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"come tu mi vuoi" - tesina




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"COME TU MI VUOI"


Durante il percorso di studi di quest anno scolastico, non ho potuto fare a meno di notare quanto le incertezze dell'uomo novecentesco lo abbiano spinto più volte ad "annullarsi" per dare la precedenza a valori non propri, ma che lo avrebbero agevolato rendendo, per così dire, più "vivibile" la propria esistenza. In tutta la sua storia, l'uomo ha dovuto affrontare diverse crisi che lo hanno spinto, o per necessità, o per opportunismo, o per obbligo, a demolire la propria immagine, l'unica certezza che si detiene dalla nascita, per favorire l'apparenza all'essere. In effetti, in una società dove il pensiero collettivo rappresenta il vero Dio, ecco che le persone si trovano a dover fare i conti non più con sè stesse, ma con ciò che gli altri vogliono che siano.

Senza andare troppo lontano, possiamo vedere questo fenomeno dilagare anche nella società attuale. Non è forse vero che i giovani tendono ad omologarsi ad un modello dettato dalla "moda del momento" per essere accettati dai coetanei? Non si ritiene "strano" tutto ciò che è diverso, non conforme alle norme, che per tale ragione viene in qualche modo emarginato? La televisione, con la sua arma migliore, la pubblicità, non ci spinge verso un unico modo di essere?

E' evidente che tutto ciò è un continuo "prostrarsi" ai piedi delle convenzioni sociali, una continua lotta contro i propri princìpi che a causa delle influenze esterne entrano in crisi, innescando un meccanismo che spinge a cambiare per diventare, appunto, "Come tu mi vuoi". Questo TU sta nella collettività, cioè il "giudice" che con occhio critico valuta se il COME è accettabile in base a ciò che VUOLE, e scarta il "Come IO mi voglio" poiché giudicato sconveniente.

Ho cercato di immedesimarmi in vari contesti che affronterò nel mio percorso multidisciplinare, per cercare di vagliare in modo obbiettivo le cause che spingono ad accettare tale "imposizione" fino ad arrivare al punto di decidere consenzientemente (anche se forse è un'illusione il fatto che sia una decisione personale, quando invece è dettata da fattori esterni, quasi fosse un lavaggio del cervello) di divenire "Come tu mi vuoi".

Anche se quanto scritto sopra può sembrare una critica, infatti, non sono sicura che tutto ciò sia sbagliato. Come in ogni cosa, esistono i pro e i contro. Da un lato, citando Pirandello (dalla cui opera mi sono ispirata per il titolo della mia tesina), "Essere è niente, essere è farsi". Quindi, essere non è un qualcosa di scontato ma piuttosto un costruirsi; in tal caso, scegliere cosa essere in base alle necessità, plasmando il proprio Essere come creta, non dovrebbe essere sbagliato. D'altra parte, la censura (sparita dalle istituzioni, ma che comunque si cela come "abito mentale") e la trappola del conformismo, come potrebbero essere una buona cosa? Non è forse la censura, che porta la gente ad aderire ad un modello accettabile piuttosto che combattere una battaglia (persa) per dei valori di cui magari non è neppure tanto convinta..?

E' il periodo dell'affermarsi di tendenze spersonalizzanti nella società: l'instaurarsi del capitale monopolistico, che annulla l'iniziativa individuale e nega la persona in grandi apparati produttivi anonimi; l'espandersi della grande industria, che riducono il singolo a insignificante rotella di un gigantesco meccanismo, priva di relazioni; l'influenza totalitaria, che annulla l'individuo in quanto tale, riducendolo alla sua pura funzione esteriore; il formarsi delle metropoli, in cui l'uomo smarrisce il legame personale con gli altri e diviene particella isolata e alienata nella folla anonima; e infine la persistenza di istituzioni che per continuare ad esistere devono fondarsi sull'annullamento altrui.


FILOSOFIA


Naturalmente, in una società moderna come quella che si affaccia al novecento, parlare di censura nei termini in cui la si intende comunemente è esagerato. Ma c'è un altro tipo di censura, inconsapevole, ed è quella dettata dall'inconscio, o meglio, per accogliere Freud nella mia tesina, dal "Super-io".

Sigmund Freud (1856-1939), neurologo, psicoanalista e filosofo austriaco, è il fondatore della psicoanalisi come teoria scientifica. Scopre l'esistenza dell'Inconscio sotto la Coscienza e l'analisi dei sogni come via d'accesso all'inconscio; parla di struttura della psiche come un campo di battaglia tra forze che cercano di affermarsi, razionali e irrazionali, coscienti e inconsce, dimenticate e rimosse. Tra queste forze, troviamo il Super-io.

Il Super-io è l'interiorizzazione dei divieti e delle censure, dei  codici di comportamento, degli schemi di valore (bene/male; giusto/sbagliato; buono/cattivo; gradevole/sgradevole) che inizia già dall'infanzia, a livello inconscio (di cui quindi l'uomo non conosce il contenuto), necessaria in quanto consente l'integrazione sociale dell'individuo. Se l'individuo non rinunciasse ai suoi desideri sconvenienti e immorali, l'individuo non sarebbe accettato in società. È, in sintesi, la censura morale che alberga in ciascuno di noi. Fortunatamente, però, non siamo fatti solo di questo: il super-io è solo una delle tre istanze fondamentali che compongono il modello strutturale dell'apparato psichico: vi sono anche l'IO (il principio della realtà), il centro organizzatore della personalità che media l'ES (la tendenza irrazionale, il principio del piacere) e appunto il SUPER-IO (il principio del dovere). Per Freud, l'uomo è la sintesi di tutto ciò, un essere integrale fatto di ragione e piacere, di Super-io e di Es, di lotta di opposti, regolati dall'IO che, andando incontro alle esigenze divergenti con un compromesso, consente la soddisfazione dei desideri in modo equilibrato, cioè socialmente accettabile.


Tenendo appunto conto degli apporti forniti dalla psicoanalisi freudiana, il filosofo e sociologo tedesco Theodor Adorno (1903-1969), che si distinse per la sua avversione radicale alla società e al capitalismo avanzato, condusse una rigorosa critica della società borghese su basi hegeliane e marxiste; a suo avviso, con il passaggio al capitalismo monopolistico le relazione interumane si riducono a pura apparenza. La vita individuale diviene pura funzione delle forze oggettive che governano la società di massa e si riduce all'ambito fittizio del consumo. La condizione umana, mediata dall'ideologia in questo sistema sociale, diviene quella dell'alienazione individuale.

