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La crisi dello stato liberale e i primi anni del regime fascista




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La crisi dello stato liberale e i primi anni del regime fascista


Non solo le fabbriche erano state al centro delle agitazioni sociali nel primo dopoguerra; anche le campagne furono percorse da un vasto e imponente movimento rivendicativo. I contadini, che avevano sopportato il maggior peso della guerra con il sangue versato nelle logoranti battaglie speravano che le loro richieste sarebbero state finalmente accolte. La parola d'ordine 'la terra ai contadini' correva nelle campagne dall'una all'altra parte d'Italia.

'La terra dei contadini', questo invito seducente che fu rinnovato aveva sollevato gli animi dei contadini specialmente nelle zone del Mezzogiorno, dove era ancora radicato il latifondo e dove si verificarono agitazioni per l'occupazione delle terre. Il partito popolare era al governo, ma la sua azione non riuscì a promuovere una riforma agraria, com'era attesa dalle masse contadine.

Ma fu nella valle padana e in Puglia che la lotta contadina si svolse più accesa.



La situazione precipitò in seguito all'eccidio di Palazzo d'Accursio a Bologna, avvenuto il 21 novembre 1920. I socialisti avevano stravinto le elezioni amministrative del comune: il 21 novembre era il giorno convenuto per l'insediamento del consiglio comunale. Appena il neoeletto sindaco, il comunista Gnudi, si affacciò al palazzo comunale, partirono dalla piazza alcuni colpi d'arma da fuoco. La folla impaurita sbandò. Furono lanciate bombe dalle finestre del palazzo, che uccisero numerose persone. Nella sala del consiglio si sparò contro i consiglieri della minoranza. Non si riuscì mai a sapere chi furono gli autori della provocazione: socialisti e fascisti si accusarono a vicenda.

Rapidissima e incontenibile fu da questo momento la formazione di Fasci sostenuti dall'adesione di proprietari e affittuari che si sentivano minacciati dalla forza del sindacalismo operaio. Il fascismo assunse così un aspetto anche agrario.

Le squadre fasciste aumentarono le loro forze, organizzando spedizioni punitive anche con la compiacenza di forze dell'esercito e della polizia.

Giolitti giudicò incomprensibile che si verificassero collusioni tra forze fasciste, esercito e pubbliche autorità. Le sue disposizioni ai prefetti furono deboli: egli riteneva di trovarsi di fronte a reati perseguibili, al massimo, con il codice penale; non ritenne il fascismo un fenomeno eversivo e pericoloso per la stessa stabilità dello stato. Tanto è vero che egli, indicendo le elezioni politiche accettò l'ingresso di candidati fascisti nei blocchi d'ordine a cui partecipavano i liberali, ma alla camera entrarono, tutti eletti nelle liste del blocco. A Giolitti non rimase altro che rassegnare le dimissioni.

Dalle campagne le squadre fasciste passarono ad agire nei centri industriali, godendo di una sostanziale impunità e di un atteggiamento di benevolenza da parte anche di esponenti della vecchia classe dirigente liberale. In sostanza, per molti uomini politici anche liberali il fascismo apparve come un movimento essenzialmente giovanile, espressione esuberante di un combattentismo esasperato dalla maniera dannunziana che una volta debellato il 'sovversivismo' delle masse operaie, avrebbe accettato di rientrare nell'ortodossia della prassi parlamentare dello stato post-risorgimentale.

Benedetto Croce tra le più grandi menti filosofiche dell'età contemporanea, caposcuola dell'idealismo italiano, riconobbe nel fascismo, che avrebbe accresciuto il sentimento della salvezza dello stato e stimava grande beneficio la cura cui il fascismo aveva sottoposto l'Italia. La cura era quella del manganello adoperato dagli squadristi contro gli oppositori.



Il 24 ottobre 1922 Mussolini concentrò a Napoli migliaia di camice nere. Fu decisa la marcia su Roma, con colonne provenienti da varie parti d'Italia.

