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"la poetica del fanciullino" di pascoli




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"LA POETICA DEL FANCIULLINO" DI PASCOLI


Contemporaneo del D'Annunzio, e anch'esso artista decadente fu Giovanni Pascoli, che con il "mito del Fanciullino" rivendicava le tradizioni troppo provinciali della società. Il Pascoli era assillato dal problema del male, ma, persuaso che la sua soluzione fosse fondamentale e dal mistero che avvolge il mondo, cercò di spiegarlo pur ritenendolo insondabile, scrutando ansiosamente ogni aspetto della natura, fissandone, però, solo le vaghe e fuggevoli notazioni.

Sul problema del male, il Pascoli non poté fare altro che affermare che esso era frutto della cattiveria umana e che poteva essere vinto solo con il bene e con l'amore, invitando gli uomini ad amarsi come fratelli.

Anche, la morte è un mistero come la vita: la poesia non può che farcene sentire il mistero allo stesso modo.

Il mistero è di origine scientifica oltre che sentimentale, l'uomo è una piccola parte della terra, la quale è a sua volta una piccola stella del cosmo. Per interpretare la poesia del Pascoli, bisogna esaminare la sua poetica del Fanciullino, secondo cui il poeta è come un'anima privilegiata, capace nella sua ingenuità e spontaneità di cogliere intuitivamente la verità che si cela attorno, per tradurla in versi.

La teoria del Fanciullino Pascoliano veniva pubblicata quasi contemporaneamente alla teoria del superuomo dannunziano. Il poeta coincide con il fanciullino che è dentro di noi, anzi, l'età veramente poetica è quell'infantile e nel ricordo dell'infanzia si esaurisce la poesia più autentica.

La poesia non s'inventa ma si scopre, perché essa si trova nelle cose stesse: in essa bisogna saper vedere il particolare poetico e questo lo può fare solo chi le guarda con occhi puri. Ma, un tal modo di guardare è proprio del fanciullo e quindi il poeta deve ricordare le impressioni che provò da bambino.


L'ideologia

Pur essendo la natura di Pascoli, legata ai temi del mito e dell'infanzia, tuttavia essa subì il fascino della modernità.

Nonostante fosse incline alla dimensione isolata, negli anni in cui la sua nomina a professore lo sollecitava ad entrare, sulla scena ufficiale dell'Italia borghese, lo coinvolsero da vicino, problemi acuti, come la lotta di classe, l'emigrazione, la guerra coloniale, che toccarono momenti drammatici della fine dell'Ottocento.

Come si legge in una lettera da Barga, nel 1899:

"Io mi sento socialista, profondamente socialista, ma socialista dell'umanità, non d'una classe. E col mio socialismo, per quanto abbracci tutti i popoli, sento che non contrasta il desiderio e l'aspirazione dell'espansione coloniale.

Oh! Io avrei voluto che nella colonizzazione italiana si fosse messo alla testa il baldo e giovane partito sociale; ma, ahimè, esso fu reso decrepito dai suoi teorici".


E sintetizza meglio la sua teoria ideologia in una lettera da Messina:

"Io reputo la mia missione: introdurre il pensiero della patria, della nazione e della razza, nel cieco e gelido socialismo di Marx".


Il punto più alto di questa parabola retorica di Pascoli lo tocca nel discorso pronunciato nel teatro di Barga per celebrare l'inizio della spedizione in Libia, dove il nazionalismo esasperato, tocca punte razzistiche, riecheggiante da opinioni diffuse, vengono enfatizzati in toni fortemente e fastidiosamente retorici.


La vita e le opere

Nacque a San Mauro di Romagna, il 31 dicembre 1855.

Dal 1867 al 1871, frequentò le scuole nel Collegio degli Scolopi a Urbino, ma dopo l'assassinio del padre nell'agosto del 1967, a cui fecero seguito la morte della sorella maggiore, della madre e del fratello Luigi, caduto in disgrazia economica, dovette lasciare il Collegio, e trasferirsi a Rimini, con la famiglia.

Grazie alla stima dei suoi professori poté continuare gli studi liceali a Firenze sempre presso gli Scolopi, e poi l'Università di Bologna grazie ad una borsa di studio, per la facoltà di Lettere assegnatagli da una commissione presieduta da Carducci.

