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Scheda di lettura: "covoni di grano vicino ad una cascina"




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Analisi testuale


Cosi è (se vi pare), venne scritta nel 1915 a ridosso dei grandi successi teatrali dell'autore siciliano, quali Enrico IV, Sei personaggi in cerca d'autore, Il gioco delle parti. Essa rappresenta come l'anticipazione sommessa della rivoluzione artistico-concettuale che egli avrebbe operato in vario modo in ambito narrativo e drammaturgico.

Tale testo teatrale, definibile sulla scia dello stesso Pirandello una 'parabola in tre atti', possiede solo in forma ibrida le caratteristiche della commedia propriamente intesa, venendo a mancare al suo interno quella delineazione netta di contenuti che, seguendo l'itinerario classico della premessa, dell'elemento nuovo modificatore, dovrebbe normalmente condurre ad una conclusione definita e ordinatrice degli eventi narrati: il lieto fine.

Cosi è (se vi pare) è irriducibile a siffatta schematizzazione e diviene legittimata, dunque, l'espressione 'parabola', di cui sopra, che etimologicamente si rifà al verbo 'parabolare', parlare e che già dice dell'identità dialogica di quest'opera, che trova nella discussione contrappuntistica la sua vera definizione.

Strutturalmente l'opera si divide in tre atti a loro volta scanditi da scene.

Nell'atto I, che si svolge all'interno di un salotto di comunissimo arredo, sono individuabili quattro nuclei tematici, sintesi quasi della poetica del nostro Autore. Il primo è la rappresentazione della molteplicità della percezione del reale, causata dal divenire dell'essere apparente, che è dunque il secondo bandolo dipanabile dalla matassa dialogica dei personaggi. Questo fluire dell'essere non permette un'afferrabilità colta nel presente e a tal proposito la terza tematica è data dalla mancanza di un'oggettività coglibile sic et nunc, premessa che apre il paradosso della costruzione di una verità personale, che, come quarto elemento, introduce l'irriducibilità della convinzione che ognuno si dà da sé. Alla fine del I atto, così come degli altri, troveremo una risata sarcastico-drammatica e conclusiva dell'intera opera. Essa, di per sé, ha un valore 'burlesco' caratterizzato da un riso che non è più quello della commedia tradizionale dove si ride per reattività ad un elemento dato, ma è il nuovo riso dell'uomo novecentesco, in cui la burla è sancita da un paradosso tragico che è il non- dato, capace di essere motore di una 'farsa'. I confini tra tragico e comico dunque si rarefanno.

Il II atto si caratterizza come 'indagine', come tentativo di acquisizione di quegli elementi che possano dissipare i dubbi introdotti nell'atto precedente. L'operare e io muoversi dei personaggi è tutto teso al raggiungimento di una chiarificazione, di una verità, che fuor di dubbio deve esserci. Ma un solco incolmabile divide i personaggi, una lacerazione viene rappresentata. Da un lato Pirandello mostra una conertualità tra le varie figure delineate sulla scena, nelle azioni volte allo svolgimento del mistero; dall'altro introduce un personaggio-opposizione, Laudisi, che è incarnazione della morale nuova anti-borghese e che scardina, introduce il dubbio, mina dalle fondamenta le ragioni del raziocinante ipotizzare dei personaggi e tenta di arenare l'azione fermandola sulla conclusione che ognuno si è già costruito nella mente. Nuclei tematici sono dunque l'insensatezza di un'indagine cui non si può rispondere con una verità unica, nonché la necessità di arrestarsi sulla propria verità, sancendo il relativismo conoscitivo. Il dato è assurdo, l'Ottocento e le sue certezze sono sbaragliate. L'ambientazione accompagna armonicamente il

dissidio messo in scena. Il II atto si svolge nello studio del consigliere Agazzi; integralmente borghesi sono gli elementi scenici della stanza rappresentata che diviene il «quartiere di congiura» dove avrà luogo un'inquisizione accanita.

Ogni particolare può connotarsi semioticamente, come ad esempio la porta aperta nell'attesa che entrino i personaggi-teste, porta che Laudisi vorrebbe vedere chiusa, se è vero che ogni personaggio pensa di avere acquisito la verità. La porta rimane aperta, perché nessuno ha il coraggio della certezza ed essa si carica di una valenza simbolica, coma rappresentare ciò su cui un ultima parola non può essere detta. Anche lo specchio, presente sulla scena, serve come elemento sdoppiatore e davanti ad esso si recita una parte che si svilupperà ampiamente in Uno, nessuno e centomila (1926).

