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L'uomo di Bisanzio




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Ai miei genitori, agli amici ed a tutti coloro

che mi hanno dato la forza di credere e di sognare

il mondo di Bisanzio






L'uomo di Bisanzio























I


Aprì gli occhi.

Rimase  subito abbagliato dai raggi del sole che, incontrastati, attraversavano l'improvvisato padiglione medico nella grande pianura; una sensazione di dolore lo pervase in tutto il corpo, per un attimo pensò di stare morendo.

Ma subito dopo, con enorme sforzo, mise a fuoco lo sguardo, non prima di essere stato tentato di abbandonarsi a quello stato di torpore nel quale era rimasto per così tanto tempo da sembrargli un'eternità.

All'inizio non capì dove era né perché fosse così lontano da casa: casa.. il primo pensiero fu rivolto alla sua abitazione nella Capitale, dove lo aspettavano i suoi cari, ma senza quasi accorgersene, chiuse di nuovo gli occhi, sognando.

Basta, si fece forza e tornò ad osservare l'ambiente che lo circondava.

Troppa gente intorno a lui, gente che si muoveva, indaffarata e così focalizzò la vista in particolare su un omino vestito in maniera trasandata e con vistose macchie su quella che una volta doveva essere una tunica bianca. L'omino si era accorto che aveva ripreso conoscenza e gli si avvicinò, chinandosi sulle gambe magre. A causa del frastuono indistinto che regnava sovrano in quell'ambiente così caotico, la prima volta che lo sconosciuto mosse le labbra, non riuscì a decifrare le sue parole ma, dopo averlo ascoltato una seconda volta, capì che il medico gli stava chiedendo, in greco, in quale tagma prestasse servizio.

"Marco Leone, XVII tagma divisione latino.squadrone di ricognizione"

Il Latinkon scorse rapidamente una serie di eventi che forse spiegavano la sua presenza qui ma, strattonato lievemente dal suo interlocutore, si affrettò a pronunciare ad alta voce "Marco Leone, XVII tagma divisione latinkon.squadrone di ricognizione" e già solo dal suo modo di pronunciarlo, come se già questo da solo non fosse sufficiente, tolse ogni dubbio dal medico riguardo il suo ruolo di mercenario.

Lieve trauma cranico e lesioni al braccio sinistro furono la lapidaria diagnosi elargitagli, urlata e sillabata allo stesso modo quasi come se Marco non potesse comprendere il greco. Eppure lui, dopo essersi diretto nell'impero d'Oriente, affascinato da quello che era dal suo punto di vista l'unico successore del potere Romano ed allo stesso tempo in cerca di luoghi turbolenti e travagliati che gli permettessero di esercitare la sua pericolosa professione, si era stabilito a Costantinopoli e, nel giro di qualche tempo, aveva anche sposato una bizantina la quale gli aveva donato due splendidi figli, un maschio ed una femmina.

Il sorriso a quest'ultimo pensiero, si stampò sul suo volto in maniera così netta che per qualche istante ebbe coscienza di sembrare un idiota al medico.

Cercò di percepire singolarmente ogni parte del suo corpo e di riceverne a sua volta dei segnali, stimoli di salute, ma ogni singolo arto, ogni nervo sembrava rispondere lentamente e non senza provocargli un feroce mal di testa; in particolare il braccio leso gli fece, dopo un

tentativo tanto intrepido quanto poco saggio di muoverlo, quasi perdere i sensi.

Ora lasciato solo, se in quel marasma di persone, sani, feriti, moribondi e medici ed infermieri che si affaccendavano chiassosamente da una parte all'altra del campo, la parola "solo" poteva avere un significato, si guardò intorno e si rese conto di essere stato sistemato in un piccolo spazio al di sopra di una tela sporca di terra e sangue, perso dal braccio ferito; lamenti, bestemmie ed urla si confondevano in lui con ricordi di battaglie recenti e passate.

Si risollevò nel constatare che anche se nessun medico avrebbe potuto prendersi seriamente cura di lui, forse si sarebbe ugualmente salvato, visto che ogni minuto che passava si sentiva meglio e ricordava sempre più di quello che gli era accaduto, sebbene l'emicrania incessante ed una stanchezza senza pari lo invogliassero ad addormentarsi nuovamente, raggomitolato sul suo precario lembo di terra.


Il riposo fu agitato da incubi che lo riportavano continuamente al campo di battaglia nel quale un giorno, una settimana, o chi può dire quanto tempo prima , era rimasto ferito; urla disperse nel fragore della carneficina, il frangersi di spade e scudi ed il suono dei corni dell'esercito imperiale che induceva da una parte a continuare a lottare dall'altra a tentare disperatamente di riorganizzarsi.


Si rivedeva, ora, intento ad incoccare la freccia nel suo prezioso arco ed a cercare con lo sguardo un nemico a tiro , quando con la coda dell'occhio scorse alla propria destra un movimento sospetto: alcuni cavalieri stavano divorando metri di terreno verso di lui.nemici!

Un salto fulmineo in avanti gli permise di evitare i primi cavalieri, che cozzarono sugli arcieri inermi; urla e sangue lo avvolsero mentre rotolando si salvava dalla carica. Un cavaliere lo vide e sembrò fiondarsi su di lui con la lancia in mano, quando il suono familiare ed amichevole dei catafratti, nel sogno lo riportò alla realtà.


Si ritrovò nel cantuccio dove era crollato, turbato non tanto dai rumori che avevano accompagnato i suoi sogni e forse ne avevano accresciuto la drammaticità, ma da un uomo, simile per aspetto e portamento a quello di prima,  che gli parlava sgarbatamente:

"Alzati! Se non ce la fai, allora ti trasporteremo. Il comandante dei Latinkon aspetta tutti i superstiti nel lato est del campo!"

A lenti passi e scrutando intorno comprese di esser stato trasportato a seguito della battaglia nel luogo dove venivano radunati tutti i feriti, in attesa di essere sepolti, rimpatriati se impossibilitati ulteriormente ad impugnare armi o rispediti dai loro rispettivi superiori in attesa di ordini se le condizioni di salute lasciavano presagire una rapida convalescenza.

Marco era ora preoccupato per la sorte dei suoi commilitoni, tanti vecchie conoscenza ed altri con i quali aveva legato da poco ma, come


accade per chi pratica il mestiere delle armi, aveva comunque stretto un ottimo rapporto; non soddisfatto dalla scarsità di informazioni che la sua memoria gli forniva riguardo gli ultimi istanti di coscienza durante lo scontro, si rese conto di stare vagando senza meta sulla distesa erbosa che ricopriva la pianura anatolica.

Ora, dimenticato il suo dovere, si era arrampicato su una piccola altura che permetteva una visione d'insieme del luogo: questa non era tuttavia felice visti gli stormi di corvi che volavano da una parte all'altra dell'arena in cerca di nuovi corpi di cui cibarsi .

"Ci sono molti più corpi a terra di quanti ricordassi", pensò, "Se non ricordo male la battaglia era iniziata molto più avanti rispetto a dove sembra che lo scontro sia arrivato"; la linea di corpi che delimitava ciò che restava del campo di battaglia e la pianura ancora inviolata si frangeva sulla palizzata del campo eretto dall'esercito greco dove Marco si trovava infatti ora, a non meno di 40 metri.

Perplesso da ciò che era in grado di dedurre, decise che l'unico modo per avere informazioni certe su ciò che era accaduto fosse di recarsi presso l'area dei Latinkon , nella quale il comando era affidato ad un Russo ex membro della guardia d'onore variaga che aveva ottenuto questo ruolo come riconoscimento di prestigio dall'imperatore stesso. Il Russo rispondeva al nome di Vladimir.

Chieste informazioni ad un soldato che aveva incrociato venne indirizzato verso l'ala est del campo, quella posta nella posizione meno difendibile in caso di attacchi nemici. Marco era abituato a simili


trattamenti,  sapeva che la condizione dei mercenari è fin troppo spesso anche peggiore di quella che veniva loro riservata nell'Impero Greco.


Fu sicuro di aver raggiunto la meta solo quando senti due soldati posti di guardia parlare nella sua lingua madre; fu tentato di chiedere loro qualcosa ma preferì aspettare di incontrare perlomeno un soldato di grado superiore, almeno pari al suo.

"Sono il Capitano Marco l'Italico, ora lasciatemi passare", rispose a due soldati che gli avevano detto, sbiascicando un greco poco comprensibile, di andarsene da questa area riservata ai latino. I due lo scrutarono sospettosi, poi, rassicurati dalla sua perfetta pronuncia veneziana, si fecero da parte indicandogli la strada per raggiungere la tenda di Giovanni, il comandante delle forze Italiche presenti, secondo nel comando dei mercenari solo a Vladimir.

Marco era abituato a non essere riconosciuto, né come Greco né come Italico:  nella sua permanenza a Bisanzio e grazie al suo matrimonio con una donna di rango bizantina aveva assunto molti dei modi e l'apparenza di un perfetto Romano, non perdendo tuttavia alcuni tratti fisici e la pronuncia straniera.

Per la prima volta si preoccupò del suo aspetto, si sistemò il piccolo copricapo in ferro e le parti della corazza che non gli si erano staccate durante il combattimento o che qualche soldato non aveva trafugato durante la sua permanenza nel campo medico; dopotutto nutriva un grande rispetto nei confronti del suo comandante.


"Per tutti gli dei, allora sei vivo!" , furono le prime parole che gli rivolse il superiore, avvicinandosi subito e stringendolo con una stretta tanto forte, il suo tratto distintivo. Marco lo rassicurò sulle sue condizioni ed ebbe la premura di informarsi su quelle del vecchio amico; dopotutto per un cavaliere la battaglia non è né più sicura né più facile che per un soldato, pensò. Fortunatamente Giovanni non era stato leso nello scontro e la sua armatura da cavaliere brillava, riflettendo la scarsa luce del sole che entrava a fatica nella tenda.

Il comandante, che aveva qualche anno in più di Marco, si privava raramente delle sue vesti di militare ed era più facile riconoscerlo dietro un elmo che a volto scoperto.

Pensare a lui significava, nella mente di chiunque lo conoscesse, pensare ad un uomo ben piazzato, dai tratti mediterranei, la carnagione olivastra ed i capelli mori, alto più della media e sempre pronto a far sentire il suo interlocutore a proprio agio. Le maniere brusche ma cordiali mal si accordavano al ruolo che era riuscito, per il valore dimostrato sul campo, a ricoprire.

"Quando un soldato mi ha riportato il tuo arco ho temuto il peggio, so che non lo abbandoni mai", sogghignò il comandante. La risposta fu uno sguardo rapido nella tenda da parte del capitano che subito lo individuò sopra un grosso baule nell'angolo; lo impugnò e lo riconobbe come il suo e ringraziò di cuore Giovanni per essersene preso cura.



Fece vibrare la corda dell'arma una prima volta con cautela per riscontrare eventuali danni e poi una seconda volta con più forza: l'arma sembrava essere rimasto illesa.

L'arco, che mostrava chiaramente i segni del tempo era appartenuto a suo padre; la tecnologia che lo caratterizzava era sorpassata, essendo già comparse le prime balestre e nuove armi da lancio più efficaci. Conservava, tuttavia, un alone "magico"; in punto di morte il padre gliela aveva affidato, confidandogli che era stato forgiato all'epoca della prima Crociata e si era mantenuto quasi intatto per più di 100 anni, passando di mano in mano tra i membri della sua famiglia.

Fino ad allora, comunque, si era solo dimostrata un'ottima arma nel suo genere e tutti gli arcieri che la impugnavano sembravano acquisire doti straordinarie nella precisione e nella potenza del dardo scagliato: unite alle capacità del provetto arciere che era Marco, risultava micidiale.


Ben presto il discorso si spostò sulla recente battaglia, che era stata in effetti di modeste dimensioni, la quale aveva visto contrapposti un drappello imperiale ad un' avanguardia turca. I Turchi avevano già negli ultimi anni preso possesso di gran parte dell'Anatolia ed i possedimenti dei Greci si limitavano oramai alle coste, rifornite dalla flotta imperiale. Ciò nonostante, le sempre più numerose tribù islamiche che premevano da Est spingevano gli avidi Turchi a



saccheggiare i territori bizantini non difesi da fortificazioni, allo scopo di depredare quanto più possibile.

Come intuibile, i Turchi si erano dapprima dimostrati restii ad intraprendere lo scontro ma poi a seguito di un attacco fulmineo si erano dileguati lasciando dietro di sé l'armata imperiale che aveva deciso di non darsi all'inseguimento per evitare ulteriori perdite.

Apprese queste informazioni, Marco ritrovò molti ricordi nascosti nella sua mente a seguito dell'urto che gli aveva fatto perdere i sensi e, ansioso della sorte della sua brigata, seppe che il tagma di cui faceva parte era stato quasi totalmente decimato: in particolare la squadra che lui comandava era stata completamente massacrata. Era l'unico superstite.

Non sapendo se disperarsi o cedere all'ira, emozioni entrambe che si erano impadronite di lui, Marco fu prevenuto da Giovanni che gli rese merito delle sue azioni, promise una vendetta per i compagni caduti e gli confidò i suoi piani per l'immediato futuro:

"Questi sono tempi bui ed in questo posto non troveremo altro che la morte, amico mio. Ho appena ricevuto una lettera di un mio vecchio amico veneziano che mi invita a raggiungerlo a Pera dove mi parlerà di una questione della massima importanza e molto redditizia" .

Per placare Marco che stava per intervenire il comandante aggiunse che ora non aveva più di 20 uomini da comandare e che dovevano in ogni caso tornare a Costantinopoli dove, nei quartieri



stranieri, avrebbero potuto reclutare nuovi uomini giunti da ogni dove, magari compatrioti.

Ammutolito per ben due volte e ricevuto l'ordine di andarsi ora a riposare, l'arciere non potette fare altro che obbedire in attesa di nuovi ordini sulla data di partenza.





















II

Le trombe dell'accampamento dovevano ancora destare i soldati dal profondo sonno causato forse da un bicchiere di troppo nella notte di bagordi precedente il giorno di paga. La baldoria era stata concessa dagli ufficiali per alleviare le sofferenze a seguito della battaglia e far dimenticare ai soldati i compagni caduti e le proprie ferite.

Marco era già vestito di tutto punto e, nella sua cotta di maglia brunita, saliva a cavallo dopo aver ricevuto dalle stesse mani di Giovanni i Bisanzi che si era duramente meritato nell'ultimo mese.

Notò subito che erano molti più del dovuto; dopo una rapida successione di sguardi con i compagni, decretò che forse il comandante non dovendo pagare la maggior parte del salario vista la morte dei più, si era deciso a fornire una paga extra per rallegrare e tenere fedeli allo stesso tempo i superstiti.

Il piccolo gruppo di destrieri con i relativi padroni uscì dalla castra mentre albeggiava.

"Non sarà facile arrivare alla capitale", disse Marco, "Predoni e Turchi proliferano per la regione come cavallette per i rigogliosi raccolti della valle del Nilo"

"Anche se pochi oseranno, se non in gran numero, attaccarci! La mia corazza brilla in lontananza e sanno bene che un piccolo gruppo di uomini d'arme può difendersi da uno ben più grande di balordi" urlò Giovanni, sia per convincere più energicamente il capitano che per togliere qualsiasi timore dall'animo dei soldati.


Marco, però, ben sapeva che i briganti amano tagliare la gola nel sonno piuttosto che impegnare battaglia di giorno; toccò l'arco dietro la spalla e contò le frecce nella faretra prevedendone un uso non troppo lontano.


Giunsero a mezzodì presso un piccolo laghetto naturale formatosi lungo il corso di un fiume le cui acque scorrevano nella zona. Giovanni ordinò al gruppo di ristorarsi e di riposarsi per un paio di ore, di provvedere alla cura ed alla sistemazione dei cavalli; avrebbero poi ripreso il viaggio fino al sopraggiungere delle tenebre.

Mentre un bagno nelle acque stagnati e appena tiepide, lusso che i soldati non si erano potuti concedere nei giorni precedenti, rilassava e corroborava le stanche membra degli uomini, il bagliore degli elmi e degli scudi lasciati imprudentemente sotto i raggi del sole, riflettevano questi ultimi a distanza.

Dopo un frugale pasto il gruppetto riprese il cammino e si fermò, come imposto dal comandante, solo quando ormai era impossibile vedere a più di pochi metri di distanza, non fosse stato per la luna che quella notte era estremamente luminosa.

"La luna brilla così alta nel cielo che forse domattina Apollo si vergognerà ad uscire con il suo carro", disse beandosi della propria mitologia, pagana ma non dimenticata dalla sua gente, o perlomeno dagli strati più elevati di questa, la guida che avevano ingaggiato nel campo quella mattina per guidarli nel loro viaggio verso Bisanzio.


Marco gli rispose:

"Apuleio, la vostra gente ne aveva di fantasia , vi ammiro molto ma, se tieni alla pelle, ti consiglio di tenere a freno la tua lingua per evitare di essere messo al rogo".

"In questo si vede che voi Europei siete incivili e rozzi, la religione cristiana da noi non ha mai assunto il carattere violento e selvaggio che il vostro Vescovo tanto ama", replicò l'indispettito Greco.

"Allora forse dovresti ricordarti del culto delle icone che tante vittime ha mietuto proprio in questi luoghi" ridacchiò vittorioso il capitano; tuttavia nessuno dei due voleva litigare ed anzi si rispettavano l'un l'altro: uno stimava la cultura classica della guida, mentre questi ammirava le imprese che il mercenario aveva compiuto in vita ed il suo spiccato senso pratico.

Finirono per giocare tutti insieme a dadi e poi andarono a dormire a turnazione.


Marco fu svegliato da un grillo che, saltandogli sul viso, lo fece alzare di scatto e portare la mano all'elsa della lunga spada poggiata poco lontano; oramai perso qualsiasi stimolo di sonno, decise di fare una passeggiata e magari, dopo aver scambiato due parole con il soldato di guardia , di tornare a riposare.

Tuttavia si accorse subito che la fiaccola non spandeva la propria luce nella pianura circostante e intuì che qualcosa non andava: il loro fuoco era spento da ore ed almeno che non stesse attendendo il


momento del riposo, cosa non escludibile viste le circostanze, se qualcuno avesse attaccato il suo commilitone non avrebbe potuto individuare il resto della compagnia.

Avviandosi a lunghi passi verso la tenda di Giovanni, l'unica nel piccolo accampamento, fu spronato ad accelerare il passo da un urlo che proveniva da questa; entrato senza chiedere permesso, vide il comandante in piedi con la sciabola in mano, puntata verso un uomo con le mani alzate che scrutava intimorito la lama puntata alla sua gola e le punte delle lance degli altri soldati che sembravano vogliose di tastarne le membra.

L'abbigliamento dell'intruso, illuminato da una fiaccola del Greco, fece abbassare gradualmente le armi e predisporre i soldati ad un dialogo piuttosto che ad una lotta: una ricca veste in seta con ricami d'oro vestiva quello che era all'apparenza un prelato ortodosso.

Il suo aspetto non sembrava particolarmente trasandato e rivelava tuttavia una certa anzianità della persona, come stavano a dimostrare i pochi capelli che aveva conservato negli anni; tuttavia dal suo sguardo si intravedeva un'intelligenza ed un'astuzia diversa da quella di tanti predicatori ciarlatani che infestavano le regioni dell'Impero.

Dalla lunga barba emersero ben presto diverse parole, la maggior parte incomprensibili agli ascoltatori, finché, individuata da parte del chierico l'origine dei soldati, cominciò ad esibire un italiano incerto e balbettante.



Il Greco si fece avanti e , svolgendo egregiamente il suo ruolo, si offrì di tradurre al suo posto il messaggio ai soldati; questi, ad eccezione di Marco e Giovanni, comprendevano ben poco quella lingua, così che dovettero attendere la traduzione prima di essere afferrati dall''ansia :

"Mi stavo dirigendo a Costantinopoli per un concilio quando io e la mia scorta siamo stati attaccati, ad un'ora di cammino da qui, da un nutrito gruppo di briganti e , se gli anni passati in chiesa non mi hanno fatto perdere il senso di orientamento e sopravvivenza nei boschi, ora non devono essere lontani", esclamò la figura avvolta in un sudore gelido che non lasciava presagire nulla di buono.

Mentre il Greco cercava di fornire una traduzione, Giovanni e Marco confabularono rapidamente sul da farsi e, sicuri del fatto che l'attacco sarebbe arrivato da un momento all'altro, guidarono i compagni verso una grotta poco lontana che avevano usato come luogo di raccolta di tutti gli strumenti da viaggio, preferendo tuttavia dormire all'aperto.

I pipistrelli che avevano fatto prendere questa decisione erano tuttavia ancora convinti della propria ragione e , se non fosse stato per le fiaccole accese sopra le teste del gruppo, avrebbero difeso molto più attivamente il proprio nido.

"Qui dovremmo stare al sicuro e , se mai dovessero raggiungerci, li affronteremo guardandoli in faccia. Vista la poca ampiezza della grotta, il nostro eventuale minor numero non ci sfavorirà più di tanto, no?" disse Giovanni in Greco scrutando poco amichevolmente il vecchio.


"Non conosco le vostre abilità di soldati, ma vi assicuro che quelli che mi hanno attaccato non sono semplici briganti.non sottovalutateli"

"Ah no? Non sono semplici briganti, perché semplici briganti si tengono alla larga da carovane di personaggi come voi, sempre congrega di soldati imperiali ben addestrati, qualcosa non quadra", intervenne Marco aggiungendosi alla discussione.

"Behnon so cosa rispondere", concluse frettolosamente il prete.

Giovanni ordinò di fermarsi e, raccolto tutto ciò che era necessario per il viaggio, mandò la guida a cercare una seconda uscita mentre loro stazionavano in questo punto assai strategico, dal momento che garantiva ai mercenari di posizionarsi nella parte alta di una salita che aveva fatto scivolare più di un cavallo nell'intraprenderla; così, illuminati dalla luce delle fiaccole e con i pipistrelli che svolazzavano inquieti sopra le loro teste, i Veneziani si predisposero a passare la notte.

Passata un'ora l'anziano ospite della compagnia, che appariva sempre più preoccupato, decise di confessarsi :

"Io sono il vescovo Costante di Trebisonda, sono stato chiamato a Costantinopoli dal Patriarca stesso e quelli che mi inseguono non sono comuni balordi ma un gruppo di sicari".

"Sicari, e di chi?" chiese Giovanni che per un attimo sembrava turbato dall'aver creduto alla poco verosimile storia precedente.

"Ora non c'è tempo, ma se mi proteggerete, state sicuri, sarete ricoperti d'oro quanto pesate", fu la risposta.


Improvvisamente risuonarono dei passi fra gli scricchiolii delle fiamme crepitanti. Impugnate le armi, i soldati si misero in formazione per affrontare la minaccia che sarebbe giunta da dietro lo stretto cunicolo ad angolo, ad una cinquantina di metri prima della ripida salita; proprio in quel punto era stata posizionata una torcia per illuminare quanto più possibile l'entrata della grotta.

Marco preparò l'arco ed estratta una freccia, la incoccò nell'arco.

Nel momento in cui tutti si aspettavano di veder comparire qualcuno, Giovanni spense la fiamma ed al suo posto cominciò ad essere visibile una lieve luce in lontananza, la cui presenza confermava l'arrivo di ospiti.

"Questa attesa mi sta facendo impazzire", sospirò un soldato fra sé e sé; i mercenari erano tutti svegli e una decina di loro si erano messi ad una paio di passi dal punto più alto della salitella, armati da fanti pesanti, per permettere ai restanti compagni di tirare dalla posizione sovrastante pur mantenendo il vantaggio dell'altezza sugli eventuali assalitori.

Passarono i minuti ed alla fine i mercenari tesi si convinsero che se qualcuno era entrato in quella grotta, ora se ne era andato, probabilmente perché si era reso conto che non avrebbe potuto sorprendere gli uomini armati che lo aspettavano. Mentre i mercenari riponevano le armi e si accingevano a rimettersi in marcia, una luce improvvisa e particolarmente intensa brillò nel punto di svolta che era


rimasto nelle tenebre per così a lungo e, abbigliati completamente di nero, un gran numero di soldati nemici si fece avanti a grandi passi.

Diverse frecce volarono verso Marco ed i suoi compagni, tre dei quali caddero a terra; gli arcieri non persero tempo e risposero con rabbia, non riuscendo però a colpire i tiratori che erano stati sorpassati da una fiumana di altri soldati. I Veneziani non si persero d'animo, tuttavia, ed incoccarono le loro frecce contro la prima linea nemica che ormai stava salendo la salita che li separava da Giovanni e gli altri.

La prima schiera di assalitori cadde e trascinò altri nella caduta. Ma erano troppi e forti del numero superarono i corpi dei compagni e ripresero a salire, arrivando infine a cozzare con i mercenari.

La posizione era tuttavia vitale e , grazie alla poca ampiezza della spelonca, il vantaggio del numero diventò uno svantaggio nel momento in cui la prima linea non potè muoversi e combattere come desiderava a causa dei compagni che da dietro spingevano. Morirono in molti e per ogni uomo trafitto altri  cadevano indietro insieme a lui, rallentando l'afflusso. Questo permise a Marco e ai suoi di tirare tranquillamente sui nemici sfruttando la posizione elevata, mentre i tiratori avversari dovevano scagliare frecce alla cieca, colpendo il più delle volte i proprio alleati alle spalle.

Mentre il comandante si parava e colpiva con la sua spada con letali affondi i nemici, che comunque non sembravano disposti a farsi intimorire, Marco ebbe la brillante intuizione di mirare alla torcia che i sicari avevano posto in sostituzione di quella spenta da una freccia avvolta in uno straccio bagnato quando avevano dato inizio all'assaltò.


I pipistrelli, già spaventati dai rumori e dal frenetico movimento di cui la grotta era stata invasa, vedendo una porzione di grotta ora buia con tante possibili prede che brancolavano nel buio si fiondarono su di loro, ferendone pochi ma creando gran scompiglio. Tuttavia ben presto nuove torce furono accese e cacciati gli animali a colpi di spada, la lotta riprese serrata.

Dopo qualche minuto la situazione divenne di nuovo insopportabile per i mercenari ed ora solo Giovanni, Marco e pochi altri fanti arginavano la marea umana; in questo momento la guida tornò e disse che aveva trovato una via di fuga, verso la quale si concentrarono tutte le speranze dei superstiti.

Giovanni e gli altri salirono i pochi passi che li separavano dalla cima e lasciarono scivolare un paio di barili di cibarie che travolsero gli assalitori.

Impugnate le briglie, condussero velocemente i cavalli verso l'oscurità che li attendeva oltre.

Alcuni cavalli imbizzarriti furono lasciati correre in direzione degli assalitori per permettere di seminarli ma, quando raggiunsero un bivio nel tunnel, tutti si scoraggiarono:

"E' una trappola, ora ci uccideranno tutti, ma il mio sangue si mescolerà al tuo", gridò un mercenario furente, brandendo la propria spada verso il Greco, il quale rispose con tranquillità " Ed allora cosa pensi abbia fatto per tutto questo tempo? Non vedi questi segni di pietra



calcarea in alto sulla galleria a sinistra? Bene li ho incisi io per indicare la via di fuga. Ora andiamo!"

Il gruppo si affrettò e dopo pochi passi e un paio di svolte si rassicurarono sull'impossibilità degli inseguitori di raggiungerli; questi, storditi dai cavalli e dai barili, non sapevano in che direzione dirigersi e, a causa del suono di passi che rimbombava ovunque e rendeva impossibile un inseguimento basato sull'udito, si divisero perdendosi nei vicoli ciechi che componevano la grande grotta naturale che il greco aveva ben studiato nel corso della notte.

















III

Il riposo non fu ristoratore.

I compagni caduti, le urla, il rumore del cozzare delle armi, tutto tormentava il sonno della compagnia. Fortunatamente questo fu anche breve.

Il sole era da poco sorto e, dall'altra parte dell'altura attraversata dalle conformazioni naturali nelle quali si era svolto il combattimento, il gruppetto, ora ridotto ad una decina di uomini, si avviava verso la costa, dove i porti imperiali ancora segnavano il confine fra barbarie e civiltà.

Per tutta la durata del viaggio Costante si rifiutò di  conferire con chicchessia , tanto che Giovanni pensò più di una volta di lasciarlo lì legato come gentile omaggio agli inseguitori; solo durante la frugale cena, immersi nell'oscurità circostante, il vescovo prese da parte il comandante che chiamò a sé anche il capitano.

Consapevole fin troppo del potere attribuitogli dal proprio rango, il quirite impostò il discorso in maniera ambigua e fumosa, evadendo le domande dei mercenari. Questi non vennero a conoscenza di nulla di nuovo, ma furono nuovamente richiesti di scortare l'alto prelato fino ad un avamposto greco, dove sarebbe stato al sicuro.

Marco non perse l'occasione propizia e promise aiuto solo in cambio di risposte: a questo tentativo seguì un lungo silenzio da parte di Costante, che infine, sorridendo astutamente, consigliò l'uomo di non



intromettersi in questioni che semplici mercenari non erano in grado di comprendere in tutta la loro complessità.

Poi, senza dare loro il tempo di esprimere la propria indignazione, il vescovo li salutò con apparente ed ingannevole cordialità e si diresse verso il suo giaciglio.


Il nuovo giorno non portò grandi novità e, fra grandi difficoltà, il gruppetto continuò a muoversi senza cavalli o rifornimenti, tanto che dovettero cibarsi delle bacche che il buon Apuleio sapeva essere commestibili. Le bacche sembravano piuttosto insipide al gusto, ma la guida garantì sul loro potere nutritivo, anche se alcuni dei mercenari, dopo una dieta forzata di qualche giorno a base di quei frutti rossicci e molli, furono colti da attacchi devastanti di dissenteria, e qualcuno fu anche preda di una febbre fastidiosa.