Furono gli anni decisivi per la sua formazione, nei quali strinse amicizie importanti, ed ebbe la stima di Carducci. Gli anni di Bologna, furono i più difficili, sia economicamente, che per gli studi, sia praticamente: siccome impegnatosi in attività sindacali, durante una manifestazione fu arrestato.

Dopo l'esperienza del carcere, abbandonò la politica militare e incontro gli ideali socialisti, rinnovando alla lotta di classe, in un credo di tipo umanitario, che aspirava alla solidarietà fra tutti gli uomini, affratellati nel dolore. Riprese gli studi e si dedico all'insegnamento di latino e greco, nei licei di Matera, nell'84 a Massa ed infine dall'87 al 95 a Livorno.

La vita con le sorelle Ida e Mariù creò l'illusione del ricostruirsi della famiglia, ma il matrimonio di Ida lasciò turbato il poeta, però rafforzò il suo legame con Mariù, a cui dedicherà tutta la vita.

L'attività letteraria, ebbe inizio dalla seconda scuola d'Urbino, a Bologna pubblicò poesie su riviste (nel 1882 su "Cronaca Bizantina" comparve Romagna), una parte delle produzioni giovanili fu raccolta nel 1912 in Poesie varie, le altre confluirono in Myriace.

La raccolta ebbe un immediato successo, e riscosse l'attenzione di D'Annunzio con il quale stabilirà un'amicizia a distanza.

Nel 1892 vinse la medaglia d'oro al concorso per la poesia latina, di Amsterdam.

Nel 1895, fu professore di Grammatica greca e latina, all'Università di Bologna, ed infine ordinario di Letteratura latina all'Università di Messina dal 1897 al 1903.

Si occupò anche di studi Danteschi, e in quegli anni apparivano i Poemetti, pubblicati in due volumi: Primi poemetti e Nuovi poemetti, i Canti di Castelvecchio e i Poemi conviviali.

Nel 1903 si trasferì a Pisa e nel 1905 all'Università di Bologna dove succedette Carducci sulla cattedra di Letteratura italiana.

A Bologna, i fastidiosi compiti accademici e il difficile rapporto con gli studenti, gli costò la pace e la serenità, che si riversò nei toni ufficiali e patriottici della sua poesia, specialmente nel fiore archeologico, d'ispirazione medioevale.

L'Inizio della guerra di Libia, rivelò le illusioni colonialistiche di Pascoli che prese posizione con "La grande proletaria si è mossa" dove è evidente un'evoluzione dal socialismo al nazionalismo.

Morì di tumore a Bologna il 6 aprile 1912.


Le raccolte poetiche

Le raccolte poetiche pubblicate in volume non rispecchiano nel loro ordine do comparizione lo sviluppo della poesia di Pascoli, ma sono ordinati secondo criteri di tipo tematico, formale stilistico e metrico.

Infatti, negli anni '90, quando apparvero le raccolte più importanti, il poeta lavorava contemporaneamente a diversi generi poetici, con interesse aperto a varie tematiche e soluzioni formali.

Cosicché, le poesie composte in uno stesso periodo saranno poi distribuite in raccolte scaglionate nell'arco di almeno quindici anni: Myricae, Poemetti, Canti di Castelvecchio e i Poemi conviviali.


"M yricae"

Il titolo risale ad un verso di Virgilio: arbusta juvant umilesque myricae, "Mi piacciono gli arboscelli e gli umili Tamerici, con questa citazione Pascoli sintetizza il suo atteggiamento verso il mondo della natura, sia la sua predilezione per la traduzione classica.

Si tratta in genere di componimenti risolti, spesso in quadretti di vita campestre, o in ritratti impressionistici.

Il linguaggio abbandona le strutture rigorose collaudate dalla tradizione poetica e le scioglie in forme frammentate che traggono la loro efficacia dal fonosimbolismo, vale a dire dallo sfruttamento degli aspetti sonori della lingua per evocare immagini, oggetti e significati.

Questa sonorità si accompagna ad un linguaggio nitido e preciso, che sceglie termini aderenti alle piccole cose.

Pascoli arricchisce così il linguaggio poetico di un lessico nuovo, con nomi di piante, animali, oggetti quotidiani, estranei alla tradizione poetica.

Il motivo ricorrente del ritorno dei morti, definisce la struttura di Myricae, la presenza ossessiva della morte e la nostalgia del passato, altera i confini del tempo, facendo slittare il presente nella lontananza del passato, in una dimensione sospesa, abitata dai morti, che si volgono a comunicare con i vivi.