Ambientazione e caratterizzazione fisica e sociale dei personaggi giocano di concerto in quanto il formalismo elegante degli arredi, quasi tetri nella loro fissità trova una piena corrispondenza nella fisicità dei personaggi, in una ricercatezza artificiosa e quasi bieca. Le didascalie a tal proposito, con indicazioni agili e al contempo non dimentiche della precisione, connotano formalisticamente i personaggi e dettano il tenore dell'azione e la concitazione della recitazione.

Di quattro tipi sono i personaggi rappresentati. Da un lato abbiamo la schiera degli 'indagatori borghesi', dall'altro i sottoposti a giudizio, il signor Ponza e la signora Frola; a parte si trova il signor Laudisi, che è la coscienza stessa dell'Autore e come chiave di volta c'è l'assenza della signora Ponza, personaggio 'decisivo', che è come l'incarnazione stessa del contenuto dell'opera. La sua presenza è definita dall'assenza e dalla non-identità. La caratterizzazione del personaggio fondamentale è dunque, per la prima volta in un'opera, mancante e la stessa fisicità, coperta di veli neri e tetri, la delinea come mistero che decreta la distruzione della farsa stessa. Assenza e vacuità la connotano.

Il III atto è come l'estremo tentativo dell'affermazione di una verità quale che sia, imposta casualmente da uno qualunque dei personaggi, nello specifico si tratterebbe del cameriere che, a dire di Laudisi, dovrebbe trasformare l'ambiguità dei dati in certezza che soccorre al bisogno di una verità categorica.

S'inscena dunque la falsa coscienza borghese di risolvere tutto tramite un'autorità. L'identificazione sociale di un Prefetto, posto a capo delle indagini, mette in risalto la ridicolezza delle convinzioni borghesi. La carica ed il ruolo sociale del Prefetto, infatti, risulteranno, nell'economia del processo, assolutamente inutili.

Il III atto raggiunge momenti di contrappunto serratissimi e la tensione culminante si ha nella scena VIII. Laddove altre opere avrebbero condotto alla conclusione, si dipanano infinite vie possibili; il teatro, la scena ed il testo si sfondano per consegnarsi agli spettatori: ognuno scrive il proprio finale perché colei che avrebbe dovuto portare la verità si vela annunciando la propria nullità. La conclusione sancisce lo sgretolamento di tutto l'affaccendarsi precedente. Così è (se vi pare) in tal modo segna la strada dello sconvolgimento dei canoni classici teatrali. Sotto le false spogli di una commedia normale, nasconde al suo interno una problematicità tutta nuova, riscontrabile, non da ultimo, dalla lingua, da certi ritorni lessicali che girano intorno ai campi semantici del dubbio, della pazzia, della verità. Le frasi mancate, i dislocamenti a sinistra ripresi anaforicamente, l'uso accentuato e in rilievo dei pronomi indicano anch'essi un relativismo serrato in una solitudine senza mezze misure. La concitazione di certi sintagmi e i connettori non sempre accordati, le frasi spezzate anche dai rilievi pronominali, mostrano un mondo che a poco a poco si rivela nella sua frammentarietà e che ha bisogno di specificare l'io, il tu, l'altro da sé in rapporto a verità che si rivelano contraddittorie. La rappresentazione di Così è (se vi pare), che si colloca in uno dei momenti più tragici della storia europea e mondiale, porterà dunque ad una rottura con il compromesso e l'equivoco borghese che la tradizione ottocentesca aveva avallato. Essa è una delle tante eco innalzantisi da tutta Europa, dall'uomo dimidiato, che lotta e soffre per la scoperta della propria inconsistenza. Cerebralismo e impotenza umana si concordano per innalzare il vessillo di tutto un secolo, per rivelare la menzogna. «Per me, io sono colei che mi si crede [.] ed ecco, o signori, come parla la verità! Siete contenti?». Nell'ultimo istante, così si conclude la messa in scena, un amaro sarcasmo, poi di nuovo lei, la 'risata' disperante che sembra essere la responsabile dei momenti più cupi del secolo trascorso di cui Pirandello rimane uno dei più lucidi e, a tratti, più disperati conoscitori.


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