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Farmacoterapia dell'epilessia




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Farmacoterapia dell'epilessia

Nel 1857 venne introdotto il primo farmaco antiepilettico: il bromuro di etidio. Nel 1912 si utilizzò per la prima volta il fenobarbtal, seguita, un pò di tempo dopo dall'utilizzo della fenitoina. Negli anni compresi tra 1935-1960 furono fatti grandi progressi nello sviluppo di modelli sperimentali e nei metodi di selezione e di prova dei nuovi farmaci antiepilettici. Una svolta fu segnata nel 1965 con l'introduzione in clinica dell'acido valproico e benzodiazepine.

Attualmente, i farmaci che vengono utilizzati per il trattamento dell'epilessia sono:

Azione a livello del recettore GABAA;

Azione a livello dei canali del sodio e sulla trasmissione glutammatergica;

Azione a livello dei canali del calcio T;

Azione mista;

Meccanismo di azione sconosciuto.

Farmaci antiepilettici che agiscono sulla trasmissione GABAergica

L'epilessia è caratterizzat da una diminuzione del tono inibitorio esercitato dalle sinapsi GABAergiche. I farmaci che modulano l'attività della sinapsi GABAergica sono:

a)     Benzodiazepine

b)     Barbiturici: Fenobarbital, Primidone;

c)     Vigabatrina

d)     Tiagabina

e)     Gabapentina

Barbiturici

I barbiturici agiscono a livello del SNC. I meccanismi alla base dell'azione dei barbiturici sul recettore GABAA sembrano essere distinti da quelli del GABA e delle benzodiazepine:

I barbiturici facilitano, anzichè spiazzare il legame delle benzodiazepine al recettore;

I barbiturici aumentano le correnti del cloro indotte dall'attivazione del recettore del GABAA, prolungando i periodi in cui si ha l'apertura, anzichè della frequenza, come le benzodiazepine;

Soltanto le subunità α e β sono necessarie per l'azione dei barbiturici;

Gli aumenti della conduttanza al cloro, indotta dai barbiturici, non è influenzata da mutazioni sulla subunità β.

I barbiturici possono produrre tutte le gradazioni di depressione sul SNC, e sono dotati di attività anticonvulsionante. I barbiturici possono dar luogo a tolleranza sia farmacodinamica o funzionale che farmacocinetica. La tolleranza funzionale è responsabile della perdita di efficacia dei barbiturici

EFFETTI FARMACOLOGICI: Al livello del SNC i barbiturici aumentano il tono delle trasmissioni GABAergiche, con una riduzione dell'attività generale. A livello dell'apparato respiratorio inducono depressione respiratoria sia inibendo lo stimolo respiratorio che i meccanismi responsabili della ritmicità del respiro. A dosi maggiori riducono anche il riflesso innescato dall'ipossia e lo stimolo chemorecettoriale. Tuttavia i barbiturici non sopprimono completamente i riflessi protettivi, così, quando sono utilizzati in anestesia, all'intubazione può verificarsi laringospasmo.

A livello cardiovascolare, quando somministrati per os non mostrato effetti marcati, tranne una lieve diminuzione della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca. Tuttavia, l'anestesia indotta da barbiturici iv può aumentare il rischio di sviluppo di aritmie ventricolari, soprattutto in presenza di adrenalina e alotano. A dosaggi eccessivi si verifica anche una diminuzione della potenza contrattile.

A livello dell'apparato GI, i barbiturici tendono a diminuire il tono della muscolatura e l'ampiezza delle contrazioni ritmiche. Tuttavia, gli effetti maggiormente evidenti, dovuti all'assunzione di questi composti, si hanno a livello epatico. I barbiturici si combinano con vari CYP, inibendo il metabolismo di una miriade di composti e altre sostanza possono inibire il metabolismo dei barbiturici. Di conseguenza bisogna valutare eventuali interazioni farmacometaboliche.

Nell'intossicazione acuta, l'oliguria e l'anuria sono dovuti alla marcata ipotensione indotta dai barbiturici.

EFFETTI COLLATERALI: A seguito dell'interruzione della terapia con barbiturici può non aversi l'immediato ristabilimento del soggetto, che presenterà effetti postumi, includendo diminuzione della capacità del giudizio, ma anche nausea e vomito, irritabilità e collera.

