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Italo Svevo




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Italo Svevo


Italo Svevo nasce nel 1861 a Trieste da una famiglia di origine ebraica. Sulle orme del padre, Ettore compie studi commerciali, prima in Germania e poi a Trieste. Nel 1880 si impiega in banca, iniziando la collaborazione con l'«lndipendente». Nel 1892 avviene la pubblicazione del suo primo romanzo Una vita, opera che viene sostanzialmente ignorata dalla critica e dal pubblico. Nel 1896 Svevo si sposa con Livia Veneziani e nel 1898 pubblica il secondo romanzo, Senilità; anche quest'opera passa però sotto silenzio. Licenziatosi dalla banca, Svevo entra nell'azienda del suocero. Una svolta importante è rappresentata dall'incontro nel 1907 con lo scrittore irlandese James Joice e, dopo il 1910, dall'accostamento alla psicoanalisi freudiana. Nel 1919 l'autore comincia a scrivere La coscienza di Zeno, che viene pubblicato nel 1923. Nel 1925 scoppia il 'caso Svevo': una vivace discussione si apre intorno allo scritto su Zeno. Nel 1928 inizia un quarto romanzo, Il vecchione o Le confessioni del vegliardo, ma nello stesso anno l'autore muore, in seguito alle ferite e ai problemi cardio-respiratori causati da un incidente stradale. In Svevo confluiscono filoni di pensiero contraddittori e, a prima vista, difficilmente conciliabili: da un lato il positivismo, la lezione di Darwin, il marxismo; dall'altro il pensiero negativo e antipositivista di Schopenhauer e di Nietzsche, nonché l'evidente influenza di Freud. Ma questi spunti contraddittori sono in realtà assimilati da Svevo in un modo originalmente coerente: lo scrittore triestino assume dai diversi pensatori gli elementi critici e gli strumenti analitici e conoscitivi piuttosto che l'ideologia complessiva. Così dal positivismo e da Darwin, ma anche da Freud, Svevo riprende la propensione a valersi di tecniche scientifiche di conoscenza e il rifiuto di qualunque ottica di tipo metafisico, spiritualistico o idealistico, nonché la tendenza a considerare il destino dell'umanità nella sua evoluzione complessiva. Ma di Darwin respinge l'ottimismo e la fiducia nel progresso, mentre del positivismo in generale rifiuta sempre la presunzione di fare della scienza una base oggettiva e indiscutibile del sapere. Del rapporto di Svevo con il marxismo è testimonianza il racconto - apologo La tribù, uscito non casualmente, nel 1897. Certo è che il marxismo non viene accettato da Svevo come soluzione sociale, ma solo come strumento analitico e come prospettiva critica di giudizio sulla civiltà europea e sui suoi meccanismi economici e sociali. Anche da Schopenhauer Svevo riprende alcuni strumenti di analisi e di critica, ma non la soluzione filosofica ed esistenziale: non accetta cioè la proposta di una saggezza da raggiungersi attraverso la «noluntas», la rinuncia alla volontà, e il soffocamento degli istinti vitali. Dal filosofo tedesco egli desume soprattutto la capacità di criticare gli «autoinganni» e di sottolineare il carattere effimero e inconsistente delle ideologie e dei desideri dell'uomo. Lo stesso atteggiamento Svevo rivela nei confronti di Nietzsche e di Freud. Il Nietzsche di Svevo è il teorico della pluralità dell'io, anticipatore di Freud, e il critico spietato dei valori borghesi, non il creatore di miti dionisiaci. Quanto a Freud, che Svevo studia con passione è per lui un maestro nell'analisi della costitutiva ambi dell'io, nella demistificazione delle razionalizzazioni ideologiche con cui l'individuo giustifica la ricerca inconscia del piacere, nell'impostazione razionalistica e materialistica dello studio dell'inconscio.

Ma Svevo rifiuta sempre di aderire totalmente al sistema teorico di Freud: accetta la psicoanalisi come tecnica di conoscenza, ma la respinge sia come visione totalizzante della vita, sia come terapia medica . Il rifiuto della psicoanalisi come terapia rivela nello Svevo della Coscienza di Zeno una difesa dei diritti dei cosiddetti 'ammalati' rispetto ai 'sani'. La nevrosi, per Svevo, è anche un segno positivo di non rassegnazione e di non adattamento ai meccanismi alienanti della civiltà, la quale impone lavoro, disciplina, obbedienza alle leggi morali, sacrificando la ricerca del piacere. L'ammalato è colui che non vuole rinunciare alla forza del desiderio. La terapia lo renderebbe sì più 'normale', ma a prezzo di spegnere in lui le pulsioni vitali. Per questo l'ultimo Svevo difende la propria 'inettitudine' e la propria nevrosi, viste come forme di resistenza all'alienazione circostante. Rispetto all'uomo efficiente ma del tutto integrato nei meccanismi inautentici della società borghese, egli preferisce essere un 'dilettante', un 'inetto', un 'abbozzo' aperto a possibilità diverse.


