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Il problema della rivascolarizzazione coronarica e della diagnostica intraoperatoria




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Il problema della rivascolarizzazione coronarica e della diagnostica intraoperatoria.













Definizione sintetica dei termini del problema.





Un'alta  percentuale di interventi di cardiochirurgia riguarda la cura di cardiopatie coronariche, cioè le patologie che riguardano la circolazione (detta coronarica) deputata a rifornire di sangue il muscolo cardiaco. Il cuore ha bisogno di una continua irrorazione sanguigna e, nel caso di ridotto afflusso di

sangue, può rendersi necessario l'ausilio della chirurgia: si provvede all'impianto di tratti di vaso sanguigno (naturale o artificiale) ed alla costruzione dei cosiddetti by- pass coronarici.

Le tecniche che mirano a ripristinare la corretta perfusione sanguigna del muscolo cardiaco prendono, in generale, il nome di rivascolarizzazione coronarica ed è di fondamentale importanza che il chirurgo sia in grado di valutare, in tempo reale e con strumenti diagnostici opportuni, l'andamento dell'operazione. In particolare,

sarebbe utile, in questi casi, stimare l'afflusso di sangue nei rami impiantati e l'effetto sull'intera circolazione coronarica.

Trattandosi di interventi particolarmente invasivi, che comportano l'apertura del

torace del paziente e condizioni di circolazione imposte (circolazione extra-corporea, chiusura dei vasi sanguigni interessati nel corso dell'intervento, etc.), si sente l'esigenza di non utilizzare tecniche intraoperatorie che possano ulteriormente "caricare" l'organismo del paziente. Anche in ambito diagnostico, quindi, la tendenza è quella di cercare tecniche di facile applicazione e minima invasività.

La nostra attenzione sarà rivolta ad una tecnica innovativa in quest'ambito, la termografia ad alta risoluzione, che utilizza un mezzo di contrasto assolutamente

naturale, il calore corporeo, per evidenziare caratteristiche strutturali e funzionali di parti dell'organismo umano.


Prima di addentrarci nell'analisi delle metodiche e della loro applicazione, faremo un breve accenno all'anatomia e fisiologia del sistema cardiovascolare e ai metodi diagnostici attualmente usati in cardiologia.






Struttura e funzione del sistema cardiovascolare.



Il sistema cardiovascolare o apparato cardiocircolatorio è l'insieme di organi che provvedono alla circolazione del sangue. Schematicamente può essere rappresentato da due circuiti chiusi di condotti ramificati il grande circolo, o circolazione sistemica e il piccolo circolo, altrimenti detto polmonare), al centro dei quali è posto un organo propulsore: l'apparato è formato quindi dal cuore e dai vasi sanguigni, denominati arterie, vene e capillari. Il cuore occupa una posizione centrale e, con la sua azione meccanica, invia sangue ai diversi organi e alla periferia (fig 1-1). Il cuore è un unico muscolo cavo, costituito da tessuto muscolare striato (miocardio), rivestito all'interno da un endotelio detto endocardio, e all'esterno da un foglietto viscerale detto epicardio. Al suo interno sono contenute quattro cavità: due atri, superiori, a pareti più sottili e due ventricoli, inferiori, a pareti più robuste (soprattutto il sinistro). Tra atri e ventricoli esiste una comunicazione; cuore destro e cuore sinistro, pur costituendo una unità anatomica e funzionale, fanno parte di due circuiti indipendenti (fig 1-2). Tra gli atri e i ventricoli sono situate due valvole (tricuspide a destra e mitrale a sinistra), che si aprono nella fase diastolica permettendo al sangue di

passare dagli atri ai ventricoli e si chiudono nella fase di contrazione sistolica , impedendo al sangue di refluire. Trascuriamo i complessi meccanismi che stanno alla base della generazione e conduzione dell'impulso cardiaco e della sua regolazione,

come pure i dettagli dell'anatomia di quest'organo e dei suoi collegamenti con i grandi vasi, argomenti per i quali si rimanda a testi specialistici.