Sul finire del quarto giorno di marcia, dopo aver scalato una piccola collina, mura alleate si ersero all'orizzonte degli stremati soldati; prima che potessero gioire si accorsero tuttavia che diversi cavalli al galoppo sollevavano sul terreno alle loro spalle un gran polverone.

In fretta e furia, abbandonando ciò che era superfluo, si misero a correre verso la città; Giovanni comprese, tuttavia, che non sarebbero mai giunti alle grandi porte prima degli inseguitori ed ordinò pertanto di mettersi in formazione e  combattere con tutte le forze che ancora restavano loro. Utilizzando la loro rabbia, sarebbero forse riusciti a portare nell'Oltretomba con sé il maggior numero possibile di nemici.


Le proteste di Costante furono ammutolite tanto che questo continuò la sua corsa verso le mura che apparivano così ingannevolmente vicine mentre, sotto la guida di Marco, gli uomini si nascondevano nella macchia.

"Maledetto vecchio, sapevo non avresti portato che guai!", disse ad alta voce Giovanni desideroso di farsi sentire.

" Silenzio, arrivano", sussurrò invece Marco.

Nello stesso istante in cui la tensione saliva al massimo uno squillo di tromba sovrastò il galoppo dei cavalli, e diversi cavalieri sopraggiunsero dalla direzione dell'avamposto; le loro armi brillavano al sole calante ed il loro numero fu sufficiente a mettere in fuga gli inseguitori, così vicini alle loro prede.

Usciti dai loro nascondigli con le armi in pugno, mai troppo fiduciosi nei salvataggi prodigiosi, i mercenari dovettero però riconoscere che quelli che li avevano salvati erano davvero alleati e non briganti decisi a contendere agli altri le prede.

Dovettero abbassare e deporre le armi; poterono rimetterle nel fodero solo dopo una lunga discussione che, a detta di Giovanni, sarebbe stata più sicura se fatta al sicuro dietro le mura. Il comandante della guarnigione, un certo Eraclio, chiese loro di identificarsi e, dopo aver ottenuto risposta, volle farsi raccontare la battaglia contro i Turchi alla quale i superstiti che aveva di fronte avevano partecipato.

Finalmente in un ostello del porto, tutti i Latini si rilassarono e poterono fare mente locale su ciò che avevano passato; avevano perso


tutto, compreso il baule del comandante contenente tutti le monete d'oro tanto duramente guadagnate da Giovanni.

Marco per primo prese la parola per rassicurare il superiore del fatto che, finché non fosse arrivato a Costantinopoli, dove i suoi contatti lo avrebbero potuto rifornire di denaro, sarebbe stato ospite dei suoi fedeli soldati che, nonostante le furiose battaglie nelle quali erano stati coinvolti, erano riusciti a conservare le sonanti monete della loro paga appese in un sacchetto alla cintura.


















IV

Marco apprese che, come aveva previsto Apuleio, erano arrivati non molto lontani dal Dardanelli, precisamente ad Abido.

La piccola città viveva principalmente di commercio, era un attracco per le navi che, provenienti da ogni dove, si dirigevano verso il Corno d'oro per arrivare a Pera, il quartiere dei mercanti stranieri di Costantinopoli.

Tuttavia, ben presto la necessità di rendersi indipendenti dalla continua fornitura di beni di prima necessità provenienti dai campi al di fuori della città, rendendoli sempre più insicuri a causa della presenza di forze armate non imperiali, aveva convinto gli abitanti a divenire mercanti.

Prima di salpare, i valorosi mercenari non rinunciarono ad acquistare nelle numerose ed accattivanti botteghe della città tessuti, cibi e manufatti di diversa natura dei quali, dopo la loro lunga permanenza al fronte, quasi avevano dimenticato l'esistenza.

La partenza avvenne non molti giorni dopo il loro arrivo e fu quasi del tutto inosservata come avevano voluto. Apuleio decise di rimanere poiché il suo lavoro era quello di guida per l'esercito dell'imperatore e doveva tornare al più presto al fronte. Marco lo salutò con affetto così come Giovanni e gli altri compagni con i quali aveva rischiato la vita.

"Quello zotico di un Greco mi mancherà"




"Lo so comandante, anche io mi ero affezionato a lui, avrebbe potuto abbandonarci e scampare all'inseguimento da solo ma ha preferito rimanere con noi e rischiare tutto pur di condurci al sicuro";

"A proposito di codardi, Marco, che fine pensi abbia fatto quel vecchiardo?".

Erano passati giorni da quanto Costante era scappato maledicendoli verso Abido e da allora non lo avevano più visto.

"Probabile sia morto, a questo punto" rispose distratto Marco

"Io invece penso che avremo ancora a che fare con lui, comandante!", interloquì un altro mercenario, "L'erba cattiva non si sradica facilmente".

Si trovavano seduti sul ponte della grossa barca che li stava portando lontano da Abido, una piccola nave da pesca affittata dai Veneziani. Questi, tuttavia, non si resero conto di essere spiati da uno strano individuo vestito in modo bizzarro, dall'aspetto indefinibile, che era l'unico altro passeggero insieme a loro ed aveva diviso le spese con loro.

Marco, subito insospettitosi, aveva creduto che si trattasse di uno degli assassini della grotta, deciso a continuare la sua missione anche dopo la loro movimentata fuga, ma cominciò ben presto ad avere altri sentori al riguardo.


La traversata che avrebbe dovuto essere una pausa rilassante per gli uomini, divenne ben presto un'ennesima fonte di preoccupazioni: i


marinai della barca non furono in grado di manovrarla bene durante la tempesta che avvenne a largo delle coste e, non abituati ad allontanarsi dalle loro zone di pesca lungo la terraferma, dovettero chiedere aiuto agli ospiti italioti che, fieri della loro tradizione marinaresca, faticarono per giorni nel cercare di mantenere la rotta.

La tempesta fu alquanto infida. Un marinaio della nave fu trascinato via dalle acque furiose e l'imbarcazione venne spinta implacabilmente verso la costa a Sud dello stretto, dove si ergeva la capitale. Gli stremati nocchieri furono infine costretti a cercare rifugio negli approdi di un piccolo porto sulla costa, Selimbria.


Selimbria, come Abido, aveva negli ultimi tempi indirizzato la sua politica di espansione verso il mare, tanto che il porto era di gran lunga, in dimensioni e stile, superiore al resto del borgo, costituito da modeste abitazioni popolate perlopiù da rozzi contadini.

Il gruppo dovette nuovamente mettere mano ai propri fondi, oramai quasi del tutto prosciugati. Acquistarono dagli autoctoni qualche cavallo e le vettovaglie necessarie per il viaggio: sarebbero state sufficienti perfino per due settimane, sostenne l'avido mercante che le vendette loro. Non sarebbero durate più di quattro o cinque giorni, ribattè il comandante, infuriato per la spilorceria di quella gente.

"Non vedo più quel losco figuro che era con noi in barca, comandante", sussurrò Marco all'alba uscendo dal piccolo terrapieno che separava il porticciolo dalla vasta campagna


"Eppure ti avevo detto di tenerlo d'occhio, mi sembra", fu la risposta poco amichevole; inteso come Giovanni non avesse voglia di discutere l'argomento e di come tenesse in debito conto il suo fallimento, Marco aumentò il passo per parlare con un soldato a capo della piccola compagnia in movimento.





















V

Il viaggio si protrasse per una settimana e alla fine i viveri furono appena sufficienti. I Veneziani la trascorsero salendo e scendendo per collinette boscose, alle quali si alternavano aride pietraie solo raramente bagnate da qualche fiumiciattolo in secca. I sentieri che collegavano le colline alle pianure erano difficoltosi, ma il territorio era sotto il completo dominio dell'Impero, per cui non dovettero temere agguati da parte di briganti od altri pericoli.

Fu solo nella notte del settimo giorno che il gruppo arrivò, più stremato che mai dai ritmi incalzanti imposti dal comandante, alle porte della città.


Costantinopoli, la Città,  era sviluppata su una penisola naturale che sorgeva sul lato europeo dello stretto del Dardanelli, a seguito della cui forma caratteristica era stato rinominato Corno d'Oro. Il nucleo iniziale della città risaliva alla Bisanzio spartana fondata durante la corsa alle colonie nel periodo di massimo splendore della civiltà ellenica e solo con l'Imperatore Costantino aveva assunto quel ruolo dominante e strategico che fino ad oggi aveva mantenuto.

L'Acropoli era l'unica parte, forse anche per la privilegiata posizione sopraelevata, illuminata da fioche luci.; per tutto il resto della sua notevole estensione solo la luce della luna a tre quarti spandeva un chiarore soffuso sui tetti dei palazzi sontuosi, delle chiese e dei quartieri abitati dalla popolazione.


Ai lati della città due piccole insenature la separavano nuovamente dalla costa: sul lato nord ormai da molti decenni si era sviluppata una vasta porzione urbanizzata, chiamata Pera o Galata, a seconda dei popoli, dove mercanti di ogni provenienza giungevano per ammirare la grandezza di ciò che restava dell'impero che aveva dominato per secoli il mondo conosciuto e, in particolare, per commerciare in merci rare e preziose da rivendere ai proprio sovrani od ai ricchi Europei ed Arabi.

Questo era il cuore economico della città e qui risiedevano migliaia e migliaia di stranieri, fra cui anche moltissimi Italiani; questa sarebbe stata la meta del gruppo, dopo che avesse ottenuto il lasciapassare dall'autorità cittadina.

Tuttavia a quell'ora c'erano ben pochi ancora in piedi di ruolo abbastanza alto da far passare un gruppo armato, per giunta straniero, così i mercenari  dovettero muoversi, o meglio essere accompagnati da guardie armate attraverso tutte le linee di fortificazioni esterne alla città.

Non vi era, infatti, una sola linea di difesa che proteggeva Costantinopoli: nel corso dei secoli la città si era espansa così oltre i progetti originari dei propri fondatori da necessitare di sempre ulteriori ampliamenti, per mettere in opera i quali serviva ogni volta l'edificazione di un nuovo perimetro murario, che si aggiungeva ai precedenti, sempre più alto ed imponente. A questi si aggiungeva un fitto sistema di terrapieni e zone difensive esterne all'abitato che rendevano


complessivamente onore alla fame di città inespugnabile che Costantinopoli si era guadagnata nel corso dei secoli.


Mentre Giovanni sbrigava le pratiche burocratiche, tempestando di urli ed ammonimenti il funzionario insonnolito che, non del tutto lucido, cercava di placare le ire del soldato, mentre le guardie della città già prospettavano uno scontro notturno negli uffici della città, Marco annoiato decise di esplorare l'ambiente in cui era stato condotto.

L'ufficio in questione, se così poteva essere chiamato lo squallido locale pieno di scartoffie impolverate e abbastanza sporco da fargli rimpiangere le notti passate all'aperto sul duro terreno nel corso del viaggio che li aveva condotti lì, era posto in cima ad una torre di guardia presso la porta di San Romano, una delle più importanti della città per fama , grandezza ed importanza strategica, nel tratto più alto e resistente delle fortificazioni. Vista la lentezza con cui procedeva l'operazione, il capitano decise di appollaiarsi su un balcone che dava una visuale completa ed unica della città.

Come nei dipinti che ornavano le dimore più ricche nei quali la città veniva ricostruita con la visuale che potrebbe avere un gabbiano volando in alto nel cielo, così Marco poteva osservare, sotto la luce della luna nella notte limpida, l'intera Città.

Si diceva che qui venissero parlate tutte le lingue conosciute al mondo, che qui fossero custoditi segreti e reliquie di immenso valore, che i palazzi imperiali fossero costruiti in oro e tante altre leggende che,


nelle corti europee ed orientali, tante volte nella avevano mosso avventurieri, talvolta anche interi eserciti.

La mente del giovane tuttavia non si stava soffermando su questi fascinosi aspetti di quel mondo cosmopolita e leggendario. Marco rifletteva, la stanchezza del viaggio che gli ottundeva il fisico e la mente, sull'immensità di vicoli e stradine nei quali sorgeva la casa dove a quell'ora stavano senza dubbio riposando sua moglie, i suoi figli, i suoi servi e tutto quello che costituiva la sua famiglia, la sua casa, lì, nel quartiere dell' Hebdomon, vicino al palazzo dell'Imperatore.

L'ultima volta che li aveva visti era stata sei mesi prima, giorno più giorno meno, quando era stato improvvisamente chiamato dall'esercito per recarsi a combattere in difesa dell'Impero. Aveva preso le poche cose che costituivano il suo equipaggiamento nella propria vita da mercenario, quasi abbandonando con doloroso compiacimento tutti i lussi cui l'altra sua vita da signore benestante lo aveva abituato e aveva abbracciato la moglie in lacrime che non sapeva quando e soprattutto se lui sarebbe tornato, quella volta. Si era affacciato in silenzio nella stanza dove dormivano i suoi figli, ancora bambini e per una volta, nell'intimo più celato della sua personalità guerriera, si era sorpreso a desiderare la possibilità di un'esistenza diversa.

Ma mentre si allontanava a cavallo dalla sua dimora, salutando per l'ultima volta la donna che lo amava e si dirigeva al galoppo verso l'accampamento dell'esercito stanziato appena fuori dalle imponenti mura, era già tornato il Marco realista di sempre, quello che


rammentava fin troppo bene come tutta la sua fortuna, il diritto stesso di essere un cittadino di Costantinopoli gli fosse stato riconosciuto proprio in virtù dei suoi meriti di mercenario al soldo dell'Impero.

Marco non combatteva da ben cinque anni, da quando, incontrata Sofia,  aveva deciso di appendere l'arco al chiodo e di dedicarsi ad una famiglia, le cui condizioni economiche, grazie alla cospicua eredità che lei aveva ottenuto in veste di unica discendente di una schiatta nobile locale, non necessitavano di un lavoro così spossante e pericoloso da parte sua.

Purtroppo per lui nessuno vedeva bene il matrimonio tra un Veneziano e una Bizantina purosangue, così, appena la necessità di soldati sul fronte anatolico era divenuta impellente, era stato richiamato a quella guerra che aveva deciso di abbandonare anni prima.


I suoi pensieri ora erano incentrati sui giorni successivi all'annuncio della sua coscrizione coatta; il bagaglio personale, l'armamento rispolverato dai vecchi armadi e bauli, l'incontro con tutte le forze fuori dalla città, il caos di quei momenti, l'assegnazione ai comandanti delle truppe.

Le ciglia aggrottate si rilassarono non appena il suo pensiero  volse a Giovanni , giovane e sognatore come era stato lui pochi anni prima, venuto anch'egli da Venezia in cerca di avventura, che era riuscito a diventare un comandante di latino. Era stato lui a salvarlo da



un capo di Turcomanni che lo aveva scelto come scudiero, scudiero di un lurido nomade barbaro, ed ad annetterlo al suo tagma.

Quella stanca immersione nei ricordi venne interrotta d'improvviso proprio dal suo comandante che lo spintonò con rude giovialità, giocosamente sbraitando offese alla ben famosa burocrazia bizantina che non lo aveva riconosciuto come il grande condottiero di ritorno da una battaglia sanguinosa.

Con enorme dispiacere Giovanni e Marco dovettero riconoscere le motivazioni di tutti gli altri loro compagni che diedero loro un affettuoso addio ritornando alle loro case o, nella maggior parte dei casi, al porto dove altre navi, altri mari, altre terre, li avrebbero visti come partecipi in altre imprese e dove, alla fine, probabilmente alcuni di loro sarebbero morti.













VI

Rimasti soli nella città, dove si cominciava ad intravedere la luce dell'alba, ben presto si dovette toccare il tasto dolente che entrambi sapevano sarebbe giunto: Marco doveva molto al suo comandante e tuttavia non poteva più immaginare di continuare a fare quella vita che aveva abbandonato a favore di quella di padre di famiglia.

Giovanni prese la parola e, consapevole che quello dell'amico non era un capriccio del momento ma una profonda sete di normalità, chiese a Marco di accompagnarlo all'appuntamento con i suoi contatti della Serenissima a Pera che lo avrebbero finanziato, a prendere successivamente quanto dovuto per i suoi servizi agli uffici centrali della burocrazia bizantina e, solo dopo essersi preso metà del compenso ed inviata la parte dovuta agli altri reduci che attendevano al porto, sarebbe potuto andare per la propria strada.

Sebbene il suo desiderio più intenso fosse quello di tornare a casa dai suoi, non potette negare questo ultimo favore all'amico.

Camminando per le strade un paio di volte si videro seguiti per qualche metro da persone poco raccomandabili ma, dopo aver spostato il mantello e fatto vedere cosa c'era sotto, queste avevano preferito cambiare vicolo alla svolta successiva.


Il bacino del Corno d'Oro che separava la città dalla colonia commerciale non poteva essere attraversato così presto di mattina se non da pescatori e, per evitare di chiedere i permessi che probabilmente


avrebbero consentito loro di affittare una barca soltanto per la giornata successiva, si diressero a piedi verso Galata.

Unitisi ad una comitiva di mercanti genovesi, trovarono tuttavia gradevole la compagnia degli acerrimi ed atavici rivali, tanto che ottennero anche preziose informazioni su quello che stava accadendo negli ultimi tempi.

Dalla morte di Geza II, pochi anni prima, l'imperatore Manuele Comneno aveva avviato una politica espansionistica molto aggressiva volta ad arginare i grandissimi danni successivi alla spedizione di Manzicerta nel 1071, costata all'Impero le proprie ambizioni di espansione ad Est.

In virtù di questi propositi l'impero aveva occupato la Bosnia, la Croazia e parte della Dalmazia, territori noti per essere stati da decenni punto fisso nelle intenzioni di conquista veneziane.

Tuttavia, novità degli ultimi mesi non nota ai due soldati, l'impero aveva compromesso la propria reputazione con la maggior parte dei confinanti, fra cui lo stato normanno del Sud Italia, il Papato ed ancora più gravemente con Venezia, alla quale erano stati revocati importanti privilegi risalenti ai tempi in cui la città marittima era ancora colonia di Bisanzio. Erano state conquistate terre che Venezia riteneva di diritto proprie e, fatto ancor più grave, favoriti gli avversari economici come i genovesi in tutto il territorio imperiale grazie a speciali concessioni commerciali.



Dopo quest'ultima affermazione l'intero gruppo genovese fu scosso da una sonora risata che tuttavia si spense poco dopo quando i veneziani fecero capire che non erano faziosi come loro e quando i mercanti ricordarono che avevano di fronte uomini d'arme stremati dalla permanenza al fronte.

Arrivarono tutti a Galata quando la luce del sole era già inconfondibilmente sorta. Già da qualche tempo era calato il silenzio nel gruppo così che non ci fu che un saluto a bassa voce quando la carovana si separò da loro.

Giovanni aveva infatti puntato ai quartieri veneziani, dove l'appuntamento era stato fissato, mentre Marco lo seguiva svogliatamente con la mente immersa in pensieri ben lontani da una disputa su quanto oro valessero i futuri servigi del comandante.

Introdottisi in una taverna, dovettero attendere un bel po', forse un'ora, prima che venisse rivelato loro il luogo dell'appuntamento dall'oste. Lanciandogli una moneta Giovanni disse :

"Conosco il posto, una stradina che è buia anche a mezzogiorno, non è il luogo dove vengono fatte proposte legali"

"Di cosa pensi si possa trattare? Qualche scorribanda in un villaggio greco? Una rapina?"

"Non so, però lo scopriremo presto".

Il luogo dell'appuntamento non era molto differente da come Giovanni lo aveva descritto: una maleodorante stradina culminante in



un vicolo cieco con ai lati il retro di edifici che non permettevano alla luce del sole di illuminare il sudicio marciapiede.

Ad attenderli, ritti con la mano sulla cintura e sull'elsa della spada, due uomini con il volto coperto da un velo; dovevano indossare una cotta di maglia od una corazza in pelle ed inoltre pendevano dai loro fianchi lunghe sciabole affilate.

Dietro di loro un terzo uomo, che non dava l'idea di essere della stessa pasta degli altri due: corti capelli grigi e piccoli occhi, probabilmente miopi visto lo sforzo che, Marcò noto, fecero nel focalizzarli, erano ciò che più risaltavano del suo aspetto.

Indossava una pregiata veste in seta multicolore ed al collo gli pendeva un monile d'oro che, insieme agli anelli pure d'oro alle dita, ne dichiaravano prepotentemente l'alto rango sociale.

Fu proprio lui a parlare per primo:

"Oh, Giovanni Longo, che piacevole sorpresa! I bardi narrano le vostre imprese sul confine anatolico"

Marco lo guardò sprezzante, mentre l'amico ribatteva duro:

"Risparmiate il fiato, voi siete l'ambasciatore veneziano a Costantinopoli! Perché mi convocate in questo squallido viottolo, so che vivete in un sontuoso palazzo, pagato da tutti i latinkon veneziani come me"

L'uomo ridacchiò.

"Quanta ostilità, comandante, non ricordate forse che è la Serenissima che vi ha dato i natali?"

"E' stata anche la Serenissima che mi ha costretto a scappare qui per evitare di essere impiccato" stavolta fu Marco a ridere apertamente, mentre l'ambasciatore induriva i tratti del volto, fino a quel momento ingannevolmente atteggiati ad una smorfia di falsa bonomia

"Basta così, Giovanni" disse Marco, "Sentiamo cosa ha da dire, cosa ci offre e poi accettiamo , rifiutiamo, li uccidiamo o ce ne andiamo".

La battuta finale non fu colta dalle due guardie del corpo che dopo un rapido sguardo di intesa sguainarono le spade. A loro volta Giovanni e Marco risposero sfoderando le loro spade.

"Fermi, idioti, riponete le spade, ORA", intervenne esclamando con forza ma trattenendo il tono della voce l'ambasciatore. Poi si rivolse nuovamente a Giovanni

"Voi avete ancora molti familiari a Venezia, comandante Longo. Immagino il vostro desiderio più grande sia tornare lì a vedere come stanno, abbracciarli, proteggerli. Venezia è sempre meno sicura , in particolare per chi è parente di un nemico della patria."

"Mi state forse minacciando?"

"Io? Come può un uomo di pace come me minacciare un guerriero come voi? Vi sto solo proponendo un accordo che potrebbe annullare la condanna a morte che pende sulla vostra testa.."

Giovanni si trattenne visibilmente dall'esplodere, trattenuto dal braccio dell'amico che strinse quasi in una morsa il suo. Rinfoderò la spada, imitato da Marco e berciò:

"Quale sarebbe la proposta?"



"Semplice. Voi siete al corrente di quanto il clima fra il nostro

popolo e quello greco si sia inasprito negli ultimi anni: ebbene, il Doge ha richiesto l'uccisione di questo imperatore che già troppi danni ha fatto alla Repubblica."

Seguì un silenzio che a Marco parve espandersi innaturalmente nell'aria umida dell'alba. Giovanni, vide, stava ormai per mettersi ad urlare, le vene del collo gonfie di rabbia per l'enormità infame di quella richiesta.

Di colpo i cinque vennero interrotti dall'arrivo di un sesto uomo che, ignorando i due soldati, si accostò all'ambasciatore, sussurrandogli parole che solo il diretto interessato potette distinguere da un brusio incomprensibile agli altri.

Quando l'informatore si fu allontanato, rapido come era giunto, l'ambasciatore disse:

"Non c'è molto tempo, stanotte l'imperatore si recherà a Santa Sofia , ha anticipato la notte in cui si reca alla cattedrale, ciò è molto strano, sono anni che non modifica la data del mese. In ogni caso comandante, qui ci sono cinquemila Bisanzi di bronzo, pagate qualche uomo di fiducia e unitevi ai miei sicari stanotte: siamo pochi e possiamo fidarci solo di voi per compiere questa manovra. Vi ricordo che sarete ben ricompensati dalle autorità veneziane. Svolto il compito, tornate subito qui; troverete una nave che vi condurrà a Venezia, i miei cordiali saluti."



Prima di attendere l'effetto delle sue parole, fece un cenno agli altri due che presero per le briglie tre cavalli sellati che attendevano nell'ombra. I tre salirono sulle bestie e scomparvero velocemente dal vicolo, lasciando i due mercenari esterrefatti.

"Cosa pensate di fare, comandante? Io direi di recarci immediatamente dalla guardia cittadina, il complotto sarà sventato!"

"Non così di corsa, Marco..io.."

"Cosa? Non mi direte che pensate di dare ascolto a quella lurida serpe! Sarebbe in grado di arrestarvi e farvi impiccare per compiacere l'erede al trono!

"Lo so ma hai sentito? Minacciano ritorsioni non solo contro di me, ma anche contro i miei parenti.."

"Comandante, vi ho sempre ritenuto una persona onorevole..non posso cre."

"Silenzio, devo riflettere, tieni la tua parte ed ora vattene, devo cercare uomini adatti, assassini e non soldati".

Marco, rimasto allibito, restò a fissare la figura del compagno di tante avventure introdursi nella strada poco lontana dove il florido commercio della città si sviluppava Non aveva potuto neanche dirgli addio.ma avrebbe voluto davvero dire addio? Era davvero il Giovanni che conosceva l'uomo freddo e calcolatore che valutava il proprio bene al di sopra dei milioni di abitanti dell'impero che dalla politica saggia e decisa di Manuele avevano tratto tanto benessere?.



Deciso più che mai a far valere il proprio status di bizantino al di sopra di quello di veneziano Marco si mosse con un'andatura veloce verso la prefettura di Galata. Avrebbe dovuto attraversare il nuovo quartiere genovese, frutto dei nuovi accordi fra l'Impero e la Repubblica marinara celebre rivale della Serenissima.

Tuttavia ben presto si accorse che qualcosa non andava, un acre odore di bruciato lascio posto, dopo che ebbe attraversato un paio di isolati, ad un gran cumulo di cenere che ricopriva una vastissima area della città, quella dove Marco aveva visto mesi prima i cantieri di lavoro per le nuove costruzioni genovesi.

Prima che potesse rendersi conto di ciò che era accaduto, si sentì afferrare bruscamente per una spalla e trascinato a forza in un vicolo buio non dissimile a quello dove era stato fino a poco tempo prima.

"Chi diavolo sei, se è il mio arco che vuoi temo che dovrai accontentarti della mia spada", tuttavia dovette riporre la lama non appena si accorse che chi lo aveva trascinato lì non era un rapinatore ma uno dei mercanti genovesi con i quali era arrivato a Pera.

"Silenzio amico, io sono appena tornato e solo ora so quello che è accaduto, so che anche tu sei appena arrivato e per questo ti do un consiglio, vai via di qui , ora, scappa più lontano che puoi."

"C-cosa?"

Ma il Genovese se ne era già andato.

Stanco di continuare a ricevere ordini senza poter controbattere, ben presto cancellò dalla memoria questo incontro e riprese la sua


marcia; tuttavia non lontano dal cumulo di macerie si trovò costretto a rallentare il passo vista la presenza di un nutrito gruppo di persone.

Probabilmente avrebbe continuato la sua marcia fatta di spallate ed occhiatacce se, ad un certo punto, non si fosse trovato di fronte un gruppo di guardie imperiali che, circondando un banditore imperiale, brillavano nella lucentezza delle proprie armature.

"Per ordine dell'Imperatore sua maestà Manuele Comneno, in risposta agli efferati atti di violenza scaturiti nel quartiere commerciale della Capitale, tutti i cittadini veneziani residenti o transitanti nell'impero sono posti sotto ordine di cattura, poiché responsabili di tali disordini. Il decreto imperiale ha valenza immediata."

Prima che Marco potesse riformulare quelle parole dentro la testa, la folla si disperse velocemente in tutte le direzioni, sia i Veneziani sia altri timorosi di essere coinvolti nelle violenze che sarebbero da lì a poco seguite.

Tuttavia la mossa non era stata fatta senza le dovute precauzioni: numerosi banditori avevano annunciato gli arresti e ancor più numerose guardie, a cavallo ed appiedate, avevano fatto irruzione nei luoghi più frequentati dai veneziani in tutto l'Impero: fra questi c'era sicuramente Pera, dove risiedevano oltre diecimila fra mercanti, soldati e civili veneziani.

Molti vennero riconosciuti come veneziani dai mercanti stranieri, in particolare dai genovesi vogliosi di vendetta per la distruzione del



progetto a loro tanto caro, altri semplicemente per la loro volontà di fuggire o combattere che li rendeva sospetti.

Coloro che erano in grado di usare armi si rifugiarono nell'ambasciata veneziana, decisi a combattere fino alle fine: l'ambasciatore tuttavia fuggì in groppa al suo destriero nero, aiutato da un folto numero di guardie del corpo.

Marco riuscì a dileguarsi dal centro dell'azione semplicemente mettendo in mostra la corazza e l'armamento che lo rendevano molto più simile ad un soldato greco che non ad un latinkon; a fine giornata molti furono catturati ma molti di più vennero presi solo da morti, l'ambasciata veneziana rasa al suolo e tutti i beni, gli edifici, le ricchezze e le navi della Serenissima posti sotto sequestro " precauzionale".

Non sapendo dove dirigersi, decise intanto di allontanarsi dalla zona: non poteva sapere se avrebbe incontrato qualcuno che potesse additarlo come veneziano, ma era sicuro che la sua casa non era il luogo adatto dove rifugiarsi, in quanto ben conosciuta come dimora di un veneziano.

