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La sconfitta dell'intransigentismo fascista




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La sconfitta dell'intransigentismo fascista


Dopo la visita di Mussolini, nell'autunno del 1925 si aprì di nuovo una lotta all'interno del fascismo parmense che tormentò l'ultimo scorcio dell'anno, originata all'inizio da un dissidio fra il segretario federale e il direttorio del Fascio di Parma, sulla riammissione di due espulsi dal partito. Scriveva il prefetto:


seguito provvedimento per riammissione Comm. Vittorio] Stevani et avv. Giuseppe] Pizzetti si sono vivamente acuiti dissidi fra vari elementi locali fascismo tanto che prevedesi anche imminente azione da parte seguaci opposte tendenze con probabile invasione et occupazione federazione provinciale fascista da fascisti campagna. Intanto è stata qui tentata affissione

manifestini recisamente denigratori di cui ho disposto sequestro




Non è in realtà del tutto chiaro perché si determinassero conflitti di una certa gravità a causa della riammissione degli espulsi: di certo uno di questi, Stevani, già fiduciario della federazione fascista nel 1923, era particolarmente legato a Lusignani. Secondo una ricostruzione del cronista del fascismo parmense, Giuseppe Stefanini, furono rinvenuti volantini anonimi contro Scaffardi, «scoppiarono litigi, aspre polemiche sui giornali» e «i dissidi assunsero forme violente [.]. Scoppiarono in città vari tumulti ; infine, si ebbero duelli fra dirigenti fascisti.




Come conseguenza di tutto ciò, alla metà del dicembre 1925, Renato Ricci, vice- segretario del PNF, fu incaricato dal Direttorio Nazionale di un'inchiesta «per esaminare la situazione politica in quella provincia in seguito agli incidenti verificatisi in questi ultimi tempi in seno alla Federazione . Poche settimane dopo, Ricci fu nominato commissario straordinario della federazione e prese provvedimenti draconiani: espulse Luigi Lusignani dal PNF e gli impose le dimissioni da presidente della Cassa di Risparmio; sciolse il Fascio di Parma e chiuse momentaneamente le iscrizioni al PNF, riaprendole poi qualche mese

dopo col vaglio di una commissione per l'accettazione delle iscrizioni, presieduta dal reggente del fascio cittadino, Mario Mantovani; sospese dal partito alcuni fascisti delle varie tendenze, a cominciare da Giuseppe Scaffardi e Comingio Valdrè; interruppe la pubblicazione de' «La Fiamma», che fu soppressa, e, al suo posto, nominò nuovo organo ufficiale della Federazione del PNF il «Corriere Emiliano». La proprietà venne acquisita dal partito attraverso la consegna delle azioni dai fondatori; il direttore Pietro Solari fu destitutito e venne designato al suo posto Pietro Saporiti, che fu nominato responsabile dell'Ufficio Stampa della federazione fascista e svolse anche il ruolo di facente funzione di

Ricci stesso, durante le assenze del gerarca da Parma .




In pochi mesi, Ricci attuò una vasta epurazione nelle file del fascismo parmense: la sua azione non fu pertanto indolore e suscitò reazioni. Il 27 dicembre 1925 un gruppo di fascisti, fra cui tre membri del direttorio del Fascio di Parma, protestarono contro il questore per il divieto di assembramenti e per la chiusura anticipata degli esercizi pubblici, un provvedimento adottato per il forte clima di tensione che si era determinato in città in conseguenza delle misure di Ricci, ed entrarono in conflitto con la polizia che ne arrestò alcuni . Scoppiarono altri tumulti contro Ricci: fra i manifestanti, vi erano numerosi intransigenti come Mario Vacca e Lino Severi, il tenente Gino Giusteschi e il centurione della MVSN e segretario del fascio di Medesano, Corrado Corradi . Nello stesso giorno, il prefetto di nuovo chiedeva rinforzi: «Situazione locale va complicandosi et si ripetono tarrefugli et incidenti che potrebbero avere gravissime conseguenze .

