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Il '48 in Europa, la "primavera dei popoli"




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Il '48 in Europa, la "primavera dei popoli"



Il '48 in Italia



Concessione di costituzioni in Italia


I moti europei ebbero origine proprio nella penisola italiana; infatti il 12 Gennaio moti popolari appoggiati dalla aristocrazia terriera e dalla borghesia ebbero luogo a Palermo, e grazie appunto al massiccio appoggio di tutte le classi sociali, e grazie anche al mancato intervento delle truppe austriache fermate al confine dello stato pontificio da Pio IX, Ferdinando II fu costretto ad impegnarsi alla stesura di una costituzione (29 Gennaio). In seguito a tali avvenimenti, in Toscana, Leopoldo II, spinto dall'opinione pubblica, concesse uno statuto (17 febbraio) ed anche Carlo Alberto, in Piemonte, dovette accettare le pressioni di ministri e consiglieri concedendo a sua volta una costituzione (4 marzo). Nel mezzogiorno d'Italia, e cioè nello stato pontificio, il tiepido riformismo del '47 non placò il malcontento serpeggiante anche per le notizie che arrivavano da tutt'Italia, ed in effetti Pio IX diede spazio ad una riorganizzazione delle strutture statali di tipo laico ed il 13 marzo fu ultimato anche nell'arretrato stato pontificio uno statuto. Solamente i ducati di Parma e Modena ed il Lombardo - Veneto non beneficiarono di tali riforme istituzionali.


Il Lombardo - Veneto


E l'intransigenza oppressiva austriaca non poteva non provocare, nell'anno dei fermenti, un'insurrezione che effettivamente ebbe luogo dopo la liberazione di Manin, Tommaseo, ed altri prigionieri politici (17 Marzo), nell'arsenale ad opera di operai, e successivo l'ammutinamento delle truppe italiane, che con Manin a capo, crearono il 23 di Marzo un governo provvisorio. Intanto Milano non rimaneva indifferente agli accadimenti, il 18 Marzo insorse con successo formando nel 20 un "consiglio di guerra" capeggiato da Cattaneo, consiglio del tutto intransigente agli austriaci che furono costretti a lasciare la città (22 Marzo). Detto esercito si rifugiò nelle fortezze del quadrilatero (Peschiera, Verona, Mantova e Legnago) tentando quantomeno di ostacolare i movimenti nella pianura padana delle truppe e dei volontari lombardi.


L'intervento Piemontese, verso la prima guerra d'indipendenza





































Carlo Alberto non poteva rimanere indifferente agli appelli sia della classe politica pie-montese che degli insorti, ed in effetti anch'egli aveva mire espansionistiche verso l'est, per cui il 22 Marzo annunciò l'entrata in guerra del Piemonte contro l'Austria. Na-turalmente l'esercito piemontese non poteva competere con quello austriaco, e quest'ultimo poté ritirarsi in tutta calma sfruttando la lentezza degli uomini di Carlo Alberto, che var-carono il Ticino solo il 29 Marzo, il vinsero a Pastrengo, il 6 Maggio subirono una dura sconfitta a Santa Lucia.


Grazie all'assistenza dei volontari toscani le truppe piemontesi riportarono un'altra vittoria a Goito e conquistarono Peschiera, ma gli austriaci reagirono conquistando Vicenza.


La reazione negli altri stati italiani


Nel regno borbonico il dibattito divise i moderati ed i più democratici, decisi ad assolutizzare la costituzione eliminando qualsiasi ingerenza reale. Inoltre i Siciliani aspiravano ad una piena autonomia. A fine Aprile fu inviato un corpo militare contro l'Austria in sostegno del Piemonte, e si svolsero le elezioni per la nuova Camera, ma la situazione degenerò in scontri a fuoco fra le truppe reali e dei rivoltosi oltranzisti. Ferdinando dunque operò una dura repressione, modificando la legge elettorale in senso decisamente meno democratico.


A Roma anche il papa aveva inviato corpi di volontari a nord, ma solamente a scopo difensivo e nelle elezioni del 18 maggio i moderati ottennero una larghissima maggioranza.


In Toscana si diede uno scarsissimo contributo alla Guerra di Indipendenza per la motivata paura delle mire espansionistiche sabaude, e la spinta popolare era rivolta verso la richiesta di una maggiore attenzione ai problemi interni. Nelle elezioni del 15 giugno prevalsero i moderati, però divisi fra coloro che erano più attenti alla questione nazionale e coloro che erano più legati alla tradizione del Granducato, timorosi di innovazioni troppo radicali quanto dell'egemonica tendenza piemontese.


