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Spacciando la fantasia per genialità un caso di "palindromo biunivoco"




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Spacciando la fantasia per genialità

un caso di "palindromo biunivoco"







"Va riconosciuto che, a parte alcuni esempi, i cosiddetti scienziati pensano e scrivono come bottegai. e disprezzano l'arte, nella sua accezione generale [.]; io riservo la qualifica di scienziato all'uomo capace di sguardo sintetico, e non a chi fruga tra i fatti e si scava il suo piccolo angolino di ricerca. E purtroppo la maggior parte degli uomini di scienza si ferma proprio qui. Qualche raro uccello si innalza con un colpo d'ala e riesce a scorgere tutto il paesaggio [.]. Il mondo non è paragonabile a una grande opera d'arte? La spiegazione scientifica è solo una comoda convenzione, tutto considerato. è anzi un'espressione artistica."1

Così scriveva nel suo primo romanzo un illuminato geologo di inizio Novecento, escluso dal mondo scientifico per aver azzardato l'ipotesi che lo Yunnan si fosse trovato, milioni di anni prima, vicino alla Boemia. Questo a riprova che le teorie da noi oggi considerate pressoché palesi furono motivo di non poche divergenze per i primi pionieri che osarono pronunciarle. Ma anche a testimonianza che arte e scienza sono squisitamente imparentate, che un geologo può trasformarsi in un romanziere di successo, che la straordinaria varietà di fenomeni di cui ci rende partecipi l'universo sensibile è pressoché paragonabile ai prodigiosi voli pindarici di una mente appassionata. E ciò che toglie fascino a tutte le teorie scientifiche e filosofiche che siamo tenuti ad affrontare nel corso della nostra vita è proprio la mancanza della verità ludica e informale della scoperta stessa, che ha nelle sue radici i più sorprendenti avvenimenti e soprattutto una rete di connivenze tra le varie discipline che sono una continua fonte di meraviglia.

Se la scienza è un'espressione artistica, l'arte può dunque diventare espressione o ispirazione scientifica?  Certamente sì: questo saggio vuole proporre alcune letture di questa frase, sottolineando relazioni tra cose, persone, esperienze, vite che nella loro banalità o eccezionalità possono essere definite opere d'arte, visto che i legami nascosti tra i fenomeni sono ciò che rende interessante la formazione di una cultura scientifica che, si dimostrerà, ha molto di artistico.

Una prova del fatto che espressione scientifica può essere arte è data dal fumetto, la "nona arte"2, spesso snobbata e fraintesa, ridotta a stereotipi, relegata in un angolo della mente come passatempo infantile, correlata a titoli emblematici e nostalgici come Topolino, Tex o Spiderman.  Spesso non si ricorda che il fumetto è elaborato da persone adulte, di solito con conoscenze piuttosto ampie, ma soprattutto con l'incombenza di reperire originalità a prova di copyright e regalare anche la verosimiglianza che, nel suo sapore di realtà, sa meravigliare più della fantasia (si pensi ad esempio alla proficua collaborazione di Stan Lee con fisici e matematici per sfornare le avventure dei Fantastici Quattro o di Hulk, senza dimenticare il secchione Peter Parker). Perché, come disse Robert Hunt, conservatore al Geological Museum di Londra, "i fenomeni della realtà sono più sorprendenti ancora dei fantasmi dell'immaginazione"3 ma, come spiega il professor Emilio Garroni, ordinario di estetica nella facoltà di filosofia dell'Università La Sapienza di Roma, è rischioso trattare di argomenti scientifici in modo artistico senza averne una conoscenza approfondita4.

Partiamo dunque dal fumetto, le cui potenzialità furono volutamente ignorate fino agli anni Sessanta in Italia e in molti altri paesi europei, essendo considerato come un genere di seconda categoria, con una parte troppo limitata[2]del rispettabile testo scritto e per contro troppe figure "da guardare", inciso che rivelava un giudizio negativo e sminuente, come se conoscere un racconto attraverso le immagini fosse da plebei ignoranti5. Gli Stati Uniti invece si mossero subito controcorrente e sfruttarono le capacità comunicative del fumetto, trasformandolo in un vero e proprio strumento di educazione delle masse, dai più piccoli (per i quali Paperino rappresentava un ideale esempio di cosa non bisogna fare in casa, come lasciare il gas aperto6), ai più grandi (per i quali il fumetto si ricopriva di istanze antinaziste prima e anticomuniste dopo).


























In tempi recenti invece pare che la situazione si sia completamente ribaltata e che anzi il fumetto abbia invaso le nostre vite, facendosi tramite di continui messaggi pubblicitari e educativi: da Martin Mistère impegnato nel riciclaggio dell'alluminio, a Dylan Dog nella conoscenza dei problemi della droga, a Lupo Alberto professore di educazione sessuale, per finire con il ladro dagli occhi di ghiaccio, Diabolik, prodigatosi contro l'abbandono degli animali domestici sulle autostrade. Insomma, ciò che non si voleva riconoscere al fumetto è stato ormai universalmente accettato. D'altronde la famosa Alice di Carroll (peraltro brillante studioso di matematica) aveva già espresso il suo parere dicendo: "A cosa serve un libro senza figure?", capendo che "basta un disegno per aprirti la mente, molto più di tante belle parole"7.