Sebbene fosse certo che nessuno avrebbe mai toccato la proprietà di una nobildonna bizantina, quell'opzione era cancellata nella sua mente ed ora vagava ramingo nei campi sterrati o coltivati intorno a Pera. Alcuni cavalieri lo raggiunsero alle spalle e lo circondarono quando ormai il sole era alto nel cielo.

"Cosa volete da me?" disse Marco in tono retorico, già pronto a morire lì, così vicino ai suoi cari, alla sua casa, ma così lontano dal


cuore del popolo che si era appena proposto di salvare dagli intrighi della sua gente.

"Capitano, prendete questo cavallo e questo lasciapassare, dovrebbero garantirvi di poter circolare dentro le mura, voi siete un cittadino genovese ora: nessuno se non un genovese riconoscerà il diverso accento. Mi raccomando, ricarodatevi, questa notte quando la luna sarà a picco nel cielo buio, a Santa Sofia"

"Mmmh.. la manda l'ambasciatore?.. non so se posso fidarmi.."

Il cavallerizzo che aveva parlato scosse la testa e pochi istanti dopo solo la tosse provocata dal polverone alzatosi teneva compagnia al sempre più scosso ed intimorito veneziano.















VII

Era tardo pomeriggio quando riuscì a rientrare in città.

Qui si era manifestato solo parte del caos scatenatosi oltre lo stretto; i Veneziani che vivevano qui erano più che benestanti e noti alle autorità, che avevano potuto procedere ad arresti veloci e discreti, senza causare trambusto.

Solo qualche sparuto gruppo di Veneziani aveva dato filo da torcere alla guardia, preferendo una rapida morte violenta in qualche taverna del porto piuttosto che un arresto, a cui forse sarebbe seguito lo stesso risultato.

Bene, ora era tornato in città, ma che il diavolo lo portasse se aveva anche solo una pallida idea di cosa fare e di come agire: non era certamente il momento buono per andare dalle guardie a denunciare il complotto ordito dai Veneziani.

Allo stesso tempo non voleva cedere alla tentazione di acettare la proposta dell'ambasciatore.

Certo, come valevano per Giovanni anche per lui sarebbero valsi quei premi in palio. per lui. che era scappato anni prima da Venezia ricercato per omicidio, costretto a lasciare la sua città nella quale non aveva più nulla se non i ricordi..

Ora, furioso con se stesso per aver solo pensato di cedere alla tentazione di accettare un incarico così vile e del tutto contrario alla sua filosofia di vita, si sentì però al contempo rammaricato di vedere



come questa sua fedeltà non veniva ripagata da quelli che avrebbe voluto come amici.

Entrando in una taverna che era stata teatro di uno scontro poco prima, come testimoniavano le macchie di sangue fresco sul pavimento, chiese informazioni al taverniere che, dopo aver visto il bronzo delle monete appena coniate, sciolse la lingua raccontando tutto ciò che sapeva.

"In tarda mattinata già era tutto finito a Galata, è lì che la guardia ha colpito più pesante, sembrava non volesse lasciare nessuno in vita. Solo l'ambasciatore e le alte cariche sono riuscite a fuggire; tuttavia non via mare e quindi prima o poi li troveranno in qualche fattoria nell'entroterra"

"Nessun altro è sopravvissuto?"

"Mmmh.. ora che ci penso, una guardia passata prima di qui ha detto di aver preso parte ad un violento scontro nei pressi di un'osteria, proprio a Pera, dove sembra che ci sia un centro di reclutamento di molti talentuosi mercenari veneziani.".

"So di quale osteria parli, andrò subito lì" ma l'oste gli fece cenno di fermarsi

"Oramai è un cumulo di macerie: sono morti quasi tutti i veneziani ribelli ed una ventina di guardie; che Dio conduca all'inferno quegli Italioti, loro, il loro finto vescovo ed il loro falso impero."

Nell'apostrofare in tal modo la gente di Marco, il barista gli scoccò una torva occhiata. Il mercenario, senza proferire parola, uscì lasciando


sul bancone ben più di quanto doveva per la consumazione: gli anni trascorsi a Bisanzio non avevano ancora reso il suo greco privo di contaminazioni.


Marco era certo che l'osteria di cui gli aveva parlato il taverniere fosse quella dove tanti anni prima, appena giunto a Bisanzio, si era fermato per bere un boccale di birra fresca e nella quale si era informato sui luoghi e sulla gente. Ne aveva sempre conservato un felice ricordo, ma molto tempo era trascorso da quel giorno e poteva benissimo darsi che il locale non fosse altro che cenere.

Il sole era ormai al tramonto ed una luce rossastra illuminava il porto Bosphoreion.

Passò diverse ore in una chiesetta le cui decorazioni modeste erano offuscate da quelle delle grandi chiese della città: voleva riflettere e qui era sicuro che nessuno lo avrebbe disturbato.

Decise infine di intraprendere la scelta più rischiosa ma anche l'unica che forse lo avrebbe tratto d'impaccio e che forse, ma era ancora presto per affermarlo, lo avrebbe potuto restituire alla vita normale che tanto agognava.

Molti soldati ancora pattugliavano le strade ma riuscì ad evitare le pattuglie passando per stradine poco note, vicoli e passaggi che aveva imparato dai servi di casa sua; arrivò infine nel vasto piazzale antistante la più grande meraviglia della città: Santa Sofia.



Costruita ed abbellita più volte nel corso dei secoli, impreziosita da moltissime reliquie fra cui la Sacra Sindone, su cui i Latini avevano non poche volte posato occhi ed offerte, la grande basilica era ora al suo massimo splendore; l'imperatore soleva recarsi lì per trarre ispirazione e fede, redimere i peccati e riflettere in pace in quello splendore dell'architettura dell'Impero.

La zona era stranamente deserta ma, come notò con un'attenta occhiata, sei guardie imperiali sorvegliavano discretamente l'ingresso mentre un'altra decina controllava il perimetro.

L'entrata sovrastata dal doppio nascete era vigilata da soldati scelti e quindi era impensabile entrare da lì: invece una buona opportunità era costituita dal muro perimetrale occidentale, dove i rami degli alberi del giardino circostante, eccessivamente alti, si avvicinavano notevolmente alla navata sinistra della basilica.

Scalato l'albero che dal basso sembrava essere il migliore per compiere la sua missione, si rese conto, una volta arrivato in cima che il ramo più estremo sul quale era riuscito ad arrampicarsi era comunque troppo distante dal suo obbiettivo per poterlo raggiungere con un salto. Non si perse d'animo: prese l'arco dalle spalle, dopo aver preparato una freccia intrecciata ad una corda.

La corda era una ed i margini di errore minimi, cosicché dovette affidarsi del tutto alla sua esperienza e alla maestria con l'arma: dopo aver mirato ad un buon punto di appiglio, scoccò la freccia uncinata.

Non ebbe tempo di veder compiersi la traiettoria. Una guardia dal


basso, con la luce della torcia, aveva levato un piccolo urlo subito soffocato; Marco cercò di vedere dall'alto, ma era impedito dai rami frondosi.

"Deve essere scappato a chiamare gli altri, non ho molto tempo, devo raggiungere l'imperatore", questo pensava, mentre strattonava la corda che sembrava reggere il suo peso. Lo sforzo enorme ed il suo allenamento troppo scarso negli ultimi tempi, ma facendo ricorso alla forza di disperazione riuscì ad arrampicarsi senza che le frecce dei soldati lo raggiungessero.

Ora sul muro perimetrale poteva scorgere qualcosa dalle vetrate colorate sulle quali erano meravigliosamente rappresentate figure ed eventi dei Testi Sacri.

Riuscì con grande fatica ad arrivare nei pressi dell'abside, dove contava di poter vedere meglio e di poter forse riuscire a calarsi. Rimase abbagliato dalla luce della luna riflessa sulla vetrata trasparente e quasi cadde, provocando un rumore tale da essere sempre più certo di essere stato scoperto. Appurato come fosse impossibile calarsi attraverso quello spesso vetro decorato, ricordò dalle sue visite passate alla basilica un ingresso dall'alto, proprio all'entrata del luogo sacro; il percorso era pericoloso e la luna ormai alta nel cielo.

Tornato all'altro estremo del lungo edificio, si sentì sempre più spossato, e tuttavia utilizzò con freddezza parte della corda che era avanzata oltre il nodo servito a fissarla alla punta delle freccia. Vide però che questa non bastava e così, nell'angusto spazio simile ad un


lucernino, si lasciò cadere all'interno dell'edificio, invocando se non altro una morte rapida ed indolore.
























VIII

Non seppe mai quanto tempo era rimasto disteso sul pavimento marmoreo; quando riprese conoscenza ne passò tuttavia dell'altro cercando di riprendere nuovamente le forze.

Per terra il sangue abbondava in pozze e veri e propri rigagnoli: non era il sangue di Marco ma quello di altri, i cui resti mortali giacevano non lontano dal Veneziano.

Accusò ben presto un dolore all'anca che intuì essersi lussata nella caduta vertiginosa; alzando lo sguardo si accorse che tutto l'ambiente era completamente buio, fatto salvo per la poca luce che passava attraverso la vetrata oscurata in alto ed alcune luci lontane.

Una di queste sembrò avvicinarglisi e Marco rammentò improvvisamente dov'era e perché, e si rese conto con un brivido di lucidità che probabilmente pendeva su di lui un ordine di cattura

Fu rapido nel nascondersi dietro un piccolo altare laterale.

"Ho sentito un tonfo provenire da qui ti dico!"

"Allora saresti dovuto venire a controllare subito, idiota, non venire a chiamare me"

"Ricorda, il capo ha detto di perlustrare in coppia la zona, non possiamo rischiare."

"Beh, qui non c'è nessuno, la porta è ancora sigillata, non possono essersi accorti ancora di niente, torniamo dagli altri , dobbiamo trovare ancora l'ingresso segreto dove quel cane è scappato".



Marco non era certo di avere afferrato tutto alla perfezione; si mosse lentamente dal suo rifugio e cercò disperatamente di fare il punto della situazione

"Quelle morte per terra sono le guardie dell'imperatore, mentre quelli erano i sicari dell'ambasciatore.. sono arrivato tardi.ora devo salvare l'imperatore".

Il da farsi non risultava però così immediato come era stata la sua decisione, così che giunto nei pressi del grande altare oltre il transetto aguzzò la vista per meglio identificare i volti dei cospiratori.

"Presto, muovetevi, l'ho visto andare da questa parte, non può essere lontano"

"Signore, sono già diversi minuti che perlustriamo, ma con questa poca luce e con con il pericolo che le guardie si accorgano della nostra presenza non possiamo lavorare come vorremmo"

Marco tratteneva perfino il respiro

"Hai spostato i corpi dei caduti dentro la chiesa? Hai sigillato le porte? Se sì abbiamo ancora un'ora buona, perlomeno finché dal Palazzo Imperiale non si accorgeranno del ritardo dell'Imperatore, ed ora, muovetevi!".

L'uomo che dava ordini indossava un cappuccio ma, per sbraitare meglio, era rimasto per qualche istante a volto scoperto così che Marco riconobbe in lui il taciturno cavaliere che aveva incontrato qualche ora prima.



Non notando traccia di Giovanni né di altri che conoscesse decise di tendere l'arco ed uccidere il capo dei sicari e di gettare così nell'angoscia tutti gli altri, non dovevano essere più di una ventina, rimanendo nell'ombra .

Trovato un rifugio laterale da dove la posizione del suo obiettivo era ben illuminata da una torcia incoccò una freccia, la più appuntita che aveva con sé, in direzione del busto, che sembrava non coperto da corazze abbastanza resistenti da respingere il dardo.

Fu questione di attimi ed un urlò riempì nuovamente la sala silente; subito gli sguardi attoniti di tutti si diressero verso il punto da cui proveniva il lamento.

Questo non era tuttavia vicino alla torcia che aveva illuminato il bersaglio ma qualche metro prima, nel mezzo dell'oscurità. Marco vide un uomo ferito a terra.

"La mia solita sfortuna..non poteva passare altrove quell'idiota..".

"Presto, dividetevi e trovate chi ha scoccato questa freccia ed attenti, deve riuscire a vedere anche nel buio!" disse l'uomo incappucciato, urlando ad alta voce e scrutando ovunque il suo sguardo riusciva a focalizzare qualcosa nella tenebra.

Il rumore dei passi si avvicinò diverse volte al suo nascondiglio ma fortunatamente non fu scoperto; Marco pensò che comunque era riuscito a far perder tempo agli assalitori e forse a scoraggiarli.

"Idiota, deve essere una guardia che ha finto di esser morta, eppure ti avevo detto di andare a controllare", sbraitò l'incappucciato


"Signore, guardate! Abbiamo trovato la botola, porta ad una tunnel sotterraneo"

"Presto allora, cinque rimangano qui a coprirci le spalle, gli altri con me."

Marco non comprese del tutto l'ultimo scambio di frasi, visto che gli uomini ora avevano ripreso a bisbigliare, vide però la maggior parte del gruppo allontanarsi e calarsi in una fenditura vicino l'altare.

Rimasti soli, i sicari decisero di creare una barricata presso l'altare che fosse difendibile da eventuali attacchi; lo stesso arciere non poteva colpirli dalla posizione in cui si trovava.

Il tempo era tuttavia prezioso e non sapeva se l'imperatore necessitasse di aiuto o se fosse in grado di cavarsela o se peggio fosse già morto, non poteva comunque certamente rimanere lì con le mani in mano.

Mossosi al di sopra di una panca, spense tutte e tre le torce lasciate imprudentemente fuori da ogni riparo e così, nel buio più totale, si avvicinò silenziosamente all'altare. Per confondere chi era in ascolto lanciò ogni oggetto che trovava, sedie o piccole panche, in ogni direzione e creò così tanta confusione che i sicari si dettero alla fuga prima che giungesse, attraverso uno spazio laterale, alla sua meta.

Tra bestemmie ed imprecazioni sussurrate, i loro passi si spensero in lontananza e Marco intuì che i rumori che seguirono erano quelli delle spranghe poste internamente a difesa del grande portone della Basilica che venivano rimosse. I sicari ingaggiati dovevano essere


poco più che briganti da strada, inesperti nel muoversi in ambienti così poco familiari come quello.

Sebbene non avesse la certezza che non si trattasse di un

tranello, si avvicinò alla barricata e trovo fortunatamente l'entrata della botola poco lontano da un tizzone ancora luminoso di una torcia da poco spenta. Scese per una scala a muro, evidentemente antica quanto la basilica stessa e odorosa di muffa per qualche metro e si ritrovò in un grande corridoio in pietra.

Nuovamente al buio, riuscì a scorgere in lontananza una luce e, percorsa qualche decina di metri, rimase abbagliato dalla luce di decine di torce incastonate nelle mura ad anelli di ferro. La luce risultava tanto più accecante quanto disorientante era stata fino a quel momento la tenebra.

Il corridoio curvava in continuazione; dopo qualche minuto, sbucando dall'ennesima svolta, si trovò di fronte diversi cadaveri. Quelle che dovevano essere delle trappole erano scattate ed ora tre corpi ancora sussultanti giacevano ai suoi piedi trafitti da innumerevoli frecce.

Proseguendo, il corridoio sfociò in una grande stanza lunga una trentina di metri, alla cui estremità opposta un gruppo numeroso si affollava.

Marco ebbe l'accortezza di rimanere nascosto e spiò ciò che accadeva: un piccolo fortino si ergeva, ad una decina di metri al di



sopra del terreno e da lì le guardie tenevano a bada i tentativi dei sicari di salire.

L'Imperatore doveva essere lì e con lui non potevano che esserci più di tre guardie, a giudicare dalle piccole dimensioni di quello che doveva essere l'estremo rifugio in caso di pericolo: prima che potesse tuttavia essere visto od agire per cogliere gli assalitori di sorpresa, udì dei passi avvicinarsi alle spalle.

Per un attimo, ritenendo che dovessero essere soldati imperiali, fu sul punto di andare loro incontro ma, ricordando di non poter essere senza dubbio identificato come amico, preferì accucciarsi in un angolo buio della grande stanza. Nessuno dei sicari si accorse del suo arrivo, ma si volsero subito contro i nuovi arrivati.

Rimase deluso: il nuovo gruppo era composto da alleati dei sicari e riconobbe tra loro l'ambasciatore veneziano.

"Stavamo pattugliando la zona quando abbiamo catturato i tuoi uomini in fuga, pensavo non fosse rimasto più nessuno, Angelo", esordì l'ambasciatore.

"Penserò a loro più tardi, ora devi aiutarci a stanare questi cani, sono lassù, deve essere una piccola stanza: sono in trappola!"

"Fortunatamente per te sono passato a casa del custode che mi ha rivelato l'esistenza di questo posto e così mi sono procurato un paio di scale, UOMINI!".

Al comando cinque soldati, molto meglio armati ed equipaggiati dei sicari, portarono due scale in che colmarono la differenza di altezza,


i rampini di ferro si fissarono e le guardie imperiali non riuscirono a sganciarli.

Il primo dei sicari che tentò di salire si ritrovo con un urlo agghiacciante con un moncherino che sprizzava sangue al posto di una mano. Marco decise di intervenire uscendo allo scoperto.

Prima che potesse muoversi, tuttavia, altri passi echeggiarono dal corridoio alle sue spalle ed in pochi istanti vide un altro uomo dal volto coperto, seguito da una decina di guardie, che urlando distolse l'attenzione di tutti dalle scale all'ingresso.

La lotta fu ferrata e stavolta Marco non indugiò oltre, scoccando diverse frecce micidiali con il proprio arco dal proprio rifugio e abbattendo almeno tre nemici: ben presto, tuttavia, i rinforzi furono sopraffatti e lui stesso dovette uscire dal suo rifugio per salvare il misterioso uomo da poco arrivato, uccidendo con un colpo preciso da dietro un soldato dell'ambasciatore.

Per pochi istanti riuscì a guardare in volto, ora scoperto ed insanguinato, colui che aveva salvato: era Costante, l'alto prelato.

Erano rimasti solo loro due, ed erano circondati dai nemici; l'ambasciatore con Angelo si avvicinò ai due sorridendo.

"Guarda guarda, chi si vede Costante Dragases, uno dei migliori agenti segreti dell'Impero..forse ormai troppo vecchiotto per continuare ad esercitare questo rischioso mestiere, forse è il caso tu ti riposi, per sempre", disse Angelo, e poi si rivolse a Marco:



"E tu.non sei l'aiutante di Giovanni, quello che oggi sono stato mandato ad aiutare? Così mi ringrazi?"

"Silenzio, sei un traditore dell'Impero, sarai arrestato e processato, hai abusato del tuo ruolo in corte per.." ma Costante fu ammutolito da una spada, quella del suo interlocutore, che la puntò minacciosamente alla gola.

"Qui sono io che parlo, ed ora vi dirò addio, non abbiamo molto tempo e dobbiamo finirla qui!"

"Esatto, e dopo penseremo anche a Giovanni , probabilmente si sarà nascosto da qualche parte, è sempre stato un vile codardo, e dopo penseremo anche alla sua famiglia a Venezia", aggiunge l'ambasciatore.

Stavano per colpire i due uomini inermi, quando una scarica di frecce colpì il cerchio di uomini intorno ai due e, senza pensarci due volte, Marco e Costante si mossero fulmineamente in direzione dei dardi, sperando di trovare un volto amico.

Questa volta non rimasero delusi: Giovanni, guidando un drappello di uomini, irruppe nella stanza seminando la morte tra gli assalitori. Mentre lo scontro si faceva violento Angelo arrivò fino a Marco, intenzionato a finirlo con il grande martello da guerra che aveva con sé; nell'istante in cui sferrò il micidiale attacco, Costante si parò davanti a Marco, facendogli scudo con il proprio corpo.

Colpito a propria volta, subito dopo Angelo cadde morto sopra il corpo del falso prelato.



"Perché lo hai fatto?", chiese Marco a Costante, pallidissimo in volto.

"Sono vissuto abbastanza per svolgere il mio dovere, ora tocca a voi salvare l'imperatore Salvatelo, se tenete all'Impero, altrimenti finirà in mano ai Ven..".

Le ultime parole si confusero, mentre la luce si spegneva nei suoi occhi ed il corpo fu scosso da un breve ma spasmodico tremito e quindi giacque sul pavimento dell'antro, senza più vita. Marco gli chiuse pietosamente le palpebre sugli occhi sbarrati e, raccolte le ultime energie, impugnò la spada e si diresse nella mischia.

La lotta era quasi terminata, tanto che solo l'ambasciatore era rimasto in un angolo a combattere: quando vide Marco avvicinarsi minaccioso verso di lui, abbandonò la spada e si inginocchiò chiedendo di essere risparmiato, ma la lama del mercenario era già scattata implacabile verso il suo ventre, protetto soltanto da una fragile cotta di maglia intrecciata, e lo pqassò da parte a parte violentemente.

Appena l'ultimo nemico crollò a terra con un gemito strozzato, le energie residue lo abbandonarono improvvisamente e Marco cadde a terra sfinito.







IX

Allontanatosi in tutta fretta dall'incontro che tanto lo aveva turbato, Giovanni si era diretto all'osteria a Pera, nella quale da sempre si recava al termine di una campagna e per reclutare uomini e per ristorarsi in compagnia dei suoi compatrioti.

Si domandava se avesse fatto bene ad abbandonare così bruscamente l'amico; comprendeva fin troppo bene il desiderio di Marco di tornare a casa dai suoi cari, tenere una vita normale: il sogno che tante volte aveva confidato al suo comandante.

Entrato nel'osteria, andò ad occupare il suo solito posto e come sempre si guardò attorno in cerca di volti nuovi e conosciuti.

"Ehi, Giovanni, sei tornato in cerca di nuovi valorosi soldati eh? Giusto tre giorni fa è arrivato un gruppo di barbari delle steppe, sono forti, indomiti e si accontentano di una paga modesta!"

"Andrea, sai bene che prendo soltanto soldati latini con me, non mi fido dei nomadi e, vivendo nei campi di battaglia, capiresti cosa intendo".

Andrea era un vecchio genovese che viveva ormai da quasi trent' anni nella capitale, dove aveva ottenuto l'ambito ruolo di capitano mercenario; era lui che metteva in contatto coloro che arrivavano a Bisanzio per esercitare il mestiere delle armi ed i comandanti imperiali che venivano in cerca di nuove reclute.

Purtroppo per Giovanni, non vi erano quella volta molti volontari che soddisfacessero le sue esigenze e, a detta di Andrea, non ne


sarebbero giunti altri nelle prossime settimane. Il reclutatore, che era in contatto anche con i vertici politici di Galata, gli consigliò vivamente di allontanarsi quanto prima dalla città.

In quell'istante erano entrate nella locanda una decina di guardie della milizia, che sommariamente ripeterono un discorso analogo e quello ascoltato da Marco, aggiungendo che, se avessero deposto le armi e seguito loro senza creare disordini, avrebbero avuta salva la vita.

Giovanni voleva tentare una soluzione pacifica, quando un paio di genovesi emersero dalle spalle delle guardie indicando quelli che erano a loro detta Veneziani; fra di loro Giovanni riconobbe uno dei commercianti con i quali la mattina stessa era arrivato nel quartiere mercantile di Costantinopoli.

Le guardie abbandonarono i buoni propositi ed estrassero dal fodero le spade.  Un paio di Veneziani rovesciarono contro di loro un grosso tavolo sul quale poco prima stavano brindando e furono ben presto aiutati da tutti gli altri loro compatrioti presenti nel locale, ed anche da qualche altro straniero che voleva menar le mani contro l'autorità tanto detestata. Le guardie furono messe in fuga e a loro si unì il padrone della locanda, un Genovese. Nel frattempo gli uomini si erano messi ad ammucchiare al centro del locale tutti i tavoli, le sedie ed ogni altro oggetto potesse aiutarli nell'erigere una barriera. La corazza di Giovanni gli valse il rispetto da parte di tutti gli altri, che decisero di seguire i suoi ordini intuendo in lui un veterano di guerra.



Le guardie caricarono in gran numero, spazzando via ciò che era stato posto a difesa di porte e finestre, la lotta era ora all'interno dell'osteria e si era rivelata da subito senza tregua. Giovanni uccise quattro soldati, ma rimase lievemente ferito ad una spalla e preferì allontanarsi dal luogo dello scontro, dove i suoi alleati stavano avendo la peggio contro la milizia, meglio equipaggiata ed organizzata.

Si diresse verso la cantina inseme ad un paio di Veneziani che aveva sottratto alla lotta al piano di sopra; mentre sbarravano la porta alle proprie spalle sentirono qualcuno gridare : "Al fuoco!".

Le fiamme avrebbero senz'altro tenuto alla larga chiunque da dove si trovavano, ma a loro volta avrebbero rischiato di venir soffocati dal fumo.

Nella speranza di trovare una botola che conducesse fuori dalla cantina, Marco e gli altri si misero disperatamente a cercare sul pavimento lurido con l'aiuto di qualche candela che brillava vagamente nel buio del locale, umido e zeppo di file e file di bottiglie polverose di vino.

Una voce conosciuta si fece sentire fragorosa, in tono allegro:

"Dovresti sapere che noi Genovesi non apriamo mai una locanda senza un passaggio segreto".

" .Andrea? Sei tu!"

Il vecchio mercenario uscì fuori dal nascondiglio dove si era rannicchiato e, scostandosi, rivelò ai tre un piccolo passaggio che conduceva in un antro semibuio.


I quattro impiegarono diverse ore per muoversi attraverso quello stretto passaggio costruito secoli prima e probabilmente non utilizzato da decenni, a giudicare dalla polvere, dalla ragnatele e dai grossi ratti smagriti dagli occhi gialli ed allucinati che intralciarono il loro cammino. In più di un punto c'erano stanti anche dei cedimenti del muro e dovettero usare le mani per rimuovere tutti gli ostacoli e proseguire. Il tempo passato lì sotto sembrò un' eternità a Giovanni, e lo spazio percorso tale che, se fossero sbucati a Dite, non si sarebbe meravigliato.

Con suo sommo piacere notò, all'uscita in superficie, che si trovavano in una stradina vicina al mare, tanto che il frangersi delle onde sulla costa riecheggiò come una dolce melodia alle orecchie dei superstiti.

Il vecchio genovese offrì loro un rifugio sicuro nella sua casa, o meglio nella stalla a questa adiacente, dove avrebbero potuto riposarsi e rifocillarsi prima di riprendere il cammino verso la salvezza. L'unico a rifiutarsi era stato Giovanni: doveva ancora risolvere una questione che era passata in secondo piano fino a poco prima ma che ora, scampato alla morte, tornava ad invadere prepotentemente la sua testa. La sorte dell'amico, che aveva abbandonato senza spiegazioni, era a rischio per causa sua.

Salutato il gruppo e ringraziato Andrea, al quale giurò riconoscenza, prese possesso di una piccola barca sulla banchina e veleggiò in direzione della Città.




X

Arrivato al porto, l'unico luogo dove poteva sbarcare senza trovarsi di fronte la grande muraglia che proteggeva la città da eventuali attacchi sulla costa, ormeggiò e scese a terra, cercando di confondersi tra i pescatori che a quell'ora stavano rincasando dopo una dura giornata di lavoro.

Era riuscito a fare pochi passi, tuttavia, quando il suo abbigliamento militaresco suscitò il sospetto di un gruppo di soldati che lo presero alle spalle immobilizzandolo. Fu trasportato d'urgenza al più vicino posto di guardia per effettuare un riconoscimento.

"Lasciatemi, sono un comandante delle forze imperiali di ritorno da una campagna, vi farò imprigionare!" sbraitava il Veneziano, già temendo in cuor suo la fine di tutte le sue avventure, una fredda fine in una cella delle prigioni cittadine, in compagnia di ladri e truffatori.

Sebbene le sue urla non avessero spinto alcun abitante in suo soccorso, né avessero anche solo lontanamente convinto il drappello di uomini che lo conduceva, un uomo incappucciato si avvicinò a loro.

"Via di qui, cittadino, non intralciare lo svolgimento degli ordini dell'Imperatore o verrai arrestato", intimò subito una guardia.

L'uomo fece segno a questa di avvicinarsi e, le sussurrò qualcosa di incomprensibile agli altri, mostrandole al contempo un oggetto estratto dalla bisaccia che teneva appesa al collo. La guardia urlò alle altre di rilasciare il prigioniero. I suoi commilitoni, sbigottiti, lasciarono


andare Giovanni, che si ritrovò solo con il suo salvatore dopo che la milizia si fu allontanata.

"Ti devo la vita, amico, però non so chi ancora tu sia"

"Oh, sì che lo sai, anche se forse non sai tutto"

La voce risuonava alterata dalla stoffa del cappuccio che avvolgeva l'intero capo dell'uomo, ma quando questi se ne liberò, Giovanni esclamò, riconoscendolo:

"Costante, sei tu! Cosa ci fai qui?"

"Ci sono molte cose che non sai di me, però sappi sono qui per salvare l'Imperatore da un tentativo di assassinio"

"C..cosa? Allora tu sai.."

Costante si era subito insospettito e guardò minacciosamente Giovanni

"Anche tu sai? Non mi dire che sei uno di loro, altrimenti dovrò finirti io stesso qui, allora!"

"Sono stato rintracciato dall'ambasciatore affinché mi unissi a loro, ma non ne ho la minima intenzione, credimi."

"Ti credo, Veneziano, mi hai salvato la vita già una volta ed ora ti ho restituito il favore. Nel tempo trascorso con voi ho intuito che siete fedeli all'Impero ed ora che tutto è corrotto dall'oro di Venezia, non so più di chi fidarmi. Devo chiederti nuovamente di salvare una vita, non la mia però, quella dell'Imperatore".




