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Ugo fodcolo: "i sepolcri"




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UGO FODCOLO: "I Sepolcri"


"I Sepolcri", o più esattamente "Dei Sepolcri" come li intitolò il Foscolo, sono un carme di 295 endecasillabi sciolti, scritto quasi di getto tra il giugno e il settembre del 1806 e pubblicato a Brescia nel 1807.

"I Sepolcri furono composti sotto la suggestione del decreto napoleonico di Saint- Cloud (1804) con il quale, per ragioni igieniche, s'imponeva la sepoltura dei morti fuori dalle mura cittadine in cimiteri appositamente costruiti e per ragioni democratiche, si stabiliva che le lapidi dovessero essere tutte di uguale grandezza e che le iscrizioni fossero controllate da un'apposita commissione, a tutela della verità e del decoro. La progettata estensione del decreto napoleonico all'Italia, che di fatto avvenne il 5 settembre 1806, aveva rinfocolato le discussioni, che già erano state accese, sulla legittimità di tale legislazione di stampo illuminista che, in nome di un razionalismo astratto, contraddiceva e offendeva tradizioni radicate. Il Foscolo, appunto, si era trovato presente a una di queste discussioni: subito dopo il suo ritorno dalla Francia, nel maggio 1806, nel salotto veneziano di Isabella Teotochi Albrizzi, aveva affrontato il problema con Pindemonte che, nel poemetto sui "Cimiteri" interno al quale lavorava, intendeva riaffermare i valori del culto cristiano. In quest'occasione, coerentemente con le sue posizioni materialistiche, il Foscolo aveva assunto l'atteggiamento scettico del filosofo "indifferente": più tardi riesaminato il problema da un altro punto di vista, era nata in lui l'idea del carme, che aveva voluto indirizzare, quasi "per fare ammenda del mio sdegno un po' troppo politico", al suo interlocutore di una volta: da ciò la forma esterna del carme che si presenta come un'epistola poetica a Ippolito Pindemonte.

Questa occasione esterna e remota del carme, che fu stimolato anche dalla suggestione culturale della contemporanea poesia sepolcrale, ma che trovava le sue radici più profonde nella mai intermessa mediazione foscoliana, dall'Ortis ai sonetti, sul significato della tomba e sulla funzione consolatoria.

Per questo, nel riprendere il discorso interrotto con il Pindemonte, il Foscolo affronta l'argomento ad una prospettiva completamente diversa, che non ha più niente a che vedere con le discussioni giuridiche e con la difesa della tradizione cristiana: quello che interessa il poeta è appunto il significato e la funzione che la tomba viene ad assumere per i vivi. "I momenti inutili a' morti -scriverà a Guillon- giovano a' vivi perché destano affetti virtuosi lasciati in eredità dalle persone dabbene". Questa prospettiva però andava oltre la stessa posizione dei sonetti, nei quali la morte e la tomba costituivano un agognato porto di quiete per una vita che appariva senza senso, e superava i limiti circoscritti della contemporanea poesia sepolcrale. Di questo il Foscolo aveva pienamente coscienza, come mostra in un altro passo della lettera al Guillon.

Con questa impostazione il carme si pone quindi come celebrazione di quei valori universali che possono dare un significato alla vita e all'impegno dell'uomo, recuperando così alla poesia gl'ideali di cui si era nutrito Ortis e che erano stati messi in disparte nelle liriche.

Questo non significa per altro che il Foscolo abbia mutato le sue convinzioni materialistiche ed abbia trovato una risposta d'ordine metafisico agli interrogativi giovanili sul destino dell'uomo. Il carme si apre, infatti, con la negazione recisa di ogni trascendenza e la riaffermazione della validità del pensiero materialistico; così, su un piano puramente razionale, le tombe sono inutili perché l'uomo non vive dopo la morte del suo corpo e la materia di cui è composto si ricongiunge alla materia universale per riprendere l'eterno processo della vita e della morte. Questa razionale certezza sui limiti puramente terreni della vita umana, non confortata da una vita trascendente e da alcuna verità assoluta, non conclude in un rassegnato pessimismo, ma si esalta a recuperare nella vita quelle forze e quegl'ideali che sono alla base della convivenza civile e paiono superare il limite della morte.

Nasce così l'esigenza dell'illusione che riafferma sul piano del sentimento quanto è negato l'intelletto e che sembra incarnarsi nel significato che la tomba può assumere nella vita dell'uomo e delle nazioni: la tomba innanzitutto come centro sul quale convergono la pietà e il culto degli amici e dei parenti che intrecciano con il defunto una "celeste [.]| corrispondenza d'amorosi sensi"; la tomba come simbolo delle memorie di tutta una famiglia attraverso i secoli che realizza una continuità di valori da padre in figlio "e fu temuto | su la polve degli avi il giuramento"; la tomba come segnacolo stesso di civiltà dell'uomo che, insieme al culto dei morti, ha creato i suoi valori essenziali: le nozze, i tribunali e gli altari; la tomba che racchiude in sé i valori ideali e civili di tutto un popolo: Santa Croce per gli italiani e Maratona per i greci, che ad essa si ispira per operare il primo riscatto; la tomba, infine, il cui significato si allarga a tutti gli uomini del mondo e i cui valori non sono travolti dal tempo ma eternati dal canto dei poeti: Aiace e Ettore.