In questo discorso la scienza si inserisce senza alcuna forzatura, in quanto il fumetto si è spesso e volentieri incaricato di fare divulgazione scientifica (si veda un'animazione disneyana su azione e reazione propinata ai cervelloni del Pentagono dal presidente Eisenhower), magari ispirando le scazzottate tra eroi muscolosi e geni del male, prodigiosi costruttori di marchingegni esplosivi o frullati fosforescenti per provocare mutazioni. E non è finita: quando le storie prendevano tratti fantascientifici, scostandosi dalle verità fisiche e chimiche provate, è successo che gli autori si travestissero involontariamente da preveggenti, arrivando ad anticipare di mesi e con pochi dettagli errati tappe fondamentali della storia e della scienza. È il caso, ad esempio, di Paperino che scopre il metilene CH2 nel 1944, prima della sua effettiva osservazione da parte dei chimici; di un mancato brevetto sul polistirolo espanso (usato da Kroyer nel 1964 e rifiutato perché un simile strumento era già stato usato da Paperino e nipoti in una storia di Barks datata 1949); della costruzione di nuovi aerei (l'Espadon di Edgar Pierre Jacobs del 1946 preannuncia il Douglas X3 del 1952); del tunnel sotto la manica (nelle avventure del
 Dottor Bax il tunnel è del 1951, contro il nostro 1994); dello sbarco sulla Luna (previsto nella striscia H1760, pubblicata nel 1959, per il 4 agosto 1969, con un errore di soli quindici giorni!); del bombardamento giapponese sulla flotta americana (ipotizzata a Guam, nelle Filippine, nel dicembre 1941 e pubblicata nell'ottobre, quando la strage si concentrò a Pearl Harbour il 7 dicembre); infine dello sgancio della bomba atomica (citato in una preview di un fumetto italiano preparato alle stampe il 4 agosto 1945, senza immaginare che due giorni dopo sarebbe avvenuta la strage di Hiroshima e, il 9, quella di Nagasaki)8.

Quello che dunque può sembrare un gioco di sfaccendati che mischiano tensioni reali a personaggi immaginari si rivela poi essere frutto di percorsi mentali pressoché logici che si appoggiano su basi reali e scientifiche, per osare lanciarsi oltre le conoscenze prestabilite. Non tanto diversamente da come sono nate le teorie di numerosi scienziati eminenti, osannati come eroi con miracolosi geni o capacità intuitive eccezionali. Nulla di tutto questo. Anzi è sorprendente rivelare che la curiosità, lo spirito di osservazione, ma soprattutto dei banali giochi da bambini furono spesso la scintilla delle teorie che dal Settecento fondarono tanto la fisica quanto le altre discipline giunte fino a noi oggi. Per fare un esempio: i vortici magnetici che Maxwell suppose essere la causa delle rotazioni dei dipoli elettrici (peraltro esagonali, copiati direttamente dalle arnie delle api e dai fiocchi di neve già studiati da Keplero) non sono altro che un retaggio delle trottole con cui giocava da piccolo, quando già la sua frase preferita era "show me how it does". Lo stesso per Newton, che si divertiva a costruire strani aquiloni dotati di petardi da sganciare sui passanti, mentre Voltaire tagliava teste alle lumache per constatare se ricrescevano9: tutto nel perfetto spirito da Giovani Marmotte.

Queste considerazioni possono dunque dimostrare che ogni forma di metodo empirico ha, alla sua partenza, l'ardore della scoperta o del ragionamento mossi da un'istintiva reazione del sentimento, supposto essere alla base di una conoscenza pura e illimitata, come ipotizzò per esempio lo scrittore D.H. Lawrence scrivendo: "The whole great basis of our consciousness in sensual, and this field of consciousness is immense, illimitable10", mentre per il filosofo idealista e romantico Schelling l'arte era l'unica attività adatta per percepire l'infinito. Primo Levi, avvicinatosi alla fisica in cerca di "certezze" con cui contrastare il senso scomodo di solitudine e abbandono in cui la dittatura fascista aveva gettato, con le sue violenze, i giovani, scoprì che "l'intera fisica era marginale, in quanto si prefiggeva di dare norma all'universo delle apparenze, mentre la verità [.] era oltre, inaccessibile ai nostri telescopi. La fisica era prosa, elegante ginnastica della mente11". Dal sentimento individuale al gusto comune il passo è breve. Nel primo Novecento la bellezza di una formula scientifica si esprimeva in brevità, eleganza e sintesi, ritenute essere le inevitabili espressioni di un ordine naturale che possiede simmetria e armonia. Già Pirandello, nei suoi saggi dedicati ad Arte e Scienza, aveva auspicato la collaborazione tra immaginazione e ragionamento per produrre un'opera tanto razionale quanto istintiva12 (seguendo involontariamente la tradizione dei membri della Lunar Society di nonno Erasmus Darwin che nel 1780 inneggiava: "Dobbiamo arruolare l'immaginazione sotto lo stendardo della scienza!"13). I maggiori scienziati del Novecento concordavano nell'attribuire all'eleganza formale il discriminante della valutazione dei risultati scientifici ottenuti con le loro teorie (si pensi ad Einstein e Heisemberg). In effetti questo è lo stesso approccio del genere fumettistico, che in pochi tratti deve saper esprimere i contenuti, avvalendosi di immagini attraenti.

