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Il signor mani - yehoshua




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IL SIGNOR MANI

YEHOSHUA


Il Signor Mani deve essere letto al contrario, partendo dal V dialogo, per comprendere non solo l'albero genealogico,ma anche il diverso ebraismo e la diversa Gerusalemme, che i vari signor Mani rappresentano.


ABRAHAM MANI  



FIGLIO JOSEF MUORE             V DIALOGO



MOSHE' OSTETRICO                               IV DIALOGO


JOSEF ACCUSATO DI SPIONAGGIO III DIALOGO


NON VIENE SPECIFICATO IL NOME DEL MANI PROTAGONISTA DEL II DIAOLOGO


GABRIEL MANI PADRE DI EFRAIM MANI PROTAGONISTI DEL I DIALOGO



Nel V dialogo il dialogo si svolge fra Abraham Mani e dona Flora, la cui parte non è riportata.

Abraham Mani, figlio di fornitori di foraggio, che hanno fatto fortuna durante la Rivoluzione Francese, studia presso uno dei maggiori maestri dell'impero ottomano Shabtai Haddaya. Abraham non ottiene il titolo di rabbino, solo un diploma di vice rabbino, ma stringe un rapporto di amicizia con Shabtai, a tal punto da tornare spesso a trovarlo. Abraham si sposa ma rimane vedovo e affida il figlio Josef al rabbino, inaspettatamente sposatosi con dona Flora. Flora si affeziona a tal punto al ragazzo da viziarlo e  da farlo sposare con sua nipote Tamara.

Entrambi si stabiliscono a Gerusalemme e non a Salonicco da Abraham. Josef viene però ucciso e Abraham, per il timore che la famiglia Mani si estingua, fa un figlio con la nuora: Nasce Josef, che viene fatto comunque fatto passare per suo nipote.

Il dialogo avviene al capezzale del rabbino e Abraham racconta a dona Flora gli ultimi tristi momenti del figlio.

Esulta però nel raccontare della nascita di suo figlio-nipote, nato a Gerusalemme, chiamato Moshe e non più Josef. Il nome Josef infatti come i nomi dei padri morti porta con sé i segni di morti e sconfitte.

Se il nome Josef deriva dalla Genesi, quello di Moshe dall'esodo. Abraham racconta tutto con foga a dona Flora e gli sembra di vedere nel maestro segni di approvazione per ciò che dice.

Abraham rievoca l'uccisione di Josef da parte degli Ismaeliti[1] al suo arrivo a Gerusalemme. Abraham giunto in Terrasanta aveva deciso di far dire il Kaddish per i suoi genitori e chiede al figlio di trovare degli ebrei per poter essere in dieci. Il figlio gli chiede: Ma qui ci sono ebrei? Abraham risponde: Ma esiste un posto al mondo in cui non ci sono Ebrei?

Josef trova solo degli Ismaeliti "Ebrei che ancora non sanno di essere Ebrei."

Dona Flora si allontana dalla stanza e il dialogo diventa il monologo di Abraham, davanti al rabbino morente.

A lui Abraham rivela il suo segreto. Josef era incapace di procreare, a Gerusalemme, solo, non più viziato, con una sposa quasi sconosciuta aveva cercato negli Ismaeliti, gli antichi ebrei, che solo in futuro si sarebbero ricordati di essere tali in una città caparbia come pietre del deserto.

Abraham Mani da ospite di passaggio a Gerusalemme vuole diventare OSPITE FISSO, attraverso suo figlio-nipote. Il senso di colpa però lo invade e chiede al rabbino se deve spiare la propria colpa. Nessuna risposta del rabbino che intanto è morto e con questo dubbio Abraham morirà nel 1860, anno in cui nacque il profeta del sionismo, Herzl o nel 1861, quando scoppia la guerra civile negli Stati Uniti.


