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Rapporti sintagmatici e rapporti paradigmatici (o "associativi")




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RAPPORTI SINTAGMATICI E RAPPORTI PARADIGMATICI (o "ASSOCIATIVI")


Le parole o le parti che le compongono possono essere messe tra loro in rapporto sintagmatico, cioè viene fatta un'associazione di termini o rapporto in praesentia (i due termini coesistono all'interno della frase), o in rapporto paradigmatico (o associativo), in absentia (i termini non coesistono, ma sono scelti da un paradigma).

Esempio studentessa" è in rapporto paradigmatico con "studio", con "presidente", con "avvocatesse", con "gatta"o anche con "insegnante" per associazione di radice, di suffisso, di desinenza, semantica, e via dicendo.

Se si confrontano più termini (più parole) scopriamo sia elementi comuni che li assimilano, sia altri che li contraddistinguono; tuttavia questi elementi confrontati (= richiamati per "associazione") non coesistono all'interno della stessa parola.

All'interno della stessa parola, a loro volta, i morfemi che la compongono (stud-ent-ess-a) sono tra loro in rapporto sintagmatico, perché si dispongono gli uni dopo gli altri sulla catena della parola.

Il meccanismo della lingua

Tali rapporti intercorrono tra le unità di prima articolazione (vedi "doppia articolazione)", cioè quelle unità concrete presenti alla coscienza del parlante e costituite da un significante e un significato (tali sono le radici, i suffissi, le desinenze, i sintagmi, ecc.), e tra le unità di seconda articolazione, che non sono portatrici di alcun significato (i fonemi e i grafemi). Le unità concrete sono delimitate (rapporto sintagmatico), hanno cioè un inizio e una fine (es. "ent" inizia dove termina la radice e finisce al cominciare del suffisso successivo), e sono differenziate (rapporto associativo o paradigmatico).

Il meccanismo della lingua si basa sulle opposizioni, cioè sulle variazioni rispetto a elementi comuni (es. president ~ student  sono in opposizione perché hanno in comune il suffisso "ent" e differiscono per la radice). Il valore di un'unità è il posto che essa occupa nel sistema, dato dalle opposizioni in cui rientra.


LA SEGMENTAZIONE

Quando il parlante elabora una serie, all'orecchio dell'ascoltatore non giungerà un susseguirsi di parole delimitate da silenzi (o "spazi bianchi" come avviene nello scritto), ma una sequela, un continuum o catena del parlato sulla quale egli effettuerà una segmentazione riconoscendo le unità linguistiche, e di conseguenza, i significati. Attraverso la segmentazione si spezza la catena dell'enunciato, idealmente continua, secondo una gerarchia, fino ad arrivare alla segmentazione ultima in unità prive di significato (dai testi, alle frasi, ai lessemi, ai morfemi, fino ai fonemi).

Durante il processo di segmentazione si può intercorrere in ambiguità di tipo sintattico.

Esempio: la frase "la vecchia porta la sbarra" giunge all'orecchio dell'ascoltatore come una catena continua ("lavecchiaportalasbarra"). L'unica segmentazione possibile è quella effettuata sopra. L'ambiguità cui andiamo incontro sta nelle diverse analisi sintattiche che ne possiamo fare: è una donna anziana a  reggere una trave, o una porta antica a sprangare qualcosa?

Un altro esempio viene riportato da Ferdinand de Saussure: in francese le due frasi "si je la prends" e "si je l'apprends" hanno esattamente lo stesso suono, ma differiscono per la segmentazione  ("se la prendo" e "se l'apprendo").


LA SEMANTICA

Un'unità linguistica ha una porzione costante di sonorità in rapporto alla capacità di portare significato. Il parlante ha coscienza dell'unità linguistica in quanto essa possiede un significante, un significato e una significazione (ossia la capacità di ricondursi a un aspetto della realtà). La branca della linguistica interessata allo studio dell'analisi dei segni in rapporto alla significazione è denominata semantica (dal greco semaino, "rappresento, indico").


