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seconda guerra mondiale - prima parte




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seconda guerra mondiale

prima parte




Introduzione


La seconda guerra mondiale fu originata dalla concomitante azione aggressiva svolta dalla Germania e dall'Italia in Europa e dal Giappone in Asia nel periodo successivo alla prima. In Germania l'ascesa al potere di Hitler (1933) aveva segnato la rinascita del nazionalismo e del militarismo e in Giappone la casta militare dominante vedeva nella creazione di un grande impero la soluzione dei gravi problemi interni posti dallo sviluppo industriale e demografico.



La IIS guerra mondiale: le origini della guerra


La IIS guerra mondiale scoppiò il 1s settembre 1939  in seguito all'invasione della Polonia da parte della Germania. È questo l'ultimo anello di una catena di atti aggressivi con i quali Hitler realizzava il suo programma di espansione verso i territori dell'Europa orientale. Essa infatti veniva dopo l'annessione dell'Austria (marzo 1938) e l'invasione della Cecoslovacchia (marzo 1939), atti di una politica di violenza condotta da Hitler per la ricerca dello 'spazio vitale' (Lebensraum), con la rottura del 'cordone di sicurezza' creato dalla Francia, mediante patti bilaterali, intorno allo Stato tedesco. Lo scoppio dunque della IIS guerra mondiale avvenne in conseguenza della politica imperialistica posta in atto da Hitler per la ricostruzione della potenza continentale della Germania. Tuttavia il discorso sulle origini della IISS guerra mondiale non può limitarsi all'azione del dittatore tedesco negli anni di poco anteriori allo scatenarsi del conflitto. Esso comprende in modo implicito le varie crisi attraverso le quali passarono gli Stati europei nel ventennio che intercorre fra il Trattato di Versailles e l'invasione della Polonia. Per questo, una volta accertata la responsabilità della politica nazifascista, è necessario anche esaminare in quale modo reagirono le altre potenze (e in particolare Francia e Gran Bretagna) al piano di dominazione preparato da Hitler: ciò per ravvisare anche nella loro politica un elemento di corresponsabilità nello scoppio del conflitto. La prima delle crisi cui si accennava è immediatamente successiva alla fine della I guerra mondiale e coincide con il fallimento del Piano Wilson per l'attuazione di una pace 'giusta' e il prevalere dello spirito nazionalistico delle grandi potenze vittoriose. La Francia cercava di ottenere il massimo vantaggio dalla sconfitta degli Imperi Centrali, al fine di riacquistare una posizione di egemonia nell'Europa continentale e assicurarsi contro ogni possibile ritorno del militarismo germanico: esigeva quindi lo smembramento del Reich e il totale pagamento dei danni di guerra. La Gran Bretagna invece non vedeva con interesse la spartizione della Germania, che avrebbe coinciso con l'eccessivo rafforzamento della Francia a danno del capitalismo britannico e avrebbe provocato l'abbandono da parte della diplomazia inglese del suo tradizionale ruolo di arbitro nei conflitti europei. Essa reclamava peraltro le colonie e la flotta nemica. Il principio di nazionalità agì anche nei nuovi Stati sorti fra il 1919 e il 1920 e promosse una politica di revisione dei trattati che fu di notevole peso nel periodo susseguente, facendo nascere nella parte orientale dell'Europa, con il problemadelle minoranze etniche separate dalla madrepatria (si veda, p. es., il caso dei Sudeti e della Cecoslovacchia), gravi motivi di contrasto. L'equilibrio europeo appariva così subito scosso da una pace che voleva essere 'vendicativa', piuttosto che ispirata a principi di sicurezza comune. Ciò costituì uno dei motivi di debolezza intrinseca dell'organo, la Società delle Nazioni, che, nato sulla base del programma di pace wilsoniano, doveva tutelare tale sicurezza. Per quanto riguarda la Germania, le gravi sanzioni economiche, le