Le riflessioni di Adorno rilevano che le folle possiedano una specie di «anima a sé», qualificandosi come prodotto sociale:


"I fenomeni di massa non si verificano in virtù di misteriose qualità delle masse in quanto tale, ma in seguito a processi psichici che hanno luogo in ogni individuo partecipante alla massa. Questa non è un fenomeno primario, ma secondario; e gli uomini non si fanno massa per semplice quantità numerica, ma sotto l'azione di determinate condizioni sociali." (Adorno, "Lezioni di Sociologia")




In sintesi, sia Freud che Adorno notano che il singolo si riduce a "individuo collettivo". Si è soliti parlare di "collettività" quando si considerano le influenze che sono esercitate su un individuo da parte di un gran numero di persone che individualmente possono essere estranee, ma al cui gruppo egli partecipa in un certo modo. L'individuo, posto a tali influenze (cioè incorporato da un'entità collettiva), può subire una modificazione radicale del proprio comportamento.

Vi sono diversi fenomeni che si manifestano in una folla e che la denotano come tale: l'unità (spogliandosi delle caratteristiche individuali per dare origine ad un corpo unico), la regressione intellettuale (la folla è impulsiva, volubile, impressionabile, intollerante e crudele; un quadro che non desta meraviglia trovare nei selvaggi o nei bambini), l'incapacità di moderarsi o differire,  ma soprattutto il "contagio mentale", cioè il fatto che ogni sentimento e ogni atto tende a propagarsi ed a venire riprodotto da tutti i componenti dell'aggregato; tale contagio è effetto della suggestionabilità, la quale viene esaltata dalla collettività. L'individuo è pronto a far propri e ad accattare sentimenti, convinzioni ed impulsi che in condizioni normali rifiuterebbe.


Questo ci ricorda quanti di questi fenomeni di dipendenza appartengano alla costituzione normale della società umana, quanto poca originalità e quanto poco coraggio personale si trovino in questa, quanto ogni singolo sia dominato dagli atteggiamenti di un'anima collettiva che si manifestano come peculiarità razziali, pregiudizi sociali, adesione ai regimi totalitari e così via.

















STORIA

A proposito di adesione ai regimi totalitari; come tutte le dittature, sono un esempio storico di omologazione, anche se forzata. In questo contesto, il "Come tu mi vuoi" è tutt'altro che volontario. Le masse del novecento, insoddisfatte e colme di spirito nazionalista, divennero le protagoniste in virtù del numero, e misero in moto fenomeni che dovevano essere controllati e orientati. Se la risposta a questi fenomeni in termini politici poteva essere l'allargamento della democrazia, si assistette invece all'irrigidimento delle classi dirigenti. La sostanziale diversità, la modernità della nuova situazione sociale costituì un passaggio che la politica fu incapace di gestire; con questo si intende che normalmente la società, strutturata in gruppi, si esprime tramite i canali politici della rappresentanza: le richieste dei rappresentati sono convogliate tramite le modalità della rappresentanza (partiti e movimenti) nella dimensione politica. In una situazione normale e democratica, le richieste dei gruppi, seppur conflittuali in quanto rappresentanti interessi diversi, vengono organizzate e mediate dal sistema. Il totalitarismo rappresenta il cortocircuito della 'politica normale' in quanto la politica in senso stretto, anziché rappresentare la società, impone ad essa la sua logica: la politica diviene totale rispetto alla società, quindi totalitaria, negazione della politica stessa. La legittimazione della gestione politica è avvallata dalla personalità del capo carismatico: egli è il capo ispiratore, vero interprete dell'anima del popolo. In quest'anima nazionale, esaltata dalla retorica, pervasiva, trascendente gli individui, li assorbe, li convince, li rende pienamente aderenti alla coscienza collettiva dello stato, li sceglie per alcuni compiti piuttosto che per altri, senza che sia chiamata in causa la loro responsabilità personale o di scelta.

Il termine 'totalitario' fu utilizzato per la prima volta, con connotazione positiva, durante il fascismo, proprio per definire la politica intendendo evidenziarne, rispetto al liberalismo dell'inizio del secolo, la capacità di gestire in modo onnicomprensivo gli aspetti sociali, economici,culturali.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, nel 1953 la filosofa Hannah Arendt ne colse l'aspetto, filosofico più che storico, negativo, di inglobamento dell'identità dell'uomo, del suo annullamento.

Il totalitarismo è una forma di dominio radicalmente nuova, perché non si limita a distruggere le capacità politiche dell'uomo, isolandolo in rapporto alla vita pubblica, come facevano le vecchie tirannie e i vecchi dispotismi; ma tende a distruggere anche i gruppi e le istituzioni che formano il tessuto delle relazioni private dell'uomo, estraniandolo così dal mondo e privandolo del proprio io attraverso la società di massa.

L'ideologia totalitaria pretende di spiegare con certezza assoluta e in modo totale il corso della storia; diventa perciò indipendente da ogni esperienza, costruendo un modello di società fittizio e ideologico. Il terrore totalitario, a sua volta, serve per tradurre in realtà il mondo fittizio dell'ideologia. Il terrore totale diventa uno strumento permanente di governo, e costituisce l'essenza stessa del totalitarismo, mentre la logica deduttiva e coercitiva dell'ideologia ne è il principio di azione, cioè il principio che lo fa muovere.  

Le figure dei tre  massimi dittatori del '900, sono Mussolini, Hitler e Stalin, i quali attuarono pienamente l'azione del terrore totalitario, soprattutto nel caso della Germania Hitleriana e della Russia comunista. Qui, infatti, a partire dagli anni 30, si riscontrano tutti i caratteri dello stato totalitario:  i "diversi" (ebrei, oppositori politici, anziani, omosessuali, handicappati) furono soppressi tramite "le grandi purghe" e le deportazioni nei campi di concentramento. In Italia, quantomeno, l'esperienza fascista relazionata alle altre dittature appariva meno totalitaria, date le limitazioni della Monarchia e della Chiesa che volevano mantenere i loro poteri sul territorio italiano.