Il presidente del consiglio portò al re il decreto per la proclamazione dello stato d'assedio, ma il re si rifiutò di firmarlo. La via per Roma era aperta ai fascisti, vi entrarono il 28 ottobre 1922.



Il re dette incarico a Mussolini di formare il nuovo governo. Questo risultò costituito da fascisti, liberali, popolari e indipendenti. Mussolini, con atteggiamento di disprezzo verso il Parlamento, presentò un programma che soddisfece alle attese dei gruppi conservatori, i quali avevano tollerato le violenze squadristiche nella speranza che queste, una volta che i fascisti fossero andati al governo, fossero cessate.

In politica interna Mussolini abbandonò la linea seguita da Giolitti, sciolse le amministrazioni comunali e provinciali, pose limiti alla libertà sindacale, continuò a colpire le leghe nelle campagne e adottò una serie di misure economiche per rivalutare la lira.

L'opposizione chiese lo scioglimento delle squadre fasciste. Mussolini rispose trasformandole in 'Milizia volontaria per la sicurezza nazionale', vera e propria forza armata del regime. Istituì poi il Gran Consigli del fascismo, che riuniva i maggiori esponenti del fascismo e che assunse, sotto il controllo di Mussolini, una funzione sempre più decisiva nella vita politica.  



Il 6 aprile 1924 si svolsero le elezioni politiche in un clima pesante in virtù della legge maggioritaria. Il successo toccò al 'listone', dove figuravano, accanto ai fascisti, nomi della tradizione liberale, come Antonio Salandra e V. E. Orlando.

Pur avendo conseguito la maggioranza parlamentare, il fascismo non si acquietò. La ' normalizzazione ' tanto attesa svanì. All'indomani delle elezioni, scomparve il socialista Giacomo Matteotti, che aveva denunciato alla Camera i brogli elettorali e le violenze perpetrate dalle squadre fasciste durante il periodo preelettorale. Egli fu rapito da squadristi all'uscita dalla sua abitazione romana, ed ucciso. Quando si seppe dell'assassinio di Matteotti, un'ondata di commozione invase Roma, dilagò per l'Italia che investì il governo e lo fece scricchiolare dalle fondamenta.

I banchi dell'opposizione erano vuoti: tutti i gruppi dell'opposizione erano assenti. Essi si riunirono in una sala del Montecitorio e decisero di non entrare più in aula sino a quando non fosse stata abolita la milizia fascista e ripristinata l'autorità della legge.

Questa sessione parlamentare si chiamò Aventino, con evidente riferimento alla storia romana, in cui si narra che la plebe del V secolo a. C. si rifugiò sull'Aventino per protestare contro i patrizi.

L'Aventino guidato da Giovanni Amendola, Alcide De Gasperi, Giovanni Gronchi, Filippo Turati, fu per un momento al centro dell'opinione pubblica del paese.

Ma Mussolini riuscì a controllare la situazione con il discorso del 3 gennaio; non incominciò ancora il regime autoritario però ne furono gettate le premesse politiche. Mussolini aveva assicurato che non ci sarebbe stato alcun ritorno indietro: non ci sarebbero mai state le dimissioni del governo. D'altra parte egli aveva lasciato chiaramente intendere che aveva mantenuto in pugno l' estremismo fascista.

La secessione aventiniana persa così la sua battaglia politica non era riuscita a convincere il re ad abbandonare Mussolini.

Alcuni esponenti dei partiti di opposizione avevano già dovuto prendere la via dell'esilio, come Sturzo e Nitti.