Poetica di Svevo

Con questa presa di posizione si passa già dalla cultura alla poetica di Svevo. Negli anni dell'elaborazione della Coscienza di Zeno e dell'ultima produzione narrativa e teatrale, la letteratura è da lui concepita come recupero e salvaguardia della vita. L'esistenza vissuta, trasportata sulla pagina scritta, viene sottratta al flusso oggettivo del tempo; definitivamente «morta» è solo la vita non raccontata. Soltanto se l'esistenza sarà narrata o «letteraturizzata», trattata cioè attraverso il «raccoglimento» della letteratura, sarà possibile evitare la perdita dei momenti importanti della vita e rivivere nella parola letteraria l'esperienza vitale del passato, i desideri e le pulsioni che nella realtà sono spesso repressi e soffocati. Su questa la tesi di fondo si aprono Le confessioni del vegliardo. La vita può essere difesa solo dall'« inetto», dall'ammalato o dal nevrotico, da chi nella società è un 'diverso', e dunque dallo scrittore. Anche sul piano del gusto letterario e delle scelte di poetica Svevo muove da maestri diversi: da un lato i realisti e i naturalisti (principalmente Honoré de Balzac, Gustave Flaubert e Émile Zola; ma Svevo si occupa anche del Mastro-don Gesualdo di Verga); dal l'altro il romanzo psicologico di fine Ottocento, e soprattutto Dostoevskij, che aveva scandagliato le pieghe più riposte della psiche umana. Gli scritti Soggiorno londinese e Uomini e cose in un distretto di Londra rivelano anche l'apertura alla letteratura inglese e soprattutto a quella umoristica di Swift e di Sterne, che indubbiamente influenza La coscienza di Zeno e l'ultima produzione narrativa e teatrale. Dalla letteratura realista e naturalista - e soprattutto da Flaubert - Svevo deriva la critica al 'bovarismo' agli atteggiamenti da sognatore romantico dei protagonisti dei primi due romanzi, e una struttura narrativa, in Una vita e in Senilità, ancora tributaria all'impianto narrativo tradizionale. Da Dostoevskij e da Sterne desume la spinta all'analisi profonda dell'io e a un rinnovamento radicale delle strutture narrative. Su questo piano agisce anche l'influenza di Joyce. Essa si risolve però in molteplici gestioni culturali (l'attenzione all'inconscio) e la tendenza a correlare l'analisi del profondo alla ricerca di un nuovo impianto narrativo più che in una effettiva analogia di soluzioni formali. La confessione di Zeno, con il suo sorridente distacco razionalistico, resta ben lontana dal 'flusso di coscienza' dell'Ulisse, il capolavoro di Joyce.


Una vita

Una vita (1892). Il romanzo presenta nello schema una storia tardoverista, configurandosi come racconto di un vinto, cioè di un uomo sconfitto dalla vita. Ma rispetto al romanzo naturalista è evidente lo scarto: Alfonso è sconfitto non da cause esterne, sociali, ma interiori, proprie del suo modo di essere. Il protagonista incarna la figura dell'inetto, cioè di un uomo caratterizzato non da un'incapacità generica, ma da una volontà precisa di rifiutare le leggi sociali e la logica della lotta per la vita. Alfonso Nitti, trasferitosi dalla campagna a Trieste, trova un impiego in banca, ma non riesce a stabilire contatti umani e vede le sue ambizioni economiche e letterarie frustrate. Una relazione prettamente sessuale con Annetta Mailer, figlia del proprietario della banca. Potrebbe ricoprire la figura del pater familias sposando Annetta; ma Alfonso, preso dall'inettitudine fugge al paese natale adducendo la scusa di dover dare conforto alla madre gravemente ammalata. In seguito alla morte della madre è convinto di aver trovato finalmente il suo modus vivendi che consiste nel dominare le passioni. In realtà il protagonista è ben presto furia di quest'ultime. Infatti ritornato a Trieste, rivede Annetta e le scrive una lettera, questa però si è sposata con suo cugino Macario scatenando la gelosia di Alfonso. Annetta non risponde a questa lettera e nel frattempo suo fratello vuol fare un duello con Alfonso che continua ad infastidire Annetta. Il protagonista preferisce suicidarsi, conscio del suo fallimento.


Senilità

Emilio Brentani, impiegato con una modesta fama di letterato, vive con la malinconica sorella Amalia. Emilio si innamora di una giovane popolana, Angiolina, che con una serie di menzogne, tradimenti e fughe suscita la gelosia e lo sconforto dell'uomo. Nel frattempo, Amalia vive un'infelice storia d'amore con Stefano Balli, scultore amico del fratello, che si concluderà con il suicidio della donna. Angiolina abbandona Emilio per fuggire con un impiegato e al protagonista non resta che chiudersi nella 'senilità', uno spazio malato, fatto di accettazione dei fallimenti e di inazione.