Mentre i pronunciamenti a favore dell'opera di Ricci si moltiplicavano nei congressi dei fasci rurali, che si andavano svolgendo, o da parte di altre associazioni fasciste, come la Federazione dei Comuni Fascisti , non mancarono ulteriori scontri fra le opposte fazioni .

A parte altri episodi minori , il contrasto più grave avvenne in marzo nel comune di

Colorno. In seguito all'espulsione dal PNF del sindaco, dottor Domenico Vela, ad opera di

Ricci, seguirono le dimissioni per protesta del direttorio del fascio locale e di tutti gli iscritti colornesi. La sospensione dell'amministrazione comunale, avvenuta con decreto del prefetto del 12 febbraio, con la dimissione forzata di tutti gli amministratori, creò una tensione fra i fascisti locali, favorevoli al Vela, che cercarono di formare una dimostrazione pubblica, bloccata dal commissario .


Nel marzo 1926 il prefetto telegrafava:



Situazione politica Parma mantiensi molto delicata per lavorio varie correnti fasciste che cercano svalutarsi vicendevolmente. E' molto commentato mancato ritorno On. Ricci che contribuisce rafforzare posizione per azione molto discussa persone che attorniano Cav. Saporiti. Anche in alcuni comuni provincia sussistono motivi agitazione che rendono indispensabile oculata vigilanza autorità per prevenire perturbamenti ordine pubblico (tel. del prefetto del 2 marzo 6 in ACS, MI, DGPS, DAGR, Cat. An , , b. .


E il prefetto nello stesso mese così fotografava, sulla base di indagini e di informazioni riservate, la situazione dei fascisti parmensi, «specie di quelli già iscritti ed in attesa della decisione sulla reinscrizione al partito fascista»:


Dopo i provvedimenti adottati dal Commissario straordinario On.le Ricci i maggiormente colpiti non hanno abbandonato il proponimento di escogitare rimedi per conseguire ad ogni costo una rivincita. Essi, al momento opportuno, cercherebbero di tradurre in atto le insane manovre che ora, segretamente, vanno tramando. Gli altri fascisti sono del pari soltanto in apparenza disciplinati: quasi tutti, chi per una ragione, chi per un'altra, sono insofferenti della attuale straordinaria Direzione provinciale e sono ansiosi di una definitiva sistemazione. E' da notare inoltre che la espulsione dal partito dell'on. Bigliardi, che risiede in questa citt , ha consentito, in quest'ultimi giorni, che intorno a detto deputato, che ha indubbiamente rapporti con i fascisti attualmente in disgrazia, si aggirino quanti del partito hanno motivi di scontento, in modo che egli viene a risultare come il vessillifero di una notevole schiera di elementi che sta ad attendere l'occasione propizia per farsi avanti a riconquistare il terreno perduto, con ogni mezzo e ad ogni] costo. Per la prolungata assenza del Commissario straordinario On.le Ricci, e per la inesperienza e la insufficienza autorità ed energia che, a torto od a ragione, si attribuiscono al suo rappresentante Cav. Saporiti - intorno al quale si addensano e si affermano la contrarietà e la sfiducia di molti segretari politici dei fasci per le mancate soddisfazioni, di ordine vario, alle quali aspirano - molti disperano che il partito riesca ad affermarsi ed a rinsaldare la sua compagine. In questo [clima] di attese, di ansie e di malcelate aspirazioni, quasi tutti i fascisti sono in agitazione, agitazione che potrebbe rendere più gravi e violente le conseguenze di un'improvvisa esplosione. Ed atti di violenza troverebbero eco e ripercussione negli elementi torbidi; sovversivi pericolosi e pregiudicati (rapporto del prefetto del 1 marzo 6 in PS , b.




Ricci rimase commissario sino all'aprile, quando convocò il congresso provinciale, che fu l'ultimo congresso federale, e propose come segretario il console della Legione "Taro" della MVSN, Raul Forti, un ferrarese molto legato a Italo Balbo, che fu eletto plebiscitariamente .


