all'inizio del Novecento.


Dalla prima rivoluzione scientifica:

LA SCIENZA MODERNA


La scienza moderna nasce dalla "Prima Rivoluzione scientifica", iniziata con l'affermarsi di nuove idee in campo astronomico, a partire dal XVI secolo, ad opera di scienziati come Copernico, Keplero, Galileo (1564 - 1642).

La scienza moderna ha queste caratteristiche:


la scienza moderna è un sapere sperimentale poiché si fonda sull'osservazione dei fatti e perché le sue ipotesi vengono giustificate su base empirica e non puramente razionale, come avveniva invece nel Medioevo;

la scienza moderna è un sapere matematico che si fonda sul calcolo e sulla misura, la "quantificazione" si configura come una delle condizioni imprescindibili dello studio della natura e come uno dei punti di forza del metodo scientifico inaugurato da Galileo (non analisi qualitativa).

la scienza moderna è un sapere universale poiché i suoi procedimenti vogliono essere accessibili a tutti e le sue scoperte pretendono di essere valide, cioè controllabili, in linea di principio, da ognuno;

il finde della scienza moderna è la conoscenza oggettiva delle sue leggi (ordine causale).


Le cose in natura sono viste come oggetti o eventi che obbediscono a leggi specifiche: il mondo viene considerato alla stregua di una grande macchina, indagabile secondo le leggi della meccanica e spiegabile in termini di materia e movimento, ossia secondo criteri non più finalistici e qualitativi, bensì quantitativi e matematici. Questo è il MECCANICISMO: la realtà è ricondotta a una relazione di corpi o particelle materiali in movimento interpretabile secondo le leggi del moto, individuate dalla statica e dalla meccanica.



CARTESIO


La teoria del meccanicismo fu accolta anche dal filosofo francese Cartesio (1596 - 1650).

Egli spezza l'universo in due zone distinte:

res cogitans (la sostanza pensante, che è inestesa, consapevole e libera);

res extensa (la sostanza estesa che è spaziale, inconsapevole, determinata).


La sua concezione della realtà è quindi dualistica; la razionalità dell'uomo costituisce la res cogitans per eccellenza, l'uomo è un soggetto pensante e il mondo esterno è l'oggetto di indagine del pensiero umano.


Osservatore e osservato sono essenzialmente separati.



POSITIVISMO


La scienza moderna raggiunge il la sua massima radicalizzazione con il diffondersi in Europa del positivismo.

Il positivismo è un orientamento filosofico, o meglio una dottrina epistemologica e metodologica, che nasce nell'Ottocento ed influenza enormemente la scienza.

Per i positivisti la realtà conoscibile si esaurisce al dato scientifico, ha caratteristiche quantitative, è regolata da precise regole; la scienza è animata da un programma di ricerca che punta a 'ridurre' ai principi della meccanica l'intero sapere (RIDUZIONISMO).

In particolar modo, il positivismo pone le sue basi su una totale fede nel progresso:

il sapere e il metodo scientifico sono gli unici validi;

per questo il metodo scientifico va esteso a tutti i campi;

il sapere scientifico ci permette di dominare la realtà (fede positivista nel progresso).



NOVECENTO

E' proprio con il raggiungimento del suo apice che la scienza moderna inizia a incrinarsi ed entrare in crisi con la seconda rivoluzione scientifica (fine '800 - inizio '900). Le principali cause sono dettate da:


le scoperte e teorie tra la fine dell'Ottocento e la fine del Novecento che hanno provocato la trasformazione delle scienze;

la crisi dei fondamenti (matematica, geometrie euclidee,.);

la nascita delle "scienze umane" (psicologia, sociologia, antropologia,.)


In particolar modo mi vorrei soffermare su un'importante e determinante conclusione alla quale si giunse grazie al principio di indeterminazione del fisico tedesco Werner Heisenberg (1927), premio Nobel per la fisica del 1932.


W. HEISENBERG


Non è possibile determinare contemporaneamente, con precisione grande quanto si vuole, sia la posizione sia la quantità di moto di un corpo.


Nella meccanica classica non esiste alcun limite teorico alla precisione con cui una grandezza può essere misurata; infatti, secondo la meccanica classica, basta migliorare sufficientemente gli strumenti e i metodi di misura per ottenere la precisione voluta nei valori delle misure.

La meccanica quantistica ha tuttavia condotto a conclusioni diverse, che pongono dei limiti alla precisione con cui è possibile conoscere contemporaneamente certe grandezze (in questo caso, la quantità di moto e la posizione di un corpo in  movimento).

L'indeterminazione derivava dalla perturbazione arrecata ad un oggetto nell'atto dell'osservarlo.


Poiché lo strumento di misura è stato costruito dall'osservatore [.] dobbiamo rammentarci che ciò che osserviamo non è la natura in se, ma la natura sottoposta al nostro metodo d'indagine.


Heisenberg sviluppò per misurare il grado di incertezza specifiche regole che prendono il nome di RELAZIONI D'INDETERMINAZIONE.

Esse affermavano che vi sono alcune coppie di quantità fisiche che non possono essere determinate simultaneamente con qualunque precisione desiderata. Le misure stesse possono essere tanto accurate quanto la sensibilità dello strumento permette; ma successive misure ripetute non si accorderanno con esattezza, ed occorre assumere un certo errore quando si usano tali misure per predire il futuro. Una coppia di tali variabili è formata ad esempio da posizione e movimento, un'altra da energia e tempo.


Non è quindi più possibile la distinzione tra oggetto osservato e soggetto osservante che abbiamo visto prima con Cartesio.






FRAMMENTI ARTISTICO - LETTERARI


Questi elementi di crisi convergono e trovano riscontro nel campo artistico - letterario.


M. C. ESCHER ("Galleria di stampe", litografia, 1956)


Ad esempio, l'impossibilità di una distinzione tra oggetto osservato e soggetto osservante, fu rappresentata, in modo straordinariamente simile, da Maurits Cornelius Escher (1898 - 1972) in una litografia del 1956 dove osservando attentamente l'immagine, ci accorgeremo che il giovane che troviamo sulla destra che si pone come osservatore di un quadro, in realtà si ritrovi all'interno del quadro stesso.

Partiamo osservando nell'angolo inferiore di destra l'entrata della galleria nella quale è allestita una mostra di quadri. Se volgiamo lo sguardo a sinistra, notiamo questo giovane che osserva un quadro alla parete. Su questo vede una nave e, più in alto a sinistra, alcune case lungo un molo. Se ci volgiamo verso destra, in alto, questa fila di case prosegue, e , all'estremità destra, il nostro sguardo si sposta verso il basso per scoprirvi una casa d'angolo, nella quale una porta conduce alla galleria d'arte nella quale ha luogo la mostra. Così succede che il nostro osservatore sta proprio su quel quadro che sta osservando! Come lo scienziato, di cui si parlava con Heisenberg.



Tutto ciò ci porta al discorso iniziale: il rapporto tra uomo e realtà.



R. MAGRITTE ("Il tradimento delle immagini", 1928, olio su tela, 62,2 x 81 cm, Los Angeles, County Museum)


Magritte, ad esempio, ci dice che la realtà che percepiamo visivamente non coincide necessariamente la vera realtà.

I pittori non rappresentano la realtà.


In questo quadro Magritte dipinge, nel modo più realistico e verosimile, una pipa, ma sotto a questa vi è una didascalia nella quale egli afferma che "Ceci ne est pas une pipe" = "Questa non è una pipa" in quanto, come è facile dedurre, questa è la rappresentazione di una pipa e non ha nulla a che fare con la pipa reale.



J. KOSUTH ("Una e tre sedie", tecnica mista, 1965)


Discorso analogo ma più articolato è quello sviluppato poi dall'artista americano Joseph Kosuth.

L'opera è composta da una sedia, dalla fotografia di una sedia e dalla definizione di "sedia" data dal dizionario.