In questo dialogo ambientato in una Gerusalemme antica, difficilmente raggiungibile, il Signor Mani rappresenta allegoricamente il desiderio ebraico di perpetuarsi, di non morire del tutto, di divenire consapevolmente ospite fisso in una terra sentita ancora estranea e non contesa, fonte di misteriosa attrazione. Il signor Mani infatti, pur

essendo nativo di Gerusalemme vuole stringere un legame con essa, vuole che qualcosa di sé rimanga in quella città,così misteriosa, così diversa dalle altre, dove anche l'inverno sembra un intruso, dove i vicoli sono la vera vita e la vera anima.






IV DIALOGO

Siamo nel 1899 in Polonia.

Protagonisti del dialogo sono Efraim Shapiro e il padre Shalom, la cui parte non è riportata.

Efraim è un medico pediatra, non molto attaccato alla comunità ebraica.

Nel 1898 il padre di Efraim partecipa al II Congresso sionista, da cui torna profondamente impressionato e pieno di fiducia nel nuovo movimento.

Da allora collabora all'organizzazione di serate sioniste con la figlia Linka. Al III Congresso del 1899 manda però i due figli Efraim e Linka, a causa della precaria salute della moglie.

Al congresso i due giovani conoscono Moshe Mani ostetrico, nipote del signor Mani del V dialogo e con lui vanno in Palestina.

Il dialogo è fondato sul racconto di Efraim al padre al ritorno del III Congresso. Efraim descrive tutto molto minuziosamente, il viaggio,i mezzi , il clima e i diversi ebrei incontrati.

Quelli di Mosca li definisce diversi "vivaci, seri, vestiti con semplicità, chiaramente identificabili, liberi, figli dei pogrom(massacri di ebrei con espulsione improvvisa di popolo, in Russia).

I Russi temevano gli ebrei perché avevano in mano gran parte dell'attività economica, ma trovarono come giustificazione per il loro antisemitismo, la vendetta per la crocifissione di Cristo. I pogrom erano organizzati dall'alto e dagli eserciti, custodi di fulgide speranze.

Efraim  rimane toccato nel veder quanti ebrei esistano, quali caratteristiche abbiano assunto in base ai nuovi paesi di appartenenza e come però abbiano tutti qualcosa in comune.

L'abbraccio di un altro ebreo al congresso fa nascere in Efraim la speranza che l'avventura sionista sia possibile. Dice al padre "Siamo davvero pronti per questa avventura? E' davvero giunto il momento di affrettarci a comparire così al cospetto del mondo intero? O forse scoprire la nostra debolezza è un errore?

In fondo si può continuare a succhiare il latte dal petto dei popoli, che ci attorniano, per poterci rafforzare nel nostro intimo, prima di prendere di mira seriamente e da persone mature una bandiera e un inno."

Efraim ha questo dubbio e da esso nasce il desiderio di veder la Palestina, di toccare con mano il progetto di Herzl.

Efraim infatti,solo dopo averla visitata, si rende conto che Herzl parla della Palestina, come idea, non come realtà, parla della luna ma non delle strade, delle mura o delle case. Parla del futuro e non del presente.

E' innamorato della formula e non della soluzione.

Il malore di Herzl al Congersso permette ai due fratelli di conoscere il signor Mani. Questo signor Mani è un ostetrico, ha creato una clinica a Gerusalemme, dove accoglie donne ebree, ma anche arabe e pellegrine.

Mani segue i due fratelli in albergo, ma mentre lui parla Efraim non lo ascolta e pensa invece come sia possibile che "tutti quegli ebrei siano spariti", allegoria per indicare l'olocausto e tutte le persecuzioni contro tale popolo.

Mani parla con tale fervore e passione di Gerusalemme che Efraim e Linka decidono di andare con lui.

Arrivano a Gerusalemme da Giaffa in treno e non a cavallo come nel V dialogo.