In breve:

STALINISMO: Regime totalitario di sinistra, istaurato da STALIN dopo la morte di Lenin nel 1924 con l'ascesa al potere nell' Unione Sovietica. Resse da dittatore l'unione Sovietica fino al 1953. Gli elemento fondamentali furono: la ferrea dittatura del Partito comunista sul paese e quella di Stalin; eliminazione fisica degli oppositori; controllo dello Stato sulla vita della società.



FASCISMO: Il fascismo è un movimento politico autoritario di destra, sviluppatosi in Italia come reazione ai profondi mutamenti politici a sociali dovuti alla prima guerra mondiale e al diffondersi delle dottrine socialiste e comuniste. Questo regime di carattere totalitario fu instaurato da MUSSOLINI nel 1922. Il programma originario del fascismo era un miscuglio di idee di sinistra e di destra e propugnava la necessità di un uomo forte al governo. Le capacità oratorie di Mussolini, la crisi economica post-bellica, una profonda e diffusa sfiducia nel sistema politico vigente e una crescente paura del socialismo contribuironoalla salita al potere di Mussolini con il suo partito fascista.



NAZISMO: Regime totalitario di destra. Con l'assunzione delle guida al governo di Hitler nel 1933, il partito nazista diventò partito unico. Gli elementi centrali dell'ideologia nazista erano la dottrina razziale e la teoria dello 'spazio vitale'. Il nazismo predicava la superiorità della razza ariana, la razza padrona destinata a dominare il mondo e le altre razze, e un violento odio per gli ebrei, considerati colpevoli di tutti i problemi della Germania. Uno degli obiettivi del nazismo prevedeva espandere i propri territori in virtù del fatto che la razza superiore doveva avere spazi sufficienti per crescere e prosperare, relegando gli altri gruppi etnici ad una condizione subalterna.


Circa l'organizzazione del consenso da parte dei regimi totalitari, va fatta una premessa molto importante: il totalitarismo è fenomeno del Novecento proprio perché in questo secolo la manipolazione dell'informazione diviene uno dei più importanti strumenti per gestire il potere.
Il fascismo in particolare tentò di organizzare in modo profondo il consenso dei cittadini (lavaggio del cervello), non solo con la propaganda e la costruzione dell'immagine del regime, ma anche con la creazione di occasioni di partecipazione, a cui le classi dirigenti liberali non si erano dimostrate sensibili. A tal fine creò grandi momenti di identità e appartenenza per tutti (adunate, marce, inni, feste di regime, manifestazioni di massa, sfilate): attorno al mito della guerra realizzò forme di aggregazione ideale, grandi occasioni retoriche di creazione di identità e di senso di appartenenza alla nazione. Comunque, è da stabilire se si possa parlare di grande consenso popolare di massa: certo l'antifascismo clandestino dal punto di vista numerico fu limitato, come confermato dalla storiografia recente, ma di vero e proprio consenso si sarebbe potuto parlare solo se fossero esistite occasioni reali di manifestazione del dissenso. Chiunque, infatti, manifestasse idee contrarie al totalitarismo, non era considerato oppositore, ma nemico, e quindi, doveva essere soppresso. Le ideologie totalitarie respingono come corrotto e immorale il modello sociale preesistente, indicano un modello di società futura in cui questi difetti saranno corretti e un programma mediante il quale questo nuovo ordine potrà diventare realtà. Queste ideologie, appoggiate da campagne propagandistiche, pretendono un'adesione totale da parte del popolo.
Gli stati organizzati secondo queste ideologie richiedono un'obbedienza assoluta. Si tratta di società in cui vi è una gerarchia molto rigida, in cima alla quale sta un solo partito politico, e solitamente un solo leader. Il partito penetra capillarmente il paese: gruppi sportivi, culturali, professionali e giovanili favoriscono la politica di controllo del partito. Una polizia segreta paramilitare si occupa di mantenere l'obbedienza. Idee e informazioni vengono efficacemente organizzate controllando televisione, radio, stampa e istruzione a tutti i livelli.

SCIENZE

La Chiesa e Galileo Galilei ci forniscono un altro spunto di negazione di opinioni diverse da parte di una e l'abiura da parte dell'altro.

'Si narra che il martedì grasso del 1632, nelle piazze d'Italia girava questa stornellata popolare: 'il saggio Galileo / diede un'occhiata al cielo / e disse: 'Nella Genesi non c'è nulla di vero!' / bel coraggio! Non è cosa da poco: / oggi queste eresie / si diffondono come malattie. / Che resta se si cambia la Scrittura? / Ognuno dice e fa quel che gli comoda / senza aver più paura. / Se certe idee fan presa, gente mia, / cosa può capitare? Non ci saran più chierici alla messa, / le serve il letto non vorranno più fare / ..Brutta storia! Non è cosa da poco / il libero pensiero è attaccaticcio / come un epidemia. /Dolce è la vita, l'uomo irragionevole, / e tanto per cambiare far quel che ci talenta è assai piacevole! Pover uomo che dall'età remota / obbedisce al Vangelo e a chi governa / e porgi l'altra gota / per conquistar la ricompensa eterna, / per obbedire più, diventa saggio: / è tempo ormai di vivere ciascuno a suo vantaggio / Mentre il cantastorie si ferma, ecco apparire un fantoccio di grandezza superiore all'umana, Galilei che si inchina verso il pubblico. Davanti a lui un bimbo porta una gigantesca Bibbia aperta, dalle pagine cancellate, e il cantastorie riprende: 'ecco Galileo Galilei l'ammazza-Bibbia! '
(B.Brecht:
Vita di Galileo

Il nome di Galileo Galilei (1564-1642), fisico, filosofo, astronomo e matematico italiano, è associato ad importanti contributi in dinamica e astronomia - fra cui il perfezionamento del telescopio che gli permise importanti osservazioni astronomiche - e all'introduzione al metodo scientifico. Di primaria importanza furono il suo ruolo nella rivoluzione astronomica e il suo sostegno al sistema eliocentrico e alle teorie copernicane. Accusato di voler sovvertire la filosofia naturale aristotelica e le Sacre Scritture, Galileo fu per questo condannato come eretico dalla Chiesa cattolica e costretto, il 22 giugno 1633, all'abiura delle sue concezioni astronomiche, nonché a trascorrere il resto della sua vita in isolamento.