Kosuth stimola l'osservatore facendolo riflettere sulle molteplici possibilità di esprimere un "concetto" e su quale sia la più aderente al "vero": l'oggetto stesso, la sua raffigurazione o la descrizione verbale? la sedia materiale, la sedia percepita o il concetto ideale di "sedia"?


THE MATRIX (Andy e Larry Wachowski, U.S.A., 1999)


A porsi la stessa questione è Thomas Anderson, il protagonista del film americano "The Matrix" del 1999,  primo di una trilogia con la regia dei fratelli polacchi Andy e Larry Wachowski. La trama si svolge in un indeterminato futuro in cui, la specie umana, è controllata e sfruttata dalle macchine che, in forza del livello tecnologico che hanno raggiunto, fanno credere agli esseri umani che questi vivano liberamente nel mondo del XX secolo, mentre in realtà sono imprigionati in speciali contenitori, allevati unicamente allo scopo di ottenerne l'energia necessaria alla sopravvivenza meccanica.

All'interno di Matrix la gente vive senza accorgersi minimamente della propria vera condizione; soltanto poche migliaia di soggetti si sono svincolati dal giogo di 'Matrix', il sistema di controllo cerebrale che imprigiona gli individui: un sistema di impulsi elettrici inviati al cervello umano, che creano l'illusione di vivere in un mondo che, ormai, non esiste più da centinaia di anni.

Una di queste 'imperfezioni del sistema' è Thomas Anderson (Keanu Reeves), conosciuto nell'ambiente degli hacker come 'Neo'. Convinti che Neo sia 'l'eletto', 'the One' dalla versione originale del film - colui che sarà in grado di restituire la libertà alla specie umana - un gruppo di umani facenti parte della Resistenza, fra cui spicca la figura di Morpheus che lo contatta, convincendolo ad uscire da Matrix ed ad essere nella vera realtà. Qui Neo scopre che, nel mondo reale, l'uomo è letteralmente 'coltivato' dalle macchine


(vedi video)


 Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero? E se da un sogno così non ti dovessi più svegliare? Come potresti distinguere il mondo dei sogni da quello della realtà? » (Morpheus)




THE TRUMAN SHOW (Peter Weir, U.S.A., 1998)


Truman: «E io chi sono?»
Christof: «Tu sei la star!»
Truman: «Non c'era niente di vero»
Christof: «Tu eri vero! Per questo era così bello guardarti!»


Un altro film nel quale il protagonista si trova a che fare con una realtà fittizia e dove, quindi, è viva la domanda "quale è la realtà?" è il film "The Truman show" (1998) che vede come protagonista Truman, interpretato dall'attore americano Jim Carrey.

Truman = "uomo vero", il protagonista è l'unica persona non finta, vera del film. Egli, infatti, all'età di circa 30 anni comprende di essere al centro di un reality show e tutte le persone che fanno parte della sua vita non sono che attori. La sua intera vita è di dominio pubblico e tutto ciò che ha vissuto finora, gli amici, i familiari,.e anche i suoi sogni e le sue speranze sono frutto di una finzione. A tutto questo Truman decide di ribellarsi e architetta un piano per sfuggire al proprio creatore (Ed Harris). Riesce ad uscire da questo mondo, dopo giorni di navigazione in mare, nonostante sia ostacolato dal creatore.


E qui abbiamo la scena in cui il personaggio si rende conto .(vedi video).




L. PIRANDELLO


Studiando la letteratura italiana del Novecento, quest'anno in classe, abbiamo incontrato notevoli interpretazioni di come poeti e scrittori percepivano la realtà a loro contemporanea. In particolare è Luigi Pirandello (1867 - 1936), poeta toscano attivo tra la seconda metà dell'800 e i primi decenni del '900, che in una lettera scritta all'età di ventun'anni e inviata alla sorella Lina afferma che la realtà non è altro che "un'enorme pupazzata". Pirandello, infatti, crede che il mondo che lo circonda sia finto, nient'altro che una costruzione illusoria, artificiosa, nella quale gli uomini quotidianamente indossano delle maschere che la società impone.



L. PIRANDELLO ("La trappola" da Novelle per un anno, pubblicata sul "Corriere della Sera" il 23 maggio 1912, poi nel volume La trappola nel 1915)


<<[.]Voi pregiate sopra ogni cosa e non vi stancate mai di lodare la costanza dei sentimenti e la coerenza del carattere. E perché? Ma sempre per la stessa ragione! Perché siete vigliacchi, perché avete paura di voi stessi, cioè di perdere - mutando - la realtà che vi siete data, e di riconoscere, quindi, che essa non era altro che una vostra illusione, che dunque non esiste alcuna realtà, se non quella che ci diamo noi.

Ma che vuol dire, domando io, darsi una realtà, se non fissarsi in un sentimento, rapprendersi, irrigidirsi, incrostarsi in esso? E dunque, arrestare in noi il perpetuo movimento vitale, far di noi tanti piccoli e miseri stagni in attesa di putrefazione, mentre la vita è flusso continuo, incandescente e indistinto.[.]

La vita è il vento, la vita è il mare, la vita è il fuoco; non la terra che si incrosta e assume forma. Ogni forma è la morte. Tutto ciò che si toglie dallo stato di fusione e si rapprende, in questo flusso continuo, incandescente e indistinto, è la morte.

Noi tutti siamo esseri presi in trappola, staccati dal flusso che non s'arresta mai, e fissati per la morte.


Siamo tanti morti affaccendati, che c'illudiamo di fabbricarci la vita. [.]>>



Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica (Henri Bergson): la realtà tutta è vita, perpetuo movimento vitale, inteso come eterno divenire, incessante trasformazione da uno stato all'altro, flusso continuo, incandescente, indistinto, come lo scorrere di un magma vulcanico. Tutto ciò che si stacca da questo flusso, e assume forma distinta e individuale, si rapprende, si irrigidisce, comincia a morire.

Così avviene dell'identità personale dell'uomo. In realtà noi non siamo che parte indistinta dell'universale ed eterno fluire della vita, ma tendiamo a cristallizzarci in forme individuali, a fissarci in una realtà che noi stessi ci diamo, in una personalità che vogliamo coerente e unitaria. In realtà questa personalità è un'illusione. Noi crediamo di essere uno per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi, a seconda della visione di chi ci guarda (Binet).

Le forme che ci creiamo non sono altro che una costruzione fittizia, una maschera che noi stessi ci imponiamo e che ci impone il contesto sociale.

Queste forme sono sentite come una trappola. La società appare un'enorme pupazzata che isola irreparabilmente l'uomo dalla vita, lo impoverisce e lo irrigidisce, lo conduce alla morte.

L'unica via di relativa salvezza da questo "impianto" è la fuga nell'irrazionale: nella follia, che è lo strumento di contestazione per eccellenza delle forme fasulle della vita sociale, oppure nell'immaginazione che trasporta verso un altrove fantastico.



LA VITA E' BELLA


Ed è proprio con l'immaginazione che, in un capolavoro della cinematografia italiana, Guido, interpretato da Roberto Benigni nel film "La vita è bella" (1997), porta in salvo il figlio Giosuè da una realtà pervasa dal terrore dei campi di concentramento di ebrei.

Storia d'amore tra Dora, una maestra, e Guido, un giovane ebreo (Roberto Benigni) che trasferitosi ad Arezzo apre una libreria, ma proprio il giorno del compleanno di Giosuè, il piccolo figlio, Guido e lo zio vengono deportati in un campo di concentramento assieme agli altri ebrei. Dora, che non è ebrea, li segue volontariamente, incontrando il marito per l'ultima volta appena arrivati al campo. Pur di proteggere Giosuè dagli orrori della realtà, Guido fa credere al proprio figlio che essi stanno partecipando ad un emozionante gioco in cui si dovranno affrontare prove tremende per vincere il meraviglioso premio finale, un carro armato (1000 punti).