Oltre ad espellere Lusignani dal PNF, Ricci iniziò a sollevare lo scandalo della Banca Popolare Agricola, che di lì a qualche mese chiuse i battenti, provocando alla fine il crollo definitivo della fortuna di Luigi Lusignani .

Ma le prime voci che ormai correvano in città sull'imminente esplosione dello scandalo e la contemporanea imposizione delle dimissioni di Lusignani da presidente provocarono innanzitutto un pericolo rilevante alla Cassa di Risparmio, la cui funzione di finanziatrice della Banca Popolare Agricola era nota. Il tentativo che mise in atto la frazione di Lusignani all'interno della Cassa, cioè la nomina del deputato fascista Ugo Gabbi come presidente, durò poche ore. La nuova nomina determinò già il 2 gennaio il rush dei risparmiatori per ritirare i capitali, che cessò il 7 gennaio, dopo che il prefetto, su sollecitazione di Ricci, commissariò la più importante banca cittadina di nuovo col

marchese Paveri-Fontana, proprio per calmare l'inquietudine dei creditori . Sistemata in tal modo la rischiosa situazione della Cassa di Risparmio, rimase aperta la questione della

Banca Popolare Agricola, fonte di duratura tensione nel seno del fascismo locale, tensione che durò mesi e, per certi versi, anni.

Sulle sorti della banca si giocava peraltro una partita che oltrepassava i confini della provincia, coinvolgendo lo stesso segretario nazionale del PNF, Roberto Farinacci, che

rimase in carica sino al 30 marzo 1926 e che fu destituito da segretario anche in conseguenza delle vicende della Banca Popolare Agricola.


La questione, un caso clamoroso d'intreccio fra fascismo e affarismo, non è mai stata indagata approfonditamente e non è certo il caso di analizzarla qui a fondo. Proveremo dunque a fornirne le linee essenziali. Farinacci pagò l'amicizia con Lusignani, il cui legame fu una delle accuse usate dagli avversari interni al PNF per ridimensionare l'autorità e l'influenza che il ras cremonese aveva raggiunto su scala nazionale fra il 1924 e il 1925. Nel luglio 1926, così Farinacci giustificò a Mussolini il legame con Lusignani:


È cattiveria volermi fare un appunto perché io sono stato amico di Lusignani. Lo conobbi alla fine del

Egli, quando si presentò a me per chiedere il mio intervento quale membro della Direzione Nazionale, mi mostrò delle lettere di Alfredo] Rocco e di Luigi] Federzoni i quali gli attestavano tutta la loro stima e mi fece anche vedere ricevute di denaro versato all'«Idea Nazionale» e al Popolo d'Italia» e ad altri giornali amici. Non solo, ma mi dimostrò anche che egli era stato Presidente del Comitato elettorale dell'Emilia nel 1 e versò anche la discreta somma di 0 mila lire per la riuscita di Corgini, Terzaghi, Vicini, Lancellotti. Perché dopo tutto ciò non dovevo ritenerlo amico, tanto più

sapendo che a Parma i suoi avversari erano Picelli, Micheli e Berenini?



Dal 1922, cogli anni, il rapporto fra i due si era consolidato. Durante il periodo (febbraio-marzo 1923) in cui fu Alto Commissario della federazione del PNF di Parma, in un primo momento, Farinacci si appoggiò sul fascio di Parma, e su personalità del fascismo cittadino come Vittorio Stevani e Ugo Gabbi, mentre gli rimaneva ostile la maggior parte del fascismo rurale e in particolar modo il fascismo del circondario di Borgo San Donnino. Alla fine si legò a Lusignani, per la potenza che Lusignani aveva nella provincia e per l'aiuto che, per tale motivo, poteva fornirgli. Successivamente, Lusignani sembra che finanziasse la campagna elettorale di Farinacci stesso nelle elezioni del 1924 e, per intercessione del cremonese, riottenne la tessera del PNF nel novembre 1924. Grazie anche a questo rapporto privilegiato, di fatto Lusignani riuscì a accaparrarsi quasi integralmente la corrente intransigente parmense.