Per quanto riguarda le caratteristiche della pompa cardiaca, si definisce come

gettata cardiaca (GC) la quantità di sangue che esce da ciascun ventricolo in un minuto; questa grandezza (che si misura in ml/min) dipende dal volume sistolico (VS), che è il volume di sangue emesso da ciascun ventricolo ad ogni battito e dalla frequenza cardiaca (FC) o polso. La normale gettata cardiaca, in condizioni di riposo, ammonta a circa 4200-6000 ml/min (corrispondenti a FC=70-80 battiti/min e VS=60-

70 ml/min); durante l'attività muscolare, la frequenza può arrivare a 120 battiti/min e il volume sistolico a 120 ml/min con valori di GC fino a 14 l/min[6,7 .






Fig 1- 1 Rappresentazione schematica del sistema circolatorio: sono evidenti i due circoli (grande e piccolo) e i collegamenti tra il cuore e i principali organi.



Analizziamo invece in breve la struttura dei vasi sanguigni: sia il grande che il piccolo circolo sono costituiti da arterie, vene e capillari. In generale si può dire che le arterie sono i vasi uscenti dal cuore (quindi non necessariamente quelli che portano sangue ricco di ossigeno), mentre le vene sono quelli entranti. Il vaso più cospicuo di tutto il corpo è l'aorta, dalla quale originano i rami destinati al rifornimento sanguigno di tutti gli organi. Il sangue è pompato nell'aorta dal ventricolo sinistro ad una pressione sistolica (pressione massima generata dalla contrazione) di circa 125 mm Hg (i valori tipici oscillano tra 100 e 150 mm Hg); quando il ventricolo si rilascia, la pressione scende ad un valore detto pressione diastolica (pressione minima determinata dalla resistenza dei vasi e dal ritorno elastico) di circa 75 mm Hg (limiti

60-90 mm Hg).

La suddivisione dell'albero arterioso è per rami collaterali, che le arterie diramano lungo il loro percorso conservando nome e direzione. Le arterie possono

essere di grosso, medio e piccolo calibro; a queste fanno seguito le arteriole e infine la rete capillare. La divisione delle arterie non costituisce in realtà un vero e proprio

albero, ma assume parzialmente l'aspetto di una rete: in ogni distretto sono presenti infatti anastomosi e rami anastomotici, che pongono in comunicazione arteria con arteria e consentono al sangue di raggiungere i tessuti da almeno due vie diverse. Più numerose comunicazioni anastomotiche esistono tra i capillari, che formano una vera e propria rete, molto estesa in grado di assicurare gli scambi tra sangue e tessuti.





Fig 1- 2 Schema del cuore e dei suoi vasi sanguigni principali.



L'albero venoso inizia con vasi di piccolissimo calibro in cui confluiscono i capillari; fanno seguito venule maggiori all'interno degli organi, poi vene di uscita dagli organi e dai distretti. Queste sono tributarie dei grossi tronchi che vanno a sboccare nel cuore: le vene cave superiore ed inferiore (fig 1-3). L'ampiezza dell'intero letto vascolare (si definisce letto appunto per la sua struttura a rete) è regolata da vari meccanismi: va osservato che ha una capacità più elevata dell'intera massa sanguigna, quindi bisogna considerare capacità variabili nei vari settori a seconda delle necessità (sistemi di vasodilatazione e vasocostrizione).

