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Rapida lettura del canzoniere: le liriche piu' celebri




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RAPIDA LETTURA DEL CANZONIERE: LE LIRICHE PIU' CELEBRI


Oltre alla distinzione, fatta esplicitamente dall'autore, tra prima e seconda parte, nel Canzoniere è possibile individuare delle vere e proprie sezioni, in base a criteri stilistici, tematici e cronologici (ma si tratta di una cronologia ideale, che non sempre corrisponde a quella reale delle prime stesure):

Nella prima sezione, che può essere limitata ai primi sei componimenti, vi sono testi che risalgono alla fase iniziale della scrittura poetica del Petrarca, ma non mancano testi più tardi, come il sonetto introduttivo databile tra il'47 e il '50. Qui sono più espliciti i legami con la tradizione poetica provenzale e stilnovistica: una certa rigogliosità dello stile, una ricchezza di elementi figurativi e metaforici; citazioni dai classici antichi e richiami di tipo storico, erudito, mitologico (tra l'altro l'identificazione tra Laura e il lauro chiama spesso in causa il mito classico di Apollo e Dafne). Nel movimento sintattico permane una certa difficoltà, come se il linguaggio poetico fosse ancora alla ricerca di se stesso. Molto forte è inoltre l'attenzione alla natura e al paesaggio, che si confrontano con lo stato d'animo del poeta, i suoi turbamenti e le sue pene: tra i testi più celebri e più alti, il sonetto 35, "Solo et pensoso i più deserti campi", e la canzone 50, "Ne la stagion che 'l ciel rapido inchina", intessuta di echi virgiliani.

La sezione successiva (da 61 a 129) è inaugurata dal sonetto "Benedetto sia 'l giorno, e 'l mese et l'anno", che celebra il primo incontro con Laura; seguono componimenti in cui, evocando l'immagine della donna e dell'amore per lei, Petrarca esalta quel momento originario di ineffabile rivelazione per farlo sopravvivere al di là di tutti i limiti del tempo e dello spazio. La parola poetica si interroga sul proprio potere di evocazione, come mostrano le tre celebri canzoni dedicate agli occhi di Laura (71, 72, 73), o uno splendido sonetto come il 90, "Erano i capei d'oro a l'aura sparsi, oscillante tra realtà e illusione. Interviene poi sempre più netto il ricordo struggente di alcune apparizioni di Laura, che culmina nelle grandi canzoni dedicate al prospettarsi e al sottrarsi della sua immagine nella natura e nel pensiero del poeta: la 125, "Se 'l pensier che mi strugge", la 126, "Chiare, fresche et dolci acque"; la 127, "In quella parte dove Amore mi sprona"; la 129, " di pensier in pensier, di monte in monte"; tra queste si inserisce, con studiata variazione tematica, la celebre canzone 128 ai signori d'Italia, "Italia mia, benché 'l parlar sia indarno".

La terza sezione (dal 130 al 247) si apre con due sonetti che danno nuovo avvio al "canto" d'amore, svolto ora attraverso la lode di Laura e la sua celebrazione più assoluta. La condizione dell'innamorato e la figura luminosa della donna si fissano come simboli perfetti al di fuori del tempo. Il poeta vive un "lungo errar in cieco laberinto", ma tende a fare di questo "laberinto" un bene prezioso che lo sottrae a ogni confusione con il mondo esterno. Qui si incontrano alcuni dei più esemplari sonetti petrarcheschi, come il 134, "pace non trovo, et non o' da far guerra", il 159, "in qual parte del ciel, in quale idea", il 185, "questa fenice de l'aurata piuma".

Una quarta sezione di raccordo tra la Prima parte e la Seconda parte può includere i componimenti dal numero 248 al numero 266; nei sonetti finali della Prima parte, si introducono il motivo del presentimento della perdita di Laura e un'esaltazione della sua castità; la grande canzone 264, "i' vo pensando, et nel penser m'assale" con cui si inizia la Seconda parte è una meditazione sulla vanità dei beni terreni, in termini che sono assai vicini al terzo libro del Secretum. Prende così avvio la tematica del pentimento, della "vergogna", della aspirazione alla salvezza dell'anima.

Una quinta sezione può essere identificata con quasi tutta la Seconda parte, dal numero 267 al numero 349; col sonetto 267, "oimé il bel viso, oimé il soave sguardo", e con la canzone 268, "che debb'io far? che mi consigli, Amore?", iniziano gli scritti in morte di Laura, molti dei quali composti nell'ultimo soggiorno a Valchiusa (1351-53). Si tratta di testi eccezionali, in cui il pentimento e l'aspirazione alla salvezza si intrecciano con la visione della donna, che vi appare in vesti diverse. L'ossessione di ricreare immagini e situazioni distrutte dalla morte e dal tempo si risolve in un percorso di redenzione: Laura morta è in paradiso e da lì apre la via alla salvezza del suo amante terreno; il fatto che in vita ella non abbia mai dato compimento al desiderio dell'amante diventa una garanzia di purezza e di beatitudine; la sofferenza dell'innamorato si trasforma in cammino verso Dio, in riconciliazione tra amore terreno ed amore divino. Su questo sfondo tematico e morale, il potere evocativo della parola petrarchesca si affida a una dolcezza musicale che pare sempre sul punto di cancellarsi e di svanire, che sulla sua stessa perfezione avverte incombere qualcosa di minaccioso: si ricordino almeno alcuni celebri sonetti, come il 269, "se lamentar augelli, o verdi fronde", il 302, "levommi il mio pensier in parte ov'era", il 311, "quel rosignuol, che sì soave piagne", o l'affascinante canzone 323, "standomi un giorno solo alla fenestra".

Nella sesta sezione si possono inserire le ultime rime (350-66), più direttamente rivolte all'analisi interiore, alla ricerca di una pace assoluta che ponga fine per sempre a turbamenti e a contraddizioni. Laura si è trasformata sempre più in un'immagine che conforta e guida il poeta all'esame di sé e alla salvezza; come consolatrice essa appare nella canzone 359, "quando il soave mio fido conforto"; un dibattito tra il poeta e Amore, di fronte alla ragione, con una riconsiderazione di tutta la passata esperienza, e la canzone 360, "quel' antiquo mio dolce empio signore"; la canzone finale, "vergine bella, che di sol vestita", tende a cancellare tutti i dissidi su cui si regge la stessa struttura del "Canzoniere", nell'invocazione alla Vergine Maria, figura suprema di donna salvatrice, perché aiuti il poeta a raggiungere la pace del cielo.


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