Tenere conto dell'interiorità e dell'eleganza è quindi uno stimolo ulteriore per raggiungere verità più ampie, e ormai si è largamente dimostrato che anche sull'ambiente di lavoro un'atmosfera comoda che rispetti le esigenze delle persone può garantire maggior efficienza e produttività. Questo principio esatto veniva già applicato in uno degli ambienti scientifici più importanti del primo Novecento, il Circolo di Copenaghen.

L'Istituto di Fisica Teorica, inaugurato dal fisico danese Niels Bohr nel 1921, in seguito a interminabili richieste all'Università di Fisica (che erano iniziate nel 1914 ed erano state rifiutate per la novità della materia suggerita) era un casolare sperduto nel verde di Copenaghen. Era il passaggio obbligato per le menti più brillanti del periodo, che vi trovavano grande apertura, numerose possibilità di confronto, ma soprattutto un clima di giovialità e amicizia che non precludeva serate al cinema, notti insonni a decifrare la struttura dell'atomo accompagnati da un buon vino, una partita a carte o a ping pong. Forse leggevano persino i fumetti. Sicuramente ne scrivevano, come dimostra il ritrovamento delle strisce umoristiche Oh quel Dirac!14, incentrate sulla retorica e sui processi mentali del fisico e recensite positivamente sui bollettini di scienza degli anni Venti e Trenta.

Una delle personalità più importanti che giunse in giovane età a lavorare al Circolo di Copenaghen fu Werner Heisemberg, fisico tedesco di cui Niels Bohr dirà "Mai mi son sentito più in sintonia con un'altra persona"15. Nobel a soli trentadue anni, Heisemberg ci è descritto dal professor Odifreddi come "un intellettuale che seppe coniugare la ricerca del vero scientifico e filosofico con quella del bello estetico e del giusto etico16", in perfetto accordo con l'idea di "raro uccello" del geologo sopraccennato.

Werner arrivò a Copenaghen nel 1924, a soli 23 anni, dopo aver dimostrato le sue brillanti capacità in una conferenza di Gottingen nel 1921. In quel periodo il circolo di Copenaghen stava conducendo ricerche sul paradosso dato dalla coesistenza del comportamento ondulatorio e corpuscolare dell'elettrone. Pauli, amico e collega di Bohr, aveva lasciato la Danimarca affidandosi all'ingegno di Heisemberg, confidando che li avrebbe "salvati tutti con un'idea nuova"17. Il clima era talmente frizzante che le teorie nascevano a grande velocità, arrivando a vere e proprie considerazioni fantascientifiche: è il caso della teoria BKS (Bohr-Kramer-Slater) in cui si ipotizzava che il principio di conservazione dell'energia si rispettasse solo statisticamente, e che gli atomi comunicassero tra loro a distanza mediante campi virtuali. Einstein, uno dei fisici più tradizionalisti e in continua competizione con Bohr, accolse la teoria con indignazione. Anche Heisemberg era dubbioso, ma pronto a cogliere quanto di costruttivo esisteva nella stravagante teoria per trasformarla in qualcosa di nuovo e rivoluzionario.

L'illuminazione gli arrivò nell'estate del 1925, nel bel mezzo di una febbre da fieno che l'aveva impossibilitato al lavoro universitario. Ritiratosi a Helgoland, un'isola nel Mare del Nord, Heisemberg si curava ruminando meccanica quantistica e poesia tedesca. "Chi desidera capire il poema deve recarsi nella terra della poesia18", recitava Goethe, che si rivela essere precursore del principio di "Mr. Incertezza". In tutto e per tutto simile alla poesia goethiana (che se vogliamo vedere indica un metodo che può essere applicato tanto alla storia quanto alla letteratura), lo studio di Heisemberg porta a svelare che l'esperimento influisce sull'evento osservato, cioè "ciò che si vede dipende da come si guarda", e l'ordine in cui si misurano le cose ha un peso. Tanto per capire, le stesse grandezze moltiplicate in ordine diverso[5]danno risultati diversi. Nel 1926 si concluse la formalizzazione matematica della teoria19 (grazie a Heisemberg, Shrodinger, Born) e si risolsero i problemi filosofici ad essa connessi (l'elettrone può essere contemporaneamente onda e particella? Il linguaggio tradizionale con cui rendiamo conto della realtà è sufficiente a rendere comprensibile tale paradosso?). Le nuove equazioni posero sul banco una fisica probabilistica, che porta gli scienziati a "rinunciare al determinismo del mondo atomico". Nel 1927 venne ufficialmente presentato il principio di inesattezza, corretto poi in insicurezza, infine in indeterminazione (o incertezza, in inglese): l'uomo può sapere, ma deve scegliere cosa osservare e misurare, perdendo irreparabilmente la possibilità di osservare il complementare. "Non è questione di cosa non conosciamo, è questione di cosa non possiamo conoscere20".