Da un punto di vista strutturale, i vasi sanguigni hanno caratteristiche diverse: le arterie più grosse, come l'aorta e l'arteria polmonare, sono dette arterie elastiche,

poiché la maggior parte dello spessore delle loro pareti è costituita da tessuto connettivo elastico, che consente un meccanismo di propagazione dell'onda di pressione generata dal cuore; le medie e piccole arterie (arteriole) sono ramificazioni

delle grosse arterie e contengono nelle loro pareti molti strati di muscolatura liscia (sono dette pertanto arterie muscolari), consentendo le funzioni di regolazione del diametro del vaso prima accennate; i capillari servono come area di scambio tra il

sangue e il compartimento liquido interstiziale che circonda le cellule; le piccole vene (o venule) drenano il letto capillare e sono formate in buona parte da collagene, un tipo di tessuto connettivo non elastico; le vene di medie dimensioni hanno struttura simile a quella delle arterie muscolari e quelle di grandi dimensioni (come le vene cave) hanno una parete di tessuto connettivo e funzioni di deposito e conduzione del sangue[6,7 .





Fig 1- 3 Rappresentazione delle relazioni esistenti nell'albero vascolare.




Dopo questa breve descrizione del sistema cardiovascolare nel suo complesso, passiamo a trattare più approfonditamente la sezione di maggiore interesse per i nostri scopi, cioè la circolazione coronarica.







La circolazione coronarica: struttura, funzione e patologie.



Come tutti gli organi del corpo, il cuore stesso deve essere irrorato dal sangue portato in circolo. Esiste quindi una circolazione preposta alla perfusione del miocardio che si rivela importantissima per la vita stessa dell'individuo, in quanto responsabile dell'attività di un organo che deve essere ininterrottamente rifornito di ossigeno e nutrienti. La circolazione deputata all'irrorazione del muscolo cardiaco è detta circolazione coronarica. Essa è costituita da due arterie coronarie principali (la destra e la sinistra) che partono direttamente dall'aorta, poco al di sopra del punto in cui questa emerge dal ventricolo sinistro (fig 1-4).





Fig 1- 4 Il cuore e i principali vasi sanguigni visti frontalmente. In figura si possono osservare i grandi vasi della circolazione coronarica.



La coronaria destra irrora l'atrio ed il ventricolo destro e una porzione della parete posteriore del ventricolo sinistro. La coronaria sinistra con i suoi due rami, ramo circonflesso e ramo interventricolare anteriore, irrora l'atrio ed il ventricolo sinistro. La gran parte del flusso coronarico avviene in fase diastolica quando le arterie coronarie sono sottoposte ad una minore pressione esercitata dalla muscolatura miocardica; invece, durante la diastole, il cuore che si dilata riempiendosi di sangue limita il flusso, "spremendo" le arterie coronarie. Si può rilevare che il 4-5% circa della gettata ventricolare sinistra viene distribuito al miocardio attraverso le arterie coronarie. Le due arterie coronarie riforniscono numerosi capillari, quasi sempre in maniera asimmetrica: la misura di questi è calcolata in circa 11 m per mm3 di muscolo cardiaco. La circolazione venosa coronarica segue in modo quasi parallelo

quella arteriosa ed il sangue venoso viene raccolto nel seno coronarico per confluire nell'atrio destro.

Dal punto di vista patologico, rivestono notevole importanza tutte quelle situazioni in cui il flusso coronarico (e conseguentemente la perfusione del

miocardio) risulta notevolmente ridotto. I fattori che influenzano questo tipo di patologie sono diversi, sia di natura genetica (ipertensione, diabete, familiarità) che soggettiva (vita sedentaria, abitudini alimentari, stress, fumo), ma la dinamica di quella serie di patologie che rientrano nel capitolo dell'arteriosclerosi coronarica è

quasi sempre la stessa. L'arteriosclerosi può essere in generale definita come un restringimento delle arterie dovuto principalmente alla formazione di una placca (detta ateroma), conseguente ad una lesione dell'endotelio della parte più interna della parete delle arterie (intima); questa lesione altera le proprietà dell'endotelio che, in condizioni normali, non consente l'aggregazione delle piastrine e tutti i processi di coagulazione che avvengono all'esterno dei vasi sanguigni. Quando invece l'endotelio viene alterato (ad esempio a causa di elevati valori di colesterolo), segue l'attivazione piastrinica e la proliferazione di cellule muscolari lisce; queste inglobano lipidi e costituiscono il substrato di aggregazione delle piastrine. In questa condizione è possibile la formazione di trombi che portano all'occlusione del vaso.

