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Letteratura italiana - l'eta' del neorealismo




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LETTERATURA ITALIANA - L'ETA' DEL NEOREALISMO


Alla fine della seconda guerra mondiale e dell'esperienza della Resistenza (vera e propria guerra civile) gli intellettuali italiani furono pervasi da una rinnovata fiducia per il futuro del Paese, fiducia che si riflette sulla vita artistica e letteraria. Questo clima culturale fu denominato "età del Neorealismo". Gli artisti e i letterati del ventennio fascista furono accusati di essersi rifugiati nella "bella forma" e di aver prodotto una letteratura aristocratica , perfetta nello stile , ma lontana dalla vita sociale e civile del Paese. Soprattutto furono accusati di aver subito passivamente il fascismo e di non aver avuto il coraggio di opporvisi. In particolare nel 1946 su una rivista letteraria "Fiera Letteraria" i letterati furono accusati di aver stabilito con il regime fascista un rapporto di "comoda convivenza". Si polemizzava soprattutto verso il Decadentismo , la poesia ermetica degli anni '30.


Il nuovo impegno degli intellettuali


Alla fine degli anni '40 si aprì anche un dibattito sul ruolo che gli intellettuali dovevano assumere nella società. Dopo gli anni bui del fascismo , caratterizzati da un generale silenzio, si sentì l'esigenza di stabilire uno stretto rapporto tra la letteratura e l'impegno civile, tra intellettuali e la società. Il compito assegnato agli intellettuali fu proprio quello di affrontare in articoli, in conferenze, nelle pagine delle loro opere i problemi reali dell'Italia del dopoguerra ( la miseria, , i conflitti di classe, gli scioperi, le occupazioni di terre da parte dei contadini ). La discussione sul nuovo ruolo dell'intellettuale si svolse soprattutto sulle riviste che sorsero in gran numero intorno agli anni '40-'50 grazie alla nuova libertà di parola e di stampa. Tra le riviste più note il quindicinale cattolico "Cronache sociali" (1947) ideato da Giuseppe Rossetti e fautore di una politica di ispirazione cristiana desiderosa di introdurre in Italia una legislazione sociale; "Comunità" (1946) fondata e diretta da Adriano Olivetti, un industriale dai molteplici interessi artistici e intellettuali che attraverso la rivista e la sua concreta opera di imprenditore ( nella famosa Olivetti di Ivrea) si batteva per un adeguato sviluppo industriale e per la formazione di associazioni che eliminassero l'isolamento dell'uomo prodotto dalla società contemporanea; e infine "Il Politecnico" (1945-1946) diretto da Elio Vittorini. Quest' ultima rivista è quella che ha approfondito i concetto della funzione dell'intellettuale che doveva risolvere i problemi sociali. Secondo Vittorini la cultura del passato è stata una cultura "consolatoria" nel senso che ha provveduto solo a lenire le sofferenze dell'uomo, fornendogli una consolazione , che proprio per questo non ha potuto impedire gli orrori del Fascismo, la nuova cultura avrebbe dovuto "Impedire le sofferenze" eliminare lo sfruttamento e la schiavitù, vincere il bisogno." in pratica la nuova cultura avrebbe dovuto "proteggere l'uomo dalle sofferenze e non solo limitarsi a consolarlo". Vittorini riteneva che l'intellettuale dovesse collaborare con la politica per rinnovare la società. Il partito con il quale doveva collaborare era il Partito Comunista perché più attento ai problemi sociali. Ma ciò non fu però possibile perché Vittorini si scontrò con Togliatti che era il segretario di allora del PCI. Questo dimostra quanto sia difficile il rapporto tra cultura e politica. Negli anni seguenti avvenne la pubblicazione dei Quaderni dal carcere di Antonio Gramsci che era stato uno dei fondatori del Partito Comunista a Livorno (1921) ed era stato arrestato dalla polizia fascista, rinchiuso in carcere per venti anni e dove morì per emorragia celebrale nel 1937. Gramsci fu uno dei primi a far notare come c'era stata una divisione tra gli intellettuali e il popolo. Secondo lui questa divisione c'era perché gli scrittori non avevano condiviso i sentimenti delle classi popolari, perché si erano rivolti ad una classe colta , preparata ad apprezzare una letteratura "alta" raffinata nel linguaggio. Mancava all'Italia una letteratura nazional-popolare. Gli intellettuali italiani hanno una sensibilità che li porta a comprendere i grandi autori classici ma che li allontana dai sentimenti di "un contadino pugliese o siciliano" Il nuovo intellettuale dovrà essere un buon tecnico e un buon politico. Cioè un individuo che sappia valorizzare il proletariato. Dopo quest' influenza di Gramsci da un lato si criticò la letteratura aulica del ventennio fascista e dall'altra la sua idea influì sulla nascita del Neorealismo.