mutilazioni territoriali, la perdita delle colonie e d'importanti bacini minerari (la Saar nel 1919 in seguito al Trattato di Versailles, la Ruhr nel 1923 per un vero e proprio atto di forza della Francia) ebbero l'effetto, oltre che di umiliare la nazione germanica, di colpire la sua economia nel momento in cui si richiedeva ai Tedeschi il massimo sforzo per la ricostruzione. Di qui la dura crisi inflazionistica del 1923 che, mentre gettava nella miseria i ceti a reddito fisso, dava nuovo respiro alla classe industriale, che trovava i propri debiti pressoché annullati dalla paurosa svalutazione del marco. Da una parte il malcontento creato dalla miseria e dalla disoccupazione, dall'altra la rinascita del militarismo, favorita dai movimenti che esprimevano tendenze autoritarie e nazionalistiche e alimentata dall'alta finanza, causavano le prime incrinature alla Repubblica di Weimar: il putsch di Monaco (1923) e l'elezione a presidente di Hindenburg (1925) ne sono i primi episodi concreti. Al fine di avere più chiaro il quadro della situazione politica europea, occorre tener conto, oltre che del nazionalismo, di un altro elemento a esso collaterale che risultava dominare la scena internazionale dalla Pace di Brest-Litovsk (1918) fino alla IISS guerra mondiale: il timore dell'espansione comunista dall'U.R.S.S. ai Paesi dell'Occidente europeo. I fenomeni nazionalistici erano sostenuti dalle forze conservatrici, che trovavano nel 'pericolo rosso' un utile pretesto per far valere i propri interessi politici ed economici. Il pericolo rivoluzionario provocava infatti una forte spinta reazionaria, che si concretò in Italia (e altri Paesi) nell'avvento del fascismo e in Germania nell'avanzata verso il potere di Hitler, con l'appoggio delle forze della piccola borghesia e dell'alta finanza. Esso tuttavia determinò anche, da parte degli Stati democratici europei, una condotta politica sul piano internazionale intesa a creare baluardi di fronte all'U.R.S.S. piuttosto che a ottenerne l'alleanza, soprattutto quando questa era resa possibile dall'uscita di Stalin dal suo isolamento e dalla sua adesione alla Società delle Nazioni (1934). Prima dell'avvento del nazismo, del resto, le politiche estere francese e inglese si erano preoccupate soltanto di trarre i maggiori vantaggi dalla pace del 1919 e di affermare la propria autorità in Europa (quasi a compensare il decadere della loro potenza nel resto del mondo) sia a danno della Germania (soprattutto da parte francese) sia a danno dell'U.R.S.S. Si vedano p. es. i patti firmati dalla Francia nel 1921 con la Polonia e la Piccola Intesa, i quali avevano in sostanza carattere ambivalente, tendendo sia a formare il 'cordone di sicurezza' intorno alla Germania sia a premunirsi contro un'avanzata sovietica nel continente. Per quest'ultimo fine non si trattava, del resto, che di continuare quella politica che aveva indotto nel 1918 le potenze dell'Intesa a intervenire nella guerra civile russa contro l'armata rivoluzionaria, creando nello stesso tempo il 'cordone sanitario', di carattere economico intorno allo Stato sovietico. Tale condotta antisovietica, costante per tutto il periodo fra le due guerra, si rivela di primaria importanza nell'esame delle cause del secondo conflitto. Negli anni successivi al 1929 i tentativi di raggiungere un nuovo equilibrio fallirono in modo definitivo per effetto del ripercuotersi in Europa della crisi americana. Da una parte Hitler, conquistato il potere nel 1933, intraprendeva subito l'attuazione del programma tracciato otto anni prima nel Mein Kampf; dall'altra Mussolini assumeva un nuovo atteggiamento in campo internazionale, non più allineato sulle posizioni della Francia e della Gran Bretagna ma spregiudicatamente colonialista. Fu da quel momento che l'azione politica anglo-francese si rivelò in tutta la sua debolezza e il suo conservatorismo. L'Italia proclamava l'Impero d'Etiopia (1936) e