Esattamente come in una partita di scacchi, ora la mossa stava ai fisici classici, in particolare all'orgoglioso Einstein, che contrattaccò alla conferenza Solvay del 1927. L'"eretico testardo", come Einstein era chiamato dai suoi colleghi21[6], all'ora di colazione sfidava il principio di Heisemberg con un gedankenexperiment (=esperimento mentale), che veniva puntualmente risolto dalla coppia d'oro Werner-Niels entro l'ora di cena. La frustrazione di Einstein esplose nella famosa frase "Dio non gioca a dadi". E benché la sfida decisiva lanciata da Einstein nel 1930 ("l'orologio nella scatola"22) fosse stata vinta da Heisemberg; e benché il paradosso EPR23 (Einstein-Podolsky-Rosen) fosse stato smontato da Bohr, Einstein, "il più grande fisico di tutti i tempi" a detta della rivista Physics World, rimase sempre scettico di fronte a quella che definì "una rassicurante filosofia -o religione?- così finemente cesellata da fornire una dolce pillola da cui è difficile risvegliare i credenti24". Viene da domandarsi se la testardaggine di Einstein non fosse anch'essa un credo filosofico. Essa tuttavia non poteva frenare l'irreparabile trasformazione in corso nella fisica classica. Era ormai palese che "la scienza naturale non è la natura stessa, ma una parte del rapporto tra uomo e natura; dunque dipende dall'uomo25".

Questa sottolineatura del ruolo dell'uomo nell'inter-pretazione della realtà era già evidente nei movimenti artistici, dove con altre impostazioni ideologiche si arrivava alla scomposizione della prospettiva in piani giustapposti (Cubismo), alla rappresentazione dell'inconscio e dell'interiorità (Espressionismo), alla produzione di una sur-realtà (Surrealismo, dove il quadro di Dalì La persistenza della memoria sembra ricollegarsi alle considerazioni relativistiche di Einstein sul tempo).26







Sottolineando le relazioni tra arte e scienza non bisogna però cadere nella presunzione di elevare coloro che sanno coniugare la razionalità e l'immaginazione a interpreti privilegiati della realtà, come anche sarebbe sbagliato reputarli depositari di una conoscenza élitaria e sterile. Fingere che la scienza non abbia ricadute sulla società sarebbe perciò ridicolo: lo sviluppo intellettuale ha emancipato l'uomo dalle superstizioni rendendolo capace di costruire una civiltà evoluta e considerare l'attività scientifica e artistica come neutrale tradurrebbe i suoi artefici in individui scorporati dalla comunità e dall'interesse per il proprio quadro socio-culturale27.











Se da un lato allo scienziato è richiesto il calcolo delle responsabilità etiche e sociali del suo operato, è innegabile che anche la società attui una certa pressione sull'intellettuale, che è supposto[7]avere come primo obiettivo un progresso pratico, economico e largamente fruibile. Nel corso della storia si contano così centinaia di casi in cui un intellettuale non in linea con il sistema ideologico del proprio Paese è costretto ad abbandonarlo: si pensi tanto ai fuoriusciti politici quanto ai letterati nascosti sotto pseudonimi, agli studiosi allontanati dalle comunità scientifiche. Riassume d'Alembert a proposito della cacciata del suo collega Maupertuis (che dimostrò per primo la forma della Terra con misurazioni degli archi di meridiano): "Ha creduto che si potesse essere un buon cittadino senza adottare ciecamente la fisica del proprio Paese28".