Efraim descrive dapprima Gerusalemme nei suoi campi deserti, come una metafora, non reale, poi le Mura della città vecchia e le numerose case di Ebrei e di Arabi la rendono una città concreta, una sincresi religiosa.

Prima  vi arrivano soltanto poi vi entrano, ovvero la conoscono, la comprendono e la ritrovano.

La brezza di un vento fresco, in cui si fondono fredda aridità, sentore d'erba e un pizzico di dolcezza, permette loro di appropriarsi dell'odore vero di Gerusalemme.

Efraim assapora l'aria di Gerusalemme come un buon vino, a tal punto che afferma "si è corso davvero il pericolo che affondassimo in quella città, che, invece di guarirci una volta per tutte dall'illusione, minacciava di calamitarci dentro di essa."

L'idea sionista si riflette e si realizza in una città vera e non in un concetto astratto. E' il signor Mani a guidare per mano questo incontro, è lui a far riacquistare ancora una volta, la coscienza ebraica.

Determinante e significativa è la descrizione del Muro del Pianto. Esso si trova in fondo ad una viuzza strettissima. E' semplice, privo di promesse ingannevoli e di illusioni, "una stazione terminale della storia, un muro senza porte, senza alcun segno di spazi occulti. Forse un argine definitivo per fermare gli Ebrei nella loro ostinata e infaticabile corsa verso il proprio passato."

Come Gerusalemme affascinante ed attraente il signor Mani, sua metafora, trascina e attira a sé con la propria presenza vaga, tenera e sorprendente la moglie, il bambino, l'infermiera svedese e Linka.

Efraim quasi spaventato di questa sua riappropriazione improvvisa del passato, decide di andarsene dalla casa del signor Mani e si trasferisce in un ostello.

Il dottor Mani rappresenta la minaccia di non poter più essere un semplice pellegrino.

Nell'ostello, fuori dalle mura, Efraim scopre un'altra Gerusalemme "un'accozzaglia di idee isolate, di capricci di singoli individui che si scelgono un'altra patria e vi gettano sopra i loro progetti."

In questo modo però le idee non si amalgamano ma si perdono in tanti piccoli sentieri, Efraim prende atto proprio di questa realtà frammentaria, forse non ancora pronta per il progetto di Herzl.

Efraim la gira in lungo e in largo e così si libera coscientemente del sogno per cui tutti lottano, vagando fra fantasia e realtà, colpevoli e incolpanti, trattenuti e  attratti, irati e impegnati. Efraim se ne libera consapevolmente, sapendo bene di cosa si libera e torna ad essere senza Gerusalemme, questa volta con lucida ragionevolezza.

Un'altra descrizione di Gerusalemme , metaforica ed allegorica allo stesso tempo, mette in evidenza come Gerusalemme invochi ad un mondo irrigidito, una pace che non avverrà mai.

"E' una luce, si, padre, una luce dentro cui lottano due luci diverse, quella giallastra che fluttua libera dal deserto e quella celeste, che nasce dal mare, si arrampica lentamente su per le pendici dei monti e raccoglie il riverbero degli ulivi e delle rocce, finchè si assorbono l'una nell'altra a Gerusalemme, si dominano e si conquistano a vicenda, e verso sera si fondono in una tonalità di vino chiaro, che ramo dopo ramo scende giù dagli alberi e diviene un rossore armato, cha a contatto con la cornice della finestra infiamma i fedeli e li fa balzare in piedi nella tonante ne'ilah,preghiera di chiusura del Kippur, che invade il mondo, impietrito fuori, con un'immensa invocazione.

Con la fine del Kippur termina anche il loro soggiorno a Gerusalemme. Efraim e Linka partono, anche Mani li segue per un po' invaghito di Linka. Efraim inizia a lavorare a Cracovia come pediatra. Linka si trasferisce con il marito a Varsavia. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale e l'invasione della Polonia, Efraim si stabilisce a Varsavia, poi torna nella sua terra dove trova un nascondiglio, in cui rimane dal 1939 al 1941. Venuto a sapere che la figlia di Linka è stata arrestata e deportata ad Auschwitz, si consegna ai Tedeschi. Muore per un collasso mentre sta entrando nei Lager.