Guido, addirittura si finge un traduttore tedesco.

Una notte, all'improvviso, i soldati tedeschi abbandonano freneticamente il campo dopo aver fatto strage dei deportati rimasti. Guido riesce a nascondere Giosuè in una cabina, promettendogli di ritornare, ma mentre è alla ricerca della moglie viene scoperto e fucilato. Le scene finali del film mostrano come al mattino seguente il lager viene liberato. Giosuè esce dalla cabina in cui si era rifugiato ed è infine salvato da un soldato americano che lo fa salire su un carro armato mentre, convinto di aver vinto il premio finale, grida: è verooo!!!

Il film si conclude con il bambino, accompagnato dall'americano, che ritorna felicemente dalla madre.

E' incredibile come un film, così intitolato, possa parlare di un orrore come quello costituito dall'olocausto. Ma è proprio questo delicato e sottile equilibrio tra drammaticità e comicità a creare una sorta di poesia che canta un inno alla vita, anche quando il mondo presenta realtà terribili come quella nella quale la trama del film si inserisce. Il padre ride e scherza fino al punto di morte per far credere al figlio che, appunto, la vita è bella.



A. BARICCO ("I barbari - Saggio sulla mutazione", (pubblicato a puntate sul quotidiano la Repubblica tra maggio e ottobre 2006)


Un altro frammento l'ho raccolto leggendo il libro "I barbari - Saggio sulla mutazione" di Alessandro Baricco, il quale esprime una visione della realtà attuale che mi ha particolarmente colpito e affascinato.

Alessandro Baricco è nato a Torino e vive a Roma, scrittore, appassionato di musica classica e di opera lirica, autore di teatro e interprete di testi teatrali.

Alessandro Baricco riflette su un fenomeno che ha osservato nel mondo intorno a lui, percepito dai più come un'apocalisse imminente e annunciato da una voce che suona come un grido d'allarme: stanno arrivando i barbari.

Puntata dopo puntata, Baricco va a visitare i villaggi che già mostrano i segni del saccheggio e li racconta in pagine che hanno sempre la forza viva della narrazione e qualche volta la malinconia della memoria personale. Vino, calcio, libri: dai luoghi esplorati emerge che non si tratta di una semplice invasione ma di una vera e propria mutazione e "quelli che chiamiamo barbari sono una specie nuova, che ha le branchie dietro alle orecchie e ha deciso di vivere sott'acqua".

Un'incursione nel palazzo imperiale di Google rivela un universo con milioni di links le cui traiettorie corrono in superficie e tracciano i sentieri-guida del sapere. Ne segue una nuova idea di esperienza e, con l'esperienza, di senso e percezione. Il viaggio si conclude sulla Grande Muraglia.


L'apparente perdita di senso, di nobiltà, che ha accompagnato la trasformazione degli ultimi anni avvenuta con un'accelerazione violenta, non deve essere percepita come una sorta di apocalisse e nemmeno come un'invasione di "barbari".

Ciò che sta avvenendo è una MUTAZIONE a livello di impianto che riguarda tutti noi, anche se in modi diversi. Questa mutazione, infatti, sta sradicando tutto un mondo dalle radici che conoscevamo e lo sta appoggiando su altri punti. Allora si tratta di chiedersi: da dove lo sta strappando e dove lo sta appoggiando? E' necessario porsi delle domande su dove siamo cambiati e dove stiamo cambiando.

Certo non è possibile rispondere immediatamente a queste grosse domande, ma sicuramente è necessario effettuare un'analisi, analizzare gli avamposti "barbari".

Primo fra tutti e fenomeno particolarmente utile per comprendere quello che sta accadendo è il sistema del motore di ricerca Google. Il 95% degli uomini del mondo utilizzano il computer per fare due cose: scrivere e-mails o entrare in Google; ogni giorno, ogni secondo 100 000 persone digitano qualcosa in Google. Certamente non parliamo di tutto il mondo, ma neanche di una prassi quotidiana di una esigua minoranza della popolazione mondiale.

Google è un sistema che permette di trovare le pagine web che ci interessano e senza di esso sarebbe alquanto difficoltosa la ricerca nel mondo di internet.

Ad inventare il sistema di Google furono i due ragazzi americani L. Page e S. Brin. Questi ultimi risolsero il problema che fino ad allora comprometteva ogni motore di ricerca rendendolo pressoché inutile. Il dilemma principale era: come sistematizzare la ricerca fra le pagine web? In modo tale che ogni visitatore trovi il più velocemente possibile le pagine web di maggiore interesse, era necessario stabilire una gerarchia di importanza fra esse.

E già a questo punto, dice Baricco, è interessante la cosa: c'è qualcuno che decide cosa è più importante e interessante per noi. Ma andiamo avanti.

L'obiettivo primario di queste due "menti barbare" era quello di, oltre che creare un motore di ricerca che funzionasse, mettere il sapere a disposizione di tutti gratuitamente.

Brin e Page riuscirono a raggiungere questo scopo rendendo la rete internet dinamica e mettendo il sistema in movimento. Alla domanda, quindi "quale è il sito migliore?" i due ragazzi risposero: il sito migliore è il sito contenente le parole inserite e a cui vanno il maggior numero di links da altri siti della rete.

Era chiara, però, l'osservazione: dipende però che siti mi mandano!

Brin e Page replicarono con estrema coerenza stabilendo una gerarchia anche tra i siti che ti mandano al sito che interessa, una gerarchia, quindi, tra i vari links: avrà maggior peso il link proveniente da un sito a cui va il maggior numero di links, quindi il più visitato.

Baricco effettua questa analisi sul mondo di Google semplicemente perché, il sistema di Google, è il sistema che usiamo ogni giorno, il sistema di cui ci fidiamo quando cerchiamo il sapere ma anche per trovare soluzione ai nostri problemi più concreti (viaggi, vacanze,.ecc.). Ci fidiamo di questa gerarchia di sapere. Ci fidiamo di questo concetto di verità del tutto nuovo a quello precedente, della "vecchia generazione".

Nel sistema di Google si perde ciò che una volta veniva identificata come la verità, per guadagnare in COMUNICAZIONE, cioè permettere una maggiore accessibilità al sapere. Ma che criterio di verità è questo? Viene privilegiata la capacità di stare in circolo rispetto all'esattezza. L'esattezza immobile è inutile, non è sapere. Nella pagina web che stiamo cercando, ci mandano persone qualunque (una sorta di forza impersonale) non 'esperti', come una volta avveniva normalmente. Questo perché il sapere di Google è il più vicino e il posto più vicino è il migliore!

Cosa capiamo dunque da Google?

Il senso è dove c'è MOVIMENTO, il senso si raggruma dove c'è un'abbondanza di movimento; tanto più un punto del sapere è in contatto con altri, tanto più è un punto del sapere attendibile; il valore di un segmento del sapere è dato dal movimento, non dalla 'qualità', non dai contenuti.

Tutto questo non ha niente a che fare con la "vecchia generazione".

Attraverso questo schema analizzato possiamo giungere al punto vero della faccenda, in che cosa stanno cambiando gli umani, non solo nel momento in cui vogliono conoscere, ma come si comportano quando desiderano, quando sentono la densità del senso,.

Proviamo ad applicare lo stesso schema anche negli altri campi.

Possiamo definire alcuni segmenti della vita con l'espressione di "fare ESPERIENZA"; quando qualcosa, anziché essere dimenticato, espulso, viene metabolizzato, resta ferma, come se qualcosa ci rigasse, sedimentasse. Una volta "fare esperienza" significava fermarsi, capire il senso, immobilità, comportava l'applicare una certa fatica, impiegare un certo lasso di tempo, spegnere il mondo intorno e concentrarsi su quel momento, quell'attimo, implicava uno studio, era sinonimo di PROFONDITA', l'andare sotto.

