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La letteratura religiosa




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LA LETTERATURA RELIGIOSA

I. La Vita religiosa

Il cristianesimo costituisce nel XIII secolo un punto di riferimento essenziale per esprimere esperienze che hanno luogo in tutti gli strati della società. Mai come in questo secolo la società medievale europea ha voluto ricavare dal messaggio di cristo una sollecitazione a rigenerarsi, mai è stata tanto impegnata a cercare uno stretto e concreto legame tra la fede cristiana e le condizioni dell'esistenza terrena.

La maggior sicurezza della vita quotidiana a partire dal XII secolo fa si che il messaggio di Cristo venga compreso e vissuto in tutta la sua rilevanza anche al di fuori della cerchia dei monaci e del clero.

L'eresia nasce spesso negli strati più umili della società che affermano l'ideale della povertà cristiana: in polemica contro il professionismo e la corruzione del clero, si sostiene il diritto, anche per i laici, a un rapporto diretto con la parola di Dio. Molti di questi movimenti non sorgono con esplicite intenzioni ereticali, ma evolvono in eresie solo in seguito alla condanna della Chiesa.

Nei confronti dell'eresia la risposta della chiesa di Roma, dopo un primo momento di incertezza, è decisa e spietata arrivando persino a forme di sterminio di massa. La caccia all'eretico diventa una crudele attività, nella quale le autorità laiche offrono pieno appoggio a quelle religiose; la coscienza comune arriva a vedere nell'eretico il concentrato di ogni male, lo strumento di occulte macchinazioni.

La chiesa non si limita a dare risposte violente: essa avverte la necessità di inserirsi maggiormente nella vita sociale.

La nascita degli ordini mendicanti si traduce in una nuova e dinamica presenza dell'ortodossia cristiana nella realtà quotidiana.

Questi ordini ribaltano la concezione della vita monastica, separata dal mondo, chiusa nella contemplazione e nella preghiera e intervengono in maniera attiva nella vita cittadina.

I domenicani sono più legati alle strutture dominanti della chiesa: specializzati sul piano dottrinale e teologico, concentrano i loro sforzi sulla predicazione e si pongono come primo scopo la lotta all'eresia.

In più stretto rapporto con l'esistenza di ogni giorno e con la religiosità delle masse operano i francescani.

L'esperienza francescana rispondeva alla radicale istanza di rinnovamento della vita religiosa che percorreva tutto il XIII secolo.

II. La letteratura degli ordini mendicanti

La letteratura che si ispira alla grande letteratura e alla personalità di S. Francesco è tutta volta a rievocarne la vita e le opere, a conservare la memoria e a divulgarne il valore esemplare.

L'esperienza di Francesco viene spesso rappresentata come modello di percorso ascetico che mira alla visione di Dio, all'identificazione con Cristo e all'annullamento di sé nella luce totale dell'amore divino.

La predicazione si svolgeva naturalmente in volgare, dal pulpito delle chiese, e si affidava anzitutto alle spontanee doti dell'eloquio del predicatore; ma queste doti potevano essere coltivate e migliorare attraverso l'uso dei primi manuali di ars predicandi e di vari repertori latini, in cui erano riportati diversi modelli di sermones destinati a diverse occasioni. Momento fondamentale di ogni sermone era l'exemplum, narrazione di storie sorprendenti spesso riferite all'aldilà, capaci di catturare l'attenzione degli ascoltatori più ingenui.

Gli exempla venivano attinti da specifici prontuari, ma anche da antologie di racconti leggendari e agiografici, come la legenda aurea dal domenicano Iacopo da Varazze.


II. II.  san Francesco d'Assisi


Francesco d'Assisi fu l'autore del primo testo volgare di alto valore poetico, il Cantico di frate sole.

Francesco possedeva una profonda cultura religiosa, che si accompagnava a una singolare attenzione per la letteratura romanzesca francese.