TERZO DIALOGO

Siamo nel 1918 a Gerusalemme. Protagonisti: tenente Ivon Horavitz e il colonnello Woodhouse, la cui parte non è riportata.

Il tenente Ivon nato in Russia nato in Russia e emigrato in Inghilterra si afferma nel ramo tessile.

Allo scoppio della prima guerra mondiale nel 1914 non viene mobilitato, nel 1915 viene però arruolato.

Nel 1916 il suo reggimento viene inviato in prima linea. Viene preso alla procura militare che si stava ampliando sempre più, per il numero delle infrazioni, di cui si rendevano colpevoli i militari stanchi.

Nel 1917 va in terra di Israele, dove si trova a dover giudicare il caso del Signor Mani, accusato di spionaggio. Ivon spiega al colonnello come è Gerusalemme, bella per le sue chiesette fuori mano, per le spiagge e per il muro del pianto, "ancora abitata da ebrei, benché molti siano stati deportati o espulsi o sene sono andati, hanno poco da offrire se non se stessi."

Ivon spiega che l'imputato è stato catturato nella notte in cui è stata presa Gerusalemme, che voleva essere preso e processato per tenere un discorso.

Tentava di passare per un pastore, ma il soldato irlandese, vedendo che il gregge era nervoso, aveva intuito che non era un vero pastore.

E' Josef  Mani, scambiato anche per un arabo, ma in effetti un ebreo, con cittadinanza britannica, malgrado non sia mai stato in Inghilterra.

Proprio a causa di questo passaporto è richiesta per lui la forca, per tradimento alla patria.

Ivon però vuole trovare una via d'uscita e racconta la storia al colonnello.

Il signor Mani è uno di noi, come lo definisce un ufficiale inglese, uno di quegli ebrei che "ci stanno incollati addosso, ed è giusto che sia un altro ebreo a chiedere al pena di morte per un ebreo."

Il signor Mani di questo dialogo è figlio dell'ostetrico del IV dialogo, Moshe che ottiene la cittadinanza britannica da un console britannico a Gerusalemme, come regalo per il suo tredicesimo compleanno, documento un po' anomalo.

L'ostetrico Mani, padre dell'imputato era morto in un incidente ferroviario. L'orfanello un giorno, sceso nella clinica, ormai da tempo vuota, si era trovato ad assistere al parto di un 'ebrea, tagliando il cordone ombelicale, si era formato la sua opinione politica.

Era diventato un homo politicus, aveva poi studiato le lingue e si era unito alle tante sette religiose a Gerusalemme.

Nel 1907 lascia per la prima volta Gerusalemme, senza passare per la Palestina, rifiutando di conoscere la strada che suo padre aveva percorso. Si ferma a Beirut e vi rimane per 7 anni.

Dietro a lui non c'è nessun altro, né Turchi né Tedeschi, inoltre il suo caso insegnare nulla su spie e tradimenti.

Mani ha organizzato tutto da solo, ha agito da solo per un suo proprio ed unico ideale e nel 1914 torna a Gerusalemme, dove la setta gli trova una moglie. Per un anno intero non esce di casa, accudito come un bambino, come un malato.

Quando viene a sapere che gli Inglesi sono a sud del paese, Mani come se sentisse il ritorno del padre si unisce agli ebrei in festa.

Esce e vede che "i Turchi si muovono pigramente, gli Arabi sonnecchiano e solo negli occhi degli ebrei vi è un lieve bagliore."