Ma vi era di più: col tempo, erano entrati nella Banca Popolare Agricola alcune

personalità appartenenti al sistema di potere di Farinacci a Cremona e a lui assai legati, come l'ex-deputato socialista riformista Alessandro Groppali e altri, che sedevano nel consiglio di amministrazione della banca parmense; inoltre, fra la banca parmense e il Monte di Pietà di Cremona, controllato da Farinacci, si erano intrecciati numerosi rapporti di affari. Peraltro, Lusignani si era coperto anche con altri protettori. Nel consiglio di amministrazione sedeva anche il fratello del ministro Alfredo Rocco, già collega universitario di Lusignani (per alcuni anni, in età giolittiana, Rocco aveva insegnato nell'Università di Parma ed era stato in quel periodo membro del consiglio di amministrazione della Cassa di Risparmio, essendone presidente Lusignani stesso) e il ministro stesso era considerato in città un autorevole

protettore di Lusignani ; inoltre ai nazionalisti Lusignani aveva finanziato alcuni periodici

prima del 1923 e poi giornali filo-nazionalisti, dopo l'ingresso dei nazionalisti nel fascismo.

Nonostante gli ormai stretti rapporti fra Farinacci e Lusignani (Farinacci elesse la

rappresentanza del suo studio di avvocato a Parma presso gli uffici di Lusignani), è pur vero che fu appunto durante la segreteria del cremonese che Lusignani fu espulso ed è questo un punto oscuro che può avere avuto varie motivazioni. Il primo motivo consisteva nel fatto che Farinacci era stato nominato segretario con il mandato di normalizzare il fascismo ,

eliminando le cause dei contrasti interni, e Parma era una delle federazioni più tormentate da tali contrasti. Va da sé che in quest'opera non poteva affatto salvare i propri amici, se fossero stati, com'era il caso di Lusignani, elementi di conflitto. In secondo luogo, l'espulsione di Lusignani, che aveva capacità di recupero non comuni, non significava la permanente esclusione dal fascismo: come si è visto, già era stato allontanato nel 1922 e poi riammesso nel 1924, e dunque questo poteva essere un provvedimento temporaneo, in attesa di tempi migliori. In terzo luogo, non è escluso che Farinacci fosse costretto a distaccarsene proprio perché il legame era divenuto pericoloso per lui stesso, a maggior ragione dopo che, nel dicembre 1925, la sua posizione di segretario generale del partito era divenuta traballante, particolarmente dopo i gravi e tragici fatti di Firenze dell'ottobre, con le crudeli e massicce violenze perpetrate ai danni degli antifascisti dalle squadre fasciste toscane, che «segnarono praticamente l'inizio della parabola discendente di Farinacci e che furono il primo passo sulla via della sua estromissione dalla segreteria del PNF .

Pur fornendo il suo consenso all'espulsione di Lusignani (o quantomeno senza

opporsi al provvedimento), Farinacci cercò comunque di salvare la banca parmense. Già nel gennaio intervenne sul prefetto:


Odierno pomeriggio mi ha telegrafato On.le Farinacci da Cremona facendomi presente necessità che essendo ormai conte Lusignani manca: forse escluso] vita politica, occorre che azione non venga spinta fino a coinvolgere questioni bancarie dato che oltre localmente deriverebbe grave danno Piacenza e Cremona ove esistono succursali Banca Popolare Agricola cui è interessato Lusignani e presso quale trovansi impegnati interessi agricoltori detta localit . Mi ha pregato interessare tal senso On.le Ricci e specialmente Commissario Prefettizio Cassa di Risparmio Generale Paveri Fontana, il quale mi ha assicurato che nulla viene fatto per ostacolare o danneggiare detta banca e ha soggiunto che oggi ha stesso al Presidente Banca Popolare

Agricola Marchese Cusani ha dato analoghe assicurazioni


Pochi giorni dopo, alcune personalità di Cremona, assai legate a Farinacci, intervennero in soccorso della banca, immettendovi nuovi capitali ed estromettendone definitivamente Lusignani. Spiegava il prefetto il 10 gennaio:


Oggi sono stati da me prof. Groppalli e comm. Rossi di Cremona con altri di qui comunicandomi avvenuta sistemazione questa banca popolare mediante apporto nuovi capitali ed esclusione ogni ingerenza conte Lusignani che ha ceduto tutte azioni sua proprietà. Viene così sistemata questione bancaria che destava preoccupazioni per eventuali ripercussioni finanziarie provincia


Ma ciò non bastò a sistemare il deficit nel bilancio della banca stessa, circa 5-6 milioni di lire, e in febbraio il prefetto constatava che «un certo nervosismo esiste effettivamente nel campo fascista sia da parte amici Lusignani che sperano rivincita evitando specialmente disastro finanziario che temono imminente, sia da parte avversari che vorrebbero ansiosi prendere direttamente direzione del Partito provincia»151.


Dopo pochi mesi, una lunga e vigorosa campagna di stampa del «Corriere Emiliano», condotta personalmente dal nuovo segretario federale, che aveva assunto la direzione del giornale, portò all'esplosione dello scandalo. La campagna di Forti sulla Banca Popolare Agricola ebbe il sostegno di Augusto Turati, nuovo segretario generale del PNF, e anche di Mussolini in prima persona. Nel giugno, arrivò a Parma Turati, che parlò dal balcone della prefettura: si creò un corteo per la città e durante il corteo il deputato Gabbi fu fischiato, da parte di fascisti di Borgo San Donnino, che gli imputavano l'espulsione dal partito di

Ranieri , e pochi giorni dopo Ranieri fu riammesso nel partito dal direttorio nazionale: un

chiarissimo segnale politico della fine del precedente sistema di potere, perché veniva riabilitato il principale e il più tenace oppositore del Lusignani. Il 13 giugno a Ranieri fu riconsegnata pubblicamente la tessera del PNF: «Riammissione ha prodotto entusiastica impressione campo fascista Borgo S. Donnino», come scriveva il prefetto, diminuendo la portata della riammissione, che suscitò ampi consensi anche fuori del circondario di Borgo

San Donnino .

In giugno, la Banca Popolare Agricola fu dichiarata fallita; alla fine del mese, furono arrestate 25 personalità parmensi e cremonesi e, fra i nomi dei parmensi, vi erano alcuni dei maggiori esponenti del fascismo intransigente locale . Lo stesso Lusignani fu arrestato e il

«Corriere Emiliano» sottotitolò "Davanti a lui tremava tutta Parma" l'articolo a commento del suo arresto, riprendendo e adattando alla provincia padana la celebre sentenza della Tosca pucciniana, pronunciata dopo l'uccisione dell'infame Scarpia. Incarcerato a Reggio Emilia e poi in una clinica bolognese, ove tentò una fuga non riuscita, e infine di nuovo in carcere a Reggio, Lusignani si suicidò in carcere nell'aprile 1927, con una dose massiccia di un farmaco, il Veronal. Un suicidio su cui, peraltro, pesò l'alone di numerosi dubbi: in particolare, si sospettò che non si trattasse di un autentico suicidio, ma che Farinacci stesso avesse in qualche modo provocato la morte del sodale .

In seguito al crollo della banca e agli arresti, Farinacci smentì qualsiasi rapporto

d'affari col Lusignani ed è possibile che, in effetti, egli avesse colto soltanto vantaggi di natura politica dai suoi rapporti con Lusignani, e non personali, di arricchimento o altro: tuttavia, era evidente la connessione fra il suo sistema di potere e Lusignani. Farinacci, comunque, non era affatto convinto che sollevare il caso della Banca Popolare Agricola, come fu fatto apertamente da Forti a cominciare dal maggio del 1926, fosse dovuto a una campagna moralizzatrice, quanto invece che si trattasse di un obiettivo politico, cioè la distruzione della sua figura politica . Consultando le carte d'archivio non vi è dubbio che vi fosse una manovra preordinata ai danni di Farinacci , ma se essa avesse un fondamento obiettivo, è altra questione, che non siamo in grado di dirimere, al di là delle ferme smentite di Farinacci.