I "mutanti" o "mutati", invece, tendono a cercare il senso, dunque a fare esperienza, con la stessa tecnica con cui cercano il sapere e la conoscenza (schema Google).

Essi usano una tecnica diversa per fare esperienza, ed è una tecnica che ha a che fare con il movimento. Più precisamente "fare esperienza" sta diventando come un movimento che attraversa una sequenza di punti. "Fare esperienza" sembra essersi tramutato inanellare segmenti diversi di mondo in un'unica traiettoria vissuta come un unico gesto.

Quello che gli americani chiamano multitasking. Il fenomeno per cui, il "mutante", mentre guarda la televisione cambiando ogni tanto canale, gioca con il game boy, con il piede sinistro fa dei palleggi con una pallina di gomma che riproduce "Let it be" come musica che lui canticchia ed è in grado, allo stesso tempo, di telefonare alla nonna e dire che ha fame. Questa immagine ci porterebbe a pensare che egli stia facendo tanti gesti tutti male, ma in realtà egli sta facendo un gesto molto bene.

Questo motiva anche la velocità, c'è bisogno di velocità per fare il gesto, per tenere cioè uniti diversi punti del reale come un'unica esperienza.

I "mutanti" hanno il terrore quindi della profondità, in quanto essa implica lentezza.

Ciò che sta avvenendo con questa mutazione, quindi, consiste nella conversione di tutti i gesti in gesti in cui si può passare velocemente. Ed è questo che viene percepito come una perdita di senso. Stiamo scarnificando i gesti fino a quando non diventano strutture leggere, strutture passanti. I "mutati" non hanno distrutto, ma hanno costruito strutture passanti. Strutture, ovvero, che non generino fermate, ma strutture attraverso le quali si possa passare velocemente e senza perdere velocità una volta attraversate. O, meglio ancora, strutture che generino movimento, non stazioni che generano fermate.

Se noi immaginiamo i "mutanti" come dei surfer, come ci suggerisce il termine utilizzato dagli americani per indicare chi naviga in rete (surfing), e lo confrontiamo con colui coglieva uno spicchio del mondo e iniziava a girarci attorno (cercare che deriva dalla parola greca "cerchio"), non possiamo che notare due civiltà diverse.

Questo confronto, però, non va risolto come spesso la civiltà "vecchia" miope, rifiutando la "nuova". Oggi il compito è quello di capire quella nuova tecnica. Non pensare che ci sia una civiltà che voglia distruggere, ma provare a comprendere come mai i "mutanti" riescano ad incontrare il senso con un tecnica diversa.

Non viene richiesto di convertirsi, ma capire.

Un'altra incongruenza fra la "vecchia" e la "nuova" civiltà è ravvisabile quando si parla di origine. Per i "mutanti" l'origine, l'AUTENTICITA' è una cosa insignificante. Ciò si riflette particolarmente nell'informazione e nei giornali attuali. I fatti riportati non sono quelli che rispecchiano la vera faccia della realtà, il lato autentico del mondo, ma sono gli eventi che più si collegano al movimento di cui si parlava in precedenza, gli eventi che possiedono più link, ciò che interagisce maggiormente (ma apparentemente) con la realtà più vicina a noi. Non interessa l'autenticità, come è il mondo adesso, ma ciò che viene generato dagli eventi, dal movimento.

Ora viviamo in un momento difficile, in quanto siamo in una fase intermedia. I ragazzi del giorno d'oggi ne soffrono senza rendersene conto. La scuola con la sua istituzione è legata alla "vecchia" civiltà, ma al di fuori di essa sono chiamati a vivere nella "nuova".

La mutazione rimane comunque nelle nostre mani. E' necessario vigilare, essere capaci di interpretare riguardo a cosa tenere, cosa non vogliamo perdere, cosa non vogliamo smettere di pensare, cosa ci è caro, nella corrente cosa mettere in salvo? Ma ricordiamoci, non dalla mutazione ma nella mutazione.


[Il testo qui sopra riportato è un riassunto, effettuato dal sottoscritto, contente parti tratte dal libro citato e altre estrapolate dalla lezione, che A. Baricco ha tenuto al cinema Anteo di Milano il 22 maggio su i barbari e la mutazione, che è possibile vedere e ascoltare su Youtube (https://www.youtube.com/watch?v=gejrNkGWjec )]









PER UNA RIFLESSIONE ETICA.


Questi frammenti che ho raccolto possono già fornirmi qualche indicazioni che possa essere utile per orientarmi in campo etico, su come mi posso rapportare nel modo migliore possibile con la realtà che mi circonda.


UNA REALTA'.


Innanzitutto, raccogliendo e studiando i vari frammenti che ho semplicemente riportato, traspare chiaramente che la realtà nella quale viviamo è una realtà:


COMPLESSA, in quanto determinata da relazioni "organiche" e non "meccaniche";


DINAMICA, perché in continua mutazione; il sociologo e filosofo britannico Z.Baumann parlò di "società liquida";


SISTEMICA, poiché "organizzata" in sistemi, all'interno dei quali ogni elemento influisce ed è strettamente legato a tanti altri; per intenderci meglio si potrebbe citare la teoria del "butterfly effect" ("effetto farfalla"):


 Si dice che il minimo battito d'ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall'altra parte del mondo ».



GUERRA IN CONGO


Queste caratteristiche della realtà possono essere riscontrate in tanti accadimenti e fatti  che avvengono quotidianamente. Per esempio, quest'inverno mi ha colpito il riduzionismo e la semplificazione con cui venivano riportati i fatti riguardanti quella che viene definita dai media una guerra tribale in Congo. A parte il problema dell'informazione su cui si potrebbe aprire un lungo discorso circa il rapporto con la realtà, emerge che, approcciare un evento/processo come questo, alla luce di quanto fino a qui detto, modifica la percezione della realtà. Una guerra definita (appositamente) in modo riduzionistico rivela invece una serie assai complessa di relazioni. Infatti, provando a leggere questa realtà nell'ottica della complessità ho trovato canali di informazione alternativi e sono venuto a conoscenza delle varie componenti dai quali scaturisce ed è provocata la guerra.

Il tempo a disposizione non mi permette di approfondire singolarmente le molteplici cause legate a questa guerra, ma vorrei comunque evidenziare come quest'ultima scaturisca da una realtà dinamica, sistemica e alquanto complessa.


È ancora notte nel Kivu

STAMPA


Non si contano i morti in questa guerra che i vescovi definiscono un paravento per coprire lo sfruttamento delle risorse naturali. Seicento mila nuovi profughi. Stragi di civili inermi, abbandonati lungo le strade o gettati nelle latrine. Un disastro umanitario. È necessario ripartire dalla voglia di pace della gente che, nonostante tutto, in gran parte non vuole cedere alla violenza.

"Non sappiamo più che santi pregare. Siamo condannati a morte da tutta questa violenza e da tutti questi attacchi che producono code di sfollati".

È il grido disperato che arriva da oltre quaranta organizzazioni della società civile del Nord Kivu, nella Repubblica Democratica del Congo, dove da diverse settimane è ripresa la guerra. I fatti raccontano delle truppe del Generale Laurent Nkunda, leader del CNDP (Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo) che hanno sferrato un attacco contro l'esercito regolare e si sono avvicinate a Goma. Provocando diverse centinaia di migliaia di profughi, seminando distruzione dappertutto. "Nella regione di Rutsurhu - prosegue questo appello - siamo testimoni di una tragedia di portata mai conosciuta dal nostro popolo. Decine e centinaia di civili vengono sommariamente uccisi dai fucili e dai colpi di machete. A Kiwanja giacciono sulle strade decine di corpi e l'odore dei cadaveri impesta l'aria. Ma, se si continua la ricerca, si trovano cadaveri abbandonati nelle case o gettati nelle latrine".
Ad aggiungere dramma a dramma ci pensano le truppe regolari che, quando fuggono, uccidono, derubano tutto e violentano le donne, lasciando dietro di loro soltanto caos e disordine.
I portavoce della società civile della regione denunciano il reclutamento forzato di bambini. "I gruppi armati, soprattutto le truppe di Nkunda, vanno di casa in casa e sequestrano adulti e bambini per mandarli a combattere al fronte". Poi la solita denuncia della violenza sulle donne: "La violenza sessuale è brutalmente aumentata e le forze armate hanno fatto del corpo delle donne un campo di battaglia".

