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Le malattie del cuore




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Le malattie del cuore



Anche nel caso delle malattie del cuore e degli altri organi interni  esistono vari approcci in sperimentazione. Nel 2001 un gruppo guidato dallo scienziato italiano  Piero Aversa ha individuato una limitata attività di divisione delle  cellule cardiache (cardiomiociti) nel cuore colpito da infarto e questo ha fatto pensare che anche il tessuto cardiaco possiede una qualche capacità rigenerativa. Non è però ancora del tutto certo che nel cuore  umano adulto esistano vere e proprie cellule staminali:  i dati disponibili sono stati ottenuti sui maiali con una  tecnica messa a punto da un gruppo italiano e se ne attende ancora la conferma in ambito umano.

In ogni caso la procedura del prelievo direttamente dal cuore del paziente e le difficoltà di espansione in vitro non ne fanno un approccio di ravvicinata applicabilità clinica.

Allo stato dei fatti, quindi, le strategie per riparare i danni al cuore con terapie cellulari dipendono dalla possibilità di avere a disposizione fonti esterne e rinnovabili di cellule capaci di produrre cardiomiociti.

Il primo esperimento è stato compiuto già nel corso degli anni Ottanta sui topi: cellule staminali embrionali sono state iniettate nel cuore di un topo adulto e si sono perfettamente incorporate nel muscolo, assumendo anche il battito cardiaco del cuore ospite. È stato uno dei primi esperimenti dai quali si è compreso l'enorme potenziale terapeutico di questa tecnologia, ma la cautela è d'obbligo. Il cuore è un organo dall'architettura molto complicata, comprendente non solo tessuti muscolari

ma anche i tessuti che compongono il sistema vascolare, cioè le vene dalle quali il cuore trae nutrimento. Di recente, cellule staminali embrionali hanno prodotto in vitro strutture miocardiche con adeguate capacità contrattili, e, in uno studio di un gruppo tedesco, persino piccole vene: ma si tratta di esperimenti che richiedono ulteriori conferme in modelli animali prima di programmarne la sperimentazione sull'uomo. Già in fase di sperimentazione clinica è invece un secondo approccio, che usa le cellule staminali (o, meglio, progenitrici) tratte dai muscoli (mioblasti) e, insieme ad

esse, fattori di crescita per stimolare la formazione dei vasi sanguigni,un processo che si chiama angiogenesi. La speranza è di poter stimolare la rigenerazione muscolare e la rivascolarizzazione per trattare almeno lesioni cardiache isolate, senza la necessità quindi di ricorrere al trapianto dell'intero cuore. Questa strategia è stata perfezionata e messa in atto in dieci pazienti colpiti

da infarto da un gruppo francese guidato da Philippe Menasché, operante presso l'INSERM (Istituto

nazionale della salute e della ricerca medica) di Parigi. Il progetto è partito nel 2000 e i primi risultati sono incoraggianti: le cellule hanno attecchito e migliorato la contrattilità locale. La fase successiva dello studio, ancora in corso, è diretta a saggiare la reale efficacia di questa metodologia nel recupero dell'attività cardiaca normale e il destino delle cellule muscolari trapiantate nel tempo.

Infine, un terzo approccio è stato messo in atto nel 2001 da Piero Aversa con un esperimento compiuto sui topi. Aversa ha iniettato in topi ai quali era stato provo­cato un infarto cellule staminali tratte dal midollo osseo e ha potuto osservare la formazione di nuovi cardio­miociti che, in qualche caso, hanno rigenerato fino al 68 per cento la parte danneggiata. Questo interessante ri­sultato è stato però in seguito messo in dubbio da due ricerche portate a termine nel 2004 e l'autorevole rivi­sta che ha ospitato tutti e tre gli studi ("Nature") ha in­vitato gli scienziati alla massima cautela prima di passa­re all' applicazione clinica con dati così contrastanti. In effetti, sulla scia dell'interesse destato dallo studio di Aversa e dei dati, piuttosto controversi, che intanto si accumulavano circa la plasticità» delle cellule staminali del midollo osseo, qualche équipe medica ha ritenuto di poter passare al­l'applicazione clinica sugli esseri umani. Questo è acca­duto anche in Italia: il primo esperimento è stato effet­tuato presso il Policlinico di Padova nel corso del 2002, l'ultimo presso il Centro cardiologico Monzino di Mi­lano, dove sono stati ottenuti risultati incoraggianti sui quattro pazienti arruolati nello studio-pilota iniziato due anni fa. La comunità scientifica è cauta nella valu­tazione dei risultati: il numero dei pazienti trattati è an­cora esiguo e spesso i dati non sono facilmente con­frontabili a causa delle differenti metodologie usate.


 È anche oggetto di attenta valutazione il significato biologico dei risultati ottenuti con queste sperimenta­zioni (e le altre ricordate nei paragrafi precedenti) che utilizzano cellule staminali del midollo osseo non sotto­poste in vitro a processi di alterazione. È stata avanzata un'ipotesi estremamente interessante: che le cellule sta­minali abbiano imparato a funzionare da cellule cardia­che (o da cellule neurali e così via) rispondendo a se­gnali biochimici contenuti nell' ambiente e attivati dalla stessa lesione subita dall' organo. Come si ricorderà, ho già accennato a questo fenomeno, che però fino­ra si riteneva limitato alle prime fasi dello sviluppo em­brionale, ma che di recente è stato individuato anche nel cervello. Se questa ipotesi dovesse trovare confer­ma, si aprirebbe una prospettiva di grande interesse: quella cioè di riuscire a rimettere in moto, almeno in al­cuni tessuti (il fegato, ad esempio, si è rivelato partico­larmente adatto allo scopo), i meccanismi locali di ripa­razione tissutale, magari rifornendoli di materia prima laddove necessario, in modo che diventino autorigene­ranti.



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