A questo punto credo sia opportuno ricordare quali erano i più importanti argomenti di discordia tra le due parti in contrasto: Galileo scoprì che la luna era solcata da valli ed aveva montagne come la terra, mentre gli Aristotelici sostenevano che la superficie della luna era completamente liscia.
Galileo scoprì nell'universo stellare le 'supernova' dimostrando così che lo spazio, oltre la zona lunare, non era fisso ed immutabile come sostenevano gli Aristotelici.
Galileo scoprì 4 satelliti di Giove dimostrando così che, non solo lo spazio siderale non era immobile ed immutabile, ma che esistevano altri corpi celesti, attorno ai quali ruotavano altri corpi celesti, cioè la terra non era il centro dell'universo. Aristotele, gli Aristotelici e la Chiesa sostenevano che la terra era posta al centro dell'universo e che attorno ad essa ruotava tutto il creato.
In merito a questo principio Galileo fu cauto e non affermò mai che, con sicurezza, era il sole ad essere il centro attorno al quale ruotava la terra, ma sostenne che ciò era molto probabile, in quanto, se si faceva tale supposizione, tutti i calcoli astronomici risultavano semplificati e tutte le ipotesi astronomiche venivano puntualmente confermate, ragion per cui era da ritenere molto probabile che l'eliocentrismo fosse una situazione vera.

La discussione, originata dalle scoperte scientifiche di Galileo, fu una discussione che vide contrapposte due scuole di pensiero: da una parte stavano tutti quei teologi che si rifacevano alle teorie di Aristotele, teorie elaborate più di mille cinquecento anni prima e ovviamente senza nessuna base scientifica, teorie che però avevano formato la base del sapere umano, teologia compresa, fino ai tempi di Galileo; dall'altra parte (Galileana) stavano tutti coloro che, di fronte alle nuove scoperte, avevano capito che stava per iniziare un nuovo corso del sapere umano. Era lo scontro tra due epoche culturali.

Ma la parte che stava per soccombere nella discussione per mancanza di basi scientifiche, quella aristotelica, ricorse alla morale, all'etica, alla Fede : Galileo non è un uomo di sincera fede, è un eretico. E l'accusa era basata sulla Bibbia:


Libro 'Giosuè'cap.10 versetti 10/13;  Giosuè si rivolse a Jahve dicendo:  'O sole, fermati su Gaboan e tu luna sulla valle di Aialon'. Il sole si fermò e la luna restò immobile. Il sole restò immobile in mezzo al cielo e non si affrettò al tramonto quasi un giorno intero'.



Questa mossa fu dirompente e cambiò immediatamente e totalmente l'aspetto della questione. 

L' unica fonte di verità di sapere teologico e pratico era la Bibbia. Questo Libro doveva essere letto, capito e imparato ed ogni volta che si aveva un dubbio su qualsiasi argomento bisognava rivolgersi a quello scritto per i necessari chiarimenti. Inoltre questo testo non doveva assolutamente essere interpretato, ma letto e applicato alla lettera. Insomma : la Bibbia era la voce delle volontà di Dio. Dare ragione a Galileo, assolvendolo, equivaleva smentire la Bibbia e versare benzina sul fuoco delle lotte religiose con il rischio di perdere altre masse di seguaci titubanti, e quindi di potere. Oppure, condannare Galileo.

 che il Sole sia centro del mondo e imobile di moto locale, è proposizione assurda e falsa in filosofia, e formalmente eretica, per essere espressamente contraria alla Sacra Scrittura;
che la Terra non sia centro del mondo né imobile, ma che si muova eziandio di moto diurno, è parimenti proposizione assurda e falsa nella filosofia, e considerata in teologia ad minus erronea in fide »

Nel 1633, dopo cinque mesi, il processo si conclude con la sentenza di "grave sospetto di eresia" che proibisce il "Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo" (libro in cui appunto portava avanti la teoria eliocentrica, e dove i due massimi sistemi sono il tolemaico e il copernicano), con l'abiura e con la condanna al carcere a vita, che grazie al suo prestigio internazionale e al suo atto di sottomissione, è presto trasformata negli arresti domiciliari, prima a Siena presso l'arcivescovo Ascanio Piccolomini, e poi nella villa di Arcetri, presso Firenze.

Questo purtroppo è solo un esempio di ciò che poteva accadere a chi affermava concetti veri ed evidenti ma diversi da quelli voluti dalla Chiesa.

Galileo è stato più volte criticato per aver fatto "marcia indietro" rinunciando alle sue teorie per "salvarsi la pelle". Ma c'è una spiegazione: Galileo era più uno scienziato che un filosofo; la filosofia è una verità soggettiva, e può aver bisogno di "martiri" per avere importanza. Socrate o Giordano Bruno, se avessero abiurato, sarebbe stato come negare tutto ciò che avevano sostenuto per una vita intera. Invece per Galileo è diverso: si racconta, infatti, che uscito dal tribunale dove aveva firmato il documento di abiura, scalciasse contro la terra dicendo: 'eppur si muove! ', come a dire : 'io ho firmato il documento , sono salvo e posso proseguire i miei studi, però la verità da me sostenuta continua ad essere vera: la Terra continua a muoversi anche se io ho effettuato questa scelta!'. Quindi, in un certo senso Galilei ha fatto bene ad agire così perchè le sue verità sono emerse nonostante la condanna e inoltre, dopo il documento di abiura, ha scoperto nuove verità che non avrebbe potuto scoprire se messo sul rogo.










INGLESE

The Victorian age, with its values and contradictions, offers a perfect exemple of a society which gave importance to appearences and compromise, and disregarded anything that went against the social standards of the era.

The Victorian Age takes its name from Queen Victoria who ruled from 1837 to 1901; it was a complex era characterised by stability, progress and social reforms, and, in the mean time, by great problems such as poverty, injustice and social unrest; that's why the Victorians felt obliged to promote and invent a rigid code of values which offered solution or escape and that reflected the world as they wanted it to be, based on duty, hard work, charity, philantropy and respectability.