Sull'altro fronte, invece, è sufficiente dare un'occhiata agli scienziati sulle tavole di qualche fumetto per rendersi conto di come, da sempre, l'intellettuale alla prese con scoperte rivoluzionarie debba fare i conti con la pretesa rischiosa di porsi come "esclusivo conquistatore della verità oggettiva" e, di conseguenza, farsi giudice della realtà. Si introduce così il concetto di scientismo, inteso come "assoluta fiducia nell'applicazione della scienza come strumento di risoluzione delle maggiori crisi dell'umanità29". Di scienziati che, perciò, si nascondono prima di essere interpellati in questioni di guerra e distruzione, il mondo a fumetti è pieno. Jacovitti fa conoscere al suo Gionni Galassia le menti più brillanti e diffidenti opportunamente rifugiatesi lontano dal nostro pianeta che, evidentemente, "è pieno di birbanti di cui non fidarsi". Meno consapevole è la scelta del dottor Zarkov, l'aiutante di Flash Gordon uscito dalla penna di Alex Raymond, che si presta senza troppe domande a progetti scientifici e militari, con il solo vantaggio di trovarsi accidentalmente dalla parte del Bene. In questo caso gli autori del fumetto creano dei personaggi amorali, rimandando completamente la riflessione al lettore30. La figura di uno scienziato spiccatamente più altruista (ma con una buona dose di super poteri che in un certo senso facilitano la vita) è invece quella di Reed Richards, l'uomo elastico dei Fantastici Quattro e origine del successo planetario di Stan Lee e della Marvel Comics. Ciò che colpisce di lui è sicuramente il lato umano, una quotidianità ricca di dettagli coloriti in cui si inseriscono le più improbabili esperienza epiche. In perfetta adesione con tale realismo, resta una domanda: chi ha affidato al supereroe di turno, o allo scienziato, l'autorità si schiacciare il Male e di farsi garante di un'etica? Heisemberg disse: "Lo scienziato ha bisogno di sentirsi confermare da un giudice imparziale, cioè dalla natura stessa, di aver compreso la sua struttura31". Peccato che una simile comunicazione fra uomo e natura sia quasi una favola. E sebbene con carta e penna si possa ritracciare la storia e processare Reed Richards in un tribunale fuori dello spazio e del tempo per biasimarne le scelte compassionevoli o meno, la storia reale si presta soltanto a delucidazioni o tentativi di difesa da parte dei suoi protagonisti, non certo a correzioni: si veda la geniale serie a fumetti La parola alla giuria, di Mino Milani, dove l'autore presenta processi intentati contro personaggi reali (famoso quello a Oppenheimer) con tanto di tagliandino da rispedire da parte dei lettori per decretare il verdetto.

Per quanto riguarda questo argomento, la figura di Heisemberg si presta nuovamente a un'interessante analisi32. Nel 2000, a Brodway, la pièce teatrale di Micheal Frayn, Copenaghen, riscuote un clamoroso successo: il fisico tedesco, passato alla storia come uno scienziato traditore, simpatizzante del nazismo, viene riletto in chiave opposta, dimostrando il suo operato anti-hitleriano e soprattutto il suo impegno nel boicottare il tentativo tedesco di costruire una bomba atomica. Scoppiano le polemiche e i discendenti di Bohr si sentono autorizzati a rivelare una lettera mai spedita ad Heisemberg in cui sono palesi le accuse di una sua progettazione della bomba. Il tutto si rifà ad un misterioso incontro avvenuto a Copenaghen tra i due fisici nell'ottobre 1941.[8] Bohr è agli arresti domiciliari, fonde le sue medaglie Nobel per far fuggire gli intellettuali perseguitati dal nazismo, mentre Heisemberg ha accettato l'incarico offertogli da Speer, ministro tedesco degli armamenti, di guidare una comunità scientifica sullo studio della fisica nucleare. La tensione tra i due è resa evidente dall'incoerenza dei rispettivi ricordi e, laddove Bohr colpevolizza con dolore e indignazione il collega, Heisemberg annota nel suo diario la convinzione di riuscire a fare resistenza solo "fingendo di collaborare". Il suo collaborazionismo si configurerebbe dunque come una sorta di boicottaggio interno: in effetti Heisemberg aiuta colleghi ebrei a lasciare la Germania e nel 1942, quando il governo nazista indaga definitivamente sulla fattibilità del progetto atomica, Heisemberg convince Hitler dell'impossibilità di realizzare una simile arma in tempi brevi. Dall'altra parte dell'Atlantico, invece, inizia senza troppi indugi il progetto Manhattan.

Senza attribuire onori eccessivi ad Heisemberg, probabilmente il progetto atomica fallì soprattutto per la fuga degli scienziati, in maggior numero ebrei, dal territorio tedesco, oltre che per un inadeguato supporto tecnico e industriale. Inoltre la rottura degli equilibri del 1945 fu causata anche dal dilagare del timore dell'imminente mossa dell'avversario. I Tedeschi non ebbero interesse a costruire una bomba fintantoché furono convinti della stessa immobilità americana; sull'altro versante il progetto Manhattan fu incalzato dagli allarmismi riguardanti l'intervento dei Russi in Giappone e dalla morte del presidente Roosevelt, l'unico che aveva sempre prestato ascolto alle istanze pacifiste degli stessi scienziati coinvolti nella costruzione della bomba, Bohr compreso.