LE OPPOSIZIONI

I fonemi possiedono contenuto fonologico (termine introdotto da Trubetzkoy per designare l'insieme dei tratti rilevanti di un fonema), in base al quale presentano una base di comparazione uguale ma alcuni fattori che li differenziano.

Ad esempio, i due fonemi /m/ e /n/ sono entrambi consonanti nasali, ma differiscono per il luogo di articolazione, rispettivamente bilabiale ed alveolare.

Tali opposizioni possono essere in alcuni casi neutralizzate.


Esempio 1 Giandomenico ando'meniko/ Gianpaolo / am'paolo/

Il fonema resta in entrambi i casi /n/, ma nel secondo la successione di /n/ con la bilabiale /p/ fa sì che il fono pronunciato sia [m]. L'opposizione tra /m/ ed /n/ si è neutralizzata.


Esempio 2: in tedesco bund ~ bunt vengono letti allo stesso modo [bunt] dove /t/ rappresenta l'arcifonema con neutralizzazione del tratto oppositivo sordo ~ sonoro.


Esempio 3 com-passione con-tinenza

Com" e "con" derivano entrambi dal latino cum ma, considerato che in italiano la terminazione in /m/ non è concessa, entrambi i termini vengono assimilati a "con", neutralizzando l'opposizione.

Un fonema è quindi un fascio di varianti, può possedere cioè diverse realizzazioni che si distribuiscono senza che per questo la nostra rappresentazione mentale di esso sia diversa. La /n/ dentale di "intenso", quella labiodentale di "inferno", quella velare di "ingoiare", come quella bilabiale di "Gianpaolo", sono tutte varianti combinatorie dello stesso fonema, cioè le diverse realizzazioni che possono essere previste in base al contesto fonetico. Ciascuna di tali varianti è definita allòfono.

Allo stesso modo esistono le varianti dei morfemi, dette allomòrfi (es. il ~ lo  sono due forme dell'articolo determinativo maschile e singolare, ma l'utilizzo dell'una o dell'altra è decretato dal suono iniziale del sostantivo che le segue).

Si osservano anche varianti dei lessemi (es. rosato/roseo)

Le varianti possono anche essere libere, se possono scambiarsi tra loro all'interno di una stessa parola senza modificarne il significato. Un tipico esempio di varianti libere sono le inflessioni regionali (es. 'sempre ~ 'sεmpre in Lombardia, ' rno ~ ' orno al Sud Italia, ecc.), o la cosiddetta "erre moscia", che non compromettono la comprensione reciproca né vengono percepiti come errori grammaticali dai parlanti di quella lingua. Esempio diverso di varianti libere sono tra~fra, che rivestono lo stesso significato e il cui utilizzo indistinto è determinato semplicemente da una scelta individuale.


LA MARCA

La marca è un tratto funzionale che si verifica nelle opposizioni privative. Una forma marcata, meno naturale, si contrappone alla corrispondente forma non marcata, che è la forma basilare, neutrale. Il termine marca può essere utilizzato in qualunque tipo di opposizione linguistica.

Esempi:

Opposizione semantica: nelle frasi "ci penso tutti i giorni" e "ci penso tutte le notti", giorni e notti sono in opposizione. Tuttavia, il primo termine può includere il secondo, dal momento che "tutti i giorni" può essere interpretato come "a tutte le ore della giornata", e quindi anche di notte; al contrario "tutte le notti" non include le ore diurne. In tale opposizione, giorno costituisce il termine non marcato e notte quello marcato. Dall'esempio possiamo facilmente dedurre come il termine non marcato sia utilizzato generalmente con maggiore frequenza.

Opposizione morfologica: studente è il termine non marcato rispetto a studentessa. Di norma nelle opposizioni morfologiche il termine non marcato è il maschile. Esistono tuttavia delle eccezioni (es. "mucca" è il termine non marcato rispetto a "toro"(ho visto una mandria di mucche).