"Io? E cosa posso fare da solo? Cosa potremmo fare in due? Un soldato stanco da una giornata di scontri ed un vecchio sacerdote che gioca a fare la spia?"

"Eh, eh! Ti ho detto che tu non mi conosci realmente, tieni questo foglio e consegnalo agli uffici della guarnigione imperiale presso il palazzo dei Cesari, solo lì troverai uomini sicuramente fedeli all'imperatore: colui che doveva svolgere questo compito è stato assassinato la notte scorsa!"

"E cosa dovrei fare dopo? E tu cosa farai?"

"Prenderai il comando degli uomini e verrai a Santa Sofia, devi fare presto però, guarda, la notte è ormai calata."

Proferite queste ultime parole, gli voltò le spalle e si allontanò di gran carriera nelle strade che si perdevano in lontananza.

Senza altre possibilità, si vide costretto ad obbedire agli ordini ricevuti e si incamminò anche lui in direzione dell' Hebdomon.

Arrivato di fronte alla maestosa sede delle forze imperiali, fu immediatamente fermato e, se non avesse rapidamente mostrato la lettera consegnatagli da Costante, avrebbe probabilmente perso molto tempo per spiegare la situazione. La lettera era breve e scritta velocemente con una calligrafia degna di un analfabeta; tuttavia, il timbro posto in calce servì efficacemente da lasciapassare per lo spaventato Giovanni, che entrò timoroso nel grande edificio.

Fu accompagnato, questa volta non come prigioniero ma come ospite, in un ufficio al primo piano, dove un uomo, che i complicati


segni di riconoscimento del grado utilizzati dai Bizantini identificavano di alto livello lesse nuovamente la lettera e, senza chiedere altre spiegazioni, fece chiamare una ventina di uomini, in tenuta da battaglia, comunicando a Giovanni che adesso doveva considerarli ai suoi ordini.


Rinvigorito nello spirito e nelle membra dall'indubbio onore di guidare un corpo scelto di guardie imperiali, si sentì per la prima volta un vero e proprio uomo di legge. Vide tutti i loschi figuri che popolavano la città scappare via al loro passaggio, i mercanti spaventati togliere dai banchi tutte le merci di dubbia provenienza ed altri che offrivano loro dei doni con atteggiamento di grande rispetto.

Arrivarono nei pressi di Aghia Sofia quando Mezzanotte era ormai già passata da un pò.












XI

Sembrava essere una normale mattina come tante altre in quell'anno, il 1171, a Bisanzio, nel Palazzo dell'Imperatore. Qualcosa di diverso, però, si rifletteva negli sguardi assorti e stupiti di Giovanni e Marco, che si trovavano lì.

"Non so quanti nostri compatrioti siano mai potuti entrare qui", continuavano a ripetersi sbalorditi: l'ingresso speciale gli era stato concesso per meriti straordinari e per ricevere un premio dall'imperatore in persona per le gesta compiute qualche giorno prima.

"Come va la tua ferita, Giovanni?"

"Era soltanto un graffio, la cotta di maglia ha attutito il colpo"

"Quante volte ti ho detto che non è importante uccidere l'avversario quanto farlo evitando che il suo colpo vada a segno? Finirai per farti ammazzare"

"Veramente mi sembra sia tu quello che è sempre lì lì per lasciarci le penne"

"Silenzio", lì ammonì un eunuco che li guidava attraverso i corridoi affrescati di stupendi mosaici; in Italia ne erano visibili di simili solo nei luoghi che un tempo erano esarcati bizantini.

Furono condotti in una piccola sala, non troppo distante da quella del trono, dove avrebbero potuto discutere con l'Imperatore senza destare scalpore nella corte: dopotutto erano Veneziani.




La stanza era intrisa della sfarzosità tipica di ogni ambiente del palazzo; mosaici, affreschi e grandi arazzi multicolore abbellivano il soffitto e le pareti e tappeti orientali riempivano ogni centimetro quadrato del pavimento.

In particolare, uno degli arazzi rappresentava la cerimonia di incoronazione in uso nell'Impero. Ma i due Veneziani quasi non ebbero modo di notare alcuna di quelle meraviglie; la loro attenzione fu infatti calamitata da una figura imponente, seduta su un trono piccolo ma tempestato di gemme preziose: smeraldi verdi con l'acqua marina, rubini color del sangue vivo, ametiste di un viola accesoL'Imperatore era un uomo non particolarmente alto, ma che si faceva notare per lo sguardo fermo ed il portamento naturalmente maestoso. Una sottile barba nera nella quale cominciavano ad apparire macchie grigie, gli incorniciava il volto dalla carnagione scura, mentre gli occhi dallo sguardo acceso e vivace si appuntavano sui due uomini, che riconosciutolo si erano genuflessi chinando il capo.

Un enorme rubino incastonava la corona dell'Imperatore; ancor più grande era quello che Marco riconobbe, insieme a zaffiri diamanti ed altre pietre preziose, sull'inestimabile copricapo del sovrano.

L'Imperatore scese dal trono dopo aver dato loro il permesso di rialzarsi e in tono informale li fece presentare. Dopo aver riconosciuto loro i meriti per le loro azioni e promesso una lauta ricompensa in oro, arrivò al punto che gli stava a cuore:



"Se vi ho convocati così presto nonostante quello che vi successo è perché la situazione è particolarmente delicata. In quanto Veneziani la vostra presenza qui è a rischio, perlomeno per quanto concerne i prossimi tempi. Le ostilità con la Serenissima sono più che mai accese, e presto Vitale II, nella sua qualità di Doge dovrà rispondere dei diecimila arrestati a tutti i suoi concittadini ed a voi restano solo due scelte: reimbarcarvi per Venezia sotto una falsa identità o restare qui"

"Reimbarcarci? Con una nave imperiale forse?" chiese Giovanni,

"Certamente no!", un lievissimo sorriso divertito increspò le labbra del sovrano, "Domani mattina all'alba una nave colma di facoltosi veneziani riuscirà a "fuggire" dal porto con parenti e servi riscattati a caro prezzo; la guerra ha un costo e devo trovare il modo di sostenerla, se poi posso farlo con l'oro del nemico tanto meglio".

"Guerra? Quale guerra, Maestà?" intervenne questa volta Marco

"Quella con Venezia, naturalmente. Ma prima di conoscere i dettagli dovete rispondere alla mia domanda: volete prendere il posto di Costante, che a quanto pare con le sue ultime parole ha indicato voi come utili risorse per l'Impero, o tornare a casa?"

"Non possiamo tornare a casa, conoscono i nostri volti ed ora più che mai siamo destinati ad essere considerati dei traditori della patria" risposero accorati i due,

"Però non aveva parlato di entrare al servizio delle vostre guardie personali, io.."



"Lo so, Marco Leone, hai una famiglia qui, e vorresti tornare da loro.. Purtroppo al momento sarà meglio per tutti voi non essere imparentati con i Veneziani e quindi tu sei ufficialmente morto al fronte e tua moglie è un'aristocratica vedova di un soldato, per di più di origini bizantine."

"Ma.. lei sa la verità?", la voce di Marco era quasi implorante e lui, pur rendendosene conto, non riuscì ad evitarlo

"Lei sa che sei vivo e che tornerai da lei quando tutto sarà finito, ora sta a te decidere cosa fare, e se vorrai aiutare l'Impero a risolvere presto l'annosa ostilità con Venezia. Per quanto riguarda te Giovanni, non credo vorrai tornare a Venezia né tantomeno al fronte, non quando ti offro un ingaggio ben più alto di qualsiasi tuo pari in qualsiasi zona di guerra!"

Scambiatisi una rapida occhiata i due capirono che non avevano scelta, non era saggio non accettare la cortesia che il Comneno aveva mostrato loro.

" Accettiamo, ora vogliamo i dettagli, però".

"Bene, di questo parlerete con il mio fido Harold, appena ristabilito da una malattia che lo ha reso inabile nelle ultime settimane"

L'Imperatore si alzò dal trono e con la mano, sorridendo, fece loro comprendere che l'udienza era terminata.

"So che vorreste porre altre domande, ma devo prepararmi all'eventualità di un conflitto, discutere con ambasciatori stranieri ed organizzare il riarmo dell'intera flotta imperiale..". Le ultime parole


sfocarono dopo che Giovanni e Marco furono fatti uscire da un valletto dalla sala e la grande porta si chiuse dietro di loro.

L'attesa del capo della guardia variaga fu lunga ed i due, seduti in una sala molto più piccola dove il valletto li aveva condotti dopo l'udienza,  ebbero tempo di riflettere sulle decisioni prese, che ora, in assenza dell'Imperatore, sembravano loro essere state prese troppo impulsivamente. Erano passate tre ore quando Harold, un uomo piccolo ma robusto, dal naso aquilino e la voce possente, arrivò.

"Sarò breve", esordì, e subito i due ricobbero il fortissimo influsso anglosassone nel suo parlato, lento e sillabato

"Il compito di Mark sarà quello di imbarcarsi in incognito su una nave della flotta Veneziana da dove è ancorata ora fino all'isola di Creta e lì attendere gli ordini successivi. Nel frattempo ci terrà informati!"

Qualcosa, nel tono altezzoso dell'uomo, oltre che nella sua comunicazione di quelli che avevano tutta l'aria di essere ordini non discutibili, urtò la   suscettibilità del mercenario.

"Il mio nome è Marco, e comunque la cosa non sarà facile, potrebbero riconoscermi subito"

"Ciò non accadrà: hanno bisogno di uomini ed assolderanno qualunque Veneziano, e voi non dovreste aver problemi a sembrare un Veneziano, o sbaglio?"

Stavolta fu Giovanni a rompere la tensione, sbottando in una risata spontanea; Marco, al quale il motto di spirito dell'Inglese non era



proprio andato giù, stava per rispondere a tono, ma di colpo l'ira si attenuò e si limitò a borbottare " MMh..".

Come se non ci fosse stata alcuna interruzione, Harold continuò:

"Giovanni, invece, in un primo momento si dirigerà a Nasso, dove dalle nostre informazioni è probabile si dirigerà la flotta veneziana prima di dare battaglia nel Dardanelli. Inutile ricordare quanto sia grande la fiducia riposta in voi da Sua Maestà, e quanto grande il rischio che correte nel non corrisponderla, in particolare voi, Marco."

"State forse minacciando la mia famiglia?" Il tono di Marco fu così gelidamente furioso, stavolta, che le guardie attorno si "attivarono" dal loro stato di torpore anche se, constatato che il Veneziano era disarmato e non intendeva chiaramente aggredire il segretario dell'Imperatore, si riaccostarono immediatamente alle pareti presso le quali erano in attesa, in postura marziale.

"Giovanni partirà stasera stessa, accompagnato da Kolskegg, un uomo di mia completa fiducia, che rimarrà con lui per tutta la durata della missione", Harold indicò alle loro spalle un alto guerriero dai capelli e dalla folta barba biondi, emerso dall'oscurità quando aveva sentito pronunciare il suo nome

"E come diavolo potrei non dare nell'occhio ai Veneziani con un vichingo del genere alle spalle?" sbraitò l'ex comandante.

"Sono certo che non parla nè comprende il Greco!

"Questo sarà un vostro problema, per ora non posso permettermi di rischiare che decidiate di unirvi al nemico e rivelare preziose


informazioni, per cui dovrete accettare la sua compagnia. Kolskegg è un abile guerriero e compensa la sua poca padronanza con le lingue con straordinarie capacità nel tiro della lancia, nella spada e nell'arco In quanto a Marco, partirà da solo, siamo certi che non rischierà che i Veneziani prendano la città e possano fare del male alla sua famiglia.".

La minaccia, perchè in realtà di quello si trattava, rinfocolò la rabbia sopita in Marco, ma decise di stare al gioco e con un freddo sorriso chinò il capo in segno di sottomissione e di perfetta comprensione degli ordini appena impartiti.


Il pomeriggio trascorse rapidamente nel giardino del palazzo, dove furono offerti ai due cibi e bevande degni del miglior re; non poterono, tuttavia, evitare di pensare all'ultimo pasto del condannato a morte

"E così, Marco, domani partirai con quei grassi Veneziani che si sono comprati la libertà a suon di monete d'orohai intenzione di rivedere Irene prima di partire..sai..potresti non avere più occasioni in futuro..sai cosa intendo.."

"Temo che mia moglie ed i miei figli non possano scegliere di uscire di casa  liberamente, però per qualche bisanzio ho convinto un servo a portarle una mia lettera, spero le arrivi, non so quanto possa fidarmi di ciò che ha detto l'imperatore.. A quest'ora potrebbero già credermi morto od in una prigione in qualche parte dell'impero".




XII

Era ancora notte quando Marco fu svegliato da un valletto imperiale nella piccola stanza nella sezione dell'edificio riservata agli ospiti meno illustri e portato nell'armeria della guarnigione imperiale, collegata al palazzo tramite un tunnel sotterraneo.

"Scegliete le armi che preferite, sono tutte di ottima fattura e sono affidate solo al meglio del meglio dei servitori dell'Impero", disse con un chiaro orgoglio nella voce il mastro armiere,

"In effetti non so perché vi sia concesso tanto onore", aggiunse

Borbottando.

Fingendo di essere ancora insonnolito e di non aver pertanto capito quest'ultima frase, Marco cominciò a perlustrare con rigore marziale la vasta armeria in cerca di qualcosa di adatto.

"Questa cotta di maglia sembra perfetta: non voglio altro, oltre ad un paio di schinieri e di spalliere, non voglio essere troppo appariscente come il mio comandante"

"Chi? Quel villano che ieri sera ha fatto irruzione qui dentro arraffando a destra e manca armamenti pregiati? Vorrei vedere chi mai seguirebbe il suo esempio"

"L'esempio di rischiare la propria vita per quella dell'imperatore?", ammutolito il fabbro provò diversi pezzi di armature sul corpo del soldato finché non furono trovati quelli adatti .

"Ora mi serve una spada, la mia non so bene che fine abbia fatto durante lo scontro. Per esempio, queste non sembrano affatto male",


gettò l'occhio ad alcune finissime lame poste in posizione di rilievo in un angolo della sala.

"Veramente, mi è stato consigliato di mostrarvi una lama speciale, forgiata da mio nonno ma tagliente come non maiSeguitemi, per favore"

In un piccolo baule vicino alla fornace, posto lì da poco vista la poca fuliggine che si era depositata sopra, giaceva una spada di manifattura all'apparenza fin troppo semplice, che non impressionò a prima vista il giovane.

Impugnatala su invito dell'uomo, tuttavia, la trovo perfettamente equilibrata e bilanciata, leggera ed allo stesso tempo robusta, lunga, affilata ed all'apparenza molto resistente.

"E qui cosa c'è?"

"Oh, vedo che non ci avete messo molto a scoprire le particolari caratteristiche di questa lama"

Una sottile scritta era impressa per tutta la lunghezza della lama e, sebbene alcune lettere fossero usurate dal tempo e dall'utilizzo, si riusciva a leggere in greco: " ad Edgar Aetheling, fiera lama dell'Impero".

"Quell'Aetheling?", chiese Marco, ora chiaramente colpito dall'arma che stringeva nella mano destra

"Ne conoscete forse altri? Proprio quell'Aetheling, il fiero principe inglese che ottant'anni or sono servì l'Imperatore!"




Ancora non del tutto convinto che quella fosse la lama migliore fra quelle che aveva visto prima, chiese al vecchio:

"E perché proprio questa? Perché a me che non sono inglese né una guardia variaga?"

L'armiere fece una smorfia, quasi di sofferenza fisica sul volto rugoso.

"Questa spada apparteneva a Costante. Come da tradizione, alla morte di colui al quale ne viene concesso l'uso, torna all'armeria imperiale! E' la ventesima volta dalla dipartita del primo proprietario"

"Venti morti in ottant'anni non sembrano una buona percentuale..", rise Marco

"Sarà ancora più emozionante sfidare la morte, allora! Costante ha sopportato questo fardello per quasi otto anni"

"Io potrei non riuscire a possederla per più di qualche giorno", nella voce del Veneziano ora si poteva percepire un tono di inaspettata malinconia

"Questo dipenderà da voi"

Marco giostrò l'arma per qualche affondo, poi, evidentemente soddisfatto, concluse: " D'accordo, la prendo!".

Sfregandosi le mani, l'armiere ci congedò senza neanche salutare il mercenario.

Marco, che si era approvvigionato di frecce e di una stupenda faretra in pelle venne quindi scortato da due guardie del palazzo attraverso i dormitori dei soldati e per lunghi corridoi. Alla fine rivide la


luce del sole, o meglio i primi raggi che questo emanava all'orizzonte, uscendo in un piccolo vicolo della capitale attraverso una porta che quasi scomparve alle sue spalle nascosta in una zona buia della strada.























XIII

Il porto era affollato di pescherecci in ritardo sulle normali tabelle di marcia che si affrettavano per partire a largo; solo un piccolo gruppo di persone, coperte da grandi mantelli scuri e scortate da guardie, avanzavano quasi in processione verso un grande vascello dalle dimensioni decisamente fuori luogo in un piccolo molo come quello.

La flotta imperiale era infatti ormeggiata nella zona del Corno d'Oro, per trovarsi più vicina possibile al luogo che era maggiormente a rischio di assalti nemici, ossia la piccola muraglia che proteggeva la città dal mare.

Nessuno di coloro che affollavano il porticciolo sembrava tuttavia interessato a ciò che stava avvenendo, o perché impegnato in altre attività o perché consapevole che ad immischiarsi degli affari altrui non ci sarebbe stato guadagno alcuno.

L'insolito spettacolo fu di breve durata, però, visto che poco dopo il vascello fu imbarcato in modo rapido e silenzioso.

Una volta lasciati gli ormeggi ed allontanatosi dal porto e dalle guardie i passeggeri abbigliati in quella foggia così bizzarra rivelarono il loro vero abbigliamento: ricche vesti di seta o di stoffe pregiate dai colori vivaci, in perfetta armonia con la giornata di sole incontrastato che si prospettava.

Marco, vestito con una semplice veste di stoffa il cui unico scopo era coprire gli abiti guerreschi, poco idonei per quel gruppo di civili, se ne stava sul ponte della nave da solo a guardare Costantinopoli che


veniva continuamente inghiottita dalle onde del mare piuttosto mosso. Ogni volta che riemergeva era più piccola, più lontana.

"Ehi, sguattero! Spero che almeno tu sappia quanto ci metteremo ad arrivare a Candia Quei pezzenti di Greci hanno preso i miei soldi ma non mi hanno degnato di una parola", esordì avvicinandosi a lui un mercante non di alto livello quanto altri a bordo, visto il vestiario modesto. Comunque, pensò disgustato Marco, abbastanza ricco da potere acquistare la propria libertà.

"Non saprei, mi trovo nelle tue stesse condizioni, amico"

L'uomo parve smarrito e i suoi occhietti volpini scrutarono velocemente di nuovo il Veneziano, alla ricerca di qualche segno di comunanza che evidentemente pensava essergli sfuggito

" Ah, scusami, visti i tuoi abiti ho ritenuto erroneamente fossi un marinaio pelandrone che contemplava il cielo"

"Ed invece no. rise Marco amaramente, " Mi hanno confiscato i miei vestiti ed ora sono costretto ad andare in giro come un galeotto". La battuta fu azzeccata, visto che il mercante subito fraternizzò con lui:

" Sono dei pidocchi, ci hanno costretto a fuggire come sorci dalla stiva e ci hanno derubato fino alla fine! Maledetti, ma la pagheranno, amico: ho saputo da altri mercanti più eminenti che la Serenissima non resterà a guardare ciò che sta accadendo, che una flotta partirà al più presto, o forse è già partita!"

"Davvero?" , rispose mostrando scarso interesse per quelle che riteneva essere solo chiacchiere prive di fondamento.


"Puoi giurarci! Non solo, si dice in giro che proprio a Candia sia ancorata la più grande flotta Veneziana mai riunita negli ultimi anni! Navi provenienti da tutti i territori dell'Egeo, dalle coste balcaniche e da Venezia stessa!"

"Ed a noi ce ne verrà qualcosa? Probabilmente verremo convocati ed interrogati riguardo gli ultimi avvenimenti di cui siamo a conoscenza", rispose unendosi alla discussione un altro mercante

"Esatto, magari ci accuseranno anche di tradimento alla Repubblica se siamo riusciti ad andarcene" disse un altro ancora. Ormai il gruppo di discussione si era allargato e tutti inveivano indiscriminatamente contro i Greci traditori, Venezia che li aveva abbandonati al loro destino e naturalmente contro i Genovesi ed i Pisani che erano a loro dire i veri responsabili di ciò che stava accadendo.

Approfittando della confusione che si stava creando sul ponte, Marco sgattaiolò via e si diresse il più lontano possibile dagli altri, desideroso come era di pensare e riflettere a ciò che era successo e che sarebbe accaduto di lì a poco.


Il viaggio durò meno del previsto grazie alle favorevoli condizioni meteorologiche e il vascello in poco più di una settimana attraccò al porto di Creta. Era pieno giorno e, sebbene non vi fossero molte navi attraccate, i mercati e la gente nelle strade animava quello che era, a confronto della città lasciata da poco, un piccolo borgo.



Tutti i passeggeri dimenticarono rapidamente i rapporti stretti con gli altri nel corso della settimana e si diressero al più presto alla ricerca di navi veneziane che li potessero portare in patria. Creta era territorio imperiale, sebbene gli ampi traffici con Venezia l'avessero resa, perlomeno nel porto, frequentata da mercanti e marinai di ogni dove. A differenza di molti altri territori però qui l'arresto dei veneziani era stato meno violento ed in pratica era stata offerta a tutti la possibilità di scappare o nascondersi in attesa di tempi migliori. Il governatore, si diceva, era in stretti legami con la Repubblica marinara.

Marco non sapeva bene da dove iniziare la sua missione né come avrebbe ricevuto gli ulteriori ordini, così non si affrettò a scendere dalla nave od ad allontanarsi dal porto; mentre chiedeva informazioni sulle migliori locande del posto fu raggiunto da un servo che lo pregò di seguirlo: sarebbe stato ospite del governatore per la cena.












XIV

La casa, più propriamente una villa, dominava l'intera città con un vista stupenda dall'alto; un grande giardino, racchiuso dal terrapieno, la separava dal territorio circostante, perlopiù campi di allevamento per bestiame, e lo stile architettonico ricordava vagamente quello di un'antica villa classica, con statue e fontane aggiunte ad abbellirla.

Non fu chiesto a Marco di posare le armi e fu fatto invece accomodare in un ampio salone dove avrebbe potuto attendere l'ora di cena; proprio qui lo venne a trovare un eunuco, probabilmente di alto rango, per conferire con lui.

"Il Capitano Leone?"

"Sono io"

"Il mio padrone, il governatore Niceforo, mi incarica di porvi qualche domanda"

Il servo appariva elegante, forse anche più del dovuto visto il suo

rango. Marco rimase impressionato, tuttavia, più dalla sua parlantina e dai suoi modi, degni di un vero affabulatore del palazzo imperiale.

"E perché queste domande non ho l'onore di sentirle direttamente dal Governatore?

"Voi capite, il Governatore è un uomo molto impegnato.però quando è stato avvisato che il nipote di Sua Maestà imperiale era sbarcato qui per controllare l'operato del governo di Candia, il mio



signore vi ha fatto subito chiamare per conoscervi.. Vi incontrerà questa sera. Ditemi, come sta vostra prozia Teodora? Un mio fratello serve presso di lei ed è molto non ho sue notizie".

Ancora scosso per la piega che gli avvenimenti stavano prendendo, Marco rimase per qualche secondo a pensare prima di rispondere:

"Allora non penso che abbiate bene inteso lo spirito del mio viaggio. Devo controllare la situazione nell'isola, non gozzovigliare in una villa di lusso, per quello c'è il palazzo imperiale! Ora gradirei andare in perlustrazione della città ed esaminare con i miei occhi l'operato del Governatore."

Il servo, imperturbabile, ribattè:

"Sarebbe meglio se voi riposaste..per lo meno un paio di ore, immagino il viaggio vi abbia stancato.."

"Ho detto di no, da quando in qua i servi danno ordini? Posso andare o devo passarvi a fil di spada per farvi tornare al vostro ruolo?"

"Oh sì certamente .prego lasciate i vostri bagagli a me, li farò portare nella vostra stanza dove, se vorrete, trascorrerete la notte. Vi prego di tornare in tempo per il banchetto di stasera, il vostro posto è alla destra del capotavola!"


Finalmente di nuovo all'aria aperta Marco riprese fiato e si congratulò con sé stesso per l'ottima improvvisazione; nessuno gli aveva però parlato di niente di simile, anzi gli era stata raccomandata


segretezza. Il suo intuito l'aveva fatto improvvisare, convinto che sostenere il ruolo della spia di alto lignaggio potesse favorirlo in quelle circostanze.

Mentre usciva lungo il viottolo dalla casa fu attratto da una statua di Atena che con la sua grande Egida vigilava su un lato della casa.

Avvicinatosi per osservarla, notò come lo scudo fosse costellato di gemme preziose, forse troppo preziose per essere nella disponibilità di un onesto governatore.

Una finestra non molto lontano attirò la sua attenzione: un uomo con una lunga barba nera ed ispida stava all'apparenza sgridando l'eunuco con cui aveva parlato poco prima

"Sei un'idiota, ti avevo detto di trattenerlo qui, devo interrogarlo di persona! Ed ora si può sapere dove è andato?"

"A controllare il vostro operato, signore! Ha approfittato della trappola che noi stessi gli avevamo teso!"

"Dannazione! Dove sono finite le mie guardie, perché non posso risolvere questi problemi subito?"

"Devono ancora tornare dal promontorio, le avete mandate voi lì tutte quante, tornano solo nel tardo pomeriggio, serve sorveglianza per la flotta signore.."

"Ed ora come pensi farò? Hai detto che era armato?"

"Sì.e sembrava esperto nell'uso delle armi che portava"

"Dovrò mandare tutti i servi a cercarlo, vai anche tu; ordina a tutti di armarsi ed ucciderlo a vista"


"Ma solo io ed un paggio lo abbiamo visto signore, come faranno gli altri a riconoscerlo?"

"Dai tu le indicazioni, ed ora sbrigati, ho da fare tu sai cosa"

Questo colloquio causò notevole sgomento in Marco, che ora si sentiva braccato ed a pochi metri dai cacciatori

Uscì di corsa dalla villa salutando a testa bassa i servi che incontrava sul viale e si diresse verso l'unico posto che sapeva essere importante per lui e la sua missione : il promontorio.

Perso nel bosco poco lontano dalla villa del governatore ed ora impossibilitato ad avere la visuale dall'alto che gli aveva permesso di localizzare l'unico altro ampio promontorio nelle vicinanze che non fosse quello su cui era edificato l'edificio, Marco decise di sedersi e decidere sul da farsi.

"La cuoca ha detto di averlo visto dirigersi da questa parte ti ho detto"

"E' un'ora che camminiamo, perché pensi mai si sia diretto proprio qui?"

"Non lo so, però dobbiamo anche portare le vettovaglie alle guardie della villa, quindi teniamo gli occhi aperti ed andiamo".

La voce di uno di coloro che avevano parlato fu riconosciuta da Marco come quella dell'eunuco, fra le altre vi era forse anche quella del servo che lo aveva accompagnato dal porto in quella trappola. Teso l'arco fra i cespugli aguzzò la vista e contò una decina di persone, tutti servi armati di una mazza o di un coltellaccio appeso alla cintura.


Conscio dell'inferiorità schiacciante decise di attuare una tattica di guerriglia e lanciò un primo dardo che trafisse nella schiena l'ultimo portantino, che cadde rumorosamente insieme al cibo che portava con sé.

"Cosa succede?"

"Una freccia?"

"Devono esserci i briganti!"

"Fermi tutti, deve essere lui, ho visto aveva un arco con sé". Mentre l'agitazione regnava sovrana fra gli uomini un altro paio furono colpiti  prima che si gettassero nei cespugli ai lati del vicolo. Altri tre furono però individuati e colpiti attraverso il basso fogliame.

"Ci arrendiamo, non fateci del male". Gli ultimi rimasti uscirono, mani bene in vista, gettando le armi a terra e portandosi al centro del sentiero.

"Ditemi come ha fatto il vostro signore a sapere chi sono e perché vuole uccidermi"

"Siamo semplici servi", esordì l'eunuco, " Non sappiamo niente"

"Bugiardo, ho visto che sei anche un consigliere, quindi se non vuoi fare la fine dei tuoi compagni farai meglio a parlare" , rispose Marco ancora nascosto in un grande cespuglio dal quale poteva osservare senza essere visto.

Guardandosi attorno e cercando di individuarlo l'uomo riprese coraggio e rispose:



"Ebbene.delle spie di Venezia ci hanno informati di voi e del vostro amico.. Il Governatore vuole solo non crearsi nemici fra i potenti.."

"Capisco fin troppo bene, ed ora voglio sapere dove è il promontorio di cui parlavate, e cosa c'è lì di così importante da sguarnire perfino la casa del più potente dell'isola per difenderla!"

"Per arrivare al promontorio vi basterà seguire la strada ed entro tre ore sarete"

Un rumore dietro di sé distolse però Marco: si girò fulmineamente  ed evitò per un pelo una mazza che sfiorò la sua testa attraverso i rami. Liberatosi dell'arco, sfoderò la spada e si gettò fuori dal cespuglio, dove era un bersaglio facile.

Il suo avversario era mal ridotto e sanguinava da una gamba, dove una delle frecce scoccate da Marco gli spuntava dalla coscia: era il giovane servo che aveva incontrato al porto. Evidentemente, appena colpito, era riuscito ad allontanarsi dal resto del gruppo e aveva aggirato i cespugli dove l'assalitore si era nascosto.