È di nuovo notte nel Kivu

Ho ancora davanti agli occhi quella notte a Bukavu, nel Sud del Kivu. Il giorno prima avevo potuto assistere alle lunghe code di gente che ordinatamente andava a votare. Erano le prime vere elezioni nella storia di questo paese, piantato nel cuore dell'Africa. Quella notte, dopo che ormai si erano saputi i risultati delle elezioni ed era apparso chiaro che Joseph Kabila aveva ottenuto la maggioranza, che lo avrebbe portato al ballottaggio con Bemba, la gente era scesa per strada. A festeggiare, a cantare, a danzare.
Normalmente di notte la città è buia. La gente sta chiusa in casa. Ma quella sera aveva deciso di uscire per gridare la propria gioia, per fare festa. Ricordo ancora un gruppo numerosissimo di ragazzi. Si erano avvicinati a me. Mi avevano quasi circondato solo per dirmi di riferire a tutti in Europa che nel Congo era arrivata finalmente la democrazia.

Sulle elezioni la gente di questa regione ad Est del paese, al confine con Ruanda, Burundi e Uganda, aveva investito tutta la propria speranza. Snervata da dieci anni di guerra che aveva fatto oltre quattro milioni di vittime, ora poteva finalmente guardare con più speranza al proprio futuro. Qualche giorno prima delle elezioni, avevo incontrato a Goma alcuni esponenti della società civile. A Goma il clima era meno euforico che a Bukavu. Qui il conflitto aveva lasciato segni profondi e divisioni fra la popolazione. Ma c'era la speranza di un cambiamento che spingeva tutti a guardare con fiducia al processo elettorale.
La sfida era comunque grande. Dieci anni di guerra lasciavano ferite difficilmente rimarginabili. Gli avvenimenti accaduti nel confinante Ruanda, con la tragedia del genocidio, avevano portato nel paese migliaia di profughi. La maggior parte delle persone erano scappate solo per fuggire dalla tragedia, altre invece responsabili dei fatti, avevano raggiunto il vicino Congo per sfuggire alla giustizia. Un problema, quello dei profughi ruandesi, che pesa ancora negli equilibri dell'area e che viene spesso portato come giustificazione e alibi per non smobilitare da parte del generale Nkunda. Poi occorreva disarmare i gruppi armati e indirizzare le persone - che altro non avevano fatto per dieci anni che combattere - ad altre attività. Oppure reintegrarle nell'esercito regolare. Era partito un tentativo di integrazione dei gruppi armati nell'esercito, ma proprio il generale Nkunda aveva rifiutato. Anzi, durante gli ultimi tre anni il generale ribelle era andato rafforzando il suo esercito, sostenuto - ormai è certo - dal governo ruandese. Ci sono in proposito dichiarazioni ufficiali delle Nazioni Unite e, ultimamente, anche documentazioni fotografiche.

Il nuovo governo del paese, nato dalle elezioni, cominciava il suo cammino tra enormi difficoltà. In una situazione estremamente complessa. Occorreva da una parte un grande investimento di fiducia e di speranza, ma, dall'altra, anche la capacità di riforme globali per ricostruire un tessuto sociale frastagliato e difficile dopo dieci anni di guerra. Anche perché lo Stato doveva di fatto essere ricostruito dalle fondamenta. Militari e poliziotti non pagati, cercavano di sopravvivere vessando la popolazione. Gli insegnanti non pagati ai quali i genitori dei ragazzi dovevano corrispondere un salario minimo per permettere loro di insegnare. Con la conseguenza di costringere i più poveri all'analfabetismo. C'era da ricostruire la credibilità delle istituzioni democratiche, sconosciute alla gran parte della popolazione. Soprattutto era indispensabile intervenire nel settore delle concessioni per lo sfruttamento delle risorse minerali e boschive che, durante gli anni della guerra erano state appannaggio di trafficanti senza scrupolo che approfittavano della guerra per poter "pescare nel torbido". Perché, come vedremo più avanti, la ragione più profonda di questa guerra sta nelle risorse economiche di questo paese, e soprattutto della regione del Kivu.

Il Presidente Kabila partiva da un forte consenso che avrebbe potuto permettergli anche di prendere decisioni radicali. Purtroppo la sensazione della gente, soprattutto quella dell'Est del paese che aveva votato massicciamente per Kabila, è stata di forte delusione. Il nuovo corso è apparso in continuità con la situazione precedente. Mentre nuovi rappresentanti eletti sembrano in maggior parte più attenti a costruire per se stessi una vita di privilegi che a rispondere alle necessità della popolazione. Di qui un sentimento di frustrazione e di delusione.

Lo scandalo geologico

Nel Kivu si racconta una leggenda. Narra di Dio che, dopo aver creato il mondo, decise di dividere equamente le ricchezze nei diversi territori. Prese allora il cesto delle risorse e cominciò a spargerle per il mondo. Arrivato in questa regione, caratterizzata dalla presenza di montagne e colline, pare che Dio abbia inciampato facendo cadere tutte le ricchezze. Il Kivu è stato definito uno "scandalo geologico" perché in questo territorio esiste un concentrato di ricchezze minerarie impensabili altrove. Oro, diamanti, cassiterite, cobalto, petrolio, stagno, zinco, uranio e soprattutto coltan. Una polvere minerale che ha caratteristiche particolari e che serve per l'industria aerospaziale, per la tecnologia informatica e per i telefoni cellulari. In ogni nostro telefonino c'è un pezzo di Kivu. Il coltan è un composto di due minerali piuttosto rari, il nioblio e il tantalio. Normalmente questi chiamati colombite e tantalite, di qui l'abbreviazione in "coltan". Ed è proprio questo minerale ad aver scatenato, a partire dalla metà degli anni '90, una corsa planetaria verso il Congo.

Il coltan ha l'aspetto di sabbia nera e rappresenta un elemento fondamentale in video camere, telefonini e in tutti gli apparecchi hi-tech (come la playstation). Serve a ottimizzare il consumo della corrente elettrica nei chip di nuovissima generazione, rendendo possibile un notevole risparmio energetico. L'80% del coltan in circolazione si trova solo in Congo.

Le multinazionali motore del conflitto

Durante gli anni di guerra, in due rapporti esplosivi, le Nazioni Unite hanno denunciato il traffico illegale di questi minerali, citando tra i responsabili ben 34 società occidentali che li importavano illegalmente soprattutto attraverso il Ruanda. Veniva denunciata perfino la compagnia aerea belga, Sabena, accusata di trasportare il coltan dall'aeroporto di Kigali ai destinatari finali in Europa. La conclusione di questi rapporti è sconvolgente: "Le grandi multinazionali minerarie sono state il motore del conflitto e hanno preparato il terreno per le attività criminali ed illegali di estrazione nella Repubblica Democratica del Congo".

Dopo le elezioni e la formazione nel paese di uno Stato di diritto, uno dei problemi più seri di fronte al quale si è trovato il nuovo governo è stato proprio quello delle concessioni minerarie e dell'utilizzo delle enormi ricchezze che giacciono nel sottosuolo. Parallelamente chi durante la guerra aveva approfittato della situazione per operare estrazioni e traffici illegali ha dovuto fare i conti con questa nuova situazione. Non è un caso, ad esempio, che questa nuova guerra fatta dal generale Nkunda sia scoppiata all'indomani della firma di un accordo tra la Repubblica Democratica del Congo e la Cina. L'accordo prevede uno scambio tra i due paesi in cui la Cina metterà la costruzione di infrastrutture, mentre il Congo concede lo sfruttamento delle miniere di rame.