offriva, insieme con la Germania, il proprio appoggio alla guerra di Franco contro il fronte popolare spagnolo. Hitler ritirava la Germania dalla Società delle Nazioni e provvedeva alla rimilitarizzazione della Renania, denunciando il Patto di Locarno e annullando così l'opera compiuta in precedenza da Stresemann e Briand per riavvicinare lo Stato tedesco alla Francia. A questi primi atti di violenza gli Stati democratici non opposero una linea politica decisamente contraria: a essi Hitler e Mussolini continuavano ad apparire - come era successo in occasione del patto a quattro del 1933 - i difensori dell'Occidente contro il pericolo rappresentato dal comunismo, piuttosto che i possibili promotori di un'azione espansionistica assai pericolosa per la pace. Per salvaguardare questa e controllare l'azione del Führer, al governo inglese parve sufficiente una semplice politica di appeasement. Questa in realtà faceva il gioco dell'Italia e della Germania - ora unite dall'Asse Roma-Berlino (1936) - alle quali sembrava concesso di operare al sicuro dalle reazioni delle grandi potenze. Erano le conseguenze della mancata applicazione delle sanzioni economiche decretate all'Italia in seguito alla guerra d'Etiopia, ma revocate dopo nemmeno un anno; del riconoscimento della conquista etiopica da parte di Chamberlain; della politica di non-intervento nella guerra di Spagna. Erano anche le premesse delle aggressioni naziste del 1938 e 1939 e del Patto di Monaco, con il quale Francia e Gran Bretagna avrebbero ratificato per l'ennesima volta la politica imperialistica di Hitler e Mussolini. Si giunge così agli ultimi anni del tormentoso e contraddittorio ventennio che precede la IIS guerra mondiale. Hitler rivolse le sue mire alla Polonia e chiese l'annessione di Danzica. Fu a questo punto che in Francia e in Gran Bretagna si fece sentire la voce dell'opinione pubblica più decisamente antitedesca e consapevole dell'inutilità di un ulteriore cedimento di fronte a Hitler. I governi dei due Stati, assicurato il loro appoggio alla Polonia, decisero di rinunciare alla loro tradizionale politica antisovietica e condussero trattative con l'U.R.S.S. per ottenerne l'alleanza. Ma i negoziati, che ebbero inizio nel marzo del 1939, fallirono il 23 agosto dello stesso anno, quando i ministri degli Esteri Molotov e Ribbentrop conclusero il patto di non-aggressione fra l'Unione Sovietica e la Germania. Le ragioni di questo 'voltafaccia' di Stalin stanno sia nell'atteggiamento conservatore assunto durante le trattative dalle potenze occid. sia nella valutazione da parte russa delle conseguenze derivabili da un eventuale accordo con Francia e Gran Bretagna. Queste infatti si mostravano contrarie ad assumere impegni nei confronti dell'U.R.S.S. e a concedere a essa una partecipazione di tipo nuovo alla politica occidentale. La Polonia inoltre non consentiva in nessun modo che le truppe sovietiche transitassero sul suo territorio. Stalin, d'altra parte, capiva che l'alleanza con Francia e Gran Bretagna avrebbe causato all'U.R.S.S. in un momento non del tutto buono per il suo esercito una guerra immediata con la Germania, con il pericolo dell'apertura a est di un secondo fronte contro il Giappone, legato a Hitler fin dal 1936 (Patto Antikomintern). Dal fallimento di queste trattative allo scoppio della IIS guerra mondiale passarono pochi giorni: Hitler il 1s settembre ordinava, senza alcuna dichiarazione di guerra, l'invasione della Polonia. Il 3 settembre Francia e Gran Bretagna, dopo aver chiesto inutilmente a Hitler di ritirare le truppe dal territorio polacco, dichiararono guerra alla Germania. Mussolini - che nel maggio aveva firmato con Hitler il 'patto d'acciaio' con il quale s'impegnava in caso di guerra a intervenire a favore dell'alleato - si vide costretto, data la grave impreparazione delle forze armate italiane, a proclamare, con il consenso del Führer, la non-belligeranza dell'Italia.