The idea of respectability distinguished the middle from the lower class. Respectability was a mixture of both morality and hypocrisy, severity and conformity to social standards. Manners underwent a deep change in this period. Under the influence of Queen Victoria herself, the age turned excessively puritanical. Sex became a taboo subject, and all the words with vaguely sexual or 'indelicate' connotation were driven out of every day language, or replaced by euphemisms. Manners and speech were to be retrained and sober, people should own a comfortable house with servants and carriage and had to attend regularly at Church and charity, so that 'respectability' became the key word of Victorianism.

The particular situation, which saw prosperity and progress on the one hand, and poverty, ugliness and injustice (poverty, prostitution, exploitation of labour) on the other, which opposed ethical conformism to corruption, moralism and philanthropy to money and capitalistic greediness, and which separated private life from public behaviour, is usually referred to as the 'Victorian Compromise'. The Victorians were proud of their welfare, of their good manners and of their middle-class values, and tended to ignore the problems which afflicted England.  The Victorian Age was a period of optimism: they hide them selves behind hypocrisy and they didn't want too see problems, they only had an idealized vision of their society and age.

The somewhat conventional morality of the time found its best expression inside the family, where the father was even more authoritarian than before and the mother had to be submissive and had the role to educate children and to manage the house. Victorian families were usually very big and the Queen herself showed to be a very prolific mother, with nine children. Middle-class women in general were to adhere to a strict code of behaviour, which expected them to be frail, innocence and pure, confined within the family walls. Victorian society was concerned with female chastity, and single women with a child were emarginated. Rules and restrictions involved men too, who were forbidden to gamble, swear or drink. Appearance was very important, middle-class people's clothes tended to be very formal even in the privacy of family life.

Throughout the whole Victorian Era, homosexuals were regarded as abominations and homosexuality was illegal. Homosexual acts were a capital offence until 1861. However, many famous men from the British Isles, such as Oscar Wilde, were notorious homosexuals.

Speaking about Oscar Wilde (1854-1900), the famous Irish playwright, poet and author of numerous short stories and a novel ("The Picture of Dorian Gray", 1891), he made an harsh critic towards the Vitorian upper class. He had even been imprisoned for going against the rules of his own social class: after the homosexual affair with Lord Alfred Douglas, Wilde was convincted and sentenced. He wasn't as they wanted him to be.

«Morality is simply the attitude we adopt towards people whom we personally dislike»


Known for his biting wit, he became one of the most successful playwrights of the late Victorian era in London, and one of the greatest celebrities of his day. Several of his plays continue to be widely performed, especially "The importance of being Earnest".

«We live, as I hope you know. in an age of ideals»

Set in England during the late Victorian Era, the play's humour derives in part from characters maintaining fictitious identities to escape unwelcome social obligations. It is replete with witty dialogue and satirizes some of the foibles and hypocrisy of late Victorian society. It has proved Wilde's most enduringly popular play. This is a witty outlook on the Victorian upper class, exposing a world of shallow indifference to true love; the play presents an aristocratic society whose members are typical Victorian snobs, oftenm arrogant, formal, concerned with money. The young Jack Worthing and his good friend Algernon find themselves in a ridiculous situation after their fiancées learn they are coincidentally engaged to the same man. A glorious rendition of mistaken identity, paradoxes and witty dialogues, and the title is a pun itself: the name Earnest, mispelling for Ernest, evokes the adjective "honest", while none of the characters is truthful. The name "Ernest" is supposed to be associated with kindness, sincerity and intense conviction, but instead both Jack and Algernon lie by using the name to obtain what they want. By using this name to describe themselves, they become hypocrites, which parallels to people in society to this day, as most people will do whatever they must to obtain their desires. The main concern is marriage: Wilde makes fun of it, which he saw as a practice surrounded by hypocrisy, arguing that it is a business, rather than a pleasure. In fact, aristocracy does not see marriage as the result of love, but a tool for achieving social stature.

Algernon: My dear fellow, the way you flirt with Gwendolen is perfectly disgraceful. It is almost as bad as the way Gwendolen flirts with you.

Jack: I am in love with Gwendolen. I have come up to town expressly to propose to her.

Algernon: I thought you had come up for pleasure? . I call that business.

Jack: How utterly unromantic you are!

Algernon: I really don't see anything romantic in proposing. It is very romantic to be in love. But there is nothing romantic about a definite proposal. Why, one may be accepted. One usually is, I believe. Then the excitement is all over. The very essence of romance is uncertainty. If ever I get married, I'll certainly try to forget the fact.

The characters are used to criticise Victorian prudery and exaggerated seriousness, and exist only because they take part in conversation. The important, is HOW they say something, not what.      The male and female characters in "The Importance of Being Earnest" all fulfill Victorian gender stereotypes. Jack (in the guise of Ernest) and Algernon are Victorian dandies, bachelors who indulge freely in the good life. Gwendolen is the very paragon of Victorian femininity, and is so superficial that she declares she refuses to marry a man whose name is not Ernest. And the relationship between Algernon and Cecily, for she has fallen in love with him - and in fact charted their entire relationship - before ever meeting him. She writes of their love in her diary, noting the ups and downs of their affair, including authoring love letters to and from herself. In this essay, the rigidity of gender roles, both for men and for women, and examined, and the effect of the inflexibility of these roles is analyzed. «All women become like their mothers. That is their tragedy. No man does. That's his»

Irony is the main feature of the play: Wilde's satire comes from the ironic use of a solemn language in ridiculous situations.

«It is a very ungentlemanly thing to thing to read a private cigarette case»

The morality of society is supposed to be earnest, but instead Wilde paints it as truly irreverent, simply masked behind good appearances and excellent manners.

SPAGNOLO

La situaciòn que se vive en "La casa de Bernarda Alba" (1936), obra teatral en tres actos del escritor granadino Federico Garcìa Lorca (1898-1936), muestra una tìpica prisiòn de las convenciones.

«El teatro es la poesía que se levanta del libro y se hace humana. Y al hacerse, habla y grita, llora y se desespera. El teatro necesita que los personajes que aparezcan en escena lleven un traje de poesía y al mismo tiempo que se les vean los huesos, la sangre.»