Uno dei fattori che contribuisce a rendere particolarmente grave l'occlusione di un ramo coronarico è la scarsa presenza di anastomosi tra i rami arteriosi e quindi la

difficoltà del sangue nel trovare percorsi alternativi con conseguente mancanza di perfusione di parti del miocardio.

Nella fattispecie, l'arteriosclerosi coronarica è responsabile di tre importanti affezioni cardiache[7]:

Cardiopatia arteriosclerotica (sofferenza diffusa del miocardio con dispnea e disturbi del ritmo cardiaco).

Angina pectoris (violento attacco doloroso che colpisce il miocardio privato di ossigeno in seguito a stenosi3 coronarica).

Infarto o coronaropatia ischemica acuta (necrosi di una parte del tessuto miocardico per improvvisa occlusione di un ramo coronarico).

Mentre l'angina pectoris è l espressione di un danno cellulare reversibile, l'infarto è dovuto ad una ischemia4 prolungata che porta ad un danno cellulare irreversibile, cioè a morte cellulare. La morte cellulare si verifica dopo circa 20 minuti di ischemia: a quel punto nelle aree necrotiche il miocardio non è più capace di conservare una funzione contrattile. La sede dipende dal ramo coronarico coinvolto: gli infarti inferiori sono di solito dovuti a lesioni della coronaria destra, quelli anteriori a lesioni della discendente anteriore.

Ricordiamo che le patologie cardiache, in particolar modo l'infarto, sono le principali cause di malattia e morte nel mondo occidentale, nonostante la sempre più diffusa informazione sulla prevenzione primaria mediante correzione dei principali fattori di rischio (ipertensione arteriosa, fumo di sigarette, etc.) abbia determinato una drastica riduzione della mortalità coronarica negli ultimi vent'anni.






Tecniche diagnostiche in cardiologia.



In presenza di queste patologie, specialmente nei casi più gravi, può essere necessario ricorrere alla cardiochirurgia, che interviene con varie tecniche volte a ripristinare la circolazione coronarica insufficiente e a garantire (per quanto possibile) una adeguata perfusione del miocardio. Gli interventi chirurgici sulle coronarie possono essere di vari tipi, ma, in generale, si tratta di bypassare l'occlusione del vaso con tecniche di ricostruzione (angioplastica), utilizzando sia tessuti biologici, come vasi sanguigni (molto usata è la vena safena situata nella gamba) o materiali artificiali biocompatibili (tra cui ricordiamo il dacron). Non stiamo qui a soffermarci sulle tecniche chirurgiche e sulla loro validit , ma vogliamo sottolineare che quasi sempre, in questo tipo di intervento, si inserisce un nuovo tratto di vaso che dovrebbe garantire un superamento dell'occlusione e un ripristino delle condizioni di flusso ottimali per il corretto funzionamento del miocardio. È quindi di fondamentale importanza che il cardiochirurgo riesca a valutare con mezzi diagnostici affidabili la perfusione miocardica dei rami interessati sia prima dell'intervento che durante lo svolgimento dello stesso. Esistono attualmente varie tecniche utilizzate per questi scopi, che mettono in evidenza vari aspetti della patologia presente e che prevedono differenti tecnologie e livelli di invasività.

Forniamo qui un elenco[7] delle principali tecniche diagnostiche utilizzate in cardiologia, per poi focalizzare l'attenzione sulla cardiochirurgia e sulle tecniche diagnostiche intraoperatorie. Partiamo dalle tecniche strumentali5 non invasive:

Radiografia toracica (RX torace) - si effettua in 4 posizioni e consente di visualizzare il profilo del cuore, identificare alterazioni delle camere e scoprire eventuali calcificazioni.