Il servo gli si fece venne nuovamente contro, deludendo a questo punto Marco e dimostrando la sua incompetenza nel mestiere delle armi. La spada lucente di Marco si tinse di rosso una volta e poi nuovamente quando sopraggiunsero gli altri dal sentiero che avevano inteso cosa stava accadendo.




L'ultimo rimasto tentò la fuga ma fu così poco scaltro da imboccare il lungo sentiero deserto, dove fu facile bersaglio per la freccia del Veneziano.

Assicuratosi che tutti fossero morti, Marco rubò le provviste necessarie e si diresse lungo la strada indicatagli poco prima. Se era quella giusta, e non aveva motivo di dubitarne vista la codardia del servo, avrebbe scoperto cosa nascondevano le montagne più a Nord entro sera..


















XV

Non aveva idea di quale fauna potesse popolare la zona boschiva cretese e tuttavia non voleva scoprirlo quella notte, né tanto meno tentare la sorte e rischiare di essere trovato nel sonno.

Procedendo a passo veloce si inerpicò nuovamente, dopo la salita fatta ore prima per arrivare a casa di Niceforo, rischiando seriamente di scivolare per più di una volta lungo lo sconnesso sentiero che si faceva ancora più irto ed impraticabile: non era la strada più comoda per arrivare dove i servi erano diretti, ma probabilmente era più sicura.

Buio pesto si stese davanti al suo sguardo quando posò gli occhi sull'orizzonte. Anche se era giunto in un'altura e di fronte a lui mormorava soltanto il mare, non sarebbe riuscito a distinguere nulla visto il novilunio. Solo qualche luce lungo la costa lasciava presagire qualche capanno abitato da pescatori.

Sconfortato per non aver trovato niente di interessante, cercò un giaciglio al lato della strada che aveva intrapreso, nascosto dalla curiosità di eventuali passanti: il rumore provocato da gente che si avvicinava lo avrebbe svegliato, sperava.


Un calpestio soffuso lo fece svegliare di scatto: era giorno. Un cervo saltò attraverso un cespuglio ed attraversò il sentiero più in là.

Rimessosi in ordine ed indossato l'equipaggiamento da scontro, Marco cominciò a guardare i monti intorno a lui alla ricerca di qualche altura o piano che potesse nascondere qualcosa; fu solo per caso che


nell'esaminare lo scenario circostante, spoglio per conformazione floreale dell'isola, passò per un istante sul mare di fronte a lui.

Quasi come una visione della quale non ci si rende immediatamente conto, fissò nuovamente la sconcertante immagine che gli si presentava innanzi: un'immensa flotta di galeoni da guerra era ormeggiata in mare, un'infinità di piccole galere e navi di supporto ai lati ed una miriade di puntini che si muovevano come tante formiche sulla spiaggia di fronte a quella che era la più grande armata marittima che Marco, veterano di tante battaglie, avesse mai visto.

Strabuzzati gli occhi per un paio di volte proseguì con accortezza verso le navi e, durante il tragitto, fu sicuro di essere passato molto vicino a qualche pattuglia di ricognizione.

Ormai i puntini erano diventati uomini, armati ed agitati per la partenza imminente, come veniva gridato in continuazione al fine di avvertire anche i più lontani dalla banchina. Vicino a Marco un gruppo di uomini molto numeroso e confusionario stava avanzando sparso e si dirigeva verso una nave sulla quale era issato lo stemma della Serenissima, più grande per dimensioni rispetto a tutti gli altri.

Osservando come quegli uomini si muovessero disordinatamente e senza coordinarsi fra loro, riportò alla sua mente le parole sentite a Costantinopoli:

"Stanno assoldando Veneziani per la loro immensa flotta, non avrai problemi a mescolarti a loro".



Senza pensarci due volte, Marco già camminava in mezzo a loro ed ascoltava già il discorso di un ammiraglio, così lo riconobbe dagli stemmi e dalle vesti militari a lui note perché proprie della sua patria, che prometteva ricchezze ed incitava i cadetti all'odio verso il nemico.

Proprio mentre cominciava a riprendere fiato, un uomo alle loro spalle arrivò di corsa, urlando:

"Marco Leone, la spia dell'Imperatore!"



















XVI

Un frugale pasto e poi di corsa a prepararsi per la partenza, la piccola imbarcazione era solo per loro ma non per questo erano ammessi ritardi; una breve sosta all'armeria era però d'obbligo prima di una missione del genere.

"Cosa succede, a chi può mai servire una lancia a quest'ora? Il sarto per i cuscini è più avanti forza.D'accordo arrivo ma smettete di bussare o butterete giù la porta!.. Oh, una guardia variaga, hai forse perso la strada per i vostri accampamenti fuori porta? E tu chi saresti?"

"Salve, sono Giovanni Longo, in compagnia del mio amico Kolcoso per rifornirci prima della partenza, ecco il lasciapassare!" rispose Giovanni, Kolskegg dal canto suo sebbene non avesse capito molto, o forse nulla, aveva inteso la storpiatura del suo nome e grugnì con tono di dissenso.

"Dunque, qui sembra tutto in regola, d'accordo entrate ma fate presto"

"E' nostra intenzione fare prestissimo, non preoccuparti, visto che dobbiamo partire di qui a poco". L'ambiente era caldo e familiare e la fucina spandeva un allegro calore, sebbene una coltre di fumo e ceneri proveniente dal braciere ormai spento rendesse l'aria quasi irrespirabile.

"Quando avrete finito di tossire vi consiglierò un equipaggiamento adatto, ditemi: che arma prediligete?"

"Aspetta, lasciami pensare, intanto ti sarò grato se aiuterai il mio amico".


Mentre parlavano, Kolskegg aveva però già vinto sul tempo Giovanni e stava provando una lancia nuova di zecca; evidentemente soddisfatto, la prese, insieme ad un'ascia ed un arco che si appese sulla schiena unitamente alla faretra piena di frecce.

"Tutto questo? Solo per te? Devi forse andare nell'Ade, prendere Euridice e tornare qui?"

La risposta furono parole incomprensibili, tra le quali si capirono chiaramente quelle di corazza e scudo, accompagnate da gesti inconfondibili.

"Ecco perché le variaghe vengono ammesse qui raramente, vedete?", disse rivolto a Giovanni. "Quando vengono svuotano l'arsenale..".

Finito di armare Kolskegg, che aveva con l'occasione anche preso una nuova corazza di pelle ed uno scudo di legno tondo molto grande e ben decorato, fu il turno di Giovanni.

"A me servirebbe una nuova corazza, vedi: la mia è un po' ammaccata.."

"Ma per darvi una corazza del genere avrei bisogno di molto tempo, la misura deve essere appositamente per voi e la forgiatura fatta su richiesta, altrimenti diventerebbe uno svantaggio ben più grave di quello che non è già portarla , mi chiedo come facciate"

Giovanni sorrise, ma non era un sorriso che invitava allo scherzo

"Non la tolgo quasi mai, almeno il mio corpo si abitua al suo peso ed in battaglia non è uno svantaggio, sebbene preferisca andare a


cavallo.in ogni caso mi terrò la mia. Anche se ammaccata mi accompagna da così tanti anni che dubito possa tradirmi proprio ora.."

"Bene, spada? Lancia? Martello? Ascia? Quale armi volete?"

"Dunque, vediamo: la mia spada è ancora intatta e sarebbe un peccato lasciarla qui, penso però prenderò quell'elmo lì , quello scudo pavese lì in fondo,  quel bel fodero in pelle, una nuova cintura e delle calzature di cuoio robusto, non così consumate come le mie.."

"D'accordo, seguitemi, a quanto pare stanotte non prenderò più sonno.."


Il porto era quasi deserto e le guardie controllavano chiunque si avvicinasse alla zona della banchina: la bolla imperiale che portavano con loro permise ai due, coperti da un cappuccio in volto e da vesti alquanto sgualcite per coprire il loro vestiario da militari, di evitare che il loro viaggio finisse prima di iniziare.

La nave era piccola ed era governata solo da un vecchio lupo di mare

"Salve, vi aspettavo, salite presto" Ma salire fu più difficile del previsto: infatti nella nave erano stipate diverse casse che la rendevano quasi inagibile.

"Allora, cosa vi porta a Nasso ? Non pensavo nessuno potesse trovarla interessante, sapete, io sono nato lì e vi giuro che a parte la zona portuale ci sono solo pescatori che nascono e muoiono vedendo solo il mare in cui lavorano.."


"Ci dirigiamo nella vostra bella isola per vedere se è possibile intavolare relazioni commerciali"

"Temo rimarrete delusi, ma tant'è In meno di una settimana saremo lì e potrete vedere con i vostri occhi"

La notte in mare aveva un impatto devastante sui due inviati e soprattutto sul nordico, meno abituato ai viaggi su barche così piccole; quando sbarcarono di certo non rimpiansero neanche gli stufati che venivano loro propinati a bordo.

I rapporti fra Giovanni e Kolskegg non migliorarono nonostante il tempo che i due furono costretti a trascorrere insieme. Il Vichingo rivelò pian piano di saper parlare e comprendere il greco meglio di quanto avesse fatto credere, sebbene dovesse sillabare quasi le parole e per comprendere dovesse quasi seguire il labiale del compagno.


"Arrivederci, comandante, buona fortuna in mare!"

"Grazie, altrettanto a voi per i vostri "affari"

"Credo sappia più di quanto non voglia dare ad intendere, non credi, Kol?"

"Mmmh.."

"Bene: dobbiamo comunque scegliere una sistemazione, spero ci sia una loc..ehi dove stai andando?"

Kolskegg si stava infatti dirigendo verso un edificio all'apparenza diroccato ma che si rivelò essere l'unica taverna dell'isola.



"Ora mi devi spiegare come facevi a saperlo..Salve, siamo stranieri e cerchiamo una stanza per qualche notte e delle informazioni" disse Giovanni al locandiere, mettendo in bella mostra nella mano monete d'oro fornitegli per la sua missione.

"Metti via", gli sussurrò all'orecchio Kolskegg, che non esitò ad usare il possente braccio per rimettere la mano dell'amico nella sacca appesa alla cintura.

"Si può sapere cosa stai facendo ora? Non vedi che sto trattando? Su, fai il bravo e bevi qualcosa"

"Dunque: c'è una bellissima stanza, l'unica che è al momento libera e se pagate in oro sarà vostra per quanto volete e nessuno vi disturberà con domande come chi siete e cosa cercate qui"

Il tono insinuante dell'uomo provocò in Giovanni un immediato sospetto: accorgendosi del suo disappunto dall'espressione che il mercenario aveva assunto, l'oste si affrettò a chiarire, stavolta parlando a bassa voce e con aria d'intesa ai due:

"Sarà meglio discutere di notte, quando nessuno potrà sentirci. So cosa vi porta qui non temete.."

"Ah, benissimo! Diteci solo dove e quando, nel frattempo andremo a riposarci in stanza: il viaggio è stato lungo ed un bel letto sulla terraferma è il mio sogno da quando sono partito"

"Facciamo dopo l'ultimo rintocco della campana della Chiesa, fate attenzione che è triplo e ricordate di portare le monete se volete davvero le informazioni,! Ci vediamo sul pontile qui di fronte.."


"D'accordo, a più tardi allora, su andiamo, Kolskegg!"

Mentre salivano le scale diretti alla stanza della quale il locandiere aveva fornito loro la chiave, Giovanni sussurrò:

"Mi chiedo come abbia fatto ad indovinare per cosa siamo qui, forse la fitta rete delle spie dell'Imperatore è arrivata fin qui, forse è tuo collega , non credi? "

"No.meglio fare attenzione.. anzi meglio non andare, stanotte!"

"Io invece credo sia l'unico modo per sapere qualcosa, non possiamo restare a non far nulla. ed ora dormiamo, ti sveglierò più tardi quando sarà ora di andare".

Il rintocco delle campane svegliò Giovanni dal lungo sonno ristoratore che si era concesso; guardando dalla finestra vide le tenebre intorno e nel letto accanto al suo il grosso compagno che russava rumorosamente.

Preso ciò di cui aveva bisogno, uscì dalla stanza senza far rumore per non svegliare il suo sorvegliante.

"Meglio che tu rimanga qui, mi dispiace ma non posso rischiare che tu prenda strane iniziative".








XVII

Dovette usare la piccola porta sul retro della locanda, l'unica rimasta aperta a quell'ora di notte, per dirigersi al luogo dell'appuntamento. La luna non c'era e quindi l'oscurità regnava sovrana; il mare sembrava un'immensa pozza di quello strano liquido usato dalle truppe imperiali per diffondere il fuoco ovunque, anche sull'acqua, portando devastazione fra le file dei nemici.

Il pontile non era molto lungo e le numerose casse da imballaggio depositate sulla passerella di legno lasciavano ben poco spazio per il transito.

Arrivato in fondo, Giovanni non vide ancora nessuno e si cominciò a domandare se avesse sbagliato luogo od ora.

Sforzando la vista riuscì a vedere qualcosa nell'ombra che in lontananza, vicino alla locanda, si muoveva; pensò stesse arrivando il suo informatore.

Mentre si sforzava di concentrare meglio lo sguardo, qualcuno gli bloccò le braccia alle sue spalle e da dietro le casse attorno a lui saltarono fuori diversi uomini, spade in pugno.

"Chi siete, e cosa volete da me?"

"Oh, niente di particolare, solo il tuo oro!", rispose una voce familiare

"Il mio oro? Ma allora sei un brigante, altro che oste, e questi sono tuoi complici, ora lasciatemi muovere e sfidatemi da uomini se avete il coraggio"


"Un mercante che sfida a duello? Pensi davvero che quella tua spada alla cintura possa farci credere tu sia esperto di armi? Ahahaha"

Uno degli uomini che lo fronteggiavano sferrò un pugno diretto allo stomaco di Giovanni, tuttavia la corazza che indossava non risentì affatto del colpo, come invece fece il maldestro bandito che cominciò ad urlare per il dolore.

"Vuoi stare zitto? Sei un imbecille, farai arrivare la ronda!"

"Ha una corazza sotto le vesti, credimi, controlla tu stesso!"

"Allora non sei un grasso mercante, dicci chi sei.."

"Ah, lo avete capito finalmente, eh? Sono in missione per conto dell'Imperatore in persona e farete meglio a lasciarmi andare ora se non volete pagare le conseguenze"

"Così domani saremo arrestati ? Sei un ingenuo se pensi ti lasceremo vivo, il tuo oro è comunque buono, prendetelo!".

L'afferrare la cintura di Giovanni fu però l'ultimo atto di un brigante, che cadde poco dopo in acqua con una freccia conficcata nella schiena; subito dopo una lancia ne trafisse un altro ed infine si focalizzò negli occhi del gruppo la figura spaventosa del nordico che, tolta la veste, appariva ora come un fiero e terrorizzante guerriero, protetto da scudo e corazza ed armato di una lunga ascia.

Con mosse rapide ed implacabili dilaniò tutti coloro che gli si ponevano davanti, facendo roteare l'ascia e gettando i banditi nel panico. Quando l'oste, l'ultimo rimasto, tentò disperatamente la fuga in



acqua, si gettò al suo inseguimento, per nulla ostacolato dalla corazza e dalle armi e gli tenne la testa sott'acqua fin a che quello non annegò.

Quando il Vichingo riemerse sul molo, senza dire una parola e apparentemente senza nemmeno ansimare per lo sforzo, Giovanni temette che sarebbe stato lui il prossimo a pagare a caro prezzo per i suoi errori e l'occhiata gelida che ricevette dall'altro non faceva presagire miglior destino.



















XVIII

La cucina della nave era davvero lurida, anche per chi aveva vissuto in situazioni difficili: il neo aiuto-cuoco lo sapeva bene.

"Ascoltami", disse il cuoco a Marco "e non smettere di pelare patate", aggiunse rapido, "Mi spiace sapere che fra non molto dovrai andare a morire e che probabilmente il tuo corpo galleggerà per giorni alla deriva, ne ho visti tanti di giovani volenterosi come te Se vuoi, puoi diventare il mio assistente ufficiale!"

"Oh, grazie tante, prenderò in considerazione la vostra proposta", rispose il giovane annoiato.

"Hai più saputo poi notizie, intendo di quel tale di cui parlava la guardia, quando ha gettato nel panico l'intera flotta urlando che l'imperatore ci aveva scoperto!"

"AhNon ne so molto, in ogni caso le frustate che ha ricevuto gli insegneranno a non ripetere più lo stesso errore a quel novellino"

"Ti ho detto di non fermarti, continua a pelare, altrimenti la ciurma si lamenterà delle razioni scarse!".

Il suo turno non durò ancora a lungo e presto potette congedarsi dal superiore. Chi l'avrebbe mai detto che fare il mozzo fosse più stancante che combattere i Turchi..?

In cinque giorni a bordo non era riuscito a scoprire molto, se non che probabilmente la flotta avrebbe fatto tappa a Chio, isola strategica per i traffici nell'Egeo, per rifornirsi ed avere una base dalla quale minacciare direttamente la capitale.


Al comando della flotta sembrava esserci il Doge stesso,  Vitale II Michiel, che aveva convinto il consiglio cittadino ad appoggiare l'intervento armato.

Tuttavia, l'armamento di centoventi navi da guerra non voleva manifestare la volontà di ingaggiare battaglia con i Greci, ma piuttosto quella di costringerli a liberare i prigionieri e restituire ingenti quantità di denaro come risarcimento di guerra.

Capitano da Mar della flotta era un certo Lorenzo, membro dell'aristocratica famiglia dei Dandolo, che aveva acquisito negli ultimi tempi un ingente potere nella gestione degli affari cittadini e che avrebbe probabilmente visto eleggere uno dei suoi familiari quale prossimo doge.

Dandolo era, a dispetto di Vitale, del parere che un blocco navale su Costantinopoli ed un conseguente assalto della città affamata dall'assedio tramite una breccia praticata nelle mura costiere, meno difese rispetto alla cinta esterna, avrebbe posto per sempre fine all'annosa rivalità fra le due potenze.

La decisione finale spettava comunque a Vitale che, conscio dei rischi, aveva preferito fare tappa a Chio per decidere sul da farsi, incontrando prima i delegati di Bisanzio per trattare a suo favore le condizioni di pace.

Marco era riuscito a camuffarsi ed ad inserirsi con successo nell'armata bersaglio della sua missione ma ciò nonostante non aveva



idea di come poter inviare le informazioni raccolte nei giorni passati ai propri alleati.

Durante la navigazione, resa difficoltosa dalla presenza di numerose imbarcazioni pesanti e dalla necessità di viaggiare in formazione, con le navi da carico e di approvvigionamento al centro, un piccolo battello da pesca si avvicinò alla nave, non lontano dalla finestra della cambusa dove si trovava Marco.

"Esco un attimo, voglio vedere cosa sta succedendo"

"Fermo: dove vai? Dobbiamo ancora finire di preparare il pranOh, dannazione! Vedi di tornare presto o ti spedirò in mare insieme ai rifiuti!"

Appena uscito sul ponte, sentì le voci dei marinai che si rincorrevano, in ton astioso:

"Maledetti pescatori"

"Ci faranno perdere tempo prezioso"

"Se continua così il comandante ne ordinerà la morte"

"Cosa sta succedendo?", chiese con tono distratto e scarsamente interessato, per non dare nell'occhio

"Dei pescatori chiedono di essere accompagnati fino al prossimo porto, la loro barca sta colando a picco Fortuna loro che hanno promesso al capitano una ricompensa, una volta tornati sulla terraferma, altrimenti sarebbero rimasti ad affondare con la loro bagnarola!".



Voltatosi, Marco vide la barca dalla quale i pescatori erano arrivati: la prua già stava colando a picco

"Una bella fortuna aver trovato soccorsi proprio pochi minuti prima di affondare", pensò.






















XIX

La mattina successiva Giovanni preparò i bagagli e si apprestò a lasciare la stanza: sarebbe stato meglio sparire prima che qualcuno li avesse accusati della morte dell'oste e dei suoi amici briganti.

Kolskegg lo aspettava fuori, vicino alla porta sul retro che Giovanni ben conosceva, per evitare di dover fingere sorpresa insieme agli altri avventori nel non trovare il proprietario al solito posto.

I due si misero in marcia: la meta era tuttavia ignota.

"Bene: ora che facciamo? Ti hanno mandato qui a farmi da guardia spero tu sappia anche cosa fare, visto che non mi hanno dato istruzioni precise. Ispezionare la zona prima dell'arrivo della flotta venezianaed ora?"


"Su, dai: ora non fare l'offeso! Non vorrai continuare a non parlarmi per il resto del viaggio ti ho già detto non accadrà più"

Il nordico lo guardò con espressione di ghiaccio

"Io ricevuto ordini di uccidere se tu fare azioni avventate"

"Cosa?"

"Hai capito, quindi non farmi pentire di fiducia data"

Dopo questo breve ed illuminante scambio di battute, per un pò nessuno dei due parlò ancora. Se l'osteria del porto non era più il posto migliore per chiedere informazioni, bisognava muoversi verso altri luoghi popolati e pieni di possibili informatori, ad esempio il mercato del pesce.


Il mercato era costituito da barcollanti bancarelle dalle quali proveniva un disgustoso odore di pesce, che sorprendentemente Kolskegg trovava appetitoso.

"Puah", sbottò Giovanni, schifato "Vediamo di trovare presto qualche informazione..non riuscirò a resistere molto in questa bolgia..ehi, guarda lì!"

Un peschereccio di notevoli dimensioni, da poco attraccato, stava scaricando il frutto del proprio lavoro ed una grande folla si radunava per comprare il pesce fresco; erano per la maggior parte mercanti che avrebbero poi rivenduto la merce per il resto della giornata mentre la barca tornava al lavoro.

"Forse una barca del genere sa qualcosa sui movimenti nella zona Presto: andiamo a caccia di informazioni, Kolskegg!".

Ancora restio ad abbandonare il mercato, il nordico seguì Giovanni, che nel frattempo, facendosi largo a spallate e alzando la voce, era riuscito ad arrivare nei pressi del vascello.

"Devo parlare con il vostro comandante!"

"Il comandante si sta riposando in cabina, nessuno può disturbarlo."

"Nemmeno noi?", chiese il Veneziano e lanciò una moneta che il marinaio prese agilmente al volo; riconosciutala come un bisanzio d'argento, il suo atteggiamento cambiò improvvisamente e calò un ponte per far salire più agilmente gli ospiti.



A bordo la nave non brillava per splendore od eleganza; le grandi vasche usate per contenere il pesce erano vuote, eppure l'odore era ancora molto forte.

I marinai erano infervorati nelle operazioni di scarico e solo i più anziani ed esperti si concedevano il meritato riposo.

Il capitano aveva una cabina piccola e modesta come consono ad un pescatore ed accolse gli ospiti non molto calorosamente:

"Vorrei sapere cosa porta così tanti stranieri da queste parti.."

"Stranieri? Ha incontrato altre navi da queste parti?"

"Non potrei parlarne..sapete sono stato pagato per mantenere il

silenzio.."

"D'accordo..", e senza aggiungere altro allungò la mano nella borsa ed estrasse quello che considerava un quantitativo più che sufficiente per vincere qualsiasi remora.

"Dicevo.. una settimana fa un gruppo di soldati si è avvicinato alla

mia barca qui al porto e mi ha chiesto di poter comprare tutte le barche da pesca che potevo vendere .. Gli ho venduto tutte le più piccole ed un logoro vascello in disuso da molto tempo, mi sono tenuto solo la mia vecchia ammiraglia..con tutto l'oro che ho guadagnato ne comprerò cinque volte tante, comunque."

"E ditemi, capitano, erano Veneziani?"

"Non saprei giurarlo, le loro vesti militari erano coperte da altre civili . in ogni caso non era mio interesse sapere chi fossero né cosa ci facessero con delle vecchie barche."


"Sicuro di non conoscere altri dettagli?"

"Sono un vecchio marinaio . sa spesso dimentico le cose che accadono ." Altre monete sonanti funzionarono tuttavia da etere miracoloso.

"Ah..ssì Un mozzo mi ha riferito che un uomo del gruppo gli ha

chiesto la rotta per Chio ed informazioni sul tempo e le correnti marine, e questo è realmente tutto quel che so"

"Benissimo, hai sentito Kolskegg? Dobbiamo dirigerci a Chio, è li

che i Veneziani si stanno radunando allora, andiamo!"

Ma mentre stava per aprire la porta si accorse che il compagno

non era intenzionato ad andarsene ed anzi aveva sfoderato un pugnale e con questo stava uccidendo lo spaventato e sorpreso comandante.

"Ma co.."

"Shhh, o noi venire scoperti.non posso permettere lui fare spia su noi.. tu capisci? Lui sapere troppe cose ed avaro di denaro"

"Sei un pazzo assassinoSei impazzito? Vorrei sapere cosa ti passa nella testa, ora ci linceranno!"

"Non è detto, prendi soldi ed andiamo via, ho un piano".

Mentre parlava, stava infatti prendendo soldi a palate dalla cassa alle spalle del capitano.

"Questo è oro greco, oro greco appena coniato, i Veneziani devono avere troppi contatti nella capitale, è un guaio".




Usciti dalla cabina, cercarono di mantenere il sangue freddo e la calma apparente necessaria per scendere indenni dall'imbarcazione.

"Tutto bene? Il colloquio è stato proficuo?", chiese il secondo di bordo che si avvicinò subito a loro.

"Certo amico, prendi questa moneta d'oro e goditela sulla terraferma!"

"Grazie, signore, troppo buono..ehi ma questa.".

Scesero dalla nave e Giovanni seguì Kolskegg che si dirigeva di ottima lena verso una barchetta da pesca poco più grande di una zattera, appena lo raggiunse vide il marinaio che la possedeva allontanarsi allegramente con in mano tanto più oro di quanto ne avesse mai visto in vita sua, mentre l'amico prendeva posto sulla barca e si preparava alla partenza.

"Allarme! Hanno ucciso il capitano e rubato il nostro denaro!". 

Nel sentire queste urla alle sue spalle Giovanni perse ogni remora e salì in barca incitando ed aiutando Kolskegg nei preparativi della partenza.

Frecce sibilarono sopra le loro teste mentre si allontanavano dalle banchine ed un paio di imbarcazioni simili alla loro tentarono di inseguirli; dopo qualche tempo, però, desistettero dall'inseguimento non essendo supportati dalla nave più grande che, impegnata nelle operazioni di scarico della merce, era stata impossibilitata a salpare in breve tempo.



Tirarono un sospiro di sollievo solo dopo essersi assicurati di non essere più inseguiti e di essere sulla giusta rotta per Chio.
























XX

"Devo cercare di parlare con loro, in questa storia qualcosa non quadra", continuava a ripetersi il mercenario da poco aggregatosi alla causa veneziana; fu fortunato nell'incontrare uno di essi in un ponte a prua.



"Allora avevo ben indovinato, non siete semplici pescatori, lavorate anche voi per l'Imperatore!"

"Siamo stati fortunati a trovarti al volo, devi essere tu quello che hai preso il posto di Costante: usi la sua formula di riconoscimento."

"Sì, esatto. Mi sono imbarcato sulla flotta non da molto e le poche informazioni che sono riuscito a racimolare riguardano la meta verso la quale è diretta. Non sono ancora riuscito a scoprire quali siano i loro piani; tuttavia, ora che voi siete qui, sono più tranquillo, riuscirò a comunicare. Temevo non avrei potuto avvertire nessuno"

"Il tuo compito, amico mio, forse ancora non l'hai capito, non è di riferire ma di agire. Sei una pedina importante e dovrai agire come meglio credi per la salvaguardia dell'Impero, qui nessuno ti è superiore sul campo e non posso darti né ordini né consigli, abbiamo anche noi i nostri doveri. Non siamo qui per raccogliere informazioni né per dirti come proseguire; hai, tuttavia, agito bene fin qui e ti auguro di proseguire positivamente su questa strada. Fai ciò che puoi."

"Ma..quindi..cosa dovrei fare una volta sbarcato?"


"Devi salvaguardare il bene di Bisanzio non scord.". All'improvviso l'uomo cambiò bruscamente tono e discorso:

"Ho detto che posso prestarti quei soldi, mi dispiace! Ora scusami, ma vorrei andare a riposarmi"

"C'è qualche problema?", si intromise un marinaio armato di ronda

"No.. no. Nessun problema amico, sto andando a dormire nella zone che ci avete generosamente concesso"

"Bene, vedi di non indispettire la ciurma o vi ributteremo tutti a mare: e tu, sarà meglio che ti riposi, domattina attraccheremo al porto di Chio".

Non vide più la spia.














XXI

Non molte ore dopo quella breve ma interessante conversazione, l'allarme risuonò a bordo e tutti i soldati, dopo essersi armati, si mossero dai dormitori.

"Non voglio combattere in mare!"

"I Greci usano un fuoco demoniaco per incendiare le navi nemiche, moriremo di certo!".

Questi erano solo alcuni dei commenti che si sentivano nel gruppo, lo stesso Marco pensava alla battaglia a cui avrebbe fra poco preso parte ed era teso nel pensare a come si sarebbe schierato con i proprio amici senza sembrar loro nemico.

Schieratisi sul ponte in assetto da battaglia, i soldati del dormitorio di Marco rimasero sorpresi però nel vedere come non vi fosse un combattimento in corso ma semplicemente un ufficiale indirizzava gli uomini verso delle barche più piccole e leggere.

"Quelli che chiamo si imbarchino! Dobbiamo dare la caccia a quei cani di Greci! Hanno incendiato la flotta e se la sono data a gambe sulle nostre imbarcazioni!"