Questa trama di meditazione è però ben lungi ancora dal rendere la complessità e la ricchezza dei motivi, dei temi, dei toni che si articolano nei "Sepolcri" e che sembrano riassumere e fermare emblematicamente il succo di tutte le precedenti esperienze bibliografiche, culturali e letterarie del Foscolo. Ma proprio questa ricchezza comportava per il Foscolo la difficoltà di creare una struttura complessa e organica e nella quale si fondessero l'esigenza didascalico- dimostrativa, il sermoneggiare oraziano, la tipica tecnica foscoliana dello sviluppo per l'associazione delle immagini che si vedono nei sonetti e nelle odi. Per un componimento di questa natura, che non aveva apprezzabili esempi nella tradizione e che egli stesso definì classicamente "carme", il Foscolo si rifece all'ode pindarica, fatta di rapidi e bruschi trapassi e di violenti stacchi. Ne nacque così un carme dove i vocaboli valgono non solo in sé ma soprattutto per le idee attraverso naturali, ma razionalmente impliciti, passaggi. È una tecnica perfettamente cosciente, che giova a chiarire come il carme non possa essere considerato alla stregua di una collana di liriche e si presenti invece come un tutto organico. Scriveva il Foscolo a Guillon che non era riuscito a comprendere la robusta struttura del carme: "la tessitura. dipende dalle tradizioni. E le tradizioni sono ardue sempre a chi scrive, e sovente a chi legge; specialmente in una poesia lirica, e d'un autore che, non so se per virtù o per vizio, transvolat in medio posita, ed afferrando le idee cardinali, lascia ai lettori la compiacenza o la noia di desumere le intermedie".

Queste idee cardinali, considerate dalle tradizioni secondo una logica interna che tralascia le articolazioni esteriori, acquistano poi la loro risonanza umana e la loro forza di persuasione attraverso un susseguirsi di esempi, di veri e propri miti che incarnino simbolicamente la verità che il Foscolo enuncia. Così, affermata in modo lapidario la tesi "A egregie cose il forte animo accendono | l'urne dei forti Pindemonte", il Foscolo fa seguire l'esempio delle tombe dei grandi in Santa Croce; così il mito di Aiace diviene la dimostrazione più persuasiva della tesi che "giusta di glorie dispensiera è morte"; e sarebbe inutile continuare perché tutto il carme è costituito con questa tecnica evocativa di grandi miti esemplari, anch'essa coscientemente dedotta dal mondo greco: "Ho desunto questo modo di poesia da' Greci, i quali dalle antiche tradizioni traevano sentenze morali e politiche, presentandole non al sillogismo de' lettori, ma alla fantasia e al cuore".

Quest'affermazione meglio d'ogni altra può servire d'introduzione alla lettura del carme che, parlando alla fantasia e al cuore e non al sillogismo dei lettori, poteva sorvolare rapidamente su mezzi logici e sulle articolazioni esteriori e presentarsi compatto e lapidario quanto nessuna altra nostra poesia: "Ove l'autore avesse mirato al patetico avrebbe amplificato gli effetti; mirava invece al sublime, e li ha concentrati".

Ad ulteriore dimostrazione della compattezza del carme, e per facilitarne la lettura, si riproduce l'ordinata esposizione che il Foscolo fece del contenuto dei "Sepolcri", per rispondere al violento attacco pubblicato dal Guillon sul "Giornale ufficiale d'Italia" sulla presunta disorganicità dell'opera foscoliana. È un'esposizione chiara e fedele, nella quale è dato cogliere il nesso varietà- unità, anche se, ovviamente, la brevità dello schema non può rendere tutta la complessità dei motivi che si intersecano nel carme.

" I monumenti, inutili ai morti, giovano ai vivi, perché destano affetti virtuosi lasciati in eredità dalle persone dabbene (vv. 1-40). Solo i malvagi, che si sentono immeritevoli di memoria, non la curano (vv.41-50).A  torto dunque la legge accomuna le sepolture de' tristi e de' buoni, degli illustri e degli infami (vv. 51-90). Istituzione delle sepolture nata come patto sociale (91-96). Religione degli estinti derivata dalle virtù domestiche (vv. 97-100). Mausolei eretti dall'amor di patria agli eroi (vv. 101-104). Morbi e superstizioni de' sepolcri promiscui nelle chiese cattoliche (vv. 105-114). Usi funebri dei propri celebri (vv. 115-136). Inutilità dei monumenti alle nazioni corrotte e vili (vv. 137-150). Le reliquie degli eroi destano a nobili imprese e nobilitano le città che le raccolgono (vv. 151-154). Esortazione agli italiani di venerare i sepolcri dei loro illustri concittadini: quei monumenti ispireranno l'emulazione agli sudi e all'amor della patria, come le tombe di Maratona nutrirono nei Greci l'abborrimento dei Barbari (vv. 155-212). Anche i luoghi ov'erano le tombe dei grandi, sebbene non ve ne rimanga vestigio, infiammano la mente de' generosi (vv. 213-225). Quantunque gli uomini di egregia virtù siano perseguitati vivendo, e il tempo distrugga i loro monumenti, la memoria della virtù e de' monumenti vive immortale negli scrittori, e si rianima negl'ingegni che coltivano le Muse (vv. 226-234). Testimonio il sepolcro di Ilo, scoperto dopo tante età dai viaggiatori che l'amore delle lettere trasse a perigrinar nella Troade (vv. 235-240). Sepolcro privilegiato dai fatti, perché potesse il corpo di Eletta, da cui nacquero i Dardanidi autori dell'origine di Roma e della prosapia dei Cesari signori del mondo (vv. 241-253). Su quel sepolcro pregano le donne di Ilo per scongiurare le sciagure imminenti (vv. 254-257) e la vergine Cassandra guidava i giovinetti a piangere sulle ceneri dei loro antenati consolandoli dell'esilio e della povertà decretata dai loro fati, profetando che la gloria dei Dardanidi sarebbe rifulsa sempre su quelle tombe dalle quali un giorno Omero avrebbe chiesto ispirazione al suo canto (vv. 258-295)."

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