In alcuni soggetti, i barbiturici piuttosto che produrre depressione, inducono eccitazione paradossa. Questo effetto collaterale è indotto per lo più dal fenobarbital.

Inoltre possono causare reazioni di ipersensibilità in persone con asma, angioedema e condizioni simili. Il fenobarbital raramente causa dermatite esfoliativa e avere esiti fatali. Infine non va sottovalutata, la già citata, interazione farmacometabolica. 

Fenobarbital

Il fenobarbital è stato il primo farmaco antiepilettico. È attivo già a dosi non sedativo-ipnotiche. Il fenobarbital stimola la trasmissione GABAergica. Infatti aumenta la durata del potenziale inibitorio, senza aumentarne la frequenza. È indicato in tutte le forme di epilessia, tranne le assenze.

L'assorbimento per os del fenobarbital è completo ma lento. È legato per il 40-60% alle proteine plasmatiche e tissutali, tra cui il cervello. Circa un 25% della dose viene eliminata nelle urina in forma immodificata. Il restante viene metabolizzato dal fegato, ad opera dei CYP. Siccome il fenobarbital induce l'espressione dell'enzima uridina-difosfato-glucuroniltransferasi (UGT), così come diversi CYP, i farmaci metabolizzati da questi enzimi vengono degradati più rapidamente. Quindi molto importanti sono le interazioni farmacocinetiche, soprattutto per quei farmaci che vengono metabolizzati dai CYP. La somministrazione cronica di barbiturici determina un aumento dell'espressione dei CYP1A2, 2C9, 2C19 e 3A4. Data l'aumentata richiesta di citocromi per la sintesi aumentata di CYP, l'assunzione di fenobarbital può determinare attacchi di porfiria. L'assunzione contemporanea di acido valproico può aumentare le concentrazioni di fenobarbital di circa il 40%.

Gli effetti collaterali sono: sedazione, depressione respiratoria, epatotossicità, iperattività paradossa negli anziani e nei bambini. Gli effetti idiosincratici sono allergia, anemia megaloblastica e leucopenia.

Il primidone viene metabolizzato a fenobarbital.

Il fenobarbital è un farmaco utile per il trattamento delle crisi generalizzate tonico-cloniche e parziali. È molto efficace, con bassa tossicità e costi contenuti. Tuttavia il suo uso è ridotto a causa degli effetti sedativi e dalla sua tendenza a provocare disturbi comportamentali nel bambino.

Tiagabina

La tiagabina è un derivato dell'acido nipecotico. La tiagabina inibisce il trasportatore del GABA, GAT-1, riducendo la velocità di ricaptazione del neurotrasmettitore nei neuroni e nella glia, ed aumentandone la concentrazione inter-sinaptica.

La tiagabina viene rapidamente assorbita per os, si lega alle proteine plasmatiche, e viene metabolizzata dai CYP3A, con un'emivita di 8 ore. In presenza di composti induttori del metabolismo, come fenobarbital, fenitoina e carbamazepina, l'emivita si riduce a 2-3 ore.

La tiagabina viene utilizzata come terapia aggiuntiva nelle crisi parziali refrattarie. Tuttavia può aggravare le crisi generalizzate miocloniche e le assenze. I principali effetti collaterali sono: vertigini, stanchezza, tremori, difficoltà di concentrazione e sonnolenza.

Vigabatrin

Il γ-vinil-GABA o vigabatrin è un inibitore irreversibile del GABA-T. presenta un'emivita di 5-8 ore, con una durata di azione di circa 24 ore, dovuta all'inibizione irreversibile e alla risentesi di nuovo trasportatore per permettere il ripristino della concentrazione intersinaptica del GABA. Presenta le stesse indicazioni e gli stessi effetti collaterali della tiagabina. Tuttavia può causare alterazioni del campo visivo. È stato approvato dalla FDA nel 2009 per il trattamento delle crisi epilettiche nei bambini con età compresa tra 1 mese e i 2 anni.

Gabapentina

La gabapentina è un farmaco anticonvulsionante, disegnato come agonista del GABA, tuttavia non ci sono evidenze di questa azione. Presenta un meccanismo di azione sconosciuto: in vitro aumenta la concentrazione del GABA e si lega ai canali del calcio voltaggio-dipendenti di tipo L. In vivo, la gabapentina potrebbe aumentare il rilascio del GABA interagendo con una proteina molto simile ad una subunità dei canali per il calcio, non influenzandone però la corrente.