Opposizione fonologica: /'pεska/ e /'peska/ costituiscono una coppia minima. Parole che condividono la loro radice, come rispettivamente /pe'sketo/ e /peska'tore/, presentano in entrambi i casi la /e/, che è la forma non marcata rispetto a /ε/, poiché le vocali in posizione atona sono sempre chiuse.


LO STRUTTURALISMO

La scuola linguistica post-saussuriana o strutturale (che annovera tra i suoi componenti Martinet, Jakobson, Hjelmslev) pose molta attenzione alle modificazioni che le sostituzioni nel significante operano sul piano del significato; in particolare, agli elementi che restano costanti (invarianti) in opposizione alle varianti con cui può un elemento linguistico può presentarsi.

Esempio

toro ~ vacca invariante del contenuto (se si sostituisce il 'tratto' di contenuto 'maschile' col tratto 'femminile' uniti al tratto 'bovino' abbiamo una variazione sul piano dell'espressione (due forme fonetiche diverse)

piccione (maschio) ~ piccione (femmina) variante del contenuto (se si sostituisce il 'tratto' di contenuto 'maschile' col tratto 'femminile' uniti al tratto 'piccione' non abbiamo una variazione sul piano dell'espressione (la parola è la stessa).


Sulla scia di Saussure, Hjelmslev conia in proposito una nuova terminologia: i concetti di espressione (corrispettivo del saussuriano significante) e contenuto (corrispettivo di significato).

Leonard Bloomfield è invece un esponente americano dello strutturalismo che prediligeva lo studio delle forme sul piano sintagmatico. Molti studiosi attivi in America  infatti, si trovarono a contatto con le lingue degli indigeni (indiani), particolarmente complesse in riferimento al numero di morfermi e alla lunghezza dei lessemi. Fu Bloomfield a dividere le forma linguistiche in libere e legate e a definire il morfema come "la forma linguistica libera minima".


La struttura linguistica

Nella lingua domina una struttura a catena in quanto i morfemi si "attaccano" gli uni agli altri creando un'articolazione che ha dimensione lineare.
I due caratteri del segno linguistico sono definiti da Saussure:
 arbitrarietà del rapporto fra significante e significato e linearità del significante (il significante ha, cioè, la dimensione del tempo perché si sviluppa come una linea)
Abbiamo visto studiando la morfologia come gli elementi della parola si "attacchino" gli uni agli altri in una dimensione lineare.

TIPOLOGIA

Non in tutte le lingue le parole sono articolate; in alcune lingue le parole sono "atomiche", non analizzabili, in quanto non si possono scomporre in elementi/morfemi più piccoli. In queste lingue la parola è sempre invariabile, spesso coincide con la radice, non presenta affissazioni.

Di fronte alle varietà delle lingue del mondo alcuni studiosi dell'epoca romantica hanno provato a classificare le lingue, individuando dei tipi linguistici in base alla forma delle parole e al modo in cui la parola poteva modificarsi ("tipologia morfologica").

I fratelli Schlegel, August e Friedrich (importanti studiosi del romanticismo tedesco) hanno classificato le lingue in questo modo:

Lingue FLESSIVE

Lingue AGGLUTINANTI

Lingue ISOLANTI


Non  a caso è questo l'ordine della classificazione, in quanto, le prime sono, nell'ottica dei fratelli Schlegel, le migliori (quelle più perfette); quelle agglutinanti sono le più facili da utilizzare (sono perciò anche le più frequenti) e quelle isolanti, invece, sono considerate le più rozze, le più primitive.


Le lingue flessive

Sono lingue arbitrarie (cioè, non è facile prevedere quali saranno i morfemi ) come l'italiano ed il latino.
Esempio:
Cane  - Lupo
(la desinenza è sempre maschile singolare ma la prima volta è -e e la volta successiva è -o )

Ed ancora: honoris, manus, diei, rosae (diverse forme di genitivo singolare)

In questo tipo di lingue la radice ha la caratteristica di governare sui suoi suffissi e le sue desinenze.
Non permettono quasi mai la separazione fra le singole porzioni significative dei morfemi ed i morfemi stessi perché fondono dentro di loro i significati (es. flor-ibus maschile+ plurale+ ablativo/dativo).