Resta da dire che alla resa della Germania Heisemberg viene arrestato dagli Inglesi e imprigionato a Farm Hall. Il 6 agosto l'Enola Gay sgancia la bomba su Hiroshima. "A sera i nove colleghi che dividono con Heisemberg la prigione gli chiedono, indispettiti, come e perché gli Americani siano riusciti nell'impresa che il grande fisico tedesco ha giudicato impossibile. Werner non risponde. Ma l'indomani mattina illustra ai colleghi la teoria completa della bomba che ha distrutto Hiroshima e che lui non ha mai costruito33".[9]

A questo punto l'integrità della coscienza di Heisemberg, che preferì non lasciare il controllo della scienza in mano ai nazisti, sembra dimostrata. Al di là di qualunque guadagno promesso da Hitler, Heisemberg ha saputo mantenere quella coerenza che Bohr non gli riconosce, ma che è così poco diffusa tra gli uomini. Tutta la sua vicenda umana e scientifica sembra condurre elegantemente alle parole di Francis Blake, personaggio di Jacobs e pilota dell'Espadon sopra citato: "La sua [del malvagio] tragica fine serva d'avvertimento a quanti dimenticano che la vera scienza è al servizio dell'umanità e non dell'ambizione di un tiranno. E che sopra la scienza c'è.l'uomo!".

Dal sentimento come motore di scienza e arte, alle responsabilità dell'intellettuale di fronte alla società e alla storia: il corso del tempo pare velato da un nostalgico pessimismo dovuto alla consapevolezza che il progresso tecnologico, scientifico e civile trae la sua linfa vitale dal cambiamento, dalla distruzione del passato. C'è chi si fossilizza nel guscio del proprio ricordo (come l'abile ma arcigno Schultz, che ha vietato espressamente di continuare la tradizione dei Peanuts34) e chi semplicemente si scusa: già Einstein chiedeva perdono a Newton per aver aperto le strade ad una nuova fisica che avrebbe soppiantato i concetti classici del "maestro"; ma è lecito pensare che tra qualche decennio lo stesso Einstein sarà chiuso in una teca di cristallo per lasciare spazio a nuove, strabilianti scoperte. Interessanti dunque le parole del filosofo della scienza Feyerabend35, che ha fatto vacillare l'eccessiva fiducia nella scienza, la quale evidentemente non può più pretendere di spiegare la realtà con un processo rigoroso. Questo, peraltro, lascia spesso spazio a mezzi ben più artistici e sentimentali per raggiungere il cuore dell'uomo e rimanervi. La scienza si spiega dunque come una "messa in scena", proprio come l'arte. E non c'è contraddizione in tutto questo: "Talete aveva avuto bisogno di una piramide, Eratostene di un pozzo, Archimede di una vasca da bagno, specchi ustori, di mani di ferro, eccetera. La piramide del primo, come il pozzo del secondo e i marchingegni del terzo non sono necessari ad accertare la verità scientifica, né ad aumentare il rigore della dimostrazione; sono là per colpire l'immaginazione e consentire di rispondere all'interrogativo: -In che modo questa verità ci riguarda?-. Le verità scientifiche hanno bisogno di belle storie perché gli uomini possano affezionarvisi. Il mito, in questo caso, non ha lo scopo di entrare in concorrenza col vero, bensì di stabilire il contatto con quello che preme agli uomini e che li fa sognare36".


Bibliografia


Libri

Pier Luigi Gaspa, Giulio Giorello, La scienza tra le nuvole, Da Pippo a Newton a Mr. Fantastic, Raffaello Cortina Editore, 2007

Nicolas Witkowski, Storia sentimentale della scienza, Le passioni all'origine del pensiero scientifico, Raffaello Cortina Editore, 2003

Piergiorgio Odifreddi, Il matematico impertinente, Tea, 2007

Italo Calvino, Palomar, Oscar Mondadori Editore, 1983

Horia-Roman Patapievici, Gli occhi di Beatrice, Mondadori, 2006

Primo Levi, Il sistema periodico, Einaudi, 1975

Denis Guedj, Il teorema del pappagallo, Tea, 2003


Graphic Novel

Jim Ottaviani, Leland Purvis, Un pensiero abbagliante, Niels Bohr e la fisica dei quanti, Sironi Editore, 2007

Charles M. Schulz, Peanuts, Ti ha mai baciato nessuno, Charlie Brown?, Baldini Castoldi Editore, 2005



Volumi Scolastici

Parodi, Ostili, Mochi Onori, L'evoluzione della fisica, vol. 3, Paravia, 2006

Cattaneo, De Flaviis, Literary Maps, vol. 3, Signorelli Editore, 2000


Articoli di giornale

Stefano Feltri, Così sono rinati gli scorpioni del deserto, Specchio

Armando Massarenti, Heisemberg e Bohr, indeterminati a tutto, Il Sole 24 Ore - 17 settembre 2000