Viene assorbita a livello del tratto GI da un sistema di trasporto saturabile, quindi vi è una relazione non lineare tra dose e concentrazione plasmatica. Non si lega alle proteine plasmatiche e non viene metabolizzata. Ha un'emivita di 5-7 ore.

È efficace nel trattamento delle crisi parziali tonico-cloniche, ma non in quelle generalizzate. È efficace nel trattamento del dolore neuropatico e viene utilizzata in associazione con altri farmaci nelle crisi parziali. Non sono state riportate interazioni farmacologiche. Il farmaco risulta essere ben tollerato, e i principali effetti collaterali sono: sonnolenza, vertigini, astenia.

Farmaci antiepilettici che agiscono sui canali al sodio e sulla neurotrasmissione glutammatergica

Il recettore NMDA è associato ad un canale ionico permeabile al sodio ed al calcio ed è associato a diversi siti modulatori. Numerosi farmaci interagiscono a livello dei siti modulatori alterando le cinetiche del recettore.

Il canale del sodio, oltre alle normali conformazioni di resting ed open, possiede una serie di conformazioni intermedie, che questi assume ne ritornare dallo stato attivo allo stato di riposo. In questo stato inattivo il canale non viene aperto anche se la stimolazione persiste. Numerosi farmaci antiepilettici svolgono la loro azione bloccando il canale in questo stadio.

I farmaci che appartengono a questa categoria sono:

a)     Fenitoina: Fosfenitoina;

b)     Carbamazepina: Oxacarbazepina;

c)     Lamotrigina

d)     Topiramato

e)     Zonisamide

f)      Lacosamide

Fenitoina

La fenitoina è efficace in tutti i tipi di epilessia, con eccezione per le assenze. La fenitoina viene somministrata per os e iv e risulta essere irritante per via im. Il suo precursore, la fosfofenitoina è solubile è può essere somministrata im e iv. Presenta un buon assorbimento orale e per il 90% viaggia nel plasma legata alle proteine plasmatiche. Viene metabolizzata dai CYP2C9 e CYP2C19. La fenitoina determina una saturazione degli enzimi metabolizzanti, quindi la velocità di eliminazione diminuisce all'aumentare della dose somministrata. Quindi vi è una relazione non lineare tra i livelli plasmatici e la dose somministrata. La fenitoina è un forte induttore metabolico. Importanti interazioni farmacocinetiche sono dovute allo spiazzamento dell'acido valproico e da metabolizzazione, estro-progestinici.

La fenitoina riduce la velocità di recupero dei canali al sodio voltaggio-dipendenti dalla fase di inattivazione. Il blocco dei canali è dipendente dal voltaggio ed è più intenso se la membrana è depolarizzata. La normale trasmissione neuronale non viene alterata, ma sono bloccate le scariche parossistiche proprie delle crisi epilettiche. La fenitoina è indicata in tutte le forme epilettiche, tranne le assenza. È un farmaco con un basso indice terapeutico, non di prima scelta, e presenta fenomeni tossici.

EFFETTI COLLATERALI: La tossicità della fenitoina dipende dalla modalità di somministrazione e dal tempo di infusione. Quando viene somministrata ev rapidamente gli effetti tossici più gravi sono a livello cardiaco, con aritmie. Quando dosi eccessive vengono somministrate per os, si verificano segni cerebellari e vestibolari. gli effetti collaterali, sul piano neurologico sono: vertigini, tremore, disturbi cognitivi, cefalea, aggravamento delle crisi generalizzate miocloniche e di assenza. La somministrazione di fenitoina è seguita anche da manifestazioni idiosincratiche: l'irsutismo con effetti antiestetici nelle donne, iperplasia gengivale dovuta ad alterazione del collagene, leucopenia, anemia megaloblastica, neuropatie periferiche e immunodepressione. Inoltre altera lomeostasi del calcio con osteomalacia, e siccome aumenta il metabolismo della vitamina K, vi può essere deficienza dei fattori vitamina K-dipendenti. In neonati di madri che assumono la fenitoina vi può essere un'insufficienza dei fattori della coagulazione. In questi casi si consiglia la somministrazione di vitamina K.