Si tenga conto del fatto che a causa della propria debolezza, il governo congolese non è in grado di difendere il suo territorio. Per questo le multinazionali europee e statunitensi stanno pagando al Congo tra il 5 e il 12% delle ricchezze (dichiarate) che sono oggetto di sfruttamento. I cinesi, al contrario, offrono il 30% di quello che sfruttano. Proprio per questo sono arrivate da molte parti (pare anche dall'Europa) forti pressioni perché recidesse il contratto con la Cina. Ma in agosto, il governo congolese ha dichiarato che quel contratto sarebbe stato rispettato. Proprio alla fine di agosto le milizie di Nkunda hanno scatenato l'offensiva. Giustamente i vescovi congolesi definiscono questa guerra come un "paravento" per nascondere lo sfruttamento indiscriminato delle risorse.

Un dato è certo: la guerra che si sta combattendo in questa regione non è una guerra etnica. Dice P. Franco Bordignon, da oltre trent'anni in questa regione: "In Congo convivono oltre 400 etnie e non si ricordano nella storia di questo paese lotte tra etnie e tribù al punto di creare genocidi". Il motivo della contesa è ben altro. Fa comodo solamente a Laurent Nkunda e ai suoi mandanti accampare ragioni di carattere etnico. E, spesso anche inconsapevolmente, fa il suo gioco chi continua a presentarla come tale, prima fra tutte la stampa e l'informazione in genere.

La presenza di "fuggiaschi" ruandesi

In Africa i confini tra gli Stati sono sempre stati molto labili. I motivi sono tanti. Non ultimo la divisione fatta dalle potenze coloniali nella conferenza di Berlino (1884-1885). Che si trattasse non del riconoscimento di nazioni preesistenti, ma piuttosto di una spartizione di carattere coloniale, lo dice il nome stesso in inglese: "Scramble for Africa". Un'espressione intraducibile che significa testualmente "sgomitare per l'Africa". Le potenze coloniali si divisero "sgomitando" i territori africani. A partire dalle loro posizioni di potere e non dalla composizione storica e culturale della popolazione. Costringendo in questo modo a convivere in uno stesso Stato gruppi tradizionalmente lontani e nemici tra di loro e dividendo con le frontiere statali gruppi etnici da sempre uniti. Secondo gli studiosi questa è una delle principali cause della conflittualità nel continente africano. Nel Kivu da sempre hanno abitato diversi gruppi etnici e da sempre questi gruppi hanno accolto volentieri persone e gruppi di altre provenienze: non sono mai esistiti problemi di convivenza tra i gruppi etnici di questa zona e persone o gruppi - di qualsiasi etnia fossero - provenienti dal Ruanda e dal Burundi.

Questo incantesimo si rompe nel 1994, quando, in seguito ai fatti del Ruanda che portarono alla tragedia del genocidio, centinaia di migliaia di profughi presero la via del Congo per fuggire da quella tragedia. Tra loro c'erano anche alcuni dei responsabili del genocidio che lasciarono il paese per fuggire alla giustizia. Ma si trattava di una minoranza. La maggioranza dei fuggiaschi era composta da persone impaurite che cercavano dove andare per scappare alla morte. Le cronache del tempo raccontano di circa due milioni di fuggiaschi. Alcuni - la maggior parte - sono ritornatati nel Ruanda, di altri si sono letteralmente perdute le tracce, mentre alcuni, fra i quali qualche migliaia di persone che il governo ruandese accusa di essere responsabili del genocidio, sono rimasti in Congo. La presenza di queste persone è uno dei motivi accampati per la guerra. Il Ruanda accusa il governo del Congo di proteggerli e chiede che vengano catturati e consegnati alla giustizia del paese. In ogni caso, il loro numero è molto esiguo. Mentre invece continuano a stare nel paese persone fuggite dalla tragedia, molte delle quali, ai tempi del genocidio erano bambini. Voci ricorrenti nella regione raccontano anche che quella della presenza di gruppi di ruandesi nel territorio del Kivu sia una strategia messa in atto dal governo di Paul Kagame per mantenere la regione nel disordine. Le stesse voci giungono a dire che il governo di Kigali invierebbe sistematicamente persone nel Kivu, appoggiandole ed equipaggiandole perché lavorino nell'estrazione dei minerali del sottosuolo, per poi trasferirli in Ruanda. Di fatto nell'Urega soprattutto, una regione del Kivu del Sud, esistono gruppi organizzati che abitano le foreste, con villaggi equipaggiati di tutto. Essi incutono timore alla popolazione, taglieggiano gli abitanti dei villaggi vicini, violentano le donne. Racconti insistenti parlano di aerei che arrivano su piste ricavate all'interno della foresta che portano armi e viveri e ripartono carichi di minerali estratti nella regione.
Al di là di queste voci la presenza di persone che sono fuggite dal Ruanda - alcune delle quali responsabili del genocidio - rappresenta un problema per il Congo. Ma sarebbe nello stesso tempo sbagliato ritenere che tutti i ruandesi che si sono rifugiasti nel Kivu dopo i fatti del Ruanda siano responsabili di genocidio. Uno dei cardini di una società di diritto è la singolarità della colpa. Non è ammissibile incolpare un intero gruppo di persone. Né si può permettere che il generale Nkunda utilizzi questa presenza come alibi per le sue azioni criminali.



La pace difficile

Per tentare di individuare possibili vie per la pace in questo paese, è necessario partire da alcuni punti fermi. Ben sapendo che le vie della pace, anche se difficile, vanno cercate a partire dal diritto internazionale, ma anche che il diritto da solo non è in grado di ricostruire il tessuto sociale che permetta alla pace di essere stabile e duratura. A nostro avviso esistono alcuni punti fermi dai quali occorre partire:

1. Le elezioni svoltesi nel 2006. Tutta la comunità internazionale ha riconosciuto la legittimità di queste elezioni che per la prima volta nella sua storia hanno dato un governo al paese. La Repubblica Democratica del Congo, pur con tutti i problemi lasciati sul campo da oltre 15 anni di guerra e da trenta di dittatura, è uno Stato di diritto. Il Presidente Joseph Kabila ha il compito di governarlo. Egli è l'interlocutore legittimo per rappresentare il paese sulla scena internazionale. In una nota diramata dalla Rete pace per il Congo si mette giustamente in evidenza che occorre prendere atto di questo fatto per poter trovare vie di pace. Dice la nota: "La popolazione dell'est della RDC è vittima di una politica occidentale che tende a mettere sullo stesso livello di uguaglianza dirigenti del paese e ribelli, esercito nazionale e gruppi armati. Nel passato, all'epoca del dialogo inter congolese, se ne cercava la giustificazione nella mancanza di legittimità popolare del potere costituito. Ma ora le cose sono cambiate. Ora la RDC ha non solo una Costituzione approvata da un referendum popolare, ma anche delle istituzioni sorte da elezioni libere, trasparenti e democratiche, come riconosciuto dalla stessa comunità internazionale. In base a quale diritto i dirigenti di un paese sovrano possono essere trattati alla stessa stregua di un capo di milizia o di un fuori legge? Perseguendo questa politica, si è protetto Nkunda contro un governo che ha ricevuto la legittimità popolare".