Il Cantico di frate Sole (chiamato anche Laudes Creaturarum o Cantico delle creature) fu composto un anno prima della morte, quando il santo soffriva di una malattia agli occhi: è una preghiera a dio in volgare umbro, in 39 versi non legati da un metro preciso ma rimati secondo schemi stilistico - retorici della prosa latina medievale e della prosa biblica. Dopo un'iniziale lode della potenza divina e l'affermazione dell'indegnità dell'uomo di fronte alla grandezza di Dio, il cantico invita a pregare il signore e le sue creature, dal sole agli astri, ai quattro elementi. Di queste creature sottolinea tutta la bellezza, la bontà e la positività. Dopo questa dichiarazione d'amore a Dio attraverso le cose, due altre 'lodi' chiamano in causa l'uomo: una in nome del perdono e della sofferenza, l'altra in nome della morte. L'esaltazione della vita del creato si chiude così con il riconoscimento della necessità della morte e con un'impassibile distinzione tra la morte nel peccato e quella in grazia di Dio. L'ultima lode corale al Creatore riassume tutto il cantico sotto il segno della parola umiltade.

Il ritmo lento e ripetitivo inserisce perfettamente la preghiera nella dimensione di un rito iniziale e mattutino, in cui la gioia per lo splendore della luce si intreccia alla serena attesa della morte.

II. III. Bonaventura da Bagnoregio

La figura più prestigiosa della cultura francescana del secolo sai dal punto di vista teorico e filosofico , sia dal punto di vista ufficiale e istituzionale è quella di Bonaventura da Bagnoregio. Seguendo gli studi e poi insegnando presso la facoltà di teologia dell'università di Parigi tra il '43 e il '57 e svolgendovi varie conferenze negli anni successivi, Bonaventura colloca con un significato ben preciso il pensiero Francescano all'interno della filosofia scolastica e dei dibattiti sulla filosofia di Aristotele. I suoi scritti filosofici. Teologi e mistici affermano la centralità della fede e riducono la ragione umana a semplice e temporaneo strumento del processo che porta alla fede. Egli riconosce in dio la luce assoluta, fonte e esempio di tutta la vita dell'universo. Tutta la vita è una scala per salire a Dio.

II. IV. Iacopone da Todi

La poesia religiosa in latino produce nel XIII secolo alcuni ritmi che sono rimasti celebri, mentre in volgare si sviluppa una nuova forma, la lauda. Nella sua tradizione della lauda si inserisce la voce vigorosa e sconvolgente di Iacopone da Todi, e alcune sue laude circolano e si diffondono presto in vari laudari, soprattutto nell'ambiente francescano.

Iacopone ebbe una solida formazione culturale ed esercitò la professione giuridica, partecipando alla vita mondana della sua città dalla quale si allontanò nel inverno del '68, per una subitanea conversione; secondo la leggenda, questa conversione avrebbe avuto luogo in seguito a una sciagura (il crollo di un pavimento) avvenuta durante una festa da ballo: sotto le vesti della moglie, morta nel disastro, Iacopone avrebbe trovato un cilicio, ruvido abito di penitenza.

Egli trascorse allora 10 anni in penitenza, nel 1278 entrò nell'ordine francescano svolgendo una dura polemica contro la corruzione della chiesa e recandosi spesso a Roma. Dopo le speranze suscitate dal papato di Celestino V si trovò coinvolto nella violenta contesa tra Bonifacio VIII e gli spirituali. Con un gruppo di questi ultimi , perseguitati dal papa si unì ai cardinali Iacopo e Pietro Colonna, sottoscrivendo il manifesto di lunghezza in cui si negava la validità dell'elezione di Bonifacio. Ne seguirono la scomunica e una vera guerra. Iacopone fu imprigionato nel carcere di un convento e vi restò per lunghi anni, solo alla morte di Bonifacio VIII, fu liberato dal successore Benedetto IX.

La religiosità di Iacopone è tutta segnata dal violento conflitto tra le gerarchie temporali della chiesa e il francescanesimo. Iacopone Rifiuta il corpo e ogni esperienza umana che dia valore alle cose corruttibili e terrene ma respinge anche tutti i comportamenti correnti della vita sociale, tutte le debolezze e le ipocrisie su cui essi poggiano. I rapporti tra gli uomini gli appaiono privi di autentica solidarietà: l'amore è come un gioco di inganni; la vera amicizia non viene praticata; si vuol bene alle cose e agli averi altrui, non al vero essere del prossimo.