La guerra-lampo di hitler: l'occupazione della polonia e l'offensiva a occidente


In meno di un mese la Polonia fu occupata. Hitler l'attaccò all'alba del 1s settembre 1939 con 70 divisioni (di cui 6 corazzate e 8 motorizzate). Contro queste la Polonia poté schierare solo 30 divisioni di fanteria e 14 brigate di cavalleria. Le truppe polacche, costrette a combattere anche sul fronte russo, capitolarono il 28 settembre. Il territorio occupato venne diviso fra Germania e U.R.S.S.: a questa spettò, sulla base dei precedenti accordi, il potere (una formale 'protezione') sulle Repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia, Lituania) e su parte della Finlandia. Qui però i Sovietici incontrarono una decisa resistenza. Le truppe finlandesi, addestrate a combattere un particolare tipo di guerriglia che sfruttava le difese naturali del territorio, riuscirono a opporsi fino al marzo del 1940 all'avanzata nemica. Il successo di Hitler in Polonia si dovette non solo alla preponderanza delle sue forze su quelle avversarie, ma anche al particolare impiego strategico e tattico dei moderni mezzi bellici di cui l'esercito disponeva. Si trattava dell'azione combinata delle divisioni corazzate e dell'aviazione tattica: le prime, coadiuvate dai bombardieri Stuka e dai reparti di paracadutisti lanciati alle spalle del nemico, riuscirono a spezzarne il fronte o ad accerchiarlo con manovre rapide; l'aviazione, a sua volta, creò il vuoto nelle retrovie, devastando le linee di comunicazione e le fortificazioni. Fu con questo metodo di guerra di movimento (Blitzkrieg ovvero guerra-lampo) che Hitler si preparava a realizzare il proprio piano di offensiva a occidente, preparato fin dall'ottobre del 1939. Tale attacco iniziò nel maggio del 1940. Fino ad allora gli eserciti francese e tedesco si erano fronteggiati lungo le linee Maginot e Sigfrido. Il comando francese, che riteneva possibile resistere a ogni offensiva lungo la propria linea fortificata, si astenne da operazioni di rilievo, poiché non disponeva né di mezzi bellici adeguatamente organizzati né di un buon rinforzo da parte dell'esercito britannico. Hitler in quel primo inverno di guerra sembrò preoccuparsi soprattutto di rimediare alla posizione d'inferiorità nella quale si trovava la sua flotta rispetto a quella inglese. Dopo alcuni successi ottenuti nell'Atlantico con l'azione dei sommergibili e con l'impiego di mine magnetiche e di unità corsare, egli diresse il suo attacco alle coste del Mare del Nord. L'occupazione della Danimarca e della Norvegia (aprile-giugno 1940), pur ottenuta a prezzo di perdite navali non indifferenti, tese a liberare il traffico marittimo tedesco dal controllo chegli Anglo-Francesi effettuavano all'ingresso del Mar Baltico. Tuttavia per la Germania il risultato positivo di queste operazioni non consistette solo nell'aver assicurato alla propria flotta nuove possibilità di manovra, ma soprattutto nell'aver creato, con la conquista di alcune importanti basi strategiche, le premesse per un attacco decisivo a ovest. Infatti Hitler vedeva nell'abbattimento della Gran Bretagna il fine ultimo della sua offensiva: per attuarlo egli doveva necessariamente preparare una base d'attacco antistante le coste britanniche, lungo il litorale che va dalla Norvegia alla Francia. Il 10 maggio dunque si scatenò la prima fase dell'offensiva tedesca. Il piano di Hitler era di aggirare la linea Maginot sulla destra con una manovra ad ampio raggio consistente, a nord, nell'attacco contro l'Olanda e il Belgio, a sud-est, nello sfondamento delle linee francesi fra Sedan e Namur, attraverso le Ardenne e la Mosa. L'esercito anglo-francese, che non prevedeva, per le caratteristiche naturali della zona, un attacco in questo settore, impiegò il grosso delle sue forze nel tentativo di respingere l'avanzata nemica nel territorio compreso fra la Mosa e il mare. L'Olanda fu conquistata in soli tre giorni; nello stesso periodo di tempo caddero le più importanti difese belghe; le due armate francesi lasciate a presidio della linea Sedan-Namur vennero travolte dalle divisioni corazzate tedesche. Queste, proseguendo nella loro corsa al mare, giunsero il 21 maggio sulle coste della Manica e interruppero così il contatto fra