La fenitoina è controindicata nei soggetti affetti da porfiria acuta, per via dell'aumentata richiesta di gruppi EME legata alla sintesi dei CYP epatici, e nel diabete.

Carbamazepina

La carbamazepina appartiene alla classe degli iminostilbeni ed è strutturalmente correlata agli antidepressivi triciclici. Presenta un meccanismo di azione simile alla fenitoina.

L'assorbimento per os è variabile, legato per il 75% alle proteine plasmatiche, con un'emivita da prima dose di 20-55 ore. Viene metabolizzata soprattutto dal CYP3A4 a 10,11-epossido, il metabolita attivo. La carbamazepina è un induttore enzimatico del proprio metabolismo, con una riduzione dell'emivita a 5-26 ore, e di altri farmaci. Molto importanti sono le interazioni farmacocinetiche. Il metabolismo della carbamazepina è stimolato dai barbiturici e dalla fenitoina.

La carbamazepina è considerato il farmaco di prima scelta nelle crisi parziali semplici e complesse e nelle crisi generalizzate tonico cloniche.

EFFETTI COLLATERALI: L'intossicazione acuta da carbamazepina può indurre uno stato stuporoso, coma, iperirritabilità, convulsioni e depressione respiratoria. I principali effetti collaterali neurologici sono vertigini, sonnolenza, confusione, agitazione e visione offuscata. Come la fenitoina può aggravare crisi generalizzate miocloniche e di assenza.

Gli effetti collaterali non neurologici sono: disturbi al tratto GI, effetto antidiuretico da ridotta concentrazione plasmatica di ADH, disturbi della conduzione cardiaca. Gli effetti idiosincratici comprendono discrasie ematiche, reazioni cutanee ed epatotossicità

La carbamazepina è controindicata in soggetti con disturbi della conduzione atrio-ventricolare, storia di mielodepressione, e porfiria.

Altre indicazioni terapeutiche per la carbamazepina sono la nevralgia del trigemino, disturbo bipolare in pazienti resistenti ai Sali di litio (uno stabilizzante dell'umore).

L'oxacarbamazepina è il 10-cheto analogo della carbamazepina a cui è simile farmacologicamente. Tuttavia è un induttore metabolico meno potente e rappresenta una alternativa terapeutica come prima scelta nelle crisi parziali, soprattutto nei soggetti tra 4-16 anni.

Lamotrigina

La lamotrigina fu sviluppata come un agente antifolato, sull'idea che la riduzione dei folati potesse combattere gli attacchi epilettici. È un farmaco equivalente alla fenitoina e alla carbamazepina, che agisce sui canali del sodio voltaggio-dopendenti. Viene utilizzato come monoterapia oppure in aggiunta ad altri farmaci. Presenta uno spettro di azione più ampio rispetto alla fenotoina e alla carbamazepina, molto probabilmente perchè inibisce il rilascio del glutammato. Ciò è stato chiaramente dimostrato in vitro.

La biodisponibilità orale è completa, per il 55% viaggia legata alle proteine plasmatiche. Viene metabolizzata attraverso la glicuronazione e presenta emivita variabile a seconda se venga somministrata singolarmente oppure in associazione con altri composti. L'emivita è di:

25 ore, se in monoterapia;

8-16, con fenitoina o barbiturici;

50 ore, con acido valproico.

È efficace su tutte le forme tonico-cloniche generali e parziali, una valida alternativa terapeutica sia in monoterapia che in associazione. Inoltre è efficace nella profilassi del disturbo dell'umore, in quanto agente stabilizzante dell'umore.

Tra gli effetti collaterali neurologici vi sono: insonnia, astenia, sonnolenza, diplopia e visione offuscata. Tra gli effetti idiosincratici si ricordano le eruzioni cutanee anche gravi. Infine va somministrata con cautela nei pazienti con una storia di ipersensibilità ai farmaci.

Topiramato

Il topiramato è un monosaccaride sulfamato sostituito. presenta un meccanismo di azione analogo a quello della fenitoina. Il topiramato è un'antagonista dei recettori NMDA e determina la stimolazione dei recettori GABAA, con una riduzione della frequenza di attivazione dei canali AMPA. Inoltre è anche un debole inibitore dell'anidrasi carbonica.

Viene somministrato per os e presenta un basso legame alle proteine plasmatiche. Ha una scarsa metabolizzazione con un'emivita di circa 24 ore.