Si arruola e viene utilizzato come interprete nei diversi villaggi per dare l'idea della guerra. Una notte nel quartiere generale Mani legge la DICHIARAZIONE DI BALFOUR "IL GOVERNO DI SUA MAESTA' VEDE DI BUON OCCHIO LA CREAZIONE IN PALESTINA DI UN FOCOLARE NAZIONALE PER IL POPOLO EBRAICO".

Perse il sonno, era eccitato di poter tornare a Gerusalemme. Gli ebrei gioivano, gli Arabi erano sbalorditi, solo Mani prendeva atto che stranieri prendevano il posto di altri stranieri.

L'homo politicus ordisce così il suo tradimento.

Si fece arruolare come ufficiale dell'esercito di sua maestà. Entrato un giorno nell'ufficio del comando trova il piano di offensiva in Transgiordania del XXII reggimento, lo prende. Giunto in un villaggio si fece dare un tavolino e cominciò dicendo: "Questa è terra vostra e nostra, metà a voi e metà a noi e indicò verso Gerusalemme, che si vedeva confusa nella nebbia sul monte, dicendo, là ci sono gli Inglesi e qui ci sono i Turchi, ma tutti se ne andranno, tutti, e noi resteremo soli con noi stessi, destatevi, non dormite."

Fece il giro di molti villaggi ed ebbe come ricompensa delle capre, che perse quasi tutte.

In ogni villaggio leggeva la dichiarazione di Balfour "Egli mostrava  loro il mare azzurro, il Giordano e Gerusalemme e diceva: destatevi; e quelli si guardavano l'un l'altro per vedere chi osava dormire, ma lui proseguiva: conquistatevi un'identità, in tutto il mondo i popoli conquistano un'identità, poi sarà troppo tardi, poi sarà una tragedia, ecco che arriviamo noi e si prendeva di tasca un paio di forbici e diceva: metà a noi e metà a voi, tagliava per lungo la carta geografia, dando loro la metà coi monti e il Giordano e lasciando a sé stesso la costa e il mare."


Mani veniva ascoltato come un Virgilio o un Platone, parlava degli Ebrei che sarebbero arrivati e ancora non sapevano di cosa parlasse, come un branco di cavallette, diceva Mani, che oggi è posato sul deserto e domani invade tutti i campi.

Non contento Mani desiderava essere scoperto per fare un bel discorso pubblico. Ivon si chiede "E' un bene che la storia del governo britannico in terrasanta inizi con un ebreo impiccato a Gerusalemme?"

Se Mani non fosse stato un cittadino britannico l'accusa non sarebbe stata obbligata a chiedere la pena di morte e sarebbe stato considerato cittadino di un paese occupato.

Tutto per una cittadinanza conferita illegalmente. Il colonnello propone di mandarlo in un isola della Grecia e così avviene.

Finita la guerra Ivon insegnò alla facoltà di legge di Manchester, si avvicinò al sionismo e morì a Londra vecchio.


SECONDO DIALOGO

Siamo a Creta nel 1944.

Protagonista è Egon, nato da una serva della famiglia Sanchon e adottato da loro, a cui era morto un figlio.

Il dialogo avviene fra Egon e la "nonna", così chiamava la mamma adottiva, la sua parte non è riportata.

Egon allo scoppio della guerra viene arruolato in marina, a causa della miopia, viene stanziato a Creta.

Nel 1944 riceve la visita della nonna, che poi nel viaggio di ritorno muore, per incidente aereo.

Egon amante della cultura classica racconta alla nonna delle sue spedizioni fra gli scavi alla ricerca di una motivazione per questa guerra, che come la prima susciterà ulteriori accuse alla Germania.

Un giorno Egon durante le sue spedizioni perde gli occhiali ed è costretto ad affidarsi ad una guida greca, che lo lascia insieme a suo padre, il signor Mani.

Egon parla con il vecchio Mani di scavi, del Labirinto, di antiche civiltà, parlano come due amici e non come nemici.