2. Gli accordi firmati tra le parti. Ci riferiamo in particolare all'accordo di Nairobi del 9 novembre 2007 riguardante soprattutto la soluzione del problema della presenza degli ex Far/Interamwe (miliziani fuggiti dal Ruanda dopo il genocidio). Questo accordo è stato firmato dai ministri degli Esteri del Ruanda e della Repubblica Democratica del Congo. Nel gennaio di quest'anno proprio a Goma è stato firmato un accordo tra le parti che porta il nome di "Amani" (in swaili, pace). Esso prevede la smobilitazione di tutti i gruppi armati. L'accordo è stato firmato anche dal CNDP di Laurent Nkunda. Occorre che le Nazioni Unite, presenti nella Repubblica Democratica del Congo con un contingente di oltre 16.000 uomini che operano in base al Capitolo 7 della carta delle Nazioni Unite (Monuc), siano messe in grado di fare rispettare questi accordi, dai quali, con la ripresa dei combattimenti, Laurent Nkunda è di fatto uscito.

3. Le decisioni della Corte Penale internazionale. Il 22 agosto 2006 la Corte Penale internazionale ha spiccato un mandato di cattura contro Bosco Ntaganda, attuale vice del generale Nkunda. È accusato di aver arruolato bambini e di averli attivamente utilizzati nei combattimenti. In più è accusato di aver partecipato a numerosi massacri e ad altre violazioni gravi dei diritti umani. Se Nkunda non lo consegna alla giustizia internazionale, occorre che la Monuc intervenga per arrestarlo e consegnarlo il più presto possibile alla giustizia.

Partendo da questi presupposti, anche con l'aiuto della comunità internazionale, la Repubblica Democratica del Congo potrà riprendere la strada stretta della pace e della riconciliazione. Chi ha avuto modo di incontrare la gente comune che vive in questa zona del mondo ha potuto constatare che la maggior parte vuole la pace ed è disposta a tutto, anche al perdono, pur di raggiungerla. La ricchezza più grande del paese non consiste infatti nei giacimenti minerari del sottosuolo, ma nella sua gente. Nella sua capacità di organizzazione e di resistenza, nella sua voglia incontenibile di vita. In questo quadro, azzardiamo alcune proposte di lavoro:

1. Azione umanitaria. L'attuale conflitto ha provocato almeno cinquecento mila profughi che vanno ad aggiungersi al milione di persone già censite come sfollati dalle agenzie umanitarie. Purtroppo gli aiuti faticano ad arrivare a destinazione. Il ministro degli Esteri Frattini, in una sua dichiarazione ammette: "Per quanto riguarda gli aiuti, arrivano negli aeroporti e vengono depredati. In questo l'Europa può impegnarsi per arrivare ad un risultato più efficace".

2. Le Nazioni Unite. Qualche giorno fa il Consiglio di sicurezza ha deciso di aumentare di 3000 uomini il contingente delle Nazioni Unite in Congo. Ma questa decisione da sola non basta. Occorre infatti che i contingenti presenti abbiano regole di ingaggio condivise e chiare. Oggi, prima di intraprendere qualsiasi azione le truppe delle Nazioni Unite hanno bisogno di avere il placet dei governi dei rispettivi paesi. In più spesso si tratta di truppe non qualificate, che non conoscono il territorio, che spesso non parlano una parola di francese, compromettendo così un rapporto costruttivo con la popolazione. Proprio per questo l'Onu non gode dell'appoggio della gente. A Bukavu, a Goma e in altre città del Kivu si è arrivati a fare manifestazioni contro la Monuc, accusata di non difendere la popolazione. I vescovi, in un loro documento, denunciano anche il fatto che il contingente delle Nazioni Unite sia composto soltanto da persone provenienti o dall'Asia o dall'America latina, quasi che l'Europa, soprattutto dopo il fallimento della missione in Somalia, non voglia sporcarsi le mani in Africa. La presenza all'interno della Monuc di contingenti anche di provenienza europea rappresenterebbe per l'Europa stessa una maggior assunzione di responsabilità.

3. La trasparenza del mercato delle risorse. Le statistiche dicono che quasi il 90% del mercato delle materie estratte dal sottosuolo è illegale e clandestino. Occorre che la comunità internazionale trovi un modo di monitorare il percorso di queste risorse, per scoraggiare ogni forma di traffico illegale. Non esistono solo i diamanti insanguinati, ma anche il coltan, la cassiterite, il rame, il legname coperti di sangue. Occorre poi ribadire che il governo congolese è il legittimo titolare delle concessioni per lo sfruttamento delle risorse.

4. I mandati della Corte Penale Internazionale. Essa ha spiccato un mandato di arresto contro Bosco Ntaganda, il vice di Laurente Nkunda. Occorre dare esecuzione a questo mandato, anche attraverso un maggior impegno e coinvolgimento della Monuc. Nello stesso tempo è necessario che la Corte Penale Internazionale abbia modo di poter svolgere liberamente il proprio lavoro di indagine per appurare se esistono casi di altre persone che abbiano commesso crimini contro il diritto e contro l'umanità. Non ultimo anche il Generale Nkunda.

5. La presenza degli ex Far/Interamwe. Secondo quanto stabilito dagli accordi di Nairobi, occorre trovare una soluzione definitiva a questo problema. Tenendo conto tuttavia di alcune cose. Innanzitutto che occorre distinguere le responsabilità non colpevolizzando l'intera comunità dei profughi ruandesi arrivati dopo il genocidio. Poi ribadendo che le persone di origine ruandesi già presenti nel territorio, devono godere degli stessi diritti della popolazione locale.


6. Il contesto regionale. La crisi in atto nella Repubblica Democratica del Congo non potrà trovare soluzione se non all'interno di un cammino di dialogo e di pacificazione nell'intera regione. È indubbio che al di là delle diverse interpretazioni e posizioni politiche, i paesi confinanti, soprattutto il Ruanda, sono stati enormemente implicati in questa vicenda che parte nel 1994. Occorre arrivare ad un summit per la pace nell'intera regione. Nessuno degli Stati confinanti, tanto meno il Ruanda, possono dirsi fuori. Proprio al Presidente del Ruanda il ministro degli Esteri inglese e il dipartimento di Stato degli Usa hanno chiesto di esercitare la 'sua influenza' sui ribelli congolesi, guidati dal generale Nkunda, per porre fine alle violenze che devastano la parte Est della Repubblica Democratica del Congo.

7. Il disarmo dei gruppi militari. Secondo gli accordi di Goma, occorre riprendere il disarmo dei gruppi armati presenti nel territorio. Il fatto stesso che alla ripresa del conflitto da parte delle milizie di Nkunda, siano riapparsi i gruppi Mai Mai, manifesta che un vero e proprio disarmo non è mai avvenuto. Va ripreso con coraggio questo disarmo, anche controllando in modo rigoroso il traffico di armi. È opportuno poi che si dichiari una moratoria nel commercio anche legale di armi per i paesi della Regione.

8. La riconciliazione e il perdono. Solo attraverso il dialogo si può arrivare alla riconciliazione e riprendere la via della pace anche attraverso il reciproco perdono. Esistono nella società civile congolese gruppi organizzati di persone che con cocciutaggine continuano a credere alla forza della nonviolenza e del dialogo. Questi gruppi vanno riconosciuti e appoggiati, anche attraverso la preparazione e l'invio di corpi civili di pace. La pace può infatti trovarsi non soltanto nel disarmo e nell'assenza di conflitti armati, ma nella ricostruzione di nuovi e profondi rapporti umani.

Il 4 novembre scorso, un gruppo di donne del Kivu ha deciso di andare a Kigali e di chiedere udienza al Presidente Kagame. Hanno voluto fare intendere la loro voce sulla grave crisi che sta attraversando il loro paese. Sono andate a mani vuote, chiedendo solamente che il governo del Ruanda faccia pressione sul generale Nkunda perché fermi l'iniziativa armata e si conformi agli accordi del programma "Amani" da lui firmati nel gennaio scorso. Si tratta, anche al di là del merito delle questioni poste da questo gruppo, di una iniziativa diplomatica della società civile. Essa manifesta quanto la gente di questa regione ami e cerchi la pace. È infatti sulla gente che occorre investire per riprendere con speranza un cammino di riconciliazione troppe volte interrotto. Tocca ora a chi governa il paese e alla comunità internazionale non deludere ancora una volta la voglia di pace e il residuo di speranza di questa gente.