Marco fu sollevato nello scoprire di non essere stato assegnato alla missione di inseguimento e riuscì a scoprire i danni inflitti alle forze veneziane : due navi da trasporto distrutte ed una da sbarco rubata per fuggire .




Non sarebbero state perdite troppo gravi per una flotta grande come quella se non fosse stato che le due navi affondate trasportavano le armi delle quali qualsiasi esercito che si rispetti deve essere fornito.

I mercenari che avevano incautamente affidato il loro equipaggiamento all'armeria si trovavano ora a dover indossare un armamento scarno ricavato da vecchi fondi di magazzino della flotta. Marco era felice di aver tenuto tutto con sé, in particolare il suo arco.

Un paio di ore più tardi, al brusco risveglio, il nostromo diede notizia dell'avvistamento della terraferma.

















XXII

Mentre la costa si ingrandiva sempre più ed i pescherecci si allontanavano frettolosamente dalle acque vicine per paura di essere depredati dall'immensa flotta, i soldati vennero nuovamente adunati per andare a depredare il villaggio e preparare l'ingresso dei Veneziani.

Le barche più rapide ed agili non erano ancora rientrate dalla missione di inseguimento, così lo sbarco dovette essere effettuato mediante l'uso di un naviglio poco adatto al piccolo porto. Il piccolo drappello di milizia che risiedeva nel villaggio riuscì ad imbarcarsi e a prendere velocemente il largo; non furono nemmeno inseguiti con molta convinzione, la segretezza non era ormai più una virtù fondamentale.

Bastarono un paio d'ore e finalmente tutti i soldati poterono sbarcare: la visione che si stendeva davanti agli occhi di Marco era quella di una pacifica cittadina in preda ad un vero e proprio saccheggio da parte delle truppe veneziane.

La maggior parte della popolazione si era prudentemente rifugiata sulle montagne ed aveva lasciato ad una piccola delegazione di anziani il compito di trattare con gli ospiti poco graditi; tuttavia i loro tentativi di razionalizzare l'uso delle strutture e delle risorse apparvero fin da subito privi di significato, tanto che dopo che i granai furono svuotati decisero di defilarsi silenziosamente nella notte.


Passati un paio di giorni i soldati fremevano al pensiero di un saccheggio di Costantinopoli: l'assenza di notizie certe dai superiori


faceva accrescere le loro speranze ma anche la tensione. Sul finire della terza notte a terra a gran voce fu chiesto ed ottenuto un rapporto sulla situazione fra un delegato delle truppe ed un comandante veneziano.

La maggior parte dei mercenari parlavano o comprendevano il veneziano essendo nati, cresciuti od avendo combattuto in territori della Serenissima. Una parte di loro costituiva la guardia dei fanti da mar di Venezia a seguito del Doge, infine c'erano le truppe europee, franche o germaniche, che parlavano poco e fremevano meno degli altri all'idea dello scontro.

La situazione fra gli altri comandi non era però semplice: il Doge era propenso ad una soluzione "pacifica" con i Greci, che prevedesse un rientro in denaro, tesori o territori ai Veneziani per i torti subiti e per le spese di guerra. Per questo aveva richiesto l'arrivo di una delegazione con pieni poteri decisionali che sarebbe dovuta arrivare il giorno seguente.

Il giovane Dandolo, d'altra parte, fresco di accademia militare, era desideroso di testare le capacità belliche di una simile armata; propendeva ad forzare i tempi della trattativa, perfino rischiando di muoversi contro le decisioni del Doge, il quale, tuttavia, era costretto a discuterne ogni volta con il rampollo.


Quando, qualche ora dopo, i rappresentanti delle truppe mercenarie tornarono a riferire ai compagni quanto accaduto, questi avevano perso, forse grazie a qualche omaggio degli altri partecipanti al


consiglio, la grinta che li aveva contraddistinti ed aveva garantito loro di essere scelti per quest'impresa.

Mentre i soldati venivano imboniti e le prime paghe venivano distribuite, Marco se ne restava in disparte pensando al da farsi.






















XXIII

Passarono i giorni, le settimane ed infine un intero mese. Le truppe di Venezia erano accampate sull'isola; le trattative con l'Impero procedevano a rilento e, secondo Marco, i delegati avevano ricevuto l'ordine preciso di prendere tempo senza giungere a conclusioni.

Dandolo vagliava con altri suoi ufficiali ogni giorno piani di attacco che poi venivano bocciati dal comandante della spedizione a fine serata dopo gli estenuanti colloqui.

Se la situazione fra gli alti livelli era quindi tesa, non era certo allegra quella in cui versavano le truppe che, quasi del tutto prosciugate le risorse del villaggio, erano costrette a vivere in condizioni non sufficienti neanche per un soldato.

Le razioni non erano mai venute a mancare e, in occasione di qualche tumulto, erano stati anche pagati ma i problemi più gravi rimanevano quelli dell'alloggiamento e della cura delle condizioni igieniche.

Marco accettò di buon grado di essere stato inserito nella pattuglia di ricognizione della zona. "Con quel tuo arco sicuramente non avrai problemi a sorvegliare la zona intorno al villaggio ed ad uccidere un pò di selvaggina", gli era stato detto.

Non era tuttavia la prospettiva della caccia che lo metteva di buon umore ma la possibilità di trascorrere qualche giornata all'aperto, di poter osservare i movimenti in corso nell'esercito ed infine di stare alla



larga dalle tende-dormitorio che lui, mai riabituatosi alla vita da soldato, mal digeriva.

Una sera, dopo essere tornato al villaggio trascinando su una lettiga improvvisata due giovani ma robusti cervi che aveva abbattuto poche ore prima, decise di allontanarsi dal resto del gruppo e, lasciate le prede ai compagni affamati, si diresse verso quello che era il centro del modesto apparato amministrativo della città, dove ora risiedevano gli alti ufficiali.

"Fermo là! Identificati e spiega il motivo della tua presenza qui, soldato" , lo ammonì una guardia nei pressi delle grandi tende occupate dai comandanti e dal personale delle loro squadre personali.

"Devo essermi perso, compagno! Faccio parte della squadra addetta alla caccia ancora non ricordo bene dove sono accampato se mi allontano appena un poco dai miei punti di riferimento.."

"Questa, in ogni caso, non è zona per i soldati, quindi vedi di girare al largo!" .

Resosi conto di non poter fare altro per il momento, Marco tornò al piccolo accampamento fuori città dove lo aspettavano i membri della sua squadra.

"Ehi, sei tornato alla fine eh? Si può sapere dove sei stato? Ci hanno chiesto di te ed abbiamo dovuto mentire dicendo che stavi male"

"Ah, grazie, allora"




"Non è così semplice, hanno voluto sapere cosa avessi e mi sono confuso ed agitato, temo ora pensino tu abbia qualcosa come la peste e domani verrà un dottore a controllarti"

"Domani? Non dovevamo andare a perlustrare la zona a Nord verso le montagne?"

"Se troveremo qualche villico nelle caverne, ti faremo un fischio, ma domani dovrai restare qui!"

"D'accordo, ora sono stanco, penso andrò a dormire, a domani sera allora"

















XXIV

"Non sembrate accusare sintomi di alcuna malattia a me nota", disse il medico traendo le conclusioni, "in ogni caso, restate lontano dagli altri per una settimana e mandatemi a chiamare se doveste sentirvi poco bene, ora devo andare. Probabilmente sarà stata solo un'indigestione dovuta alla carne poco cotta".

Perlomeno ora non doveva più preoccuparsi di trovare scuse per i suoi compagni durante la caccia per allontanarsi; la prossima mossa sarebbe stata quella di sapere qualcosa di più riguardo i piani della flotta e se possibile, non differentemente da quanto fatto dai suoi compagni in mare, rallentarne la marcia.

Chissà se a Bisanzio nel frattempo un'altra grande flotta era in partenza, se già era appostata in quale isola vicina pronta ad attaccare quella Veneziana La flotta imperiale era in declino da qualche anno e non era che l'ombra di quella imbattibile che aveva fermato gli assedi dei Parti e degli Arabi nei secoli passati; miracoli di questo tipo non erano tuttavia sconosciuti all'imperatore.

Riuscì in un paio di giorni ad arrivare ad un servo di Dandolo che trascorreva le ora diurne in una improvvisata taverna e di notte serviva il proprio padrone.

"Quel maledetto mi tratta neanche fossi uno schiavo, ma il Papa ed i suoi maledetti preti predicano la non schiavitù, e sono i primi ad avere servi che sono tenuti peggio di quelli del Faraone! Non è giusto, dico io..ecco!"  


"Certamente! Oste, un'altro giro per il mio nuovo amico", era l'unica risposta che Marco dava nei momenti di silenzio che richiedevano un suo intervento: aspettava il momento giusto.

"Ma dimmi, Arkantos, perchè il tuo padrone ti fa lavorare di notte e non di giorno?"

"Io, veramente non so..se venisse a saperlo mi farebbe impiccare di sicuro.." "Ma siamo fra amici, non devi temere.."

"D'accordoquel cane sta complottando insieme ad altri ufficiali

di estromettere il doge dalle decisioni di comando e di fare rotta su Costantinopoli!"

Marco non potè fare a meno di inarcare platealmente le

sopracciglia.

"Hai capito proprio bene, dice che secondo i suoi informatori la

flotta imperiale non potrà far nulla se non vedere la nostra assaltare la città: siamo molto potenti. Inoltre i Musulmani ad Est e gli Slavi ad Ovest non aspettano altro che un occasione del genere per attaccare i confini del nemico, così dice perlomeno il mio padrone."

"D'accordo, ora mi scuserai ma ho molto da fare, in ogni caso bevi

un altro pò e vedrai passerà tutto il malumore, addio amico mio"

"Addio, amico veneziano!".

La situazione si rivelava ora più grave di quanto Marco avesse temuto; la sua priorità era divenuta riuscire a sapere cosa la Capitale si aspettava facesse lui; continuare così lo avrebbe probabilmente



condotto ad assaltare le mura che si prefiggeva di difendere ad ogni costo.

Avrebbe dato qualsiasi cosa pur di poter parlare con un emissario dell'Imperatore al fine di ottenere nuove informazioni. il lampo di genio balenò all'istante! Nel gruppo diplomatico mandato da Bisanzio avrebbe probabilmente trovato ciò che cercava.

Gli era stato però raccomandato prima della partenza ed anche durante il breve incontro durante il viaggio in mare di fidarsi solo di se stesso e di agire senza confidare nell'aiuto degli altri. A Creta aveva corso un grande pericolo fidandosi del corrotto governatore greco.
















XXV

Il giorno successivo, senza domandarsi nuovamente se stesse facendo la mossa giusta, si diresse al piccolo edificio, un vecchio capanno di pescatori, che era stato adibito a consolato greco.

Tuttavia, un conto era però avvicinarsi ad esso, un conto entrarci: guardie veneziane controllavano il perimetro mentre un paio di soldati greci erano stanziati sulla porta di legno marcio.

Avvicinarsi e chiedere un colloquio era impossibile e compromettente, dovette quindi aspettare il calar della notte, quando dai colloqui tornavano gli ambasciatori, per avvicinarsi ad uno di essi.

"Non ho tempo per spiegare, date ordine ai vostri uomini di farmi entrare! Una volta dentro, ho bisogno di parlarvi, eccellenza, per il bene dell'impero" fu ciò che, giocando di azzardo, Marco sussurrò alle orecchie di un uomo tra la mezza dozzina che costituiva la delegazione; non ebbe risposta e dovette allontanarsi alla svelta.

Una ventina di minuti dopo provò ad avvicinarsi alle guardie appena arrivate a dare il cambio sulla porta ai compagni che avevano finito il turno.

Si mise a fischiettare, mentre cercava di camminare senza dare nell'occhio, imitando molti altri soldati che stavano tornando al loro reparto prima che venisse fatto l'appello serale.

I soldati erano immobili come al solito e fissavano un punto immaginario davanti a loro: nessuno avrebbe avuto il coraggio di disturbarli, tanto meno Marco;


"Entra", gli sussurrò il capo guardia.

Marco, sia pure sorpreso, non si fece pregare e varcò, insieme al capo guardia le tende del quartier generale, mentre i soldati ritiravano le lance che ne avevano sbarrato fino a qualche istante prima l'ingresso.


L'interno del quartier generale da campo manteneva intatte le ipotesi che qualsiasi visitatore esterno poteva formulare nel vedere l'esterno: un legno antico e poco resistente sorreggeva un apparato tetro ed all'apparenza molto instabile.

In un angolo dell'enorme tenda risuonavano i lamenti di un uomo, che era coricato in un piccolo giaciglio di paglia. Questo ricordò istintivamente a Marco quello nel quale si era risvegliato dopo la sua ultima battaglia in Asia.

"Cosa ha quel pover'uomo?", chiese all'uomo che lo accompagnava.

"Niente di cui io sia autorizzato a parlare, chiedi all'emissario,

eccoci arrivati!".


Una piccola paratia era stata eretta nella zona finale del capanno e separava i dormitori di tutta la delegazione da quella dell'emissario capo: un piccolo studio con due sedie era posto di fronte ad un letto alquanto spartano.

"Sedetevi pure, penso che mi dobbiate delle spiegazioni, messere! Un mio uomo  vi ha sentito parlare in un greco praticamente perfetto qui fuori, e che io sappia i Veneziani non hanno assoldato tra i loro


alcuno che parli così egregiamente questa lingua, per paura di possibili spie e traditori."

"Le loro sono paure fondate, lavoro direttamente al servizio dell'Imperatore come sua spia."

"E vi aspettate che vi creda? Su quali basi?"

"Guardate voi stesso", rispose Marco indispettito, estraendo dal fodero la lama ereditata dal suo predecessore e posandola sul tavolo; le guardie che aspettavano all'esterno del piccolo ambiente artificioso irruppero immediatamente udendo il suono della spada estratta.

"Vi ho detto non c'è bisogno di voi, ora! Se mi avessero voluto morto, non sarei arrivato qui dopo un mese di trattative", li ammonì l'emissario rispendendoli ai loro posti di guardia.

"Dunque, vediamoquesta sembrerebbe proprio la spada di Costante.. sembra possa fidarmi di voi, dopotutto.. anche se stando a quanto mi hanno detto prima della mia partenza, dovreste possedere un arco che io, collezionista di armi, riconoscerei subito alla vista Eppure voi avete solo quel vecchio arco rattoppato in spalla"

"Credete, eccellenza, che questo sia un logoro arco eh? Guardate qui, allora!" e strappò le pelli poste a protezione dell'arco rivelandolo per quel che era.

Un brillio sfavillò negli occhi scuri dell'uomo.

"Magnifico.. porgetemelo, vi scongiuro.. è una vita che lo cerco"

"Ecco, prendete, ma prestate attenzione!E' l'unico ricordo di mio"


"di vostro padre, lo so lo so Questo arco è una leggenda per tutti i collezionisti d'armi in tutto il mondo, dai regni Sassoni a quelli Persiani."

Marco, suo malgrado, era impressionato

"Cosa sapete dell'arco, in particolare?"

"Si dice fu forgiata per il primo re di Gerusalemme, Baldovino il Grande. Baldovino nel corso della crociata aveva dapprima tradito il giuramento prestato al nostro grande sovrano Alessio I non concedendogli i territori conquistati, primo fra tutti Edessa, poi il re Theodorus che lo aveva adottato come un figlio ed infine il fratello Goffredo di Buglione, prendendo un titolo di cui aveva in vita osteggiato la creazione. Non sazio del male e delle ingiustizie arrecate nel corso della Crociata, voleva inoltre che venisse forgiato il miglior armamento mai creato per un solo Re. Convocò o rapì i migliori fabbri d'Oriente che, insieme a quelli venuti con lui dall'Occidente, si misero all'opera per adempiere al volere del loro signore, posti sotto stretta vigilanza dell'Ordine dei Canonici del Santo Sepolcro, fedele alla persona del Re. La corazza, la spada,lo scudo e l'arco non furono pronte che nel 1117. Baldovino era ormai troppo vecchio per dirigere una spedizione armata ed inoltre i continui assalti al territorio latino da parte dei Musulmani non erano favorevoli ad una grande marcia contro il suo più grande nemico: L'Egitto.

Egli era tuttavia così tronfio del suo esercito e delle sue capacità che fu accecato dalla volontà di ulteriore gloria e fama; la conquista


della città di Farama fu anche la sua ultima impresa, visto che dopo aver caricato in battaglia con i suoi cavalieri l'esercito egiziano, messo in rotta, cadde da cavallo e, avvolto nella sua invincibile ma pesante armatura, venne schiacciato dai suoi stessi prediletti soldati scelti dell'Ordine.

L'arco è tutto ciò che rimane oggi dell'equipaggiamento del sovrano, visto che tutte le parti restanti vennero bruciate come maledette insieme ai fabbri che avevano partecipato alla sua creazione. L'arco venne salvato da un semplice palmiere che lo raccolse, ignaro della maledizione che lo accompagnava. Si pensava fosse anch'esso andato perduto ma voi oggi avete smentito questa mia convinzione."

Si era creato un momento di inquietante silenzio nella grande tenda, che ora appariva deserta al di fuori dei due uomini seduti in quell'angolo semibuio. Alcune fiaccole appese gettavano le ombre negli angoli, piuttosto che dipanarle. Marco, sentendosi strano, per reazione esclamò in tono sarcastico:

"Perfetto, così ora oltre alla maledizione della spada, sono invaso anche da quella dell'arco."








XXVI

"Torniamo a noi, ora sono certo della tua identità", disse l'emissario guardando Marco negli occhi, per la prima volta con rispetto, pensò il Veneziano, un rispetto non inficiato, ma anzi avvalorato da quel "tu" al quale l'uomo era senza preavviso passato.

"Bene, se sono venuto qui è per chiedere a voi consigli sul da farsi, immagino sarete al corrente della situazione"

"Esattamente! In ogni caso, spero tu sappia almeno che venendo qui ti sei dichiarato come sospetto agli occhi dei Veneziani, che spiano il nostro rifugio giorno e notte e non si saranno certamente persi il tuo ingresso. Ora non potrai più tornare con loro"

"E cosa dovrò fare, allora?"

"Ascoltami, prendi queste vesti e assumi le sembianze di uno dei miei servitori. Quindi, ti recherai alla spiaggia a Nord!"

"Perchè proprio lì?"

"C'è una grotta, ci sono miei uomini in attesa che sanno cosa fare, loro ti spiegheranno, devi solo fidarti".


"Fidarsigià è facile dirlo ma difficile da attuare", rifletteva pensieroso Marco, avvolto nelle vesti che impedivano ai suoi ex compagni d'arme fuori nell'accampamento di riconoscerlo.

"Questa strada è anche pericolosamente sconnessa, dovrò prestare attenzione a non cadere nel dirupo od avrò faticato inutilmente fino ad ora".


La spiaggia la conosceva bene in quanto aveva spesso, nel tempo trascorso sull'isola, inseguito qualche animale che vi aveva cercato rifugio; tuttavia non aveva mai approfondito la conformazione geologica della zona e non fu sorpreso di imbattersi in alcune grotte che sembravano estendersi in profondità nel sottosuolo.

Era nuovamente notte quando arrivò alla spiaggia e l'assenza di

luna nel cielo quasi interamente coperto dalle nuvole facilitò i suoi movimenti. Scorse una luce estremamente fioca provenire da una fessura non lontana dall'entrata di una grotta calcarea antistante la spiaggia. Lì potevano celarsi gli amici di cui gli aveva parlato l'emissariooppure poteva essere in agguato la morte!

Entrato di soppiatto, impugnò l'arco sul quale era stato lesto ad incoccare una freccia: le esperienze passate gli avevano insegnato a dubitare di chiunque.

Giunse, non senza fatica nell'intrufolarsi in stretti passaggi di roccia all'interno, ad una zona di più ampio respiro. In basso scorgeva un fuoco, intorno al quale un uomo dormiva in un giaciglio di fortuna.

Un altro era invece in piedi, probabilmente di guardia, e vigilava spostando continuamente gli occhi da un punto all'altro della grotta.

Marco era però immerso nel buio ed era per la sentinella impossibile distinguerlo, mentre era immobile e tratteneva perfino il respiro, dalla roccia scura circostante ed immersa nelle tenebre più fitte.

L'uomo cominciò quindi a canticchiare una canzone.


Marco non riconobbe la lingua nella quale quello modulava in maniera piuttosto stonata le parole ed inoltre il volto parzialmente coperto dell'uomo non gli ispirava fiducia: non era certamente un Greco, l'unico che avrebbe potuto, se davvero fossero stati servi dell'Impero, essere assegnato ad una tale missione.

Spaventato all'idea che altri sarebbero usciti fuori da ogni dove, o che già fossero sulle sue tracce, alle sue spalle, sollevò l'arco armato e prese accuratamente di mira il suo bersaglio.

La luna scelse proprio quel momento per riapparire fugacemente attraverso le nuvole ed insinuarsi copiosa nella grande fenditura naturale che si apriva nel tetto della grotta. Scoprendosi illuminato quasi a giorno, Marco reagì d'istinto, pensando che qualcuno con una torcia fosse arrivato di soppiatto alle sue proprie spalle

Con il piede smosse una pietra, che rotolò rumorosamente verso il centro della grotta, dove si trovavano i due uomini; quello di sentinella l'altro volse immediatamente lo sguardo su di lui ed, estratta la spada, lo caricò d'impeto, senza proferire una sola parola.

Marco scagliò la freccia con una potenza inaudita, tale da perforare completamente la cotta di metallo dell'altro e da farlo crollare sul terreno di roccia.

Incoccò una nuova freccia e si stava cautamente muovendo verso l'uomo a terra quando questi di scatto si alzò e, spada in mano, gli fu addosso; dopo un rapido scarto anche Marco estrasse la spada e si preparò al duello all'arma bianca.


"Si può sapere perchè mi devi sempre svegliare con le tue canzoni orribilmente stonate, eh? Sei proprio un grosso bue nordico!"
























XXVII

"Faremo meglio ad allontanarci alla svelta, Kolskegg! Non avresti dovuto uccidere il capitano"

"Io fiutato pericolo, io rispettato ordini"

"Questa tua affermazione è del tutto opinabile, spero almeno riusciremo a fuggire dalla parte giusta, è così buio che non vedo da nessuna parte".

Innegabilmente, il buio della notte impediva a Giovanni di vedere con nitidezza il tratto di mare che l'imbarcazione stava percorrendo; inoltre la mente era ancora annebbiata dall'assassinio efferato a cui aveva assistito in diretta solo un paio di ore prima.

Decise di riposarsi mentre Kolskegg rimaneva sveglio a pilotare la barca.

Un lato positivo del suo compagno era che non sembrava mai aver bisogno di riposare, né abbassava mai la guardia.

"Sveglia, vedo qualcosa!", udì cadendo dalle braccia di Morfeo in cui si era comodamente coricato

"Mmmm"

"Sveglia!"

Giovanni si tirò contro voglia a sedere.

"Non puoi vedere niente, siamo ancora troppo lontani dalla costa, vai a dormire anche tu forza..ehi cosa fai, l'acqua salata no!"

"Luci all'orizzonte, sembrano navi", rispose il coriaceo amico riponendo il secchio appena adoperato.


"Navi? A quest'ora di notte? Potrebbe essere la flotta veneziana, o più probabilmente l'avanguardia Avviciniamoci senza farci notare!"

Man mano che la loro imbarcazione si muoveva solcando le acque tranquille e buie, riuscirono, sforzando la vista, a riconoscere la luce come un paio di barche che bruciavano, mentre una terza, più grande, osservava da una distanza di sicurezza. Non essendo direttamente illuminata era difficile scorgerne dettagli.

"Pirati o Veneziani che si danno alla pirateria, voglio vederci chiaro in ogni caso, cerchiamo di aggirarli altrimenti la luce riflessa delle fiamme rivelerà la nostra presenza"

"Temo noi già scoperti, guarda lì". La barca si era cominciata a muovere e si dirigeva lentamente verso di loro.

"Presto, scappiamo! Gira il timone e diamocela gambe!"

Prima, però, che la manovra di inversione della rotta fosse completata frecce di fuoco piovvero sul legno della barca, che prese immediatamente fuoco.

"In mare, presto!", urlò Giovanni.

La nave non identificata era però ormai troppo vicina. Non essendo in grado di proseguire la fuga in mare, troppo appesantiti dalla loro attrezzatura e troppo lontani dalla riva, decisero di acconsentire alle richieste del marinaio che intimava loro di arrendersi e salire a bordo.

"Identificatevi e non tentate di spacciarvi per pescatori, almeno che non siate in pesca di stelle a quest'ora di notte"


"Noi siamo.beh siamo sudditi dell'Impero, chi siete invece voi che date fuoco alle barche in mezzo al mare?"

"Le domande qui le facciamo noi", intervenne un uomo che, vista la facilità con la quale aveva ammutolito gli altri, doveva essere il capo, "con quella corazza che indossate, messere, se decidiamo di farvi fare un bagnetto, non resterete a galla per più di un paio di minuti, e se anche riusciste a togliervela, sarebbe molto duro tornare sulla terraferma. In ogni caso, sembra che almeno voi parliate Greco, il vostro amico invece"

"Capisce benissimo ma è di poche parole. Non so perchè ci abbiate attaccati ma chiedo perlomeno di sapere con chi sto trattando, vogliamo solo un passaggio fino alla costa e vi ripagheremo in oro"

"Pensate basti un pò d'oro? In ogni caso, siamo soldati dell'Impero, siamo in una missione di ricognizione"

"..dell'Impero?"

"Esatto, ed in quanto tali possiamo mettere a morte senza processo le spie come voi."

"Noi spie? Ma state scherzando, forse? Noi siamo soldati esattamente come voi. Vengo direttamente dal fronte ed il mio amico è una guardia variaga!".

Kolskegg grugnì; Giovanni intuì che non avrebbe dovuto rivelare la loro identità. Ora alla prima occasione il vichingo avrebbe cercato di tappare la bocca a tutti quelli che li circondavano, cosa che,vista la situazione, lo preoccupava.


"Cosa ti fa pensare che dovremmo crederti? Pensi non abbia riconosciuto il tuo accento, Veneziano?"

"Datemi la possibilità di identificarmi"

"Mi spiace ma siamo nel bel mezzo di una missione delicata, da qui a poco questa barca affonderà e penso voi gli terrete compagnia."

"Non so cosa vi passi per la mente, ma possopossoguardate qui!" ed indicò il tatuaggio sul braccio che indicava la sua appartenenza come ufficiale all'esercito imperiale.      

"Quel tatuaggio è applicato a qualsiasi comandante di truppe latinkon, questo non garantisce che non sia dalla parte di Venezia."

"Allora guardate questa cintura, ha il simbolo delle guardie del palazzo, le guardie dell'imperatore! Mi è stata data prima dell'inizio della missione!"

"Non è sufficiente, avrei gradito scoprire la vostra storia ma abbiamo una missione da compiere."

A questo punto intervenne nel discorso Kolskegg , che fino a quel momento era rimasto in silenzio e con l'aria perfettamente indifferente, come se stesse assistendo ad uno scambio di battute che non lo riguardava:

" Guarda qui, questa è medaglia per meriti speciali, data solo ai migliori".

Scopri il pettorale e mostrò, appeso al collo, l'aureo cimelio il cui alone si intravedeva anche se illuminato solamente dalla luce rossastra delle navi a fuoco in lontananza.


Il comandante della nave rimase per la prima volta dall'inizio di quel drammatico colloquio senza parole: lo sguardo penetrante e spietato si fissò sul medaglione di Kolskegg, quindi passò dall'uno all'altro dei due uomini che gli stavano di fronte. Un marinaio gli si accostò e disse, non così a bassa voce da non essere udito da Giovanni e dal Normanno:

"Signore, la flotta nemica dovrebbe essere a sola mezz'ora da noi!"

"A quanto pare dovrò fidarmi di voi, in ogni caso resterete sempre

in mezzo a noi e se solo aprite bocca, giuro, vi trafiggerò personalmente con la mia spada. Prendete questi travestimenti e fate in modo di coprire con gli stracci da pescatore ciò che c'è sotto."

"Si può sapere dove siamo diretti e cosa stiamo per fare?"

"In breve, stiamo per mascherarci da pescatori d'alto mare con problemi alla barca, problemi molto gravi: lo scafo è gravemente danneggiato e fra non molto affonderà."

"Dannazione! Questa è follia."; guardandosi attorno per la prima volta notò come l'imbarcazione su cui si trovavano fosse una vecchia nave da pesca.

Comprese da dove proveniva questa e quelle che aveva visto bruciare, perchè inutili nell'attuazione del piano, prima.

"E fatemi indovinare, il bersaglio è la flotta veneziana vero?"

"Precisamente, ed ora andate sottocoperta: ci ritroveremo qui quando sentirete l'allarme".



Svanita improvvisamente tutta l'attenzione che fino a quel momento era stata rivolta loro, si trovarono spaesati a mescolarsi alla trentina di uomini, loro amici a quanto sembrava, che si muovevano velocemente sul ponte della nave, ognuno diretto ad una postazione già decisa in precedenza.





















XXVIII

"Devono averci avvistato, senti l'allarme di trombe come suona in lontananza", bisbigliò un uomo ad un suo compagno,

"Speriamo non sospettino nulla"

"Vi siete assicurati che coli tutto a picco non molto dopo la nostra partenza? Non devono trovare nulla", fu l'ultimo ordine impartito dal comandante.