Viene utilizzato in monoterapia per le epilessie parziali e generalizzate, con efficacia pari alla carbamazepina e viene utilizzato anche nella profilassi dell'emicrania.

Nei soggetti a rischio di nefrolitiasi, deve essere assicurata una corretta idratazione. Normalmente è ben tollerato e tra gli effetti collaterali presenta: sonnolenza, affaticamento, anoressia e perdita di peso.

Zonisamide

La zonisamide è un derivato sulfonamidico. Esplica i suoi effetti farmacologici tramite:

Blocco del firing neuronale, con blocco dei canali del sodio voltaggio-dipendenti;

Inibizione dei canali T del calcio a bassa soglia dei neuroni talamici.

La zonisamide viene assorbita per os e circa il 40% è legato alle proteine plasmatiche. Ha un'emivita di 50-70 ore, che può essere accorciata dalla cosomministrazione di farmaci induttori del metabolismo a 25-35 ore. Infatti a livello epatico viene metabolizzato dal CYP3A4.

È indicato nella terapia aggiuntiva nelle crisi parziali refrattarie. Risulta essere un farmaco ben tollerato e può causare: sonnolenza, astenia, confusione e disturbi della memoria. La zonisamide è in grado di inibire l'anidrasi carbonica e in circa l'1% dei soggetti si ha calcolosi renali, soprattutto nei pazienti anziani e acidosi metabolica.

Lacosamide

La lacosamide è efficace nei modelli animali di epilessia. Aumenta l'inattivazione lenta dei canali del sodio voltaggio-dipendenti. Inoltre la lacosamide si lega al CRMP2, un fattore che è coinvolto nella differenzazione neuronale, nel controllo della crescita neuronale e probabilmente anche nell'epilettogenesi. È stata approvata dall'EMEA e dalla FDA nel 2008 per il trattamento adiuvante delle crisi parziali con o senza generalizzazione nei pazienti di età inferiore ai 16 anni.

È efficacie alle dosi di 400-600 mg al giorno. Può essere utilizzato anche nelle epilessie refrattarie e contro il dolore neuropatico. È un farmaco meno soggetto ad interazioni farmacocinetiche. Tuttavia può avere effetti dromotropi ed inotropi negativi.

Farmaci antiepilettici che agiscono sui canali del calcio: etosuccimide

L'etosuccimide è il farmaco di scelta nella terapia delle assenze. Determina la riduzione delle correnti del calcio, con inibizione dei canali T del calcio a bassa soglia dei neuroni talamici. Presenta una biodisponibilità orale completa e una legame alle proteine plasmatiche trascurabile. Viene metabolizzato soprattutto dal CYP3A4, con un'emivita di 50-60 ore nell'adulto e di circa 30 ore nel bambino.

Rappresenta il farmaco di scelta nelle crisi di assenza, soprattutto nei bambini resistenti all'acido valproico. Non possiede alcun effetto sulle crisi tonico-cloniche.

Gli effetti collaterali neurologici e non neurologici sono simili a quelli dell'acido valproico. Può indurre reazioni idiosincratiche come discrasie ematiche.

Farmaci antiepilettici ad azione mista: acido valproico

L'azione antiepilettica dell'acido valproico venne scoperta per caso, poichè veniva utilizzato come eccipiente per studiare l'azione di altri farmaci antiepilettici. L'acido valproico è un acido carbossilico. Gli effetti farmacologici mediati dall'acido valproico sono dovuti a:

Blocco del firing neuronale mediante blocco dei canali al sodio voltaggio-dipendenti;

Inibizione dei canali T del calcio a bassa soglia dei neuroni talamici;

Aumento della concentrazione del GABA, con stimolazione dell'attività della GAD, con aumento della sintesi, e inibizione del GABA-T, con accumulo sinaptico.

L'assorbimento per os è pressochè completo, con un volume di distribuzione di 0,2 L/kg. Per il 90% viaggia legato alle proteine plasmatiche. La maggior parte dell'acido valproico viene metabolizzato dal fegato ad opera di CYP2C9 e CYP2C19, tramite processi di ossidazione e glucuronazione. Una piccola quota del farmaco in forma attiva viene escreta nelle urine. L'emivita è di circa 15 ore. Il metabolismo dell'acido valproico viene stimolato dalla fenitoina e dai barbiturici.