Il termine Neorealismo comincia ad essere usato nel 1943 (destituzione di Mussolini e inizio della Resistenza) per indicare l'esigenza di dedicarsi ad un'arte basata sulla rappresentazione diretta della realtà contemporanea della guerra e della Resistenza . La nuova corrente riguardò più il cinema che la letteratura nel senso che mentre si è d'accordo ancora oggi nel definire il cinema degli anni '45-'55 come cinema neorealista non c'è alcun accordo nel definire gli scrittori di quegli anni come neorealisti. Ad esempio quelli che sono considerati i due maestri del Neorealismo (per i temi trattati nelle loro opere Vittorini e Pavese) , oggi sono riconosciuti estranei al movimento questo dipende dal fatto che non ci fu una vera e propria scuola neorealista, ma gli scrittori di quegli anni sono accomunati dal fatto che trattarono dei temi comuni sul piano dell'impegno sociale e morale.





La letteratura Neorealista


L'impegno degli scrittori


Lo scrittore è animato da un impegno di testimoniare la cruda realtà e al tempo stesso di inculcare la speranza in una società migliore fondata sulla solidarietà tra le classi sociali, sulla pace , su una più equa distribuzione della ricchezza.



Il riaffermarsi del romanzo


Si nota un ritorno al romanzo perché questo è più adatto a rappresentare il reale ed è stato sempre utilizzato da scrittori che si erano dedicati al realismo ( Manzoni, Zola, Verga)


La voglia di raccontare e di raccontarsi


Il Neorealismo nasce dalla volontà di raccontare e di raccontarsi , da un bisogno di storie di vita vissuta , da una "fame di realtà" .


I temi legati alla contemporaneità


La scelta dei temi è legata a questa fame di realtà, la realtà tragica di un passato recentissimo, quello della guerra e della Resistenza e la realtà presente della ricostruzione fatta di lotte quotidiane per sbarcare il lunario, di città devastate dalle bombe , di povere donne che si prostituiscono per garantire un po' di cibo per sé e per i propri figli, delle grandi masse contadine e urbane che lottano per guadagnarsi una condizione migliore e sfuggire allo sfruttamento.


Il linguaggio e la poetica dell'immediatezza espressiva


La realtà si riflette sullo stile e sul linguaggio che è immediato, spontaneo, il più vicino possibile al parlato   all'uso dei dialetti. Nessuno degli scrittori però utilizzò il dialetto, ma come aveva fatto Verga, si utilizzò un linguaggio vicino al parlato con qualche termine dialettale.




Le tecniche narrative


La narrazione è tutta dialoghi e azione , lascia pochissimo spazio alla descrizione. A differenza della narrazione verista e naturalista i narratori neorealisti adottarono spesso la prima persona quasi per testimoniare direttamente i fatti raccontati oppure una narrazione come quella manzoniana piena di commenti personali e frequenti appelli al lettore.


Gli antecedenti letterari italiani


I modelli più diretti dei Neorealisti italiani sono Verga e Zola ma anche quegli scrittori che già negli anni '30 e '40 avevano affrontato tematiche sociali come Ignazio Silone in Fontamara, Corrado Alvaro in Gente di Aspromonte, Alberto Moravia negli Indifferenti, Elio Vittorini in Conversazione in Sicilia Cesare Pavese in Paesi Tuoi. Gli ultimi due autori sono considerati maestri del Neorealismo.


I modelli americani


Una grande influenza fu esercitata dalla narrativa americana divulgata in Italia attraverso le traduzioni di Pavese e Vittorini. Nel 1942 Vittorini aveva pubblicato in Italia una grossa antologia, Americana, di scrittori americani contemporanei e, nonostante l'avversità del regime, si creò il mito della letteratura americana perché utilizzava un linguaggio schietto, essenziale spesso colloquiale che ha influito sui testi di molti scrittori neorealisti.


La narrativa Neorealista


Elio Vittorini per il romanzo considerato anticipatore del Neorealismo, Conversazione in Sicilia (1941) e per il romanzo su temi resistenziali Uomini e no (1945)

Alberto Moravia per i romanzi La romana e La Ciociara (sui temi resistenziali)

Italo Calvino I sentieri dei nidi di ragno, Beppe Fenoglio, considerato da molti il migliore tra i narratori Neorealisti , per i romanzi dedicati alla Resistenza , I ventitre giorni della città di Alba , Una questione privata, il partigiano Johnny.

Cesare Pavese per I paesi tuoi (1941) anticipatore del Neorealismo e per La casa in collina per il rifiuto del protagonista di partecipare alla lotta di Resistenza, Carlo Cassola per La ragazza di Bube (sulla Resistenza), Renata Vigano L'Agnese va a morire, e molti altri.


- Limiti della narrativa Neorealista


Ciò che si rimprovera oggi ai Neorealisti è di aver offerto una rappresentazione della realtà troppo schematica nella quale i buoni sono i Partigiani e i popolani, mentre i cattivi sono i fascisti o i nazisti e i borghesi.

Molto importanti sono i testi, invece, in cui si riferiscono vicende reali e vissute da chi racconta senza il ricorso a personaggi inventati . Questi romanzi sono spesso legati alla grande sofferenza della guerra o dei lager nazisti.


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