Lingue agglutinanti

Sono lingue facilmente utilizzabili, per questo sono anche le più frequenti.
In queste lingue i morfemi si stabiliscono in una struttura fissa(si attaccano, si uniscono gli uni agli altri) ma i singoli morfemi (presi singolarmente) mantengono il loro significato autonomo.

Una di queste lingue è l'ungherese

Esempio:
"kertben" -> nel giardino

kert= giardino
ben=dentro
(si tratta di due nuclei con valore autonomo

Ed ancora: "kertekben"
kert=giardino
ek=plurale
ben=dentro


Questi morfemi non si possono chiamare suffissi perché hanno un loro significato autonomo e completo.
Le parole sono articolate e facilmente "disarticolabili", possono essere scomposte in pezzi (in particelle facilmente riconoscibili, identificabili e separabili che occupano sempre la stessa posizione).

Lingue isolanti

Sono lingue che hanno parole non modificabili. Una parola non può avere affissi né desinenze, ed in base alla sua posizione si capisce se è un nome o un aggettivo, verbo etc.

Le lingue isolanti sono poche e si trovano tutte nell'Asia orientale ( un esempio è il cinese).

Secondo i fratelli Schlegel le lingue agglutinanti e isolanti sono meccaniche (è facile scomporre le parole) e sono utilizzate da popolazioni meno evolute o nomadi; mentre le lingue flessive sono organiche, vive (è difficile scomporre le parole), hanno maggiore "plasticità", più arbitrarie e degne di popolazioni più evolute.
Ecco che una differenza sul piano morfologico diventa anche un pregiudizio di ordine culturale (una classifica delle lingue migliori, intermedie ed inferiori)

La classificazione dei fratelli Schlegel è una classificazione tipologica, ma esiste anche un altro tipo di classificazione: quella per famiglie (o classificazione genealogica) che presuppone che le lingue simili abbiano la stessa origine.

Le lingue flessive appartengono a popoli occidentali (a famiglie di razza bianca), a culture più evolute (famiglia indoeuropea -> latino, italiano.. ; famiglia semitica-> arabo, lingue babilonesi, lingue camitiche come l'antico egiziano)


Le lingue amerindiane

Dopo la scoperta dell'America, si constatò che le lingue parlate dai nativi americani erano "strane" perché IPERAGGLUTINANTI (consistenti in parole lunghe che potevano contenere diversi  morfemi, morfemi radicali, e molti suffissi); ciò creò un pregiudizio verso questi popoli (si arrivò addirittura a pensare che non fossero umani) perché parlavano lingue troppo lontane, geograficamente dal luogo in cui Dio aveva confuso le lingue (mito della "torre di Babele"; la varietà linguistica era infatti interpretata nella Bibbia come una forma di punizione mandata da Dio).

Quindi, il pregiudizio linguistico sta nel ritenere le lingue simili a quelle europee (latino, greco etc., tutte lingue flessive) come lingue superiori, e con loro anche le popolazioni che le utilizzano.

Edward Sapir

è stato un grande linguista, assai sensibile al problema della varietà linguistica .
Egli studiò il rapporto fra lingua e cultura e "Language" (1921) è la sua opera più importante, in cui egli  affronta da vari punti di vista la varietà delle lingue (Sapir vuole individuare a livello universale tutto ciò che è possibile nelle lingue).

Due importanti capitoli di quest'opera sono:
"La forma nella lingua: processi grammaticali" e "La forma nella lingua: concetti grammaticali"

I processi ed i concetti grammaticali sono tratti universali, che possono presentarsi in tutte le lingue del mondo.

Collegamento al testo inglese di Language


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