Marco Deramo, Controversie a prova di atomica, Il Manifesto - 16 febbraio 2002

Vittorio Spinelli, Heisemberg e la bomba, Avvenire - 28 luglio 2001

Romeo Bassoli, Heisemberg  mentì: voleva fare l'atomica, Il Messaggero - 8 febbraio 2002

Pietro Greco, Caro Heisemberg, tu vuoi la bomba, L'Unità - 8 febbraio 2002

Pietro Greco, Fisica e storia, Le lettere di Bohr, da www.zadig.it

Pietro Greco, Born, genio di un mondo probabile, L'Unità - 5 gennaio 2000

Piergiorgio Odifreddi, Fisica, o cara, La Stampa - 27 maggio 1999

Marco Vozza, Cosa avevano in comune Cézanne e Heisemberg, La Stampa - 29 gennaio 2000

Alberto Di Majo, Arte come scienza, Il Tempo - 7 settembre 2001


Web

www.swif.it, Sito Web Italiano per la filosofia

www.zadig.it Agenzia di giornalismo scientifico

www.fumetti.org






1. Jacques Deprat, Les chiens aboient., in Nicolas Witkowski, Storia sentimentale della scienza, Raffaello Cortina Editore, pag. 292

2. Gianfranco Goria, Scrivere a fumetti. Il manifesto delle Sette Arti di Canuto, pubblicato sulla Gazzette des sept arts, elencava, nell'ordine: architettura, musica, pittura, scultura, poesia, danza e cinematografia. L'ottavo posto spetta, per Claude Beylie, alla radio-televisione.

3. Robert Hunt, Poetry of science, in Nicolas Witkowski,.op. cit., pag. 275

4. Alberto Di Majo, Arte come scienza, Il Tempo - 7 settembre 2001




5. Luca Boschi, Prefazione a La scienza tra le nuvole, pag. VII

6. Filmato reperibile su YouTube con le parole Donald Duck, How to have an accident in the home.

7. L. Novelli, In viaggio con Darwin. Patagonia e Terra del Fuoco, in Pier Luigi Gaspa, Guido Giorello, La scienza tra le nuvole, pag. 5


8. Pier Luigi Gaspa, Guido Giorello, La scienza tra le nuvole e Nicolas Witkowski, Storia sentimentale della scienza. Artisti che anticiparono le mosse degli scienziati furono anche Edgar Allan Poe, che si avvicinò intuitivamente alle teorie di Einstein sulla velocità della luce (E.A. Poe, Eureka), e niente poco di meno che Dante Alighieri, il cui mondo ultrasensibile descritto nella Divina Commedia si è rivelato essere, dopo molti calcoli, un'ipersfera, figura difficile da immaginare con la comune geometria piana o solida, e illustrata da Einstein nello studio dello spazio curvo (Horia-Roman Patapievici, Gli occhi di Beatrice).

9. Nicolas Witkowski, op. cit., pag. 109

10. D.H. Lawrence, Apocalypse. "La base intera della nostra conoscenza è sensuale, e questo campo della conoscenza è immenso, illimitato".

11. Primo Levi, Il sistema periodico. In particolare, Potassio.

12. Marco Vozza, Cosa avevano in comune Cézanne e Heisemberg, La Stampa - 29 gennaio 2000.

13. Nicolas Witkowski, op. cit., pag. 124


14. Jim Ottaviani, Leland Purvis, Un pensiero abbagliante, pag. 295

15. Pietro Greco, Fisica e storia, Le lettere di Bohr.

16. Piergiorgio Odifreddi, Fisica, o cara, La Stampa - 27 maggio 1999

17. Jim Ottaviani, Leland Purvis, op. cit., pag 119.

18. J. W. Goethe, Il divano occidentale orientale.

19. Lo studio di Heisemberg parte dal principio di corrispondenza di Bohr, secondo cui la meccanica classica e quella quantistica si somigliano quando i numeri quantici M (=direzione in cui punta l'orbita) e N (=dimensione dell'orbita) sono molto grandi. Heisemberg usa dunque concetti di fisica classica per esprimere l'energia dell'elettrone nei salti quantici a partire dalle orbite più esterne. Elabora le formule di De Broglie per esprimere l'energia in funzione del momento p e della posizione sull'orbita q.

De Broglie ha ottenuto la lunghezza d'onda in funzione del momento; rielaborando, Heisemberg ottiene:

E in particolare:

.


20. Jim Ottaviani, Leland Purvis, op. cit., pag 138.

21. Pietro Greco, Born, genio di un mondo probabile, L'Unità - 5 gennaio 2000

22. "L'orologio nella scatola" risale alla sesta conferenza Solvay, del 1930. Einstein propose il seguente sistema: una scatola presenta un buco che si può chiudere con un otturatore controllato da un timer interno della scatola; dentro alla scatola si introducono dei fotoni; si pesa il sistema. Poi si apre l'otturatore in modo da far uscire un solo fotone. Si ripesa la scatola e dalla differenza con la massa precedente si ottiene la massa del fotone. Moltiplicata quest'ultima per la velocità della luce al quadrato si ha l'energia del fotone; infine l'orologio all'interno della scatola ha misurato per quanto tempo questa energia è stata mantenuta. Così Einstein pensò di contraddire  .