D'altronde nemmeno in Lombardia si aveva le idee chiare su quale dovesse essere la sorte dell'Alta Italia. In effetti Carlo Alberto, più che pensare ad un'unità nazionale, era immerso nell'ottica espansionistica, e cercava continuamente assensi popolari, mentre Radetzky raccoglieva truppe; cosa che gli assegnò le antipatie di Cattaneo. Ma vi era chi, come il governo provvisorio milanese di Casati, era favorevole ad un'eventuale annessione al Piemonte. Si giunse al compromesso che le decisioni riguardanti la questione fossero rimandate a guerra terminata. Anche Mazzini non era del tutto contrario ad un'annessione al Piemonte, per evitare che il Lombardo - Veneto finisse nelle mani dei Francesi. Purtuttavia si votò il 12 maggio, e si decise l'immediata fusione con il Piemonte.


A Venezia le città di terra, intimorite dall'isolamento, votarono anch'esse l'annessione al Piemonte, facendo sì che la Serenissima le seguisse, annettendosi il 4 luglio. I Ducati, causa i disordini, caddero, ed anch'essi si trovarono ad esser costretti alla fusione.


La sconfitta di Custoza e l'armistizio


Intanto le operazioni militari erano ferme dall'inizio di giugno, e si diede il tempo a Radetzky di riorganizzarsi. A fine luglio quest'ultimo sferrò un attacco nei dintorni di Custoza. Dopo la sconfitta piemontese, il 45 agosto Milano fu riconsegnata agli Austriaci. Il , con l'armistizio, si ristabilirono gli antichi confini, sancendo la fine della prima guerra di indipendenza. Vi furono estenuanti trattative che si trascinarono fino al '49, senza alcun risultato per la causa italiana.

La situazione in Europa



La situazione francese


La monarchia di Luigi Filippo aveva rappresentato per la Francia un'involuzione sia per quanto riguarda la politica estera che per quanto riguarda quella interna. In politica interna si controllava il paese secondo direttive conservatrici, e la crisi agraria del '47 avevano alimentato le rivendicazioni di oppositori e critici del governo, che reclamavano l'estensione del diritto di voto.


Il 22 febbraio Guizot vietò una riunione popolare, e ciò scatenò l'insurrezione, che creò in Francia una repubblica di coalizione, con una forte presenza socialista e democratica, cosa che provocava i timori

dell'alta borghesia francese, più propensa naturalmente ad un governo liberale.



Si affermò così la questione sociale, e con un governo come quello in regime, non tardarono a farsi sentire le volontà socialiste della reggenza. Infatti fu affermato il diritto al lavoro, con la conseguente istituzione degli ateliers nationaux, opifici statali,  e riforme sociali di questo genere. Nelle elezioni del 23 aprile però, si decretò la sconfitta degli esponenti proletari del governo a favore dei moderati, che per prima cosa abolirono gli infruttuosi opifici di cui sopra. Di qui scoppiò un'insurrezione operaia decisa e massiccia (giugno '48), repressa senza pietà. L'Assemblea voleva garantire a qualsiasi costo l'istituzionalità del suo operato.  Gli avvenimenti di giugno provocarono una generale revisione dell'ideologia radicale francese, che in definitiva assunse caratteri maggiormente moderati.


La repressione continuò, nella nuova Costituzione sparirono il diritto al lavoro e si ridussero i margini di libertà individuale, e attraverso l'elezione popolare del presidente della Repubblica fu creata una figura forte dagli ampi poteri che potesse reggere il paese secondo le direttive riformiste - moderate.


Il 10 dicembre si tennero le elezioni, che videro la vittoria di Luigi Napoleone, figura che poteva solamente portare ad un'assolutizzazione del potere, anche questa volta legittimata dal popolo, come nel caso dello zio, Napoleone Bonaparte.


L'impero austriaco


A Vienna si accelerarono i processi di contestazione che già erano presenti nell'impero sovranazionale austriaco. Intellettuali e studenti chiedevano con forza libertà di espressione ed un ordinamento costituzionale. Nelle giornate di marzo molto attivi furono gli studenti universitari, provocando un'insurrezione generale che portò alle dimissioni di Metternich e alla convocazione di un'assemblea costituente (15 marzo). Il 16 maggio si verificò una nuova insurrezione popolare, e il 2 giugno si riunì un'assemblea delle nazionalità slave, che tendeva ad una indipendenza dei territori caratterizzati da tale etnia.


Il 12 giugno tuttavia cominciò la repressione guidata da un uomo da nome assurdamente impronunciabile, Windischgratz, cui seguirono la legge marziale e lo scioglimento delle camere, e la corte asburgica si servì di Jelacic per portare a termine la repressione, che, con la vittoria di Custoza, raggiunse il suo compimento.

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