Accanto a questo tema centrale e complementare, ad esso si registrano frequenti le immagini del nido, ma la calda intimità dell'infanzia, ricreata nello spazio chiuso e felice della casa, richiama atmosfere e figure dei cari che non sono più, associandosi così al pensiero dominante della morte.


"I Poemetti"

Componimenti narrativi, che sviluppano una sorta di romanzo contadino, in cui i protagonisti, vivono la vita e il lavoro dei campi, nelle varie fasi stagionali.

Qui è più evidente il desiderio di cantare un'Italia agraria e patriarcale, minacciata dall'avanzare della società capitalistica: una natura in cui può proiettarsi il modello dell'infanzia, che il poeta cerca di elaborare.

I "Canti di Castelvecchio"

Dedicati alla madre, sulle memorie dolorose, prevalgono le descrizioni e gli aspetti della vita campestre, con lo sviluppo in alcuni componimenti, dell'atmosfera allusiva delle Myricae e l'evocazione di zone indecifrabili di mistero.

I momenti più alti della poesia pascoliana, bisogna però cercarli in quelle liriche in cui il contastro, realizza presente e passato, crea impressione diretta e simbolismo, consegue maturità e infanzia, si presenta nel mondo più consapevole e da luogo ad un sentimento profondo di smarrimento, turbamento e angoscia.


"I Poemi conviviali"

Delle ultime raccolte poetiche, ricordiamo maggiormente un'opera: I poemi conviviali, dove temi e personaggi del mondo classico vengono rievocati.

La sperimentazione linguistica, in quest'opera si carica di tutta la raffinatezza e la preziosità che venivano al poeta dalla sua vasta conoscenza della cultura greca e latina.

Personaggi della storia o del mito, diventano figure in cui si proiettano, la sensibilità e la visione della realtà pascoliana ed esprimono, la concezione dolorosa della vita, e del suo senso del mistero.


"Calypso" tratto dai "poemi conviviali


E il mare azzurro che l'amò, più oltre

spinse  Odisseo, per nove giorni e notti,

e lo spinse all'isola lontana,

alla spelonca , cui fioriva all'orlo

carica d'uve la pampinea vite .

E fosca intorno le crescea la selva

d'ontanin e d'odoriferi cipressi;

e falchi e gufi e garrule cornacchie

v'aveano il nido. E non devivi alcuno,

nè Dio nè uomo, vi poneva il piede.

Or tra le foglie della selva i falchi

battean le numerose ale, e dai buchi

soffiavano, dei vecchi alberi, i gufi,

e dei rami le garrule cornacchie 

garrian di cosa che avvenia nel mare.

Ed ella che tessea dentro cantando,

presso la vampa d'olezzante cedro,

stupì,frastuono udendo nella selva,

e in cuore disse: "Ahimè, ch'udii la voce

delle cornacchie e il rifiatar dei gufi!

E tra le dense foglie aliano i falchi.

Non forse hanno veduto a fior dell'onda

un qualche dio, che come un grande smergo

viene sui gorghi sterili del mare?

O muove già senz'orma come il vento,

sui prati molli di viola ed appio?

Ma mi sia lungi dall'orecchio il detto!

In odio hanno gli dei la solitaria

Nasconditrice. E ben lo so, da quando

l'uomo che amavo, rimandai sul mare

al suo dolore. O che vedete, o gugfi

dagli occhi tondi, e garrule cornacchie?".

Ed ecco usciva con la spola in mano,

d'oro, e guardò.Giaceva in terra, fuori

del mare, al piè della spelonca,un uomo,

ommosso ancor dall'ultima onda:e il bianco

capo accennava di saper quell'antro,

tremando un poco;e sopra l'uomo un

tralcio

pendea con lunghi grappoli dell'uve.

Era Odisseo: lo riportava in mare

alla sua dea: lo riportava morto

alla Nasconditrice solitara,

all'isola deserta che frondeggia

nell'ombellico dell'eterno mare.

Nudo tornava chi rigò di pianto

le vesti eterne che la dea gli dava;

bianco e tremante nella morte ancora,

chi l'immortale gioventù non volle.

Ed ella avvolse l'uomo nella nube

dei suoi capelli; ed ululò sul flutto

sterile,dove non l'udia nessuno:

"Non esser mai! non esser mai! più nulla,    

ma meno morte, che non esser più!"





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