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La scelta di leopardi: la "ginestra o fiore del deserto"




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LA SCELTA DI LEOPARDI: la "GINESTRA o FIORE DEL DESERTO"


Dopo l'analisi della poesia "Nebbia" risulta molto più semplice percepire in Pascoli la volontà di sfuggire alla Verità, che a lui si propone come Verità della vita: egli non vuole accettare il proprio passato, e perciò lo allontana; non vuole nemmeno uscire dal proprio nido ed affrontare la Verità del mondo che gli appare simbolo solamente di ingiustizia, insensatezza e violenza a causa del trauma infantile subito (l'assassinio del padre nel 1867). Dunque, la sua non è la strada della Verità, ma un percorso verso un tenue oblio che lenisca i dolori della sua mente incapace di accettare il passato e così proseguire nella propria esistenza.

"Alter ego" del poeta romagnolo è Giacomo Leopardi che desidera affrontare la vita-verità: egli esprime la volontà di uscire dal "castello-prigione" di Recanati (il suo luogo di nascita) e di trovarsi a tu per tu con la vita, senza la pedante presenza delle costrizioni famigliari. Quindi, è il suo stesso temperamento a condurlo nella scelta al bivio tra Verità ed Oblio: il poeta accetta l'arido vero con coraggio, proprio come una ginestra che cresce in mezzo al paesaggio pietrificato dalla lava del Vesuvio. La ginestra, come l'uomo, come Leopardi, è fragile, consapevole dei propri limiti, ma "lenta" (latinismo per "flessibile"), capace cioè di sopportare la violenza sempre attiva della natura "madre di parto e di voler matrigna".

Nell'ottica delle ultime 2 fasi del pessimismo leopardiano, quello cosmico ed eroico-agonistico, la natura appare infatti percepita in chiave materialistica come un sistema che tende all'autoperpetuazione, non soggettivamente ostile all'uomo ma incurante dei suoi affanni e delle sue sofferenze. Nella fase del pessimismo storico invece la natura veniva concepita come un sistema benevolo, in quanto capace di celare agli occhi degli uomini le negatività dell'essere, "l'arido vero", con la creazione delle illusioni, il cosiddetto "velo pietoso" schopenhaueriano. Insomma, la natura era considerata come "madre" in quanto difendeva l'uomo dalle spine della Verità.

Leopardi però in seguito ad una ritrattazione, la rivaluta e riscopre nella Natura la vera cagione della sofferenza umana, per averlo creato per l'infinito e per non avergli dato la possibilità di raggiungerlo. Se precedentemente Leopardi necessitava dell'ausilio della Natura per reggere la forza dirompente della Verità, in un secondo tempo egli si stacca dalla Natura stessa, accampando contro di essa forme di ribellione, ed accetta quella forza con coraggio. Non è solo però: il suo impegno ad affrontare la Verità va unito all'impegno di molti altri uomini come lui invitati a fondare un sodalizio ("una social catena" v.149) per affrontare assieme le sofferenze del vivere, le amarezze della Verità.

E' questo il messaggio de "La ginestra o il fiore del deserto" composta a Torre del Greco nella primavera del 1836. Il paesaggio desolato del Vesuvio è il luogo-simbolo della condizione umana sulla terra, e consente di smentire ogni facile ottimismo consolatorio. Su questa considerazione s'innesta la critica, condotta con acuto disprezzo, verso le tendenze filosofiche dominanti negli anni della Restaurazione, improntate ad uno spiritualismo religioso e a una prospettiva sociale progressista, ma in ogni caso fiduciose nel valore privilegiato della specie umana. Leopardi rinfaccia a tali tendenze di aver rinnegato la grande stagione del razionalismo settecentesco culminata nel pensiero degli illuministi. Contro il pensiero "servo" dominante gli anni della Restaurazione, Leopardi rivendica la dignità del proprio andare controcorrente, e il dovere di denunciare l'infelicità costitutiva e non modificabile della condizione umana: sempre infatti il dolore, la vecchiaia, la malattia, la morte renderanno dolorosa la vita dell'uomo sulla terra.