La obra cuenta la historia de Bernarda Alba que, tras haber enviudado por segunda vez a los 60 años, decide vivir el resto de su vida en el más riguroso luto. Con ella viven cinco hijas: Angustias, Magdalena, Amelia, Martirio y Adela (el apellido de las mujeres de la obra es simbólico). El luto es roto por la llegada de Pepe el Romano, que pretende a la hija mayor, Angustias. Si bien es una costumbre real, Lorca lo retrata insinuando que además de ser 'un drama de las mujeres en los pueblos de España', tiene también la intención de documental fotográfico. La obra comienza con la entrada de las sirvientas hablando del despotismo de Bernarda y con la llegada inmediata de ésta, confirmando su riguroso trato a ellas y sus hijas, e imponiendo silencio. Cuando la hija mayor hereda una gran fortuna que atrae a un pretendiente (Pepe el Romano), celos y pasiones se desatan en la casa, desembocando en un final trágico con la muerte de la más joven, Adela, quien no quiere someterse a la voluntad de su madre: Adela ha querido rebelarse contra el orden establecido (ha tenido una relacciòn con Pepe) y lo ha pagado con su vida, suicidandose. Bernarda finaliza la obra diciendo que su hija ha muerto virgen (cuando en realidad estaba embarazada), así mostrando su preocupación social, la cual es mas importante que la muerte de su hija.

Aparecen en la obra una enorme cantitad de temas que Lorca critica duramente: la opresiòn sobre la mujer (al igual que los gitanos en el "Romancero Gitano", Lorca siente compasión con los seres desvalidos, oprimidos por la sociedad y se identifica con ellos); la moral conservadora (obsesión por la virginidad de la mujer, la religión, las falsas apariencias por miedo al 'qué dirán', etc.); las aparencias (Bernarda es el máximo exponente de este afán negativo por aparentar); autoritarismo (el cruel e irracional despotismo de Bernarda. De hecho, el papel de Bernarda ha sido interpretado por hombres para darle mayor dureza a este aspecto. La inmasculación de Bernarda se vincula a su símbolo de poder: su bastón.). La hipocresìa también aparece con bastante claridad en la obra.

Esencialmente, Bernarda es portavoz de las convenciones sociales, las hijas simbolizan el "Como tu me quieres", y Adela, lo que càpita a quien no se somete.











FRANCESE

Les êtres nous deviennent supportables dès que nous sommes sûrs de pouvoir les quitter


"Thérèse Desqueyroux" est un des romans les plus célèbres de François Mauriac (1885-1970). Il est paru en 1927 et a été adapté au cinéma par Georges Franju en 1962.

François Mauriac romance l'histoire initialement tirée d'un fait divers, celle d'une femme qui a tenté d'empoisonner son mari à l'arsenic, mais en vain. Pour éviter que le scandale éclate, son mari Bernard, préférant que l'affaire soit étouffée pour éviter le scandale, la disculpe devant le tribunal qui, du coup, prononce un non-lieu. Le roman s'ouvre sur la fin du procès. Le narrateur fait ensuite un retour en arrière pour raconter le parcours de la meurtrière, suggérant ce qui l'a amenée à essayer d'attenter à la vie de son mari : Thérèse étouffe sous le poids des conventions bourgeoises, du mariage et de la maternité, dans un environnement qui lui semble hostile.

Thérèse prépare, construit à l'intention de Bernard, son mari, une longue confession, qui n'est pas véritablement une plaidoirie, mais une mise à plat, un effort d'honnêteté pour essayer de comprendre ce qui s'est passé, comment elle a pu en arriver, froidement, à lui administrer du poison avec bel et bien l'intention de lui donner la mort.

Le sens de la vie de Thérèse est inscrit dans ces lignes : « Matinées trop bleues : mauvais signe pour le temps de l'après-midi et du soir. Elles annoncent les parterres saccagés, les branches rompues et toute cette boue. » Thérèse ne nie pas son crime mais cherche à l'expliquer. Elle n'a pas réfléchi, n'a rien prémédité, à aucun moment de sa vie. Nul tournant. Seule son enfance a été heureuse. Tout le reste de sa vie est comme marqué de la fatalité, elle n'en a pas été maitre : mariée par convention, sans amour, seule au sein du couple, étrangère à son mari, Thérèse se sent prisonnière, son horizon est borné et sa vie ne lui appartient pas. Mais cet engluement est vécu sans révolte, la chape est trop lourde et c'est presque par hasard, sans y réfléchir, que Thérèse a l'idée du poison. C'est en tout cas sans passion, sans haine et comme mécaniquement. Et c'est cela qui la rend monstrueuse : sa froideur, son indifférence.

La longue confession qu'imagine Thérèse devrait permettre à son mari, non pas d'excuser sa femme, de lui pardonner, mais peut-être tout simplement de l'approcher et de la comprendre. Ce long monologue qui couvre plus de la moitié du livre tel un flash back depuis l'enfance, est construit autant à l'intention de Bernard que pour Thérèse elle-même qui espère toucher son mari.

Mais Thérèse arrive au bout du voyage qui la ramène chez elle, et elle se trouve, avec une brutalité inouïe, confrontée à la réalité. Bernard lui dicte sa conduite et elle n'aura pas le droit de prononcer un seul mot. Elle est écrasée, tout simplement niée en tant que personne, en tant que conscience.

La désillusion est violente et le roman, sans transition, passe du monologue intérieur au récit factuel, de l'intimité du personnage à l'extériorité la plus froide : Thérèse est consignée, recluse, puis bel et bien séquestrée et cela au nom des conventions, de la famille et de l'honneur. L'individu est broyé.

Le dernier chapitre constitue une sorte d'épilogue : dans le respect des convenances, Bernard décide de rendre sa liberté à Thérèse, il l'accompagne jusqu'à Paris où il l'abandonne à elle-même, le plus important pour lui étant de sauver les apparences alors que Thérèse a enfin l'impression d'être libre.

À la fin du livre, le lecteur a entendu la confession de Thérèse. Certes elle a eu un geste criminel, mais c'est Bernard véritablement qui parait inhumain.




Le sacrifice de Thérèse. Cette femme de bonne famille est subitement sortie des rails, elle a elle-même saboté sa calme existence de bourgeoise. Qu'est-ce que sa tentative d'assassinat contre son mari sinon un dernier sursaut, désespéré, pour échapper à la pesanteur de son milieu social ? Thérèse rêve d'autres horizons, elle ne supporte pas les conformismes, elle se cabre pour échapper au carcan idéologique qui l'étouffe : elle veut parcourir la lande en liberté, elle veut visiter Paris et ses musées, elle veut devenir une femme libre et instruite dans un monde dominé par les hommes. Que lui demande-t-on ? De faire corps avec la 'famille', d'abdiquer son libre-arbitre, son identité, pour devenir une épouse et une mère.