Elettrocardiogramma (ECG) - permette di valutare il ritmo e la posizione del cuore; l'analisi delle diverse onde consente di identificare eventuali anomalie cardiache; può essere eseguito a riposo, sotto sforzo o mediante monitoraggio continuo nelle 24 ore.

Ecocardiogramma - si tratta di una tecnica ultrasonica in grado di visualizzare struttura e movimenti delle valvole, spessore e movimento della parete miocardica, dimensione delle camere cardiache. Usando tecniche di eco-Doppler è possibile misurare la velocità degli elementi del sangue e aggiungere alla valutazione strutturale anche quella funzionale.

Diagnostica con radionuclidi - impiega piccole dosi di radionuclidi (Tallio 201 e Tecnezio 99), iniettate per via endovenosa, che si fissano ai tessuti e consentono, mediante scintigrafia, di visualizzare aree di interesse. In particolare, il Tallio 201 si fissa al miocardio in maniera proporzionale al flusso coronarico ed è particolarmente indicato nelle diagnosi di patologia ischemica.

Tomografia ad emissione di positroni (PET) - impiega radionuclidi come Ossigeno 15 o Carbonio 11 e permette la valutazione del flusso e del metabolismo del miocardio.

Risonanza magnetica nucleare (RMN) - permette di ottenere immagini precise, non è invasiva e consente l osservazione su più piani con buona risoluzione. Viene usata prevalentemente come esame integrativo.

Ecografia ed Ecodopplersonografia dei vasi.

Esami bioumorali.






Tra gli esami strumentali invasivi invece segnaliamo:

Cateterismo cardiaco - si effettua introducendo il catetere attraverso una vena del braccio o della gamba e consente la misurazione di pressione, gittata e altri parametri cardiaci. È inoltre utilizzato per l'iniezione di mezzi di contrasto.

Angiografia Coronarica - per opacizzare le coronarie si iniettano 6-

10 ml di mezzo di contrasto; l'esame permette di evidenziare rami epicardici di diametro minimo di 5 mm e di localizzare lesioni od ostruzioni delle arterie coronariche. Le indicazioni per questa indagine sono quelle di documentare la presenza e la gravità di una stenosi coronarica, confermare la diagnosi e, soprattutto, fornire indispensabili informazioni per un eventuale successivo intervento chirurgico.

Angiografia digitale con sottrazione di immagine - permette di ottenere un immagine digitale cui viene sottratta l'immagine registrata prima della somministrazione del mezzo di contrasto. È così possibile ottenere risultati migliori con minori dosi di sostanza da iniettare.



Per quanto riguarda la pratica chirurgica, ci si rende conto che molti sono gli strumenti per diagnosticare e rilevare le patologie, ma manca una tecnica intraoperatoria, di facile e rapida esecuzione che permetta di valutare in tempo reale l'efficacia dell'intervento. Considerando l'ambito della coronaropatia, ad esempio, si può in vari modi verificare la necessità dell'intervento e raccogliere informazioni pre- operatorie (la tecnica più indicata è in questo caso l'angiografia coronarica).

Una possibile soluzione alle problematiche suddette sta venendo in questi ultimi anni dall'introduzione nel campo cardiochirurgico di una nuova tecnica che si sta affermando anche per altre applicazioni in medicina. La tecnica dell'imaging funzionale infrarosso sarà descritta nel II capitolo, con accenni alle possibilità di utilizzo in cardiochirurgia. Le condizioni che si verificano in questo tipo di interventi consentono di avere una situazione ottimale per la visualizzazione delle coronarie, per l'ottimo contrasto termico tra i vasi e l'epicardio che si presentano esposti senza lo schermo dei tessuti del torace. Saranno successivamente enunciati ulteriori vantaggi della tecnica ed esposti vari esempi di questo tipo di applicazioni (per la maggior parte sperimentali) dell'imaging termico.

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