Egon logicamente, pur essendo stato accolto con infinita cortesia, impone condizioni di prigionia alla famiglia Mani e Mani padre si attiene ad esse, come se voglia essere finalmente un ostaggio, per espiare un' antica colpa.

Mani padre improvvisamente muore davanti ad Egon.

Egon viene incarcerato, perché si era perso e solo dopo tre anni, dopo aver capito i piani di Hitler, dopo l'operazione Barbarossa, fine del terzo Reich, Egon capisce che i Mani potevano essere solo ebrei, ebrei che erano pronti a scappare, perché già sapevano come sarebbero stati trattati, come erano trattati gli ebrei dell'est.

Desideroso di sapere Egon si fa arruolare nella polizia per cercare Mani figlio.

Lo trova e quando gli chiede se è realmente un ebreo, lui risponde si, ero un ebreo, ma ho smesso di esserlo, l' ho annullato. Una volta eravamo a Gerusalemme, ma ora non più, abbiamo smesso di esserci.

Egon lo saluta con un semplice saluto militare e andando contro le scelte del Furher formula in sé un nuovo concetto di razza.

"La parola razza era solo un'allegoria, una metafora per un'altra parola, più rispettabile:natura., che è quello che conta e poi cos'è, in fondo in fondo questa natura, se non un carattere, il carattere umano e nazionale, che bisogna scoprire e che si può anche cambiare.E il Furher stesso non ha forse parlato anche lui del pericolo dell'ebreo, che si annida in ognuno di noi? L'identità dell'ebreo esiste solo nel loro cervello e perciò si può davvero sperare che il cervello possa anche annullarla."

Egon cerca in casa Mani un oggetto, che possa identificarli come ebrei e solo più tardi si rende conto "che non esiste alcun oggetto ebraico di cui un ebreo non possa fare a meno."

Certamente Mani lo ingannava, sfuggiva al suo destino, ma Egon voleva provare ad ascoltar e ad osservare non tanto per Mani ma per la Germania e per i Tedeschi, per sapere "se è possibile tornare al punto di partenza ed essere di nuovo solo UOMO, UOMO NUOVO, che ha eliminato la scorza della storia, che gli si era  rappresa addosso, come brutte scaglie.

Egon però che aveva ingenuamente creduto che l'ebreo potesse annullarsi da solo , si meraviglia quando gli viene data la lista degli ebrei da prendere e da mandare via.

A questo punto Egon comprende, va da Mani e si offre di aiutarlo, sperando che si fidi, ma Mani sapeva che se lui si era annullato, suo figlio no, perché troppo piccolo, e dunque rifiuta. Il figlio e la moglie sono ancora ebrei.

Finita la guerra Egon dirige l'istituto Goethe ad Atene. Solo negli anni '60 ritorna a Creta e prova a cercare Mani, ma erano in molti con quel cognome.

Intrattiene anche rapporti intellettuali con ebrei e d israeliani fino all'invasione del Libano nel 1982.

In questo dialogo Mani rappresenta l'ebreo di fronte all'olocausto, capace di far vacillare la fede di un tedesco, di fargli ricercare le cause di una guerra senza reale motivo, se non sete di potere.

Il signor Mani qui è capace di annullarsi per non perdere il contatto con il passato e per protendersi verso il futuro, un futuro di guerra e non di pace.


PRIMO DIALOGO

Siamo nel 1982, ala tempo della guerra in Libano, in un Kibbuz. Il Kibbuz è una comunità collettiva agricola dello stato di Israele, caratterizzata dall'assoluta mancanza di proprietà privata. Il denaro è usato come mezzo di scambio all'esterno della collettività, mentre all'interno ognuno riceve tutto ciò di cui ha bisogno, dalla collettività stessa.

Ce ne sono 250, esse si ispirano al modello di Kavuzot, le cui origini risalgono al 1909, fondato poi nel 1949.

Protagonisti del primo dialogo sono Hagar Shilo e la madre, la cui parte non è riportata.