La famille a raison d'elle. Elle a perdu. Le non-lieu arraché au juge d'instruction grace au faux témoignage de son mari la ramène au logis familial. Elle est désormais sous la coupe de son époux qui décide de la cloitrer pour éviter les persiflages malsains du voisinage. Thérèse doit se plier aux injonctions de la famille. Le sacrifice de Thérèse. Mais Thérèse se meurt. Sa défaite la tue. Elle est matée, elle souhaite sincèrement servir la famille, faciliter le mariage de sa belle-sour Anne de la Trave, en apparaissant soumise et discrète, mais elle se meurt, se fane comme une fleur coupée. Son époux cède finalement : elle peut partir pour Paris. Elle est expulsée de la famille comme un corps étranger qui n'a pu être digéré. Elle disparaitra. Elle rejoindra la cohorte maudite des proscrits de la famille, ceux dont le nom n'est plus prononcé, ces parents dont les photos ont disparu des albums familiaux. Tel est le prix de la liberté.


LETTERATURA ITALIANA

Chi, meglio di Luigi Pirandello (1867-1936), Nobel per la Letteratura 1934 "per il suo coraggio e l'ingegnosa ripresentazione dell'arte drammatica e teatrale", può presentare l'affermarsi di tendenze spersonalizzanti nella società e della relatività del reale?

Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica: la realtà è eterno divenire, è vita, e tutto ciò che si stacca da questo flusso assumendo una forma distinta e individuale, si irrigidisce e comincia a morire. Così avviene dell'identità personale dell'uomo, che tende a cristallizzarsi in forme individuali, fissandosi in una realtà che lui stesso si crea. In realtà, però, questa identità è un'illusione e scaturisce solo dal sentimento soggettivo che l'uomo ha del mondo.

Non solo l'uomo in sé, però, si fissa in una "forma"; anche gli altri, con cui vive in società, vedendo ciascuno secondo la loro prospettiva particolare, gli danno una determinata forma. Ma ciascuna di queste "forme" è una costruzione fittizia, una "maschera" che l'uomo si impone e che gli impone il contesto sociale.

L'individuo si vede come "uno" per sé stesso e per gli altri, mentre è come "centomila" a seconda della visione di chi lo guarda. Ma sotto la maschera, non c'è "nessuno", o meglio vi è un fluire indistinto e incoerente di stati in trasformazione. L'IO si disgrega, si smarrisce, si perde, la sua consistenza si sfalda nel naufragio di tutte le sue certezze. Questa crisi d'identità risente evidentemente dei grandi processi in atto nella realtà contemporanea, dove si muovono forze che tendono proprio alla frantumazione e alla negazione dell'individuo, che non conta più, si indebolisce. La presa di coscienza di questa inconsistenza dell'io suscita nei personaggi pirandelliani smarrimento e dolore (come vedremo con Vitangelo Moscarda di "Uno, nessuno e centomila"). L'avvertire di non essere "nessuno" genera un senso di solitudine tremenda, ed anche essere fissato dagli altri in "forme" in cui non può riconoscersi provoca angoscia e orrore.

Queste "forme" sono vissute come una "trappola" in cui l'individuo si dibatte, lottando invano per liberarsi. Pirandello ha un senso acutissimo della crudeltà che domina i rapporti sociali; la società gli appare come un' "enorme pupazzata", una costruzione artificiosa e fittizia che isola irreparabilmente "l'uomo dalla vita", lo conduce fino alla morte anche se egli apparentemente continua a vivere. Anche se la sua vita si svolge sui binari del perbenismo esteriore, Pirandello è nel suo fondo un anarchico, un ribelle insofferente dei legami della società, contro cui scaglia la sua critica impietosa e corrosiva. Le convenzioni, le finzioni su cui la vita sociale si fonda, le maschere e le "parti" fittizie che essa impone, vengono nella sua opera irrise e disgregate. Il suo pessimismo, però, è totale, e non gli consente di vedere altre forme di società diverse. L'unica via di salvezza è la fuga nell'irrazionale: nell'immaginazione che trasporta verso un "altrove fantastico", oppure nella follia, che è lo strumento di contestazione preferito di Pirandello nei confronti delle forme fasulle della vita sociale, l'arma che fa esplodere convenzioni e rituali rivelandone l'inconsistenza. Solo il "forestiere della vita", colui che "ha capito il giuoco", che ha preso coscienza del carattere fittizio della società e se ne esclude, "guardando vivere" dall'esterno della vita osservando gli uomini imprigionati nella "trappola" con un atteggiamento "umoristico" di irrisione e pietà, può constatare l'inconsistenza, l'assurdità e la mancanza totale di senso della realtà che l'abitudine ci fa considerare "normale". In questa figura di "eroe estraniato" si riconosce lo stesso Pirandello, che al contrario degli altri intellettuali rifiuta il ruolo politico attivo, riservandosi, nel suo pessimismo, un ruolo di lucida coscienza critica del reale.


Uno: perché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche particolari;

Centomila perché l'uomo ha, dietro la maschera, tante personalità quante sono le persone che ci giudicano;

Nessuno perché, paradossalmente, se l'uomo ha 100.000 personalità invero non ne possiede nessuna, nel continuo cambiare non è capace di fermarsi nel suo vero 'io'.



In "Uno, nessuno e centomila", Pirandello riprende il tema della crisi dell'identità individuale. Già solo il titolo di questo romanzo pirandelliano è un'ottima chiave di lettura per comprenderlo fino in fondo.

-Che fai?- mia moglie mi domandò, vedendomi insolitamente indugiare davanti allo specchio.
-Niente,- le risposi,- mi guardo qua, dentro il naso, in questa narice. Premendo, avverto un certo dolorino. Mia moglie sorrise e disse:
-Credevo ti guardassi da che parte ti pende.
Mi voltai come un cane a cui qualcuno avesse pestato una coda:
-Mi pende? A me? Il naso?
E mia moglie placidamente:
-Ma sì, caro. Guardatelo bene: ti pende verso destra.