Giovanni, che si trovava insieme al compagno seduto dietro la tolda, venne fulminato da un pensiero improvviso:

"Un momento, Kolskegg! Se questa è la flotta veneziana, da qualche parte potrebbe esserci Marco, questa era la sua missione, ricordi? Devo riuscire a comunicare con lui!"

Nel frattempo le truppe veneziane già cominciavano a scortare a bordo i superstiti e li ammassavano in una piccola nave che sarebbe servita da casa-prigione per il resto della traversata.

"Comandante, eccovi! C'è un mio amico qui a bordo e devo trovarlo!"

"Tu non ti muoverai di qui per nulla al mondo, non devono sentire il tuo accento ed inoltre non mi fido ancora di te, lo stesso vale per il tuo amico."

"Non capite E' essenziale che io lo trovi, devo avvisarlo di ciò che sappiamo, lui è rimasto solo e potrebbe non sapere nulla del da farsi."




"Ascoltami, io ho il permesso di muovermi per comprare vivande e parlare in nome di tutti noi. In ogni caso non potrò mettermi di certo a parlare con un estraneo , creerei sospetti."

"Vi prego di ripensarci, ditegli almeno che io sono qui e se vuole possiamo parlare!"

"Non penso proprio che accadrà una cosa del genere, se dovessi incontrarlo e riconoscerlo però lo incoraggerò nel migliore dei modi non temere, ma al momento non posso rischiare che voi roviniate tutto".


Il trattamento riservato agli ospiti non fu di lusso e furono costretti a riparare le reti da pesca della flotta per diverse ore prima di avere il permesso di riposare; durante il tempo libero diedero inizio ai preparativi per il loro piano.

"Alexandros, tu prendi il petrolio liquido che hai nascosto negli abiti! Varnavas, accompagnalo e assicurati vada tutto per il meglio! Dannazione, dove sono finiti Polyvios e Menelaos?"

"Li hanno portati via i Veneziani per sistemare le reti in magazzino, signore, hanno detto che cercheranno di prendere una barca per la fuga"

"Perchè non va mai tutto come deve andare? Servono due volontari per appiccare il fuoco nell'armeria veneziana"

Nessuno rispose all'appello del capitano da poco tornato dal suo giro di ronda, nessuno se non i due nuovi arrivati.



"Voi? E va bene, mal che vada sarà come se non ci fossimo mai incontrati! Ricordate, avete poco meno di un'ora per dare fuoco e scappare, vi aspetteremo qui davanti, nel frattempo noi ci prenderemo cura delle guardie.

"D'accordo! Presto, Kolskegg, prendi tu la bottiglia di petrolio!"

Superate le guardie di stanza presso il ponte mobile che collegava una grande nave a quella in cui erano ristretti i pescatori, non trovarono molti ostacoli: tutti dovevano essere indaffarati nelle manovre di una così grande armata e non potevano di certo preoccuparsi di innocui villici.

L'armeria nella quale dovevano recarsi non fu molto difficile da trovare ed era sorvegliata soltanto da una guardia che l'irsuto nordico non ebbe difficoltà a stordire e buttare in mare.

All'interno, una immensa selezione di armi ed armature, più di quante ve ne fossero nell'armeria del palazzo imperiale, sebbene meno di quante ne avesse viste Giovanni nelle sue campagne militari sulla terra ferma.

Cosparsero il petrolio per tutto il pavimento del locale ed infine entrambi gli diedero fuoco utilizzando dei bracieri ancora caldi della fucina presente nell'armeria stessa: il fuoco divampò immediatamente e si appiccò a tutta la nave.

Le guardie accorsero armate ma i due già erano fuggiti.

Mentre correvano a perdifiato sul ponte, diretti nuovamente alla barca dei finti pescatori, videro costernati che la bagnarola si stava già


allontanando sull' acqua; proprio mentre la disperazione prendeva piede nei loro cuori le grida di altre guardie alle loro spalle li costrinsero a nascondersi.

Braccati come volpi in una battuta di caccia, decisero di trovare rifugio in una modesta barca a vela che fungeva da scialuppa da sbarco.

"Sento le loro voci"

"Shhh! Rimanere in silenzio!"

"Presto, salite sulle scialuppe ed inseguiteli, non lasciateli scappare!"

La loro barca fu lasciata cadere in acqua dopo che le funi che le tenevano issata furono tagliate alla svelta, un paio di guardie salirono a bordo e senza perdere tempo a controllare cosa si celasse sotto i teloni spiegarono le vele per gettarsi all'inseguimento.

Poco dopo Giovanni e Kolskegg uscirono armi in pugno ed a seguito della breve colluttazione che seguì presero possesso della barca.

"Di nuovo soli, io e te eh?"

"Guarda mappa dentro scafoindica Chio"

"Interessante Da queste carte nautiche sembrerebbe siano diretti all'isola di Chio! E' lì che si completerà la nostra missione, gonfiamo le vele e dirigiamoci anche noi verso l'isola!"






XXIX

"Cosa, questa voce? Giovanni!".

Marco si distrasse un momento di troppo e Kolskegg ne approfittò per costringere l'avversario, con un rapido affondo, ad una parata d'emergenza che , vista la forza del fendente ricevuto, lo fece cadere a terra.

Il Vichingo non esitò ad avvicinarsi al Veneziano per finirlo.

Marco rotolò velocemente su un fianco, evitando il colpo letale. Kolskegg non si perse d'animo e caricò irrefrenabile l'avversario. Le grida di quest'ultimo che lo invitavano a fermarsi non erano che le stesse di coloro che in passato aveva già eliminato: niente e nessuno poteva distoglierlo dal terminare ciò che aveva iniziato.

"Non mi riconosci? Dannazione, fermati! Sono Marco"

Ma la cieca furia dell'uomo non sentiva ragione ed anzi più sentiva la sua vittima urlare più brandiva con forza la sua arma.

Marco si diede alla fuga, diretto verso una parte completamente oscura della grotta, ma un giavellotto gli sfiorò il braccio destro e si conficcò a meno di mezzo metro dal suo piede: sarebbe bastata un'angolazione lievemente diversa e sarebbe finito passato da parte a parte dalla punta in acciaio.

Rivoltosi nuovamente verso l'aggressore, ormai deciso a vendere cara la pelle, constatò con soddisfazione che se lui era sfinito anche Kolskegg non era in piena forma, anzi respirava affannosamente a qualche metro da lui, ad una distanza di sicurezza.


"Ora mi vuoi ascoltare? "

"Marco! Se sei davvero tu, dimostramelo"

Giovanni si era alzato in piedi e con la spada in mano si era accostato all'ormai esausto amico.

"Questo è proprio buffo, comandante! Ricordi quando a Mileto in battaglia fosti disarcionato? Ed io venni a cercarti a fine giornata sul campo? Eri così lurido che non ti riconoscevo, e pretesi una prova della tua identità!"

Giovanni si concesse qualche istante per riportare alla mente l'avvenimento citato, qualche altro per assicurarsi che nessun altro potesse esserne a conoscenza ed infine scrutò maggiormente l'uomo che aveva davanti.

"Dannazione, vecchio idiota, si può sapere cosa vieni a fare in piena notte armato nel nostro rifugio?"

Il nordico irruppe nell'amichevole discussione ed espresse il suo disappunto per l'accaduto, lamentandosi e gesticolando in pancia all'altezza di dove la freccia era arrivata, fortunatamente fermata dall'armatura.

"Dove è tua balestra, ora? E' molto potenteha rotto il mio scudo.."

"Veramente quello sarebbe il mio arco che non so dove .eccolo qui, per fortuna non ci sei andato a finire sopra"

Giovanni riprese il filo del discorso ed apparve quasi annoiato dell'equivoco.


"Bene, Marco! Penso proprio che dovremo raccontarci molte cose, però ora sarà meglio riposare, ne riparleremo domattina."

Stupito della lapidarietà dell'amico, Marco distolse la mente dall'argomento.

"D'accordo, mi sembra di aver anche visto qualcosa da mangiare sul fuoco, non tocco cibo da troppe ore."

"Ah quello, assaggia pure se vuoi, però l'ha cucinato il nostro amico, dice di essere un buon cuoco, però io trovo la cucina delle sue parti davvero disgustosa."

Le pietanze si rivelarono proprio come le aveva descritte il compatriota e così Marco decise, dopo essersi nuovamente scusato con Kolskegg ed auguratogli un buon turno di guardia, di andare a propria volta a stendersi su un mucchio di paglia ammassata alla meglio in un angolo. Dopo qualche istante, dormiva profondamente.


La mattina seguente la grotta si confermò essere caratterizzata da una conformazione particolare, visto che il sole riusciva in qualche modo ad arrivare fino a dove i tre riposavano.

"Ora, mentre Kolskegg si prende le sue ore di riposo, ci aggiorneremo", intervenne Giovanni turbando la quiete del risveglio.

"Ah, sediamoci qui, da queste rocce potremo facilmente anche gettare un occhio all'entrata"

Marco seguì Giovanni e si sedette vicino a lui.



"Beh, come siete finiti qui voi due? Non dovevate essere a Nasso? E Come avete incontrato l'ambasciatore?"

"Ehi, piano con le domande.. Allora: poco dopo che tu partisti anche noi salpammo verso la nostra destinazione, purtroppo lì a parte un po' di azione non abbiamo trovato niente."

"Come, niente?"

"Lascia stare, non è importante Siamo ripartiti e, dopo aver intercettato la flotta veneziana, siamo dovuti scappare fino a Chio, dove stremati abbiamo incontrato l'emissario al suo arrivo e gli abbiamo chiesto aiuto. Devo confessare che se non ci avesse fornito viveri ed indicazioni, saremmo morti."

Giovanni riprese fiato dopo la lunga frase pronunciata tutta di un fiato per evitare di dover rispondere alla logica domanda dell'amico:

"Ehi, aspetta, e la flotta? Vuoi dire che eri con."

"Sì, sapevo eri lì ma non ho avuto occasione di incontrarti, ma ora è importante sapere tu perché sei qui? Perché sei venuto fin qui? Ora sarà saltata la tua copertura".

Pronunciò l'ultima frase gettando un occhio allo stemma di San Marco intessuto sulla sua corazza vicino al fuoco.

Marco non era ancora convinto della spiegazione fornitagli ma decise di procedere verso il punto nodale della questione.

"Veramente sono venuto sperando voi sapeste, mi è stato detto che eravate a conoscenza del da farsi."



"Non so di certo cosa tu abbia in mente, noi non abbiamo ricevuto indicazioni; in ogni caso abbiamo alcune informazioni riguardo la situazione, ma su questo tu ne saprai certo di più. Abbiamo anche preparato un piano, intendevamo attuarlo fra breve: non c'è rimasto molto tempo!"

Si alzò e si diresse verso l'entrata: Marco lo seguiva a breve distanza.

Era una giornata piuttosto nuvolosa, il mare però era calmo e si poteva vedere in lontananza; continuarono a camminare finchè Giovanni non decise che nessuno poteva aver seguito Marco la sera precedente, e così si sedette sulla riva.

"Di che piano stai parlando?"

"Di assassinare Lorenzo Dandolo."

Un onda lambì i loro piedi e per qualche secondo entrambi fissarono l'immensa distesa di acqua che troneggiava loro davanti.

"Temo tu non ti renda conto delle misure di sicurezza intorno al perimetro dove risiedono i comandanti"

"No, ed è forse per questo che abbiamo avuto l'ardore e la follia di progettare un piano del genere; se lo uccidiamo l'armata subirà un gran colpo. Ti rendi conto che sono qui da più di un mese in attesa di ordini? Sono in pieno territorio straniero e fra non molto finiranno i viveri, hanno prosciugato l'intera zona"




Marco si prese qualche tempo per riflettere. Giovanni, intanto, si mise a lanciare qualche sasso in mare per vedere quanto lontano poteva arrivare: era sempre stata una prova di abilità che lo divertiva.

"Ed ancora non sono giunti ad una conclusione..i nostri politici sembrano riuscire nel loro intento di perder tempo. Pensi che a Bisanzio si sia già allestito un grande esercito? Una grande flotta che lì attaccherà da un momento all'altro?"

Posta la domanda, Marco prese un sasso e lo lanciò a sua volta verso l'orizzonte; arrivò ben più lontano di quelli lanciati in precedenza dall'altro, tanto da lasciare esterrefatto Giovanni.

"Solo di una cosa sono sicuro! L'ambasciatore ha un compito, hai visto l'uomo che tiene con sé in quell'angolo del suo rifugio? Non è un semplice malato."

" Si che l'ho notato. Chi è?"

"Lo vedrai. Anche noi dobbiamo agire però; ho sentito che Dandolo sta cercando di convincere gli alti comandi ad attaccare."

"Non solo Sta cercando di ammutinarsi al Doge e prendere le redini della campagna, e ci sta riuscendo."

In quel momento pensò all'osteria della città dove aveva parlato con Arkantos e rimpianse di non aver portato con sé dei viveri; tutto stava accadendo troppo in fretta.

"Maledizione! Dobbiamo accorciare i tempi: sarà per domani notte!"

"Domani? E il piano?"


"Ti spiegherò strada facendo, è un poco complesso ed in alcuni punti non perfetto, ma ora che ci sei tu qui andrà meglio. Non mi sentivo al sicuro a confidare in Kolskegg per il tiro a distanza."

Giovanni si alzò in piedi e si congedò da Marco. Quest'ultimo sapeva bene che l'altro non era un uomo di poche parole e questo suo atteggiamento era più che mai sospetto.

Infine intuì che forse il piano non era ancora completo ma che tuttavia Giovanni non voleva ricevere il suo aiuto nell'elaborarlo: era un uomo testardo, testardo e sicuro di sé.

















XXX

"Ambasciatore!", urlarono irrompendo nella stanza.

"Cosa c'è? Vi ho detto un milione di volte di non entrare senza prima bussare"

A contrapporsi al suo sguardo indispettito c'era però la serietà del capitano delle guardie.

"La situazione richiede la massima urgenza. E' morto."

D'improvviso il volto dell'uomo mutò. Un sorriso compiaciuto gli illuminò il volto.

"Benissimo, è vestito come avevo richiesto? Gli avete riempito le tasche d'oro?"

"Come ha ordinato, eccellenza!"

Il soldato appariva ora più soddisfatto, vedendo riconosciuto il suo diritto ad avvertire l'ambasciatore, anche in piena notte.

"Allora portatelo fuori e gettatelo vicino al torrente dove si recano la mattina i soldati. Se fate presto ci riuscirete prima che qualcuno vi noti, fate finta di andare a lavare i panni."

Si congedarono con il più classico dei saluti militari. Colui che era rimasto, tuttavia, non aveva ottenuto la quiete che aveva in precedenza nel sonno ma anzi si concentrava, seduto nella sua postazione d'ufficio, pensando alla mossa successiva.

Finalmente ciò che tanto aspettava era accaduto, ma non era ancora finita.



Il ruscello a quell'ora di mattina era ancora deserto, salvo qualche massaia o serva degli ufficiali che si occupava delle faccende domestiche per conto dei comandanti veneziani. Nessuna di loro si preoccupò vedendo arrivare i Greci con dei panni da lavare.


"Hai sentito? Sembra abbiano trovato un morto. Un morto vicino al ruscello!"

"Un morto? E' dei nostri?

"No, non sembra perlomeno, stanno facendo accertamenti. A quanto pare portava con sé oro e preziosi che i primi arrivati hanno ben pensato di far sparire."

I mercenari discutevano animatamente, almeno quelli che non erano impegnati nelle esercitazioni. Incuriositi dall'evento, speravano che questo avrebbe smosso la situazione, cosa che in effetti sarebbe accaduta, anche se in modo molto, molto diverso da come si aspettavano.


Erano trascorse trentasei ore circa da quando si erano parlati per l'ultima volta e nel tempo passato a preparare tutto l'equipaggiamento che era loro rimasto a disposizione per la missione scambiarono solo, in particolare Marco, qualche parola con Kolskegg che aveva rapidamente rimosso lo spiacevole equivoco che lo aveva visto coinvolto poco tempo prima .



"Tu sai, vero, quale è il piano?", si decise a chiedere Marco dopo qualche frase di circostanza che, scambiata con un oratore del calibro del Normanno risultava alle sue orecchie ancora più deprimente e priva di senso.

"Giurato di non parlare, stasera tu saprai", rispose Kolskegg freddo, lasciando, tuttavia, trasparire dal tono che non provava astio, solo non poteva sinceramente parlarne.

Quando fu il momento di andarsene mancava qualche ora al buio, ore che sarebbero servite per raggiungere l'accampamento veneziano.

Molto era stato lasciato nel rifugio improvvisato e Marco si chiese se mai sarebbero potuti passare a riprendere la corazza di Giovanni, che si muoveva in cotta di maglia, lo scudo, la spada e la lancia del nordico, che ora era equipaggiato solo con una grande ascia bipenne, forse l'arma più consona ad una guardia variaga.

Poco dopo Marco si fermò nel bel mezzo della camminata e disse:

"Se non mi spieghi almeno la prima parte del piano, giuro me ne torno nella grotta a dormire".

"Sei liberissimo di farlo, in tal caso Kolskegg ed io faremo da soli il lavoro che ci è stato assegnato"

Marco era al limite della sopportazione e rispose dando sfogo a tutta la sua rabbia:

"Si può sapere cosa è successo? Ti sei così immedesimato nel ruolo di agente segreto che ti sei scordato perché siamo qui? Sveglia!"



"Non è così semplice Ho compreso finalmente che in questa storia ognuno di noi ha un ruolo, un ruolo ben definito. Condividere ciò che non è necessario non faciliterà le cose"

"Cosa speri di ottenere in questo modo? Dannazione! Siamo finiti insieme in questo guaio, dobbiamo uscirne insieme perché è l'unico modo, o finiremo per farci tutti ammazzare!".

Giovanni abbozzò qualche passo in avanti e Kolskegg non esitò a seguirlo.

Ormai rassegnato, Marco stava per dare le spalle agli altri due per tornare sui propri passi; all'improvviso l'amico si scosse ed ebbe un sorriso storto, amaro.

"D'accordo Hai vinto! Forse tutto questo non è fatto per me: intrighi, spionaggio, paura di essere pugnalato nel sonno ogni notte; sto lentamente impazzendo, tanto che non riesco più a capire di chi io possa fidarmi o meno, mi dispiace."

Distesi i tratti del volto Marco si avvicinò e quietamente chiese:

"Non ti fidi più di me ma ti fidi dell'ambasciatore tanto da non mettere in discussione, neanche di una virgola, il suo piano?"

Giovanni rialzò lo sguardo: sembrava davvero colpito.

"Non mi sto fidando di nessuno! E' per questo che tentavo di tenerlo nascosto fino all'ultimo, il suo piano era ben diverso e prevedeva di uccidere il Doge stesso, ma io ho intuito che non è questo quello che devo fare, voleva usarmi per il suo profitto, ma io non ho intenzione di farmi usare da nessuno. Anche Kolskegg la pensa come me. Crede che


ora noi ci stiamo dirigendo verso la nave ammiraglia dove riposa Michiel per dargli fuoco con lui dentro."

"D'accordo, anche io non ritengo di poterci fidare pienamente di lui, ma ora parlami del piano vero e proprio."

Giovanni assentì con il capo e mentre parlava ripresero a muoversi lungo il tortuoso sentiero, prima che facesse buio.




















XXXI

La grande ammiraglia aveva piegato le vele e posizionato l'ancora nel fondale, seppur basso, del porto. Qualche luce sul ponte indicava la presenza di guardie che perlustravano l'area.

A lui questo però non interessava, non avrebbe agito di notte, ma l'indomani.

La finestra del vecchio edificio era una buona posizione per osservare, ed aveva osservato molto negli ultimi giorni, tanto che ormai conosceva tutte le mosse, i turni ed i volti delle guardie personali del Doge.

"Domattina lo destituirò, ora devo dormire", pensava dentro di sé, eppure non aveva la minima intenzione di andare a letto, c'erano voluti molti giorni per corrompere gli ufficiali veneziani e i mercenari, ma la gloria in arrivo sarebbe stata una ricompensa più che sufficiente.

Avvertì la sete: ci voleva un bel mestolo d'acqua fresca da raccogliere al pozzo; sapeva di essere un abile politico ma la tensione di un'azione simile lo aveva agitato più che mai.

Non fu lasciato solo in questa manovra da un paio di suoi fedelissimi che lo scortarono alla seppur poco lontana meta.

"Prendilo ora, forza, è a meno di trenta metri, puoi farcela!", sussurrò una voce nell'oscurità di un vicolo poco lontano. 

"Non posso, non riesco ad individuarlo con questo buio, riesco a malapena a distinguere il soldato con la torcia".



Marco, che aveva poco prima teso la corda con una freccia incoccata per prendere la mira, dovette allentare la presa e riporre la freccia nella faretra.

"Dannazione, sta tornando dentro Presto, andiamo ed uccidiamolo!"

"Fermo!", disse con voce di pietra Kolskegg, bloccandolo con la mano grande come un prosciutto per la spalla.

"Ha ragione, non è questo il momento, e poi già ti sei dimenticato il piano?"

Rammentando la loro inferiorità numerica, Giovanni tornò alla propria posizione, in attesa. Non sarebbe stato facile attendere ancora.


Lorenzo Dandolo era rientrato nell'edificio, mentre le due guardie del corpo erano tornate alla loro posizione di prima, dopo aver rimesso la torcia nell'apposito spazio vicino alla porta di ingresso.

I Veneziani e il Vichingo si avvicinarono ancora un poco ed alla fine trovarono dietro un vecchio banco per la frutta nella piazza un riparo.

La porta non era molto lontana e, cosa più importante, si trovava proprio in un'ideale linea retta con la loro postazione, se non fosse stato per il grande albero al centro dello slargo.

"Pensi di poterli colpire da qui?", chiese Giovanni fremendo.

"Non ne sono sicuro, ci sono delle fronde sulla traiettoria, potrebbero deviare o fermare il tiro".


L'altro finse di non aver sentito la risposta.

Nello stesso momento passò la ronda di soldati che sorvegliavano il villaggio di notte; la luce illuminò il terreno intorno a dove si nascondevano.

"Chi è che lascia questo dannato carretto qui tutte le notti?"

"Non so, domani quando il mercante arriverà gli insegneremo a sgomberare l'area."

"Io direi di bruciarlo ora."

A quell''ultima affermazione dei soldati il sangue si gelò nelle vene dei tre.

"Lasciamo stare, sarebbero solo guai per noi se svegliassimo gli ufficiali qui di fronte, meglio andare, qui fuori fa freddo mentre l'osteria è bella calda."

Qualche altro insulto o proposta sconcia riecheggiarono nell'aria, però sempre più soffusamente, fino a perdersi nel silenzio e nel buio della notte.

"Non possiamo aspettare che passi la prossima ronda, dobbiamo

agire!" Giovanni e Kolskegg annuirono.

Improvvisando una tattica, uno si mosse alla sinistra  dell'edificio, mentre l'altro verso la sua destra.

Marco stava per spostarsi verso una linea di tiro migliore quando Giovanni nel buio inciampò e creo rumore, rumore che fu udito anche dalle guardie.

"Cosa è stato? Chi va là?"


"Forse solo un topo."

"Meglio accertarsene, vado a chiamare qualcun altro!"

Le guardie stavano all'ingresso con la spada sguainata e solo la paura di una punizione evitò che l'intero corpo di guardia venisse messo in allarme.

"Vai a controllare, presto!"

Chiaramente subordinato dell'altro, il soldato tentò qualche timido passo.

Un dardo sibilò nell'orecchio di quello rimasto di guardia e si conficcò nel muro.

"Dannata pianta", pensò Marco.

Giovanni uscì fuori dal cespuglio e trafisse con un solo rapido affondo il soldato che si era girato per vedere cosa stesse succedendo alle sue spalle.

Girata la chiave nella porta, il suo compagno stava per emettere il fatale grido di allarme. Un nuovo strale lo ammutolì, conficcandosi nel duro legno della porta e lì rimanendo piantato, a pochi centimetri dal suo naso.

Era già entrato quando fu abbattuto dall'ascia di Kolskegg.


"Marco, hai commesso due errori grossolani: non è da te. Se non fosse stato per Kolskegg, ora staremmo scappando a gambe levate sperando che gli arcieri della serenissima non fossero più lucidi di quanto lo sia stato tu."


"Avevo quei rami davanti, io non potevo vedere..dovete perdonarmi ma l'idea di avere sulle mie spalle non solo la mia ma anche la vostra vita mi sta agitando più del dovuto. Non sono tagliato per questo genere di missioni, non che lo fossi per il campo di battaglia, ma perlomeno lì è chiaro chi sia il nemico, è chiaro il fine ed il mezzo per raggiungerlo; qui tutto è più confuso, con certezza so solo che ogni errore potrebbe essere l'ultimo."

"Ora spostare corpi.."

"Kolskegg ha ragione: dobbiamo eliminare ogni traccia del nostro passaggio.

Per stanotte la vegetazione qui vicino dovrà bastare, anche se è poco più di un cespuglio."

Trascinare i cadaveri tra gli arbusti non si rivelò un impresa troppo difficile, grazie anche al prezioso aiuto del nordico che vantava una forza straordinaria.

Non molto dopo che ebbero terminato il loro lavoro, un drappello di soldati si avvicinò dal buio di un vicolo; vista la velocità con la quale si muovevano in poco tempo sarebbero giunti alla loro posizione.

"E' troppo presto perchè sia già la nuova ronda, e guarda, si dirigono proprio verso di noi!"

"Nascondiamoci qui , presto!"

Il gruppo in arrivo era formato da una ventina di uomini, armati di tutto punto, che in silenzio e rigorosamente si fecero strada fino al portone del palazzo.


Un soldato, rivolto a quello che sembrava essere il più alto in grado, bisbigliò:

"Non ci sono guardie, potrebbero aver saputo del nostro arrivo."

"Non importa, se non si arrenderà lo prenderemo con la forza, avanti!"





















XXXII

"Riuscite a sentire cosa stanno dicendo?", sussurrò Giovanni ai due compagni.

"No, però riconosco gli stemmi sulle loro divise: sono soldati al diretto servizio del Doge, e forse ho intuito cosa stanno facendo qui."

"Allora, forse, potresti illuminare anche noi."

"Questa volta dovrai essere tu ad attendere per capire"; l'espressione compiaciuta di Marco si scontrò con quella imbronciata del suo vecchio comandante, che però dovette accettare di buon grado la situazione.

Durante il breve battibecco la piazza era tornata nuovamente vuota e silenziosa: i soldati erano tutti entrati nel palazzo.

I tre, sotto indicazione di Marco, si avvicinarono senza fare rumore all'edificio e, una volta entrati, si trovarono in un'ampia sala scarsamente illuminata e alla cui sinistra partiva una scala a chiocciola piuttosto mal messa, che sicuramente conduceva ai piani più alti.

"Devono aver aggiunto i piani superiori in un secondo momento, per scegliere una scala così piccola e poco pratica in un posto così grande.", fece Marco.

Giovanni e Kolskegg annuirono poco interessati.

Da uno dei piani superiori giunse alle loro orecchie un grido: "Per ordine del Doge Vitale Michiel, arrendetevi: Lorenzo Dandolo è in arresto. Se non opporrete resistenza, verrete lasciati liberi e distribuiti in altre unità."


La risposta non arrivò mai fino al pian terreno, tuttavia il fragore della lotta che seguì quasi istantaneamente fu sufficientemente esplicativo della situazione.

"Bene: quindi quelli sono nemici dei nostri nemici"

"E sarà meglio non disturbarli, non vorrei a loro fosse ignota questa relazione", rispose pronto Marco.

"AlloraDove ci dirigiamo?"

"Ci dovrà pur essere un altro modo per salire: questo è pur sempre un municipio, la servitù avrà un qualche punto di accesso laterale."

La sala era immersa nella penombra, eppure i tre riuscivano a scorgere chiaramente un gran numero di porte, alcune aperte, altre no che si aprivano lungo tutto il suo perimetro.

Mentre stavano per dividersi in perlustrazione, un distinto rumore di passi che si avvicinavano li fece trasalire.

"Presto, in questo modo li prenderemo da dietro!"

Una delle porte si aprì di scatto e tre soldati affannati irruppero

nel salone. Marco si trovava a pochi metri davanti a loro; non avendo avuto il tempo di nascondersi, fu subito individuato.

"Eh? Un mercenario? Allora il Doge è proprio a corto di uomini se affida una missione così importante a dei cani randagi."

Giovanni e Kolskegg si allinearono a lui e ben presto tutti e tre si distaccarono l'uno dall'altro per cominciare la lotta.



A Kolskegg toccò il più grosso dei nemici. La grande ascia roteò in aria più volte ma l'avversario, pur ingombro da una corazza tutt'altro che leggera, riuscì a schivare i colpi con insolita agilità.

"E' tutto qui quello che sai fare, brutto bestione?", urlò in faccia al Vichingo il soldato di Dandolo.

Kolskegg rimase con la bocca chiusa, continuando ad incalzare l'avversario anche dopo che questi gli ebbe inflitto una ferita di striscio all'addome.

Proprio dopo quel colpo fortunato, il soldato aveva imprudentemente deciso di parare il colpo partito a sua volta dal nordico, anziché schivarlo, in modo da conservare una mossa di vantaggio nell'istante successivo.

L'ascia, però, non aveva rallentato la sua corsa, seppur maneggiata da un uomo ferito e si conficcò violentemente nello scudo dell'altro, che si spezzo fragorosamente a metà.

L'avambraccio del soldato venne mozzato dalla terrificante doppia

lama. L'uomo non fece neanche in tempo ad urlare, vedendoselo cadere davanti come un frutto maturo dall'albero: un secondo colpo della bipenne gli separò la testa dal corpo.