Questa consapevolezza non deve restare nella mente di pochi uomini dotti, ma divenire modo di sentire per tutti e coscienza diffusa di una futura umanità liberata da tutte le interessate e fuorviate mitologie consolatorie della religione e del progresso tecnico-scientifico. Sta forse qui, in questo passaggio ad una prospettiva sociale allargata, il dato più nuovo ed originale della posizione leopardiana: la verità, ovvero la obiettiva coscienza delle cose quali esse sono in realtà, non è più concepita come semplice dato filosofico, ma ha valore in quanto consapevolezza diffusa, quale coscienza di tutti gli uomini. Agli intellettuali spetta il compito di favorire questa presa di coscienza, invece di mistificare i dati reale in nome di ideologie interessate e infondate. Tale consapevolezza di massa riguardo all'infelicità ed alla fragilità della condizione umana può quindi consentire l'individuazione del vero nemico degli uomini, la natura; ed è contro di essa che deve compiersi un'alleanza tra tutti gli uomini, tesi a costruire una rete di solidarietà e di soccorso reciproco.

Le sette strofe del componimento si soffermano infatti su questo messaggio di solidarietà umana che va al di là del pessimismo leopardiano: il poeta invita tutti gli uomini a volgere lo sguardo verso l'avvenire e ad avere così la coscienza della verità.

Per Leopardi la verità è "arida" e amara poiché consiste nell'accettare con coraggio che la natura    "matrigna" sia tesa soltanto alla distruzione dell'uomo, alla perenne metamorfosi di una vita meccanica e assurda del cosmo dove "nessuna voce risponde al grido di dolore che si perde negli spazi sterminati di un tutto incomprensibile che assume, per questo, l'aspetto di un solido nulla". Gli uomini però non devono rassegnarsi miseramente a questa condizione. Devono guardare in faccia il destino con magnanima consapevolezza, opporsi ad esso costruendo un mondo veramente nuovo, fondato sulla solidarietà del dolore, la compassione, la fraternità, e combattere uniti contro la natura ostile.

Tutto ciò viene configurato da Leopardi attraverso l'allegoria del fragile fiore che sboccia alle pendici del Vesuvio: la ginestra è l'uomo che accetta la Verità (la morte portata dalla lava) mediante una presa d'atto coraggiosa che lo nobilita e gli conferisce dignità. Il poeta però, non invita solamente all'accettazione ma introduce anche il concetto di denuncia: ai vv.111-117 infatti espone che "è un carattere nobile quello che osa sollevare gli occhi mortali verso il deserto comune, e che con parole sincere, senza togliere nulla alla verità, dichiara il male che ci è stato assegnato in sorte, e la condizione umile e fragile del vivere umano".

Leopardi infatti "in primis" invita gli uomini ad imitare la ginestra che si pone di fronte alla forza che la distrugge con una dignità all'uomo sconosciuta: cede senza inutili impennate d'orgoglio, benchè innocente, a quella forza (vv. 304-306; 309-310 "il capo non eretto con forsennato orgoglio") e tuttavia non commette la viltà di implorare pietà proprio da quella forza (vv. 307-309 "ma non piegato insino allora indarno codardamente supplicando innanzi al futuro oppressor"), né tenta di consolarsi con folli affermazioni di immortalità, sia che si fondino sulla fede religiosa nell'aldilà (innalzamento verso le stelle), sia che si basino invece sulla fiducia laica nella capacità dell'uomo di procurarsi da solo una durata oltre la morte (innalzamento sul deserto).

In seguito, il messaggio del poeta non si ferma soltanto nell'invito all'accettazione dell'arido vero ma desidera indurre gli uomini a confessar "il mal che ci fu dato in sorte", a farsi cioè veicoli di denuncia della Verità stessa. Risulta da ciò che per Leopardi la Verità è proprio non-oblio, ossia la volontà di non nascondere e dimenticare la realtà, ma affrontarla e gridarla a tutti, perché ognuno possa averne coscienza.








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