[L'articolo, di Eugenio Melandri, è stato estrapolato dalla rivista "SI - Solidarietà internazionale", Anno XIX/n. 11 Novembre 2008 ed è possibile trovarlo anche nella pagina web https://www.solidarietainternazionale.it/anno-xix/n-11-nov-2008/187-e-ancora-notte-nel-kivu.html].



QUALE APPROCCIO?

QUALI FINALITA'?


Attraverso la raccolta di tutti i frammenti finora citati e la conoscenza di una fatto di cronaca qualunque è emerso chiaramente che viviamo in un mondo che appare un complesso tessuto di eventi, in cui i rapporti di diverso tipo si alternano, si sovrappongono e si combinano in modo multiforme e dinamico.

Fenomeni relativamente recenti nella storia dell'umanità, come ad esempio, quello della globalizzazione, fanno sì che ci si trovi a vivere, oggi, per la prima volta, situazioni nuove come il confronto con culture (idee, costumi, tradizioni, radici storiche, religioni, lingua,.) totalmente diverse dalla propria.

Questo inevitabile confronto, ci chiede di ampliare i nostri orizzonti di razionalità.

L'alternativa, infatti, sarebbe quella della violenza e della distruzione: il modo antichissimo dell'uomo di risolvere i problemi che gli appaiono irrisolvibili.

L'uomo che ha paura di ciò che diverso da quello che conosce, che non ha fiducia in se stesso, che non crede di essere in grado di trovare una soluzione, che non spera nella possibilità di un futuro, colui che si rassegna a una visione pessimista della vita, che non è capace di mettere da parte se stesso, dimenticandosi momentaneamente dei propri personali bisogni per scendere a compromessi con gli altri, che non ha la forza psicologica per affrontare un dibattito pacifico e democratico, colui che vuole imporsi perché si crede l'eletto possessore della Verità, quest'uomo è colui che sceglie di uccidere e devastare, o tutt'al più, colui che, con indifferenza e distacco, arriva a ritenere che sia giusto o inevitabile farlo. Non stiamo parlando di qualcuno in particolare, di volta in volta nelle situazioni concrete si presenta con nomi e facce diverse, ma è un po' in ognuno.

Esserne consapevoli può aiutare a cambiare.

Ampliare i propri orizzonti di razionalità significa, allora, sforzarsi per avere una mente aperta e vigile; in grado di assumere posizioni critiche, ma costruttive, in grado di essere flessibile ai cambiamenti, nell'ottica di un dialogo in cui ci si confronta con umiltà e rispetto reciproco (questo non significa eliminare i conflitti, ma permette di riuscire a gestirli).

Utopia?

Tutto questo è possibile e avviene già in tante piccole realtà in cui alla base delle relazioni tra le persone c'è il volersi bene. Forse c'è solo un po' più bisogno di questo.

L'alternativa non è molto felice.

Anche la scienze, un certo tipo di scienza, può aiutare l'uomo a intraprendere questa via. Può aiutare l'uomo a creare una società in cui il prezzo della civiltà sia meno alto e che permetta a più uomini di realizzarsi e di manifestare i propri talenti.

Siamo ancora in un assetto in cui dominano le pressioni economiche e le necessità tecnologiche.

Occorre forse riscoprire davvero una scienza estetica ed etica, che non abbia come scopo quello di sfruttare e di dominare, ma che, come diceva Einstein, serva all'uomo per raggiungere l'armonia con l'universo.

Una scienza che sappia porre le sue fondamenta con un dibattito democratico, decidendo, alla luce di ciò che può essere più utile per l'umanità (un farmaco che sconfigge una certa malattia o un aereo da guerra?), quali devono essere gli obiettivi della ricerca scientifica, affinché la scienza possa non essere più subordinata, come invece è oggi, all'economia e alle scelte di politici, non sempre ben informati e competenti.

Se la finalità che ci proponiamo è il bene di tutti, allora ne scaturisce che l'obiettivo è la ricerca da parte dell'umanità di un equilibrio tra tutte le "componenti" del sistema. Dalle scienze biologiche si può quindi mutuare in campo etico il concetto di SOSTENIBILITA'.

La sostenibilità è la caratteristica di un processo o di uno stato che può essere mantenuto ad un certo livello indefinitamente.

In anni recenti questo concetto è stato applicato più specificamente agli organismi viventi ed ai loro ecosistemi. Con riferimento alla società tale termine indica un 'equilibrio fra il soddisfacimento delle esigenze presenti senza compromettere la possibilità delle future generazioni di sopperire alle proprie' (Rapporto Brundtland del 1987).

Il termine, nel suo impiego nell'ambito ambientale, si riferisce alla potenziale longevità di un sistema di supporto per la vita umana, come il sistema climatico del pianeta, il sistema agricolo, industriale, forestale, della pesca, e delle comunità umane che in genere dipendono da questi diversi sistemi. In particolare tale longevità è messa in relazione con l'influenza che l'attività antropica esercita sui sistemi stessi.

Il termine trae la sua origine dall'ecologia, dove indica la capacità di un ecosistema di mantenere processi ecologici, fini, biodiversità e produttività nel futuro. Perché un processo sia sostenibile esso deve utilizzare le risorse naturali ad un ritmo tale che esse possano essere rigenerate naturalmente. Sono emerse oramai chiare evidenze scientifiche che indicano che l'umanità sta vivendo in una maniera non sostenibile, consumando le limitate risorse naturali della Terra più rapidamente di quanto essa sia in grado di rigenerare. Di conseguenza uno sforzo sociale collettivo per adattare il consumo umano di tali risorse entro un livello di sviluppo sostenibile, è una questione di capitale importanza per il presente ed il futuro dell'umanità. Il concetto viene spesso utilizzato nell'ambito dell'economia dello sviluppo per analizzare processi economici. Il concetto di sostenibilità economica è alla base delle riflessioni che studiano la possibilità futura che un processo economico 'duri' nel tempo.

La sostenibilità quindi alla quale è necessario mirare è una sostenibilità a livello sociale, ambientale ed economico. Una sostenibilità che valga per tutti e per sempre.



Concludo riportando una delle ultime pagine del libro di A. Baricco precedentemente citato.


<vigilare. Tanto inutile e grottesco è il restare impettito di tante muraglie avvitate su un confine che non esiste, quanto utile sarebbe piuttosto un intelligente navigare nella corrente, capace ancora di rotta, e di sapienza marinara. Non è il caso di andare giù come sacchi di patate. Navigare, sarebbe il compito. Detto in termini elementari, credo che si tratti di essere capaci di decidere cosa, del mondo vecchio, vogliamo portare fino al mondo nuovo. Cosa vogliamo che si mantenga intatto pur nell'incertezza di un viaggio oscuro. I legami che non vogliamo spezzare, le radici che non vogliamo perdere, le parole che vorremmo ancora sempre pronunciare, e le idee che non vogliamo smettere di non pensare. E' un lavoro raffinato. Una cura. Nella grande corrente, mettere in salvo ciò che ci è caro. E' un gesto difficile perché non significa, mai, metterlo in salvo dalla mutazione, ma, sempre, nella mutazione. Perché ciò che si salverà non sarà mai quel che abbiamo tenuto al riparo dai tempi, ma ciò che abbiamo lasciato mutare, perché ridiventasse se stesso in un tempo nuovo.>>


[ "I barbari - Saggio sulla mutazione" di Baricco, Ed. Fandango Libri, Roma, 2006, pagine 176 - 177].


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