Il padre di Hagar è morto durante la guerra dei sei giorni.

Hagar prende la maturità e si iscrive all'università. Dove si innamora del suo professore Efraim Mani. Ha una relazione con lui e pensa di essere incinta.

Quando lui parte per la guerra del Libano, scoppiata malgrado fra Gerusalemme e Beirut sia stata firmata la pace, un giorno le telefona e la prega di andare da suo padre, il signor Mani. Hagar lo fa pensando di far felice Efraim, in effetti tale visita nasce dalla sua ricerca continua di un surrogato del padre.

Hagar con la sua fantasia immagina che il signor Mani, giudice, voglia suicidarsi e quindi gli resta vicino.

Effettivamente la sua fantasia ha una base di verità e Hagar non solo salva lui, ma anche se stessa.

Comincia a desiderare di essere realmente incinta, per avere una famiglia vera, completa con un passato ben preciso. In questo dialogo come negli altri, Mani si confonde con Gerusalemme e attrae Hagar infondendole il desiderio di avere un figlio, di perpetuare i Mani e di ricongiungere il presente con il passato.

Il primo dialogo così ciclicamente si riallaccia al quinto, al desiderio di essere ospite fisso, di avere una memoria storica.

Con il primo dialogo si completa infatti la saga di una famiglia che si perde nel tempo e nella storia, ma si ritrova sempre a Gerusalemme.

Hagar paragona Gerusalemme ad un deserto, dove la saggezza collettiva inizialmente ti rende più forte e sicura, poi però ti rende impaurita. Quel deserto infatti man mano che lo guardi diventa una faccia di mistero che ti perseguita, con una logica ferrea e chiara come il sole a mezzogiorno.

Tornato Efraim, Hagar riesce veramente a rimanere incinta e malgrado lui non voglia sposarla, tiene il bambino.

Sarà proprio il signor Mani a tenere i contatti con lei, il bambino e la madre di Hagar, anzi fra quest'ultima e il signor Mani si crea un legame molto forte.

Le visite si intensificano sempre di più, insieme visitano le colline intorno al Kibbuz, parlando sempre e di tutto.

Con il tempo le due donne vengono a sapere che Mani veniva a Gerusalemme in macchina, passando per la città di Hebron. La madre di Hagar gli aveva fatto notare che era pericoloso viaggiare fra i villaggi della zona meridionale delle montagne di Hebron, ma il signor Mani aveva protestato, dicendo che la strada gli sembrava sicura e che i locali erano molto pacifici.

All'inizio dell'autunno del 1987 qualcuno buttò sulla macchina di Gabriel Mani una grossa pietra, mentre passava vicino ad un villaggio, ad una ventina di  chilometri da Hebron e quella sera ammise che il consiglio della madre di Hagar era stato saggio.

Quella strada però lo affascinava. Era iniziata l'INTIFADA.




Il signor Mani rappresenta il grande corpo sensuale dell'ebraismo, profumato di spezie e di disperazione. Sette generazioni si dipanano nei cinque dialoghi, diversi signor Mani sfilano nella storia a partire dalla metà dell' '800 fino agli anni '80, del secolo scorso. Trasmettendo di padre in figlio una tragica eredità. Può un uomo spezzare la catena che lo lega al passato o al futuro? Può annullare la propria identità? Attraverso i cinque dialoghi entriamo a contatto con una famiglia che da sempre si lascia animare da un'unica utopia : la  pace.




GERUSALEMME

Gerusalemme non è mai propriamente il luogo di ambientazione, perché i protagonisti non abitano lì, essa è presente, come punto di arrivo e di partenza, come una  calamita che attrae continuamente, apparendo familiare, come una terra di origine, non conosciuta ma presente inconsapevolmente in ognuno di essi.

Il signor Mani di ogni dialogo passa sempre per Gerusalemme, ci vive per un po', scappa, se ne va, ritorna, comunque in qualunque luogo vada, si