La poesia di Iacopone afferma così fino in fondo le negatività del mondo; essa raggiunge momenti di crudo realismo e di corrosiva forza satirica, grazie anche all'uso del dialetto umbro. Egli manifesta il suo ripudio del mondo sempre attraverso il dialogo e il contatto, prendendo di petto l'ascoltare quasi a convincerlo con una violenza fisica. Molte laude hanno la struttura del 'contrasto', sono cioè scontri tra voci diverse: la voce divina scuote l'anima dal suo torpore, si alternano rimproveri e giustificazioni e scattano dispute tra entità spirituali o tra persone. La polemica e l'urto sono sempre presenti nella sua poesia e conferiscono peso anche alle figure più astratte della tradizione medievale. L'esperienza ascetica di Iacopone non è mai tranquilla e serena, ma sempre irrequieta e tormentosa: la ricerca dell'amore di Dio muove sempre dall'umiliazione di se, dallo svilimento della propria persona.

Iacopone si oppone all'uso intellettuale della religione, alle speculazioni teologiche della cultura universitaria. La durissima polemica con la chiesa di Roma parte proprio dalla negazione di ogni sfruttamento materiale o istituzionale della religione. Il punto d'arrivo di questi atteggiamenti è l'esperienza mistica: la poesia di Iacopone vuole infatti definire la natura dell'amore divino, che è gioia e tormento. Esso è paradossale, come l'amore cantato nella poesia cortese, ma in un modo molto più violento e tumultuoso. L'amore divino insegue dappertutto l'anima umana e si umilia fino a scendere in questo mondo: l'incarnazione di cristo è lo scandalo supremo che porta la grandezza di Dio ad abbassarsi alla povera vita terrena, alla viltà della croce e della morte per l'amore dell'uomo, per donargli la salvezza e la grazia.

La cultura poetica e religiosa di Iacopone è molto ampia, nutrita di una profonda conoscenza del linguaggio biblico e della contemporanea poesia volgare. Su questo materiale linguistico egli immette una ricca serie di elementi realistici sempre con l'intento di creare lacerazioni e turbamenti.       


III. Tommaso d'Aquino

La filosofia del domenicano Tommaso d'Aquino compie una rigorosa sintesi tra il sapere cristiano e l'insegnamento di Aristotele. Tommaso polemizza con le interpretazioni del pensiero aristotelico che richiamano ai commenti di Averroè   e tendenti a mostrare la non coincidenza tra fede cristiana e i fondamenti del sistema Aristotelico. Per Tommaso è invece possibile uno stretto accordo tra cristianesimo e filosofia Aristotelica: 'ragione naturale' , che nel mondo antico ha avuto la massima valorizzazione in Aristotele, è strumento essenziale per la conoscenza dell'universo e di Dio, anche se la sua giustificazione finale deriva sempre dalla fede e dalla rivelazione cristiana, che essa non contraddice in nessun modo. La filosofia tomistica sarà per secoli il più sicuro sostegno teorico dell'ortodossia cattolica, la filosofia ufficiale della chiesa di Roma: essa offre una visione unitaria e strutturata del sapere e dell'universo, e insieme porge grande attenzione alla realtà particolare, alla natura e agli individui. La sua capacità di assorbire e di far propri filosofie e motivi culturali anche molto diversi e di collocare ogni elemento in una ferrea gerarchia, offre alla chiesa uno strumento di eccezionale potenza.

IV.I. La poesia didattica volgare dell'Italia settentrionale

Alla vita religiosa delle classi urbane, al suo tono medio e dimesso, privo di grandi slanci e di grandi ideali, si lega una poesia di tipo didattico, diffusa in alcuni centri dell'Italia settentrionale.

Tale poesia non avrà seguito nei secoli successivi, in quanto verrà spazzata via dai modelli toscani. Talvolta vi appare un candido gusto del favoloso e del meraviglioso, che si limita a dilatare, trasformandola nell'immaginario. Numerose sono le visioni dell'oltretomba, costituite dalla combinazione di pochi particolari spaventosi o soavi, attenti a un mondo di immagini già note al pubblico.




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