L'acido valproico è considerato farmaco di prima scelta nelle crisi generalizzate ed è un'alternativa terapeutica alla carbamazepina nelle crisi parziali. Risulta essere efficace anche nelle crisi di assenza. I principali effetti collaterali neurologici sono: sedazione, sonnolenza, letargia e tremori. Invece, i principali effetti collaterali non neurologici sono: anoressia, vomito, nausea e aumento di peso. Gli effeti idiosincratici legati alla somministrazione di acido valproico sono epatiti e pancreatiti fulminanti. Quindi occorre controllare periodicamente sia la funzionalità epatica che la crasi ematica in corso di trattamento. L'acido valproico viene anche utilizzato per la profilassi dell'emicrania e del disturbo bipolare, in quanto è uno stabilizzante dell'umore.

Farmaci antiepilettici a meccanismo di azione sconosciuto: levitiracetam

Il levitiracetam è l'S-enantiomero dell'α-etil-2-oxo-1-pirrolidinacetamide. Il meccanismo di azione farmacologica di questo composto è sconosciuto. Viene rapidamente assorbito quando somministrato per os e quasi tutto il farmaco viene escreto nelle urine in forma immodificata. Non va incontro a metabolizzazione epatica, in quanto non è substrato dei CYP.

È indicato in monoterapia o in associazione per le crisi parziali con o senza generalizzazione e per le crisi generalizzate miocloniche.

Presenta numerosi effetti collaterali, come sonnolenza, astenia e capogiri.

Criteri per una corretta terapia antiepilettica

Tutti i farmaci antiepilettici, ad eccezione del levitiracetam, sono induttori metabolici e vanno incontro a metabolismo e epatico. Di conseguenza bisogna sempre tenere presente le eventuali interazioni farmacometaboliche induttrici o inibenti. La scelta di un determinato farmaco è dettato da una serie di fattori, comprendenti:

Tipo di crisi e forma sindromica di epilessia: i farmaci antiepilettici differiscono tra loro per lo spettro di efficacia nelle varie forme;

Profilo di tollerabilità: a parità di efficacia, viene scelto sempre il farmaco più tollerabile da parte del paziente;

Caratteristiche del paziente: diverse reazioni avverse sono legate al sesso, all'eta e a patologie associate del paziente;

Comorbidità: alcuni farmaci antiepilettici sono controindicati in soggetti con alcune patologie;

Interazioni tra farmaci: interazioni farmacocinetiche possono dar luogo ad effetti collaterali;

Manegevolezza: a parità di efficacia e tollerabilità, deve essere scelto il farmaco con manegevolezza clinica più ampia, permettendo così un aggiustamento delle dosi all'occorrenza senza incorrere in effetti collaterali o inefficacia della terapia;

Formulazioni disponibili: non tutti i farmaci, per modalità di somministrazione possono essere utilizzati in età pediatrica;

Costo: i farmaci più recenti, generalmente, hanno costi più elevati rispetto a quelli di vecchia generazione.

L'obiettivo del trattamento è quello di migliorare la qualità della vita e il controllo completo delle crisi epilettiche in presenza di effetti collaterali accettabili. Tale obbiettivo viene raggiunto nel 70% dei pazienti. Innanzitutto deve essere effettuata una diagnosi corretta e normalmente il trattamento viene iniziato a seguito di due crisi epilettiche in un soggetto senza storia familiare o una crisi in un soggetto con anamnesi familiare positiva. Bisogna informare il paziente sulla necessità di una compliance rigorosa ai fini di una terapia efficace.

Conviene iniziare con un solo farmaco a dosi basse a seconda delle indicazioni. Se è necessario, aumentare gradatamente le dosi fino alla dose minima di mantenimento. Se le crisi non sono controllate, bisogna cambiare farmaco. Se anche il nuovo farmaco non è efficace si possono utilizzare due farmaci in associazione, tenendo ben presenti le eventuali interazioni. Dopo un periodo di due anni senza crisi, si può prendere in considerazione l'idea di sospensione del trattamento, che deve essere effettuato gradualmente.

I farmaci antiepilettici sono genotossici, in maggior misura l'acido valproico, segue la carbamazepina e la lamotrigina. Infine i farmaci antiepilettici possono causare neurodepressione, con istinti suicidi.



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