Conclusa sostanzialmente la lotta contro Lusignani e la sua trafila d'intransigenti, con ulteriori espulsioni di esponenti della frazione , per la restante parte dell'anno si susseguirono episodi minori di conflitto fra fascisti, perlopiù motivati da questioni locali , e in parte proseguirono anche gli ultimi strascichi della liquidazione degli intransigenti stessi .

Tuttavia, complessivamente il clima migliorò e la situazione, con l'arresto di

Lusignani, cominciò a normalizzarsi. Come scrisse un anonimo informatore, a commento dell'arresto:


La città respira - è la vera parola , respira anche e soprattutto perché ha la sensazione che questa volta si farà sul serio e di Lusignani non si parlerà pi , per sempre. Gli amici del prof. Lusignani - pochi veramente - sono quasi tutti invisibili. ] E' convinzione di tutti che il Dumini mandato via a suon di pedate dai fascisti, sia stato fatto venire a Parma dal Lusignani


Coloro che erano stati i maggiori esponenti dell'opposizione democratica al fascismo cominciarono a respirare un'aria più tollerante nei loro confronti. Lo stesso informatore aggiungeva una notizia interessante su Micheli e Berenini:


Per quello che riguarda la posizione in città e provincia degli on. Micheli e Berenini, i più bersagliati nel passato, si può affermare che le cose sono quasi radicalmente mutate. L on. Berenini, che non poteva andare a Salsomaggiore ed al quale era stato consigliato un allontanamento anche da Parma, vi è stato recentemente accolto con deferenza. Anche l'on. Micheli, dopo le passate invasioni, non subisce più alcuna molestia. Tutti e due spiegano il mutamento della situazione con la scomparsa dal fascismo e dalla vita cittadina, del Prof. Lusignani: l'unico loro nemico, come essi affermano,

implacabile, irreducibile



Diversi segnali, inoltre, mostravano che, all'interno del PNF, i vecchi contrasti andavano ricomponendosi: così nel settembre s'inquadrarono nella 80a legione tutti gli squadristi di città, che per divergenze avevano sino ad allora disertato i ranghi della Milizia e che avevano, dal 1924, ricostituito e mantenuto squadre autonome .


Sennonché cominciò a delinearsi un nuovo contrasto, questa volta fra Forti e Ranieri. Una prima frizione era già corsa in luglio: Forti scrisse una lettera contenente alcune frasi critiche nei confronti di Ranieri, che furono conosciute pubblicamente; il fascio di Borgo San Donnino telegrafò a Forti «dichiarando sleali suoi atteggiamenti». I due esponenti

fascisti furono convocati da Augusto Turati, e temporaneamente il contrasto fu sanato . In

ottobre, il Ministro dell' Interno chiese al prefetto di accertare la veridicità di notizie fornite da un informatore, secondo cui permaneva un «accentuato dissidio tra il Console della MVSN, Forti, comandante la Federazione di questa città e l'On. Rainieri comandante quella di Borgo San Donnino» . Il prefetto contestava l'affermazione sul contrasto Ranieri-Forti e

riferiva che fra i due vi erano innegabilmente diversità di vedute, «ma i dissensi sono stati fin qui sempre risoluti con serenità, obbiettività e correttezza, senza mai uscire dall'intima cerchia dei maggiorenti del Partito della Provincia. Trattasi di competizione finora latente .

L'informatore aveva aggiunto, inoltre, una valutazione sul grado di consenso che

Forti aveva nel fascismo parmense: «non ha con sé tutti i fascisti: una parte dei quali male sopporta il dominio di un non parmigiano sulla vita pubblica della città e della provincia parmensi». Inoltre, riferiva che «si sono diffuse, non si sa da dove uscite, per ora, le notizie di un'appartenenza del Console Forti alla massoneria di Piazza del Gesù .

Nel settembre 1927, infine, la contesa si risolse: Forti fu rimosso e Ranieri divenne segretario federale, rimanendo nella carica sino all'aprile del 1929, quando fu rieletto deputato e poi chiamato a far parte della Direzione nazionale del PNF.


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