le forze anglo-franco-belghe del nord e il resto dell'esercito. Mentre le prime, chiuse in una sacca che aveva come unica via di uscita il mare, erano costrette a imbarcarsi rovinosamente a Dunkerque (3 giugno) , l'esercito francese (a capo del quale Weygand era succeduto a Gamelin) tentava di approntare una estrema linea difensiva. La situazione appariva disperata per l'inferiorità delle forze francesi rispetto a quelle germaniche. Infatti in pochi giorni (dal 5 all'11 giugno) la cosiddetta linea Weygand, organizzata fra Montmédy, all'estremo della Maginot, e il mare, venne superata dai Tedeschi, i quali raggiunsero il 14 giugno Parigi e si espansero secondo diverse direttrici di marcia per tutta la Francia. Il 24 giugno - dopo che anche la Maginot fu sfondata in più punti - tutto il territorio sett. francese era in mano ai Tedeschi, che intanto erano giunti nel sud della Francia fino a Saint-Étienne e Grenoble. Mentre stavano per crollare le ultime difese francesi, il 10 giugno Mussolini dichiarò guerra alla Francia e alla Gran Bretagna. Egli ritenne opportuno anticipare l'intervento dell'Italia in previsione della futura, e ormai prossima, resa della Francia e delle concessioni territoriali che ne sarebbero derivate. L'esercito tuttavia non era in grado di sostenere uno sforzo bellico tanto grave; prova ne è che le truppe italiane, colte di sorpresa dalla dichiarazione di guerra, furono costrette a ritardare l'attacco alle frontiere francesi al 21 giugno, per conseguire al termine delle operazioni, due giorni dopo, risultati di scarso rilievo. In Francia, al disastro militare fece seguito la crisi politica: le forze conservatrici, di cui si fecero portavoci il vicepresidente del Consiglio Pétain e il generale Weygand, favorevoli all'armistizio, provocarono le dimissioni del presidente Reynaud, propugnatore di una lotta a oltranza contro la Germania. Dopo che Charles de Gaulle aveva lanciato ai Francesi da radio Londra il primo solenne appello alla resistenza, il nuovo governo firmò l'armistizio con la Germania (il 21 giugno a Compiègne) e con l'Italia (il 24 giugno a Villa Incisa): mentre Hitler s'impossessava di tutto il territorio sett. (lasciando per il resto del Paese - la Francia di Vichy - il potere in mano a uomini asserviti alla sua volontà, Pétain e Laval), Mussolini doveva accontentarsi di modeste assegnazioni territoriali. Si concludeva così la prima fase della guerra europea di Hitler: la seconda avrebbe dovuto consistere, secondo i suoi piani, nell'attacco diretto alla Gran Bretagna (l'operazione 'leone marino'). Questo, data la supremazia inglese sul mare, poteva avere qualche probabilità di successo solo con l'ausilio delle forze aeree. Dopo avere avanzato proposte di pace che dovevano valere solo come premesse all'invasione, l'8 agosto Hitler - che aveva nel frattempo fatto costruire lungo la Manica le opere necessarie all'attacco (piste di decollo, rimesse, stazioni radio, ecc.) - ordinò l'offensiva aerea, pensando di poter avere ragione in breve tempo dell'aviazione inglese, in modo da contrastare validamente l'intervento della flotta e iniziare così le operazioni di sbarco. La battaglia aerea durò dall'8 agosto al 31 ottobre 1940. Gli Inglesi, sorretti dal vigore del proprio primo ministro Churchill, resistettero ai continui bombardamenti che la Luftwaffe scatenò sulle loro città: solo in un mese, dai primi di settembre ai primi di ottobre, Londra dovette subire 36 attacchi aerei. L'aviazione tedesca, pur superiore per numero di unità, non riuscì a prevalere su quella inglese: i bombardieri di Göring, contrattaccati dai maneggevoli caccia della R.A.F., subirono notevoli perdite (queste assommarono a 2500 unità al termine della battaglia aerea). A rendere efficace la difesa inglese contribuì in modo particolare l'impiego del radar, messo a punto poco prima in Gran Bretagna da W. Watson. Hitler fu costretto a rinunciare allo sbarco nell'isola. Questa sua prima sconfitta si rivelò determinante per l'esito finale del conflitto: per quel momento stava a significare il fallimento della guerra-lampo e il permanere di una continua minaccia da parte inglese ai territori occupati dal Führer.






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