Il giorno dopo Bohr e Heisemberg risposero. La scatola si muove in un campo gravitazionale, il quale influenza il modo in cui scorre il tempo per l'orologio. Se la massa della scatola diminuisce, anche la forza peso agente sulla molla della bilancia diminuisce, provocando uno spostamento della scatola in un nuovo campo gravitazionale, perciò un cambiamento del modo in cui il tempo scorre per l'orologio, al contrario degli osservatori, fermi, per i quali non c'è variazione di campo. Da qui deriva l'incertezza sul momento in cui si apre l'otturatore, che vale h.

23. Secondo l'interpretazione di Copenaghen, l'ingerenza della strumentazione nell'esperimento è tale da poterne definire il risultato solo in modo probabilistico; le funzioni matematiche che descrivono le grandezze fisiche sono in realtà risultate dagli stati particolari delle particelle. In questo senso, la composizione di tutte le possibilità del risultato dell'esperimento è detta sovrapposizione degli stati e fornisce la soluzione più generica. Quando si effettua la misurazione, lo strumento "costringe" la particella a collassare in uno stato particolare, che viene quindi registrato.

In casi particolari la misurazione di uno stato può, per esclusione, rivelarne un altro strettamente correlato al primo. Per esempio: due buste chiuse, contenenti una un foglio nero e l'altra un foglio rosso, vengono spedite ciascuna a un polo della Terra. Non si sa quale busta contenga quale foglio, ma aprendone una si saprà con certezza il contenuto della seconda. Questa "azione fantasma a distanza" fu per Einstein la giustificazione che la teoria dei quanti era incompleta. Nel paradosso EPR la misurazione della posizione di una particella A che ha interagito con una particella B ed è stata da essa allontanata, causa l'incertezza della quantità di moto anche della particella B. Una simile interazione a distanza viaggia a velocità superiori a quelle della luce, contraddicendo la relatività.

Bohr risolse il paradosso affermando che il sistema di riferimento di Einstein era eccessivamente ridotto, mentre uno più appropriato non avrebbe definito locale solo la particella A, ma anche la particella B ed entrambi gli osservatori. La non località della meccanica quantistica è stata poi verificata sperimentalmente dal fisico francese Aspect negli anni Ottanta.

24. Jim Ottaviani, Leland Purvis, op. cit., pag. 156

25. Jim Ottaviani, Leland Purvis, op. cit., pag. 148


26. Senza scordare la letteratura: Calvino, nel suo Palomar, scrive "Ma come si fa a guardare qualcosa lasciando da parte l'io?"; "Non possiamo conoscere nulla d'esterno a noi scavalcando noi stessi". (Mondadori, 1983, pag. 112 e 118)

27. Umberto Veronesi, Una camera alta per etica e scienza.

28. Nicolas Witkowski, op. cit., pag. 91

29. Pier Luigi Gaspa, Guido Giorello, op. cit., pag. 188.

30. Pier Luigi Gaspa, Guido Giorello, op. cit., pag. 259. "Mi interessava indagare le relazioni tra gli esseri umani e le nuove tecnologie, capire in che modo queste ultime o i cambiamenti sociali rapidi incidano sulla società umana" racconta Miguel Angel Martin, autore di Brian the Brain. "I miei personaggi potranno essere accusati di tutto, ma resta che sono individui amorali, non immorali. Sono dei sopravvissuti in un modo a loro ostile. Non giudico i miei personaggi, semplicemente li presento e lascio che il lettore tragga le sue conclusioni".


31. Pier Luigi Gaspa, Guido Giorello op. cit., pag. 210

32. Jim Ottaviani, Leland Purvis, op. cit. pag. 198; Armando Massarenti, Heisemberg e Bohr, indeterminati a tutto, Il Sole 24 Ore - 17 settembre 2000; Marco Deramo, Controversie a prova di atomica, Il Manifesto - 16 febbraio 2002; Vittorio Spinelli, Heisemberg e la bomba, Avvenire - 28 luglio 2001; Romeo Bassoli, Heisemberg mentì: voleva fare l'atomica, Il Messaggero, 8 febbraio 2002; Pietro Greco, Caro Heisemberg, tu vuoi la bomba, L'Unità, 8 febbraio 2002.


33. Pietro Greco, Fisica e storia, Le lettere di Bohr.

34. Stefano Feltri, Così sono rinati gli scorpioni del deserto.

35. Mario Porro, Dietro le insidie dell'Uno, Il Manifesto - 7 Settembre 2002

36. Denis Guedj, Il teorema del pappagallo.


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