Deluso dall'insuccesso letterario decide di dedicarsi esclusivamente al commercio e diventa curatore di affari nel colorificio Veneziani che appartiene al suocero Gioacchino. Per motivi d'affari legati al colorificio dove lavora, negli anni tra il 1899 e il 1912, Svevo deve intraprendere diversi viaggi all'estero e sembra aver completamente dimenticato la sua passione letteraria. In realtà egli continua a scrivere e certamente a questo periodo risalgono le opere Un marito, Le avventure di Maria e una decina di racconti Nel 1915, allo scoppiare della prima guerra mondiale, la famiglia abbandona Trieste e Svevo rimane da solo a dirigere il colorificio che però verrà chiuso qualche anno dopo. Senza più l'attività lavorativa, egli riprende i suoi studi letterari e intraprende la lettura degli autori inglesi interessandosi inoltre al metodo terapeutico di Freud del quale, in collaborazione con un nipote medico, traduce Über den Traum che è una sintesi del Significato dei sogni.


La coscienza di Zeno

Nel 1919 inizia a scrivere il suo terzo romanzo, La coscienza di Zeno, che pubblicherà nel 1923. Joyce che legge il romanzo e lo apprezza, consiglia l'amico di inviarlo ai critici francesi V. Larbaud e B. Cremieux che dedicheranno, nel 1926, alla Coscienza di Zeno e agli altri due romanzi la maggior parte del fascicolo della rivista 'Le navire d'argent'. Ma intanto anche in Italia, qualcosa si smuove e sulla rivista milanese 'L'esame' esce. nel 1925, un intervento di Eugenio Montale intitolato Omaggio a Italo Svevo. L'opera riassume l'esperienza umana di Zeno, il quale racconta la propria vita in modo così ironicamente disincantato e distaccato che l'esistenza gli appare tragica e insieme comica. Zeno ha maturato delle convinzioni (la vita è lotta; l'inettitudine non è più un destino individuale, come sembrava ad Alfonso o a Emilio, ma è un fatto universale; la vita è una 'malattia'; la nostra coscienza un gioco comico e assurdo di autoinganni più o meno consapevoli), e in forza di tali assunti il protagonista acquista quella saggezza necessaria per vedere la vita umana come una brillante commedia e per comprendere che l'unico mezzo per essere sani è la persuasione di esserlo. Essa è caratterizzata da un'architettura particolare: il romanzo, nel senso tradizionale non c'è più; subentra il 'diario', in cui la narrazione si svolge in prima persona e non presenta una gerarchia nei fatti narrati, a ulteriore conferma della frantumazione dell'identità del personaggio narrante. Il protagonista, infatti, non è più una figura a tutto tondo, un 'carattere', ma è una 'coscienza' (significativo è il titolo) che si costruisce attraverso il ricordo, ovvero di Zeno esiste solo ciò che egli intende ricostruire attraverso la sua coscienza. II romanzo si apre con la Prefazione, lo psicanalista 'dottor S. ' induce il paziente Zeno Cosini, vecchio commerciante triestino, a scrivere un'autobiografia come contributo al lavoro psicanalitico. Poiché il paziente si è sottratto alle cure prima del previsto, il dottore per vendicarsi pubblica il manoscritto. Nel Preambolo Zeno racconta il suo accostamento alla psicanalisi e l'impegno di scrivere il suo memoriale, raccolto intorno ad alcuni temi ed episodi.


"Il fumo"

racconta dei vari tentativi attuati dal protagonista per guarire dal vizio del fumo, che rappresenta la debolezza della sua volontà.


In "La morte di mio padre" è raccontato il difficile rapporto di Zeno con il padre, che culmina nello schiaffo dato dal genitore morente al figlio.


In "Storia del mio Matrimonio"

Zeno si presenta alla ricerca di una moglie. Frequenta casa Malfenti e si innamora di una delle figlie del padrone di casa, Ada; costei però lo respinge. Dopo essere stato rifiutato da un'altra delle ragazze, viene accettato dalla materna e comprensiva Augusta. Nel capitolo La moglie e l'amante, Zeno rievoca la relazione con Carla; egli non sa decidersi fra l'amore per la moglie e quello per l'amante, finché è quest'ultima a troncare il rapporto.


Il capitolo "Storia di un'Associazione Commerciale"

è incentrato sull'impresa economica di Zeno e del cognato Guido. Sull'orlo del fallimento, Guido inscena un suicidio per impietosire i famigliari, ma muore. Ada parte per Buenos Aires.

Qui terminano i capitoli del memoriale. Zeno, abbandonato lo psicanalista, scrive un altro capitolo, intitolato Psico-analisi. Egli spiega i motivi dell'abbandono della cura e proclama la propria guarigione. Il protagonista indica l'idea che lo ha liberato dalla malattia: 'La vita attuale è inquinata alle radici'; in definitiva la capacità di convivere con la propria malattia è come una persuasione di salute. Svevo intanto lavora a una serie di novelle e ad un quarto romanzo, "Il Secchione" o "Le Confessioni di un Vegliardo", quando, a causa delle ferite riportate in un incidente automobilistico vicino a Motta di Livenza in provincia di Treviso, perde la vita il 13 settembre del 1928 e le opere e gli abbozzi intrapresi verranno pubblicati solamente postumi.


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