Avevo ventotto anni e sempre fin allora ritenuto il mio naso, se non proprio bello, almeno molto decente, come insieme tutte le altri parti della mia persona. Per cui m'era stato facile ammettere e sostenere quel che di solito ammettono e sostengono tutti coloro che non hanno avuto la sciagura di sortire un corpo deforme: che cioè sia da sciocchi invanire per le proprie fattezze. La scoperta improvvisa e inattesa di quel difetto perciò mi stizzì come un immeritato castigo.


Il protagonista di questa vicenda , Vitangelo Moscarda, è una persona ordinaria, che ha ereditato da giovane la banca del padre e vive di rendita affidando a due fidi collaboratori la gestione dell'impresa. Un giorno, tuttavia, in seguito alla rivelazione da parte della moglie Dida di un suo difetto fisico (il naso leggermente storto), inizia a scoprire che le persone intorno a lui hanno un'immagine della sua persona completamente diversa da quella che lui ha di sé, e ciò ha squarciato tutte le sue certezze, avviando una riflessione sull'intera esistenza. La realtà perde la sua oggettività e si sgretola nell'infinito vortice del relativismo. È la consapevolezza di essere presente nelle persone intorno a lui in centomila forme differenti che accende il desiderio di distruggere queste forme a lui estranee, con l'obiettivo di scoprire il vero sé. Inizia, quindi, ad agire con il fine di strappare queste immagini sbagliate di sé che sono nelle persone, iniziando con la moglie e il suo Gengè (il nomignolo con cui lo chiamava e cui ella affidava l'immagine del marito). Nel suo tentativo di distruggere i centomila estranei che vivono negli altri, le centomila concezioni che gli altri hanno di lui e nelle quali lui non si riconosce, viene preso per pazzo dalla gente, che non vuole accettare che il mondo sia diverso da come lo immagina. La sua prima consapevolezza, dunque, ha come oggetto ciò che non è, e ciò apre la strada per la scoperta di ciò che è. La difficoltà, però, sta proprio nel conoscere se stesso, la vera essenza di sé. Vitangelo Moscarda tenta di sorprenderla in un attimo in cui si affaccia sulla realtà, ma nel momento in cui si rende conto di ciò, la fa scomparire. Ne deriva l'impossibilità a conoscere l'io profondo, l'essenza stessa di sé. Il protagonista arriverà alla follia, che non è considerata in modo negativo, ma è considerata come un momento in cui, sospesi tutti i comportamenti prima automatici, la facoltà percettiva riesce ad allargarsi e vedere il mondo con 'altri occhi', perché finalmente libera dalle regole consuete.


Quella di Vitangelo Moscarda è la storia di una consapevolezza che si va man mano formando. La consapevolezza che l'uomo non è Uno, e che la realtà non è oggettiva. Il protagonista passa dal considerarsi unico per tutti (Uno) a concepire che egli è un nulla (Nessuno), passando alla consapevolezza di sé stesso che l'individuo assume nel suo rapporto con gli altri (Centomila). Vitangelo Moscarda è il 'forestiere della vita', colui che ha capito che le persone sono 'schiavi' degli altri e di se stesse. Si estrania dalla vita sociale (facendosi ricoverare in un ospizio), abbandonandosi al puro fluire della "vita", rifiutando di fissarsi in alcuna "forma". Egli vede gli altri vivere in questa trappola, ma neanche lui ne è completamente libero: il fatto che la gente l'abbia preso per pazzo è la dimostrazione che non è possibile distruggere le centomila immagini, a lui estranee, che gli altri hanno di lui. È possibile solo farle impazzire. La fine del romanzo è molto profonda, conclusione degna per un'opera di questa portata. Il rifiuto totale della persona comporta la frantumazione dell'io, lo completa, perché esso si dissolve completamente nella natura e si ha quindi la "vita vera", finalmente libera dalle costrizioni. Pieno di significati è il rifiuto del nome, 'brutto fino alla crudeltà', che falsifica ed imprigiona la realtà in forme immutabili, e quasi come un'epigrafe funeraria, rappresenta la morte. Al contrario della vita, che è un divenire perenne.



Ma a questo relativismo, possono esserci altri due tipi di reazioni: c'è chi non si rassegna alla sua maschera però accetta il suo ruolo con un atteggiamento ironico, aggressivo o umoristico, e riesce persino a ricavarne un vantaggio (vedi "La patente"). E c'è chi si rassegna alla maschera, e vive nell'infelicità, con la coscienza della frattura tra la vita che vorrebbe vivere e quella che gli altri gli fanno vivere per come essi lo vedono. Accetta alla fine passivamente il ruolo da recitare che gli si attribuisce sulla scena dell'esistenza. Questa è la reazione tipica delle persone più deboli: quella di accettare di essere "Come tu mi vuoi". Al contrario del nostro Moscarda, che non lo accetta.

Il protagonista di questo romanzo rappresenta il prototipo pirandelliano di personaggio letterario, forse il più completo ma anche il più articolato nato dalla sua penna, incarnando e sviluppando ulteriormente il fondamentale concetto di "maschera sociale" come forma di conflitto irrisolvibile tra essere e apparire, a causa del quale l'uomo è costretto in una spirale di false percezioni che gli impedisce di conoscere realmente tanto gli altri quanto sé stesso.














CONCLUSIONE

Non esiste boia e vittima, colpevole o innocente, ma esistono forti e deboli. Chi è debole si piega, anche se consapevole di non essere come vorrebbe, accetta di essere "Come tu mi vuoi". Debole perché in balia degli eventi, vuoto, in attesa di qualcosa che dia senso a questa esistenza. E' una verità di compromesso, dettata da spinte di tipo sociale, politico, etico e morale. Essere è quindi divenire, è costruirsi in un certo modo; è annullare la propria personalità (alienarsi) per donarsi agli altri. Solo su queste basi è possibile comunicare, alienandosi e accettando l'immagine, la maschera che gli altri hanno creato; ma è una comunicazione che rimane comunque infruttuosa, perchè la verità assoluta 'non si può dire' e rimane irraggiungibile.
L'unica verità che emerge è infatti solo una verità soggettiva, e non mi sembra azzardato dire che anche la verità, è 'così, come tu mi vuoi'.

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