Nel 1925 si accentuò il processo di trasformazione dello stato giolittiano in uno stato forte e accentrato. Furono aumentati i poteri della polizia, fu ridotta la libertà di stampa mediante censure, sequestri, sospensioni di pubblicazioni, e allontanamento di direttori non graditi al fascismo; fu abolito il termine del presidente del Consiglio e sostituito da quello del capo del governo, il quale poteva esercitare il suo potere in nome del re, senza intervento del Parlamento. Nessuna proposta di legge avrebbe potuto essere discussa dal Parlamento, senza che prima fosse stata approvata dal capo del governo. Infine, furono abolite le elezioni amministrative: il sindaco divenne di nomina governativa e si chiamò podestà.

Fu deliberato lo scioglimento di tutti i partiti, associazioni ed organizzazioni democratiche.

Fu istituito il Tribunale speciale 'per la difesa dello stato'. Davanti a questo tribunale fu condotto il leader comunista Antonio Gramsci, che trascorse più di dieci anni nelle carceri fasciste e finì i suoi giorni in una clinica. Durante gli anni di carcere Gramsci riuscì a elaborare quaderni e scritti storico- politici di grande penetrazione critica.

Altri intellettuali e dirigenti politici furono costretti ad abbandonare il paese: Palmiro Togliatti e Gaetano Salvemini.



Mentre era in corso l'opera di trasformazione del vecchio apparato dello stato liberal-democratico in senso autoritario, Mussolini dovette impegnarsi per risollevare la situazione economica italiana.

I due problemi, quello della stabilizzazione del regime e l'altro del risanamento economico, erano strettamente connessi. 'la sorte del regime è legata alla sorte della lira'. Mussolini come avrebbe difatti potuto difendere le leggi eccezionali se la moneta fosse crollata, precipitando il paese nel caos? Per questo egli annunciò che la lira sarebbe stata difesa 'fino all'ultimo respiro'.

Questa rivalutazione della lira fu trovata troppo alta, non rispondente al suo reale potere d'acquisto, tanto più che essa creò non pochi disagi al paese: da un lato al rivalutazione consentiva una migliore difesa del risparmio e degli stipendi; dall'altro lato, restringendo la circolazione della moneta, provocò una contrazione del credito. la moneta liquida divenne più rara e la richiesta di credito più difficile.

I prezzi delle merci destinate alle esportazioni divennero più gravosi: di qui la diminuzione delle esportazioni e della stessa produzione. Si ebbe inevitabilmente un aumento della disoccupazione, specie nelle medie e piccole industrie.

Nell'aprile del 1927 fu varata dal Gran consiglio del fascismo la Carta del lavoro, in cui veniva sancito il principio della collaborazione fra le classi: le corporazioni- si leggeva nella carta del lavoro- costituiscono l'organizzazione unitaria delle forze della produzione e ne rappresentano integralmente gli interessi. In virtù di questa integrale rappresentanza, essendo gli interessi della produzione interessi nazionali,le corporazione sono dalla legge riconosciuti come organi di stato.



Lo stato fascista era ormai avviato a divenire una grave e complessa armatura, che stringeva il rapporto di solidarietà coatta con tutti i settori della vita nazionale. Il regime si preoccupava della formazione della gioventù, naturalmente in senso fascista e militarista, e fondava all'uopo l'opera nazionale balilla, che diverrà più tardi gioventù italiana del littorio.

Ma fra gli atti più importanti del regime fascista fu al conciliazione fra lo stato e la chiesa con i patti lateranensi che furono firmati l'11 febbraio 1929.

I patti lateranensi si articolavano sulla base di tre documenti: un trattato, un concordato e una convenzione finanziaria. Il trattato sanciva il fine della questione romana, riconoscendo il Vaticano stato indipendente e sovrano. Il concordato stabiliva una serie di norme che regolavano la condizione della religione cattolica e della chiesa in Italia; fra l'altro fu riconosciuta validità civile al matrimonio religioso, fu introdotto nella scuola l'insegnamento della religione cattolica. Infine, la convenzione finanziaria prevedeva un indennizzo alla Santa Sede per la perdita degli antichi stati pontifici e dei beni degli enti ecclesiastici.