Marco era invece impegnato nella lotta con uno spadaccino che si rivelò fin dai primi istanti un osso duro, dopo aver schivato la freccia scoccatagli contro dal mercenario. Si era avvicinato abbastanza per costringerlo alla lotta all'arma bianca.



Le capacità con la spada evidentemente possedute dall'avversario preoccupavano Marco, che vedeva i suoi affondi e colpi migliori respinti con maestria: fra non molto quello avrebbe finito di studiare le sue mosse ed avrebbe cominciato ad attaccare sul serio.

Proprio quando fu costretto ad alzare la guardia per difendersi dalle stoccate, però, inciampò in una mattonella poco stabile, che nel semibuio nel quale erano costretti a muoversi divenne una trappola mortale. Ancora sbilanciato si vide arrivare un affondo diretto al busto.

Estratto rapidamente il frangi spada dalla cintura, riuscì a bloccare efficacemente il colpo diretto con troppa sicurezza e, dopo un rapido gioco di gomito, a spezzare la spada del nemico.

Ancora stupefatto della velocità con cui Marco era riuscito a ribaltare la situazione, l'altro si diede alla fuga dalla porta per cui era venuto, attraverso la quale si scorgeva una scala laterale, lasciando Marco affaticato ed incapace di inseguirlo.

Giovanni stava ancora lottando. Il suo avversario era armato di arco ed era riuscito a tenerlo a distanza e, contemporaneamente, a portata del suo tiro.

Scudo in mano, Giovanni aveva già respinto dei dardi, tuttavia non riusciva a trovare il momento buono fra una ricarica e l'altra per avvicinarsi, complice la scarsa illuminazione.

Lo stesso handicap affliggeva, tuttavia, il tiratore, che non riusciva a mirare con precisione e doveva affidarsi più all'intuito che alla vista.


Una freccia passò vicino al suo elmo ed allora capì che la situazione era matura per agire: lanciò lo scudo in direzione dell'avversario.

Il tiro non fu di grande potenza, eppure colpì l'arco e le mani dell'arciere che questi, sorpreso dalla mossa, aveva involontariamente proteso in avanti a difesa: Giovanni sfruttò l'occasione e, mentre l'avversario ancora guardava incredulo l'arco a terra, il nemico lo finì con un affondo diretto in piena pancia.

"Ehi! Dove hai imparato questa mossa?", chiese Marco battendo una pacca sulla spalla di Giovanni.

"Vedi, amico mio, conosco mosse segrete che uso solo quando necessario"

"Ed anche perché certe fortune capitano poche volte scommetto" rispose quasi ridendo Marco.












XXXIII

La porta da cui erano entrate le guardie era stata sigillata ed appariva impossibile da aprire. Un robusto colpo da parte di Kolskegg rivelò un'anima in ferro contro cui l'ascia si scontrò senza provocare danni.

"Non ci resta che seguire le orme dei soldati del Doge", concluse infine Marco.

La scala era sgombra e dopo poco li condusse al secondo ed

ultimo piano. Questo ospitava diverse stanze che, in tempi di pace, dovevano ospitare gli uffici burocratici ed amministrativi dell'isola.

I rumori della battaglia erano cessati, eppure una volta entrati nella terza stanza ne trovarono i resti: una sorta di barricata composta da mobili e sedie distrutta e una trentina di corpi stesi a terra, alcuni ancora vivi ed ansimanti.

La luce, presente in forma di torce nelle altre stanze, qui era assente. Visto che non c'era nulla da analizzare, decisero di proseguire.

Delle voci cominciavano ad udirsi più avanti: riparati dietro un muro osservarono una decina di soldati battere potentemente contro una grande porta che celava un ambiente posto proprio alla fine del piano.

"Dandolo! Esci subito ed avrai salva la vita, perlomeno fino al giudizio del Doge e del Consiglio."

"Uscirò quando sarete tutti morti!"



I soldati si armarono di tutto quello che nelle vicinanze poteva fare le veci di un ariete e cominciarono a colpire la porta.

Indecisi, i tre nel frattempo avevano notato un piccolo corridoio laterale, celato da porte nascoste ai margini delle stanze.

"Ecco il corridoio della servitù, sapevo che doveva esserci un passaggio simile", disse a bassa voce Marco.

"Forza, entriamo!"

All'interno lo spazio era esiguo ma stavolta ben illuminato e, proseguendo, arrivarono in una saletta che fungeva da anticamera allo studio dove si era barricato Dandolo.

Una porta li separava dal loro obiettivo. Si misero ad origliare.

" Signore, la strada di fuga è bloccata solo da tre mercenari!"

"Tre mercenari? E cosa ci fanno qui?"

"Non ne ho idea, però hanno ucciso Valerio e Jacopo: sono maledettamente in gamba. In ogni caso mi sembra l'unica scelta scappare per quella strada, qui sono troppi e non avremmo molte speranze."

"D'accordo, prendi gli uomini e aprimi la strada"

Il destino giocò però un brutto tiro al soldato che prima aveva scelto la fuga dietro una porta blindata, così che questa volta fu lui a trovarsi di fronte una porta chiusa davanti.

Era meglio aspettare gli eventi e vedere chi dei due schieramenti avrebbe avuto la meglio che combattere contro un imprecisato numero di avversari in un piccolo corridoio.


In qualche minuto le truppe che lottavano per entrare riuscirono nel loro intento, abbattendo ogni ostacolo: furono accolti da una salva di frecce sparata da dietro una nuova barricata di fortuna. Risuonò da ambo le parti lo stesso grido:

"Uccideteli tutti!".

La lotta infuriò e caddero vittime da entrambe le parti. In un paio

di minuti la maggior parte degli scontri erano finiti e le guardie del doge avevano avuto la meglio: solo il giovane Dandolo era rimasto vivo, rintanato in un angolo della stanza ma ancora spavaldo.

"Sembra proprio non abbia altra scelta che seguirvi", confessò con amara ironia.

Fu allora che Marco, Giovanni e Kolskegg decisero di entrare in campo.

Le pareti della stanza erano ricoperte del sangue schizzato dai corpi dei contendenti ed il pavimento non versava in migliori condizioni.

Proprio nell'angolo dove si era rifugiato Dandolo, cinque soldati ancora avidi di lotta si lanciarono contro di loro.

Marco dovette affrontarne ben due contemporaneamente e per riuscire ad averne la meglio dovette ricorrere ai più vari stratagemmi.

Dapprima scagliò contro quello più vicino una sedia per distrarlo e forse per emulare il gesto di Giovanni; non riuscì però a dare un degno finale alla mossa poiché l'altro intervenne a difesa del compagno stordito.



Costretto ad arretrare fino ad un angolo della stanza, fu salvato dal provvidenziale intervento di un uomo a terra dal precedente scontro che, benchè gravemente ferito, usò la spada per ferire all'inguine il soldato impegnato nella lotta con Marco.

Finalmente in una situazione di parità, Marco si dedicò all'altro avversario, la cui stanchezza dovuta ai recenti scontri lo rese un bersaglio più facile del previsto per la spada di Aetheling.

Giovanni era stato il più fortunato, se così si può dire, nell'affrontare sin da subito un solo avversario, con il quale tuttavia dovette impegnarsi a lungo e duramente, visto che era il capitano delle guardie.

In ultimo Kolskegg, che si occupava degli altri due soldati. Ancora ferito dal duello precedente, non si perse d'animo ed eliminò gli avversari con due precisi colpi dell'ascia, che per poco non arrivarono a tagliarli a metà.

Alle sue spalle, però, comparve Dandolo, mentre il Vichingo ancora estraeva l'ascia dal corpo dell'ultimo avversario.

Il nemico del Doge aveva compreso che l'unico modo per salvarsi dalla situazione era di tentare la fuga dall'edificio. Purtroppo per lui, Marco era nei pressi della porta principale e quindi l'unica alternativa di fuga era rimasta quella della porta laterale, occupata però dal fiero nordico.

Dandolo trafisse a tradimento Kolskegg con un affondo all'altezza della spalla ed imboccò disperatamente la via di fuga. Proprio mentre


stava attraversando la porta che lo avrebbe condotto alle scale, una freccia gli attraversò implacabile la testa e, non fermata dal cranio, si piantò nella parete.

Questa volta l'arco maledetto aveva compiuto la sua opera.






















XXXIV

"Kolskegg Sei ferito?", Marco corse vicino al compagno per terra. Sul corpo del nordico si spandeva velocemente una grande

macchia di sangue e l'uomo non riusciva a parlare.

Giovanni era ancora impegnato nel suo duello personale, nel quale nessuno dei due contendenti riusciva ad avere la meglio.

Finalmente il Veneziano riuscì a disarmare della spada l'avversario il quale, estratto un pugnale, cercò la lotta corpo a corpo ma non ci riuscì poiché fin trafitto prima di poter anche solo arrivare a brandire con efficacia il coltello.

"Dannazione, questo mi ha fatto faticare più del dovuto." Concluse Giovanni traendo un grande respiro.

"Non è questo il momento, dobbiamo portare via Kolskegg, ed alla svelta."

La guardia variaga comprese che le sue condizioni erano più gravi di quanto potesse permettersi durante una missione in pieno territorio nemico e, strappatasi la sua preziosa medaglia che teneva sempre con sé legata ad una catena al collo, la consegnò con la mano tremante agli amici.

"Ora non mettertici anche tu!" sbottò Marcò con tono severo, "Devi esserci d'aiuto o moriremo tutti qui!" .

"Marco.lascia stare..penso sia morto"

Giovanni prese per le spalle il compagno che ancora cercava di sollevare Kolskegg e lo esortò a muoversi.


"Non possiamo lasciarlo lì!"

"Lo dici a me? Mi ha salvato la vita più di una volta, ma ora lui vorrebbe vederci salvi, piuttosto che seppelliti nella sua stessa fossa, porterò la sua medaglia a Costantinopoli, gli renderanno gli onori dovuti."

"Non abbiamo neanche potuto dirgli addio, dannazione è morto così..all'improvviso."

"Non sempre si ha l'opportunità di chiedere del tempo alla morte, e comunque sono sicuro che se avesse potuto scegliere, avrebbe preferito morire in combattimento."

Erano appena scesi in strada quando le trombe dell'allarme cominciarono a suonare ovunque.

"Ci hanno scoperti!", esclamò Giovanni. Soldati correvano ovunque e, come tante formiche impazzite, senza alcun ordine entravano e scomparivano dalla visuale dei due.

"Non stanno cercando noi, deve essere successo qualcosa", disse rincuorato Marco.

"La flotta imperiale! Deve aver attaccato!", esultò l'altro.

"No, sarebbero ai posti di combattimento e non in rotta disordinata, non così presto perlomeno"

"C'è solo un posto dove possiamo andare per trovare aiuto ed informazioni"

"All' ambasciata" , pensarono entrambi.



La strada era breve, ma fu lenta da percorrere vista la mole di soldati in movimento. Fiducioso nel fatto che nessuno lo avrebbe riconosciuto come nemico e che nessuno avrebbe notato le macchie di sangue che portava con sé, chiese ad un soldato impaurito che non aveva più la forza di correre:

"Da chi state scappando? Dai Greci?"

"Cosa Non hai saputo?", rispose l'interrogato con stupore.

"No, però penso sia ora che ne venga a conoscenza!"

"E' suonato l'allarme perché è stata riconosciuta l'epidemia, altro che cibo avariato dannazione."

"Di cosa stai parlando?"

"Peste, maledetta peste! Dio ci vuole punire, e se continua così moriremo tutti prima ancora di aver combattuto una battaglia. Ora presto, alle navi se ti è cara la vita!"

Le ultime parole si persero nella confusione; l'uomo, terrorizzato, riprese la sua corsa verso il porto.

"Hai sentito?", fece Marco stupefatto

L'altro annuì gravemente.

"Ecco perché l'ambasciatore mi aveva detto di stare alla larga dal villaggio, deve essere coinvolto anche lui"

"Lo penso anche io, ora muoviamoci"





XXXV

Arrivati nei pressi del capannone adibito a sede diplomatica, non trovarono però che ceneri, tutto quello che rimaneva di un potente incendio.

Le fiamme si erano fra l'altro propagate agli edifici circostanti e stavano rendendo l'aria irrespirabile.

La notte sembrava aver assunto le connotazioni di un luogo infernale, con persone che correvano per cercare rifugio in mare e le fiamme che divoravano tutti gli edifici, rilasciando una luce rossastra che rendeva l'atmosfera ancora più angosciosa.

"L'ambasciataè bruciata..", constatò Giovanni.

"Devono aver scoperto che c'entravano qualcosa prima di noi.. non possiamo fare più nulla qui, scappiamo verso il porto e cerchiamo una nave"

La strada per il porto era via via più caotica man mano che ci si avvicinava al mare; giunti alle banchine, gli ufficiali ed i trombettieri ordinavano di ricostituire i ranghi e di restare calmi.

"Se pensano di poter farmi restare a respirare quest'aria infetta un secondo di più si sbagliano!"

"Il Signore ci ha punito per questa missione, ora voglio solo tornare a casa!"

Questi ed altri commenti volavano dalla folla inferocita e, ancor più grave, armata di tutto punto.



Violenti scontri scoppiarono fra le guardie veneziane e la folla mercenaria e regolare, tutti nei pressi delle barche che era stato ordinato di difendere da eventuali tentativi di fuga.

"Non riusciremo mai a trovare una barca solo per noi, una barca per non tornare a Venezia intendo!", urlò Giovanni a Marco che, nel marasma, riuscì appena a sentire l'amico.

Marco strattonò Giovanni e gli indicò una piccola barca ai margini della banchina in cui si trovavano, una piccola imbarcazione da pesca probabilmente perquisita al villaggio al momento dello sbarco e usata per l'approvvigionamento dell'armata.

Una grande nave prese fuoco davanti a loro. Le fiamme lambirono anche l'ammiraglia del Doge che fino ad ora era stata risparmiata dagli assalti.

Vedendola come oasi felice al riparo da un possibile contagio, però, un gruppo di mercenari slavi si lanciò all'assalto e si scontrò, sul ponte che la collegava a terra, con le guardie.

Il comandante della nave, per evitare di subire un assalto su larga scala, decise di dare l'ordine di partenza e, ammainate le vele, il grande galeone si allontanò da terra, lasciando in acqua guardie e mercenari che combattevano ferocemente tra loro.

Nel frattempo i due si erano avvicinati alla piccola barca che, viste le modeste condizioni, non risultava certo una preda ambita da chi voleva allontanarsi per grandi distanze.

"Pensi riuscirà a portarci fino a casa?" chiese Giovanni.


"Non ne ho la più pallida idea, ma meglio rischiare che rimanere qui!"

Saliti a bordo, slegarono le vele e rimossero teloni ed ogni altro oggetto non necessario per la navigazione che fosse d'impaccio e di peso. Poco prima che i due riuscissero a staccarsi dal pontile, un gruppo di soldati cercò di assaltare l'imbarcazione.

"Ehi! Dove pensate di andare? Questa barca servirà a noi!", intimò uno di questi, sguainando la sciabola.

Fortunatamente, un paio di loro persero l'equilibrio, urtandosi per la fretta di salire sull'imbarcazione, e caddero in acqua, lasciando a combattere solo tre dei loro compagni.

Lo scontro fu violento ma Giovanni e Marco riuscirono ad avere la meglio su due dei loro avversari e così il terzo, dopo aver lanciato il suo coltello, si gettò in acqua per salvarsi.

Il coltello si conficcò nel braccio di Giovanni, che cadde con un gemito dentro la barca.










XXXVI

Marco cercò di medicare, con i mezzi di fortuna disponibili sulla barca, il braccio dell'amico il quale, dopo qualche istante in cui aveva perso conoscenza, ora appariva in grado di reggersi perlomeno in piedi.

Diverse navi passarono vicino a loro e, da quanto erano grandi, per poco non li travolsero.

La loro rotta era diversa da quella degli altri in quanto puntava direttamente alla costa greca, dove avrebbero trovato un buon rifugio.

Decisero di gettare in mare tutto ciò di cui non avevano bisogno e così rimossero ogni armatura ed arma: solo l'arco e la spada di Marco furono risparmiate.

"Dobbiamo cercare di viaggiare il più velocemente possibile, non abbiamo viveri e rischiamo di essere avvistati dalla flotta Veneziana in fuga in ogni momento.", si giustificò Marco.

Qualche decina di leghe più in là incontrarono una formazione di navi da guerra che li ammonì con una salva di frecce.

Le bandiere ed i pennoni che sventolavano sui galeoni non erano però raffiguranti il leone veneziano, bensì l'aquila imperiale.


Saliti a bordo, Giovanni riconobbe alcuni dei marinai con cui era stato compagno di avventura un mese o poco più prima, e fu a sua volta riconosciuto da loro.




"Se volete intervenire, questo è il momento buono, sono tutti in rotta", disse rallegrandosi Marco mentre gli veniva offerta una coperta ed un posto a sedere in sottocoperta.

"Vorremmo farlo ma vedi, siamo solo dieci galeoni e non possiamo di certo rischiare che vedendo dei nemici i Veneziani girino le spalle e comincino a combattere, noi dobbiamo solo scoraggiarli a fuggire verso il nostro territorio.", rispose il comandante che Marco aveva incontrato quando entrambi erano sotto mentite spoglie nel viaggio della flotta veneziana.

Poi quello aggiunse, accarezzandosi la barbetta:

"Non so quale storia voi due abbiate da raccontare, ma chiunque sia riuscito a fuggire da quell'inferno si merita sicuramente un po' di riposo! Avevamo degli uomini validi sull'isola e nessuno di loro è ancora tornato. Entro un paio di giorni faremo rotta sulla capitale, penso che è lì che siate diretti o sbaglio?"

"Proprio lì, infatti! Vi chiedo di darci un passaggio e di prestare cure al mio amico, non vorrei che la ferita si infettasse. Abbiamo già perso un compagno."

Giovanni, che ascoltava a pochi passi, strinse l'unico ricordo dell'amico perso in missione.






XXXVII

La piccola flotta si accertò che nessuna nave si dirigesse verso la costa greca e poi, dopo qualche giorno, prese la rotta di casa.

Arrivarono al porto di Bisanzio di notte, quando era deserto e normalmente chiuso al transito. Giovanni e Marco decisero di dirigersi verso la caserma della guardia cittadina, come suggeritogli dai soldati a bordo.

La città sembrava rimasta immutata nel tempo trascorso; solo in qualche vicolo il rumore dei forni si udiva in lontananza. Giovanni, che si era abbastanza ripreso dalla ferita, fissava avido ogni scorcio, ogni luogo che potesse essergli familiare, per accertarsi che quella fosse davvero Costantinopoli e non un'illusione. Marco, invece, preferì guardare il cielo per riconoscere la posizione delle stelle, così come gli era stata insegnato anni prima e si rasserenò: era passato molto tempo da quando aveva potuto concedersi un simile lusso.


Dopo un tratto di strada percorso insieme ai compagni ritrovati sulla nave, che si rintanarono in una locanda di dubbia fama, proseguirono da soli fino all'edificio poco lontano, appena sotto l' Acropoli.

Il soldato di guardia chiese loro se avessero bisogno di aiuto.  Marco rispose che ne avevano ben più di quanto lui potesse immaginare.



Furono spediti, dopo un breve colloquio con un ufficiale che non comprese gran che ma che intuì come i due fossero latori di notizie delicate, alla caserma imperiale presso il palazzo.

Speravano di poter finalmente riposare ma, poco dopo essere stati condotti nelle loro stanze, furono convocati per discutere con Harold, che aveva loro assegnato l'incarico appena compiuto tempo addietro.

"περάστε", disse a Marco appena entrò nel suo studio ".

Quando anche Giovanni fu entrato, Harold chiese loro:

"Siete in grado di fornirmi un rapporto sulla missione?"

"Preferiremmo raccontarle tutto domani Dopo una buona nottata passata in un vero letto." rispose Marco a nome di entrambi.

"Il tempo è prezioso e non va sprecato, vedo che siete tornati vivi e con ferite lievi", e volse lo sguardo alla mano fasciata di Giovanni, " ed ad alti livelli è richiesto un resoconto dei fatti."

"Non penso fossimo i soli ad essere in missione lì"

"Infatti non lo eravate, ma nessun altro è tornato per raccontarci cosa è successo, neanche l'ambasciatore Ambrosios ha fatto ritorno, sarebbe stata la sua ultima missione."

"Allora quello era il suo nome. temo sia morto a causa di un incendio.di origine dolosa..In ogni caso abbiamo compiuto la nostra missione, mi sembra: siamo riusciti a ricacciare i veneziani a casa loro!"

Harold non mostrò alcun cenno di sorpresa od incredulità. Si limitò a chiedere:

" E come, di grazia?"


"Abbiamo ucciso colui che fomentava la rivolta, ma non solo Lo scoppio di un'epidemia di peste sull'isola ha colpito tutti i soldati che nel panico sono scappati , la loro prova di forza si è trasformata in una disfatta su tutti i fronti."

"Quindi voi avete ucciso il Doge?"

"No, abbiamo ucciso Lorenzo Dandolo. Il Doge, a dire il vero, si era fatto trasportare dagli eventi e da Dandolo stesso, non aveva intenzione di muovere guerra all'Impero."

"Confermate quanto detto dal drungarios, quindi?"

"Non so cosa vi abbia detto, ma la flotta veneziana è in rotta e dispersa, non costituirà più una minaccia."

"Perfetto, ora potete anche andare a riposare, sarete convocati fra una settimana per decidere sul vostro futuro."

"Cosa intendete?", esplose Giovanni che fino a quel momento se ne era rimasto in silenzio in un angolo della stanza. Ora fissava con occhi di brace il dignitario, digrignando i denti.

"Ci era stata promessa la libertà se avessimo assolto il nostro incarico!", si intromise Marco, in tono solo apparentemente più calmo.

"La avrete, però prima dovrete prestare giuramento di non rivelare mai i fatti accaduti, la popolazione non deve sapere nulla."


Congedati a forza dall'incontro Giovanni chiese, in tono stanco ed amareggiato:

"Marco, che fine pensi che faremo? "


"Non ne ho idea, ma se l'Imperatore è un uomo di parola, dovremmo ricevere solo onori."


La settimana di attesa si prospettava tutt'altro che serena. Nei primi due giorni furono tenuti sotto stretta sorveglianza dai medici di corte, che volevano essere più che convinti che il contagio non avesse alcuna possibilità di espandersi in città, e solo dopo furono lasciati liberi, con l'obbligo di rimanere a disposizione delle autorità.


















XXXVIII

"Signore, questa è una dimora privata, i soldati alloggiano nelle caserme fuori città, vi prego di allontanarvi da questa proprietà privata!"

" Peusippos! Mi meraviglio di te, è così che ci si rivolge al tuo padrone?"

Il volto accigliato del vecchio servo si illuminò.

"Messer Leone! Siete tornato! MaCi avevano detto Entrate, entrate!"

La casa non era molto cambiata da quando Marco l'aveva lasciata per l'ultima volta; all'esterno sembrava una classica villa romana, con un grande prato tipico delle lussuose case nei pressi del quartiere nobile della città.

Dentro, la disposizione dell'arredamento suonava familiare ai suoi occhi, forse c'era un pò più di polvere di quanto ricordasse .

"Dove è Irene?", chiese ansioso

"Marco!" e la sua donna si avvicinò a larghi passi nel soggiorno.

"Ma allora..non sei morto.."

"Sapevo vi avrebbero mentitoma non ho avuto scelta, devi credermi! Ora ti racconterò tutto, ma prima devi dirmi di voi. Vi hanno fatto del male quando hanno arrestato i Veneziani? Avete avuto problemi? Dove sono i bambini?."

"Una domanda alla volta, caro!", sorrise Irene, conquistandolo con la sua bellezza come la prima volta



"Fortunatamente il mio cognome mi ha messo al riparo dall'ondata di arresti; non ci hanno tolto un capello, però ci hanno detto che tu eri morto al fronte! Io non ci volevo credere ma poiHo visto alcuni tuoi commilitoni tornare dal fronte ed ho chiesto di teMi hanno detto che eri partito con un piccolo gruppo con quel tuo amico e poi non avevano saputo più niente.non sapevo più cosa credere.."

"Ora non devi preoccuparti, sono tornato e se Dio ci aiuta non dovrò più andarmene."

"Perché dici così ? Cosa ci attende, ancora?"

"Il mio destino è ancora appeso ad un filo."

"Non puoi andartene, ora! La famiglia ha bisogno di te, io ho bisogno del mio uomo ed i ragazzi di loro padre, quasi non ti ricordano più sai?"

"Dove sono ora?"

"Ares e Daphne stanno studiando filosofia nel giardino sul retro, come si compiace ai ragazzi della loro età Quel maestro che consigliasti, lo ricordi?"

" Sì"

"Bene, è ancora lui che tiene loro le lezioni di storia, latino, greco e filosofia"

"Ne sono lieto, penso tuttavia che ora possano allontanarsi un minuto dallo studio per rivedere loro padre."

Abbracciata la moglie, si diresse verso la grande porta finestra che dava sul giardino posteriore.


XXXIX

Giovanni decise invece di passare i giorni di attesa in una vecchia locanda di sua conoscenza, dove nel frattempo le voci, al dispetto di quanto il potere avesse voluto, cominciavano a girare.

"Ho sentito che quasi duecento navi veneziane sono state messe in rotta dalla marina imperiale!", urlava un uomo un poco alticcio ai suoi compagni di bevute.

"Macchè! È stato l'esercito che ha spazzato via quello veneziano a poche miglia da qui!"

"Vi sbagliate entrambi, la peste ha colpito l'armata nemica, che è stata costretta alla fuga.", concluse in fine un terzo solo leggermente più sobrio degli altri.

Le risate e l'allegria cessarono immediatamente nel locale. Nessuno poteva essere lieto dello scoppio di un'epidemia che, saltuariamente, decimava la popolazione.


Un paio di volte fu ospite a cena di Marco, conobbe la sua famiglia, scherzò con i figli facendoli ridere raccontandogli le disavventure del padre al fronte; rifiutò, però, sempre la proposta dell'amico di trasferirsi da lui, non era fatto per vivere in una casa, era un soldato.

Prese anche in considerazione l'ipotesi di scappare con una nave verso Genova o Pisa, e da lì arruolarsi in qualche esercito europeo, c'era sempre bisogno di soldati in qualsiasi parte del mondo.


Prima che potesse decidersi, tuttavia, arrivò il giorno della verità.


Harold non fu di molte parole ed anzi appariva poco incline a fornire spiegazioni: fu data loro la possibilità di restare al servizio della vigilanza dell' Impero, oppure di riprendere la loro vita da dove l'avevano lasciata prima di dirigersi al fronte.

La seconda opzione, sottolineò, era stata voluta direttamente dalle "alte sfere" che era certamente inutile precisare anche se lui personalmente era certamente contrario, aggiunse con voce fredda come il marmo di Carrara.

Marco non ebbe dubbi nell'accettare la seconda opzione, che era in fondo ciò per cui in tutto questo tempo aveva lottato.

Giovanni invece tentennò.

"Devo intendere che anche voi scegliate l'anonimato?"

"Devo rifletterci", rispose quello.

Cercò con lo sguardo l'amico, che però lo evitò ostentamente: Giovanni doveva prendere da solo la sua decisione.

"IoPenso che rimarrò nell'esercito come mercenario intendo.."

"Come? Vi faccio notare che la carica che visto offrendo è di gran lunga superiore in prestigio e retribuzione!"

"Lo so, ma non importa."

Per la prima volta l'alto dignitario apparve confuso, quasi umano nella sua perplessità



"Non capisco.. Ma, in ogni caso, Comandante spero che accetterete la promozione a strategos. Sono sicuro che saprete adempiere ai vostri doveri!"

"Come ho sempre fatto, fra l'altro."


Usciti insieme dal palazzo, godettero per la prima volta a pieno della bella stagione e del sole che baciava la città.

"Sai, penso che cercherò di farmi assegnare al fronte orientale. Ho ancora un conto in sospeso con i Turchi"

"Sì, Giovanni. Salda anche il mio credito nei loro confronti per me."

"E poi, il mio viaggio non termina qui, devo riportare la medaglia di Kolskegg nella sua terra, nel suo villaggio. Mi ha raccontato che la sua famiglia aspetta da generazioni di ottenere un simile riconoscimento. E' d'oro e potrebbe sollevarli dalla miseria nella quale vivono. Lui mi ha raccontato che questo era il suo progetto, una volta tornati."

"Mi dispiace sia morto, forse avrei.."

"No, è andata così, non dobbiamo rimpiangere il passato, ma pensare al futuro. Devi ancora dirmi una cosa, piuttosto"

"Cosa?"

"La spada l'hai avuta in premio, ma l'arco?"

" Non capisco"



"Dai, quella leggenda che mi hai detto ti ha raccontato Ambrosios.."

"E quindi?"

"Lo hai ancora con te? Intendo, non hai avuto che sfortune da quando l'hai preso dal baule di tuo padre prima di partire."

"Mi ha portato sfortuna dici? Ho perso commilitoni ed amici, ho visto tante sofferenze, ma penso che se davvero avesse portato sfortuna, non sarei qui a raccontarlo. L'ho riposto dove l'ho trovato, insieme alla spada. Lì rimarrà fino a quando un altro membro della famiglia Leone non ne avrà bisogno."


La piazza era viva e pulsante, i venditori sulle bancarelle sbandieravano le miracolose proprietà delle proprie mercanzieVisitatori, soldati, commercianti, ambasciatori e semplici cittadini, di ogni città e luogo del mondo, di ogni razza e di ogni lingua, vivevano quel momento, in quell'istante, a Costantinopoli.




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