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La Lirica volgare




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Autore: Dino Buzzati Titolo: Contestazione globale Data di pubblicazione: 1973 Casa
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La Lirica volgare

I. La nascita della lirica volgare: tradizione e problemi storici.

La lirica volgare del 200 è giunta fino a noi attraverso canzonieri organizzati sempre a una certa distanza dal momento della composizione dei testi. Soltanto tre dei canzonieri che ci sono rimasti risalgono alla fine del 200, e sono tutti di area toscana: il vaticano latino, il palatino, e il laurenziano.

L'origine toscana dei manoscritti a nostra disposizione pone notevoli problemi di interpretazione linguistica: tutti i testi, in particolare i più antichi testi siciliani, hanno subito una fortissima toscanizzazione riconducibile non solo all'area linguistica dei copiatori, ma anche al ruolo di lingua letteraria dominante che il toscano cominciava ad assumere alla fine del 200.

Fu Dante, nel De Vulgari Eloquentia a dare una prima sistemazione alla storia lirica del 200, distinguendola in tre momenti:

I.         Creazione di una lingua letteraria illustre, distinta dal dialetto corrente, da parte dei poeti siciliani della corte di Federico II;

II.       Svolgimento di una "poesia cortese" in toscana, ma in forme stilisticamente confuse e rozzamente municipali o addirittura "plebee";

III.     Ripresa di più adeguate forme illustri, ben distinte dai volgari municipali, nella poesia del bolognese Guinizzelli e del gruppo fiorentino di Dante .

Nella lirica Italiana il testo scritto acquista subito un'assoluta preminenza: numerosi sono i casi della lettura orale, ma i testi vengono composti per essere affidati alla scrittura.

Nella nuova lirica italiana, si ha un vero divorzio tra musica e poesia. La preminenza attribuita alla scrittura comporta una più sistematica elaborazione delle forme metriche, nasce una forma breve di rigorosa architettura, il Sonetto.

II. La scuola siciliana.

La nuova lirica cortese in volgare italiano sorge intorno al 1230 nel vivacissimo ambiente della corte di Federico II: gli autori sono funzionari del governo imperiale o personaggi comunque legati alla struttura giuridica amministrativa. Essi decidono di trapiantare nel volgare di Sicilia i modelli della lirica cortese provenzale; e secondo alcuni questo trapianto è voluto dallo stesso imperatore, che è autore di un componimento giunto fino a noi.

La poesia dei siciliani ha essenzialmente una funzione sociale; essa affronta la tematica amorosa soprattutto dal punto di vista feudale del rapporto d'amore e mette al centro la donna, nobile signora e padrona, da servire con dedizione, ma non esprime mai quel pathos della distanza e dell'indecifrabilità della donna amata-signora che è invece tipico di alcuni poeti provenzali. Attenti indagatori del trasmettersi dell'amore, i poeti siciliani individuano vedere il tramite principale del rapporto con la donna.

In questo repertorio di immagini si inseriscono tutti gli effetti contrastanti dell'amore, le sue gioie e le sue dolcezze, così come le sue pene e i suoi dolori. Proprio nell'attraversamento del repertorio si afferma il valore di questa poesia: nel cantare il suo rapporto con la donna, il poeta mette alla prova e accresce il proprio valore; il suo servire l'amata, il suo impegnarsi nella fedeltà ha qualcosa di evanescente e distante, lo rende socialmente più degno. La forma più usata in tale ambito è la canzonetta.

Il primo e maggiore esponente della scuola siciliana è il notaio Giacomo da Lentini. Sottile sperimentatore, dotato di acutissima sapienza metrica e retorica, egli fu con ogni probabilità l'inventore della nuova forma del sonetto.

III. Cielo d'Alcamo

Conservato solo nel codice vaticano latino, ma noto anche a Dante, è il Contrasto di cielo d'Alcamo, databile 1230 o 1240, vede il contrapporsi di forme auliche e illustri della appena nata scuola siciliana e un ambientazione e situazione di genere comico. Esso è costruito come un dialogo tra un giullare e una fanciulla, che prima reagisce duramente al corteggiamento dell'uomo, ma poi cede via via alle sue istanze; il fondo linguistico è siciliano, con qualche singolare elemento di derivazione campana.

L'autore rivela un eccezionale dominio delle formule linguistiche e retoriche. Il corteggiamento e la schermaglia tra il giullare e la ragazza prevedono continue asimmetrie nella disputa e tutta una mimica equivoca e allusiva. Bastano il continuo 'prendersi di petto' dei due personaggi, il gioco sottile delle esagerazioni, alcune studiate e riprese e ripetizioni, qualche elemento di tipo basso per creare un originalissima parodia d'amore cortese. In primo piano balzano il desiderio sessuale, la menzogna, l'inganno, l'aggressività, i modesti oggetti della vita familiare e quotidiana; chi ascolta è chiamato a una complicità con questa versione tutt'altro che nobile del dialogo amoroso.


IV. Guittone d'Arezzo e i rimatori siculo toscani


La morte di Federico II e il crollo della potenza della casa di Svevia fecero venir meno la corte meridionale e l'ambiente adeguato a quella raffinata poesia. Negli anni '50 e '70 si ebbe un vero trapianto della nuova lirica volgare nell'Italia comunale, in particolare in Toscana.

In questo nuovo ambiente la lirica cortese si adatta a un pubblico comunale, per lo più aristocratici e legato ai gruppi di funzionari amministratitivi. La sua tematica tende ad allargarsi al di là dell'ambito amoroso; a livello linguistico, si dà largo spazio a forme dialettali toscane, oltre che provenzale latine, ma in modo confuso, senza il netto spirito programmatico che aveva caratterizzato la lirica siciliana.

L'esponente più importante di questa nuova poesia e Guittone d'Arezzo. Nella sua vasta produzione si possono distinguere una poesia amorosa e una poesia civile e morale. La prima tipologia è molto varia: come i siciliane, descrive l'alternarsi della gioia e del dolore, in alcuni testi giunge a una più ferma esaltazione della donna, come fonte di ogni valore, capace di infondere nell'uomo tutte le 'virtù'; in altri si lascia andare in una 'realistica' spregiudicatezza.

L'orizzonte municipale di Guittone è evidente nelle sue canzoni 'civili'.

Una prima manifestazione di una prosa volgare sono le sue lettere: sono più che altro prediche scritte, con scopi di edificazione morale e civile. Come nella poesia appare un fervido sperimentatore.

In questi stessi anni si sviluppa la poesia di Rustico Filippi , di cui ci sono giunti quasi 60 sonetti, metà in stile 'serio' e metà in stile 'comico'. Rustico si appropria della lingua fiorentina in tutta la sua ricchezza, per graffiare la realtà, per fissarne alcune forme sorprendenti, con misurata sapienza retorica e vivace gusto lessicale. Nei sonetti 'seri' egli dà voce ai più concreti aspetti del rapporto amoroso: affetti e dissidi, affanni e conforti, si presentano con un'intensità che sfugge in parte ai modelli cortesi, alle loro strette convenzioni. I sonetti 'comici' inaugurano la tradizione giocosa e burlesca fiorentina e fissando alcune figurine umane in movimento, bizzarre o deformi, che si legano alla tradizione comica più antica.



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