Tuttavia, nonostante la conciliazione, nacquero divergenze e scontri fra Pio XI e lo stesso Mussolini. Il conflitto sorse a proposito dei compiti dell'azione cattolica nel campo dell'educazione della gioventù.

Nel febbraio 1984 la Santa Sede e la repubblica italiana hanno proceduto alla revisione del concordato del 1929, abrogando quelle norme che apparivano in contrasto con i principi democratici che ispirano la costituzione italiana.



Gli anni che vanno dal 1929 al 1936 furono gli anni migliori del regime, furono gli anni in cui Mussolini conseguì il massimo consenso sulla sua politica.

Nel 1928 il suo governo varò un'importante legge per la bonifica integrale. La prospettiva di un'Italia agraria, ricca di grano e di virtù tradizionali, fu esaltata in quegli anni da tutta la stampa fascista.

Non era senza suggestione per tante famiglie italiane l'idea di un duce, che assegnava la priorità ai valori della civiltà rurale ed esaltava il focolare domestico.

La battaglia per l'aumento della produzione granaria, quella per la bonifica delle terre incolte, quella demografica dettero per qualche tempo una raffigurazione quasi paternalistica del fascismo. Alcune di queste battaglie segnarono punti all'attivo del regime: ad esempio quella della bonifica integrale nel Tavoliere di Puglia e nell'Agro pontino. Ma nel quadro della politica di ruralizzazione di Mussolini entrava anche la battaglia del grano, che se consentì in questo campo di raggiungere l'autosufficienza, determinò però una svalutazione dei terreni e influì negativamente sugli allevamenti di bestiame a causa della riduzione dei pascoli. Ma per incrementare un ritorno alla terra, era necessaria un grande politica demografica (tassa sui celibi, premio aumenti alle famiglie numerose, assistenza alle donne). Per questo Mussolini considerava la diminuzione delle nascite come un segno di decadenza morale e civile del paese.

Avvenimento importante, che segnò una tappa nella storia economica  italiana, fu la creazione nel gennaio 1933 dell' IRI (Istituto Ricostruzione Industriale). L'IRI sorse per salvare dal tracollo quelle industrie che erano state colpite dalla crisi del 1929 e che non trovavano più credito presso le banche.

Più complesso fu il rapporto del fascismo con il mondo della cultura. A livello di massa il regime si preoccupava soprattutto dell'assetto dell'istruzione scolastica: non entrava nel merito degli insegnamenti, ma operava per integrare l'attività scolastica vera e propria con l'attività sportiva e paramilitare. Si preoccupava che la manualistica storica fosse improntata all'esaltazione dello spirito nazionalistico.

Significativo é il successo della letteratura americana. Il primo traduttore italiano di Steinbeck fu Cesare Pavese. Pavese fu una figura fondamentale del mondo umbratile dell'Italia fascista. Con lui possiamo ricordare Elio Vittorini anche egli traduttore degli scrittori americani.

Esercitò un grande fascino la poesia di Eugenio Montale, a cominciare dalla sua prima raccolta in versi, Ossi di seppia e Le occasioni nata fra i bagliori della seconda guerra mondiale. La poesia di Montale vive al di fuori del clima del regime e della sua retorica opponendo ad essa una visione cruda della vita, un linguaggio scarno sempre alla ricerca della parola essenziale.

Altro grande poeta del tempo fu Giuseppe Ungaretti, considerato il caposcuola dell'ermetismo, una corrente letteraria che ripudia la lezione poetica dei classicisti del secolo scorso, troppo legata al canto, al racconto, alla sintassi, ai ritmi, per esplorare invece le vie nascoste o taciute della parola essenziale. Salvatore Quasimodo é la punta più alta di questa poesia ermetica.

Una collocazione a sé merita invece la poesia di Umberto Saba.

Ricordiamo Italo Svevo con il suo capolavoro La coscienza di Zeno. Svevo non costituisce una trama romanzesca ordinata e consequenziale, ma lascia al suo protagonista il compito di raccontarsi con penetrante analisi psicologica, in un continuo fluire di passato e presente.

Drammaturgo di fama europea é Luigi Pirandello, che pur avendo incominciato a scrivere negli anni precedenti al fascismo, tocca anch'egli il problema della condizione umana e del suo sfaccettarsi di un mondo che obbliga a vivere secondo convenzioni sociali, dalle quali non è possibile uscire.

In breve negli anni del fascismo, l'Italia ha conosciuto una grande letteratura, estranea all'ideologia del regime e talvolta in netta opposizione ad esso, letteratura che conserva ancora oggi la sua vitalità, dal racconto, al romanzo (Corrado Alvaro, Alberto Moravia) alla poesia, al teatro.

Nel 1937 il clima cambiò, anche in conseguenza della politica mussoliniana di alleanza con la Germania di Hitler. Il controllo della stampa quotidiana e periodica si fece più stretto: la nomina dei direttori dei giornali doveva passare  attraverso il ministero; il ministero interveniva sugli argomenti trattati dal giornale, sul rilievo che ad essi veniva dato e sulla forma.

Si arrivò anche al controllo della produzione libraria, si parlò di 'bonifica libraria', diretta in maniera particolare contro le opere di scrittori ebrei e di sinistra. Dopo la guerra contro l'Etiopia, nell'euforia della vittoria e della nascita dell'impero, Mussolini ritenne giusto il momento di adeguare più strettamente la scuola alla svolta totalitaria. Trovò in Giuseppe Bottai l'uomo capace di trasmettere totalmente la rivoluzione fascista nella scuola. La riforma prevista dalla Carta della scuola, avrebbe dovuto consentire una maggiore compenetrazione fra la scuola e le organizzazioni giovanili fasciste, Gil (Gioventù italiana del littorio) e Guf (Giovani universitari fascisti), così da costituire uno strumento unitario di educazione fascista.

La Carta mirava a valorizzare il lavoro, che diveniva materia di insegnamento, orientando i giovani delle classi lavoratrici verso scuole tecnico-professionali, introduceva nella scuola i moderni strumenti della comunicazione, la radio e il cinema.

La riforma Bottai avrebbe potuto fare della scuola qualcosa che si avvicinava a questa idea di laboratorio.

La riforma, dopo i primi passi si fermò, non si arrivò alla alla scuola-laboratorio, anche per le resistenze passive che l'idea suscitò negli ambienti cattolici, che guardavano con sospetto questa fascistizzazione integrale della scuola.

Ma fu la guerra ad arrestare il processo di inserimento della scuola nell'ambito della svolta totalitaria.

In questi anni di consolidamento del regime fascista, nacque il mito di Mussolini, il mito della dedizione completa al duce, alimentato da una potente ma articolata e sottile azione legislativa,propagandistica e culturale. C'era il regime, ma più in alto c'era il duce, padre carismatico e provvidente che lavorava per la grandezza del paese.

In sintesi si potrebbe dire che dal 1936 al 1940, Mussolini impresse una accelerazione al processo di fascistizzazione dello stato.



In politica estera il fascismo sino alla guerra di Etiopia (1935), si mantenne sostanzialmente nell'alveo della tradizionale amicizia con le potenze dell'Intesa (Francia e Inghilterra).

Mussolini, sempre nella scia degli accordi di Rapallo, strinse un patto di amicizia e di collaborazione con la Iugoslavia che portò all'annessione di Fiume all'Italia (1924). L' Albania accettò nel proprio paese l'egemonia italiana.

In generale, la politica di Mussolini, specialmente per gli affari interni, ricevette ampi consensi ed elogi da Inglesi e Francesi, che apprezzavano la sua maniera forte. Questi appoggi concorsero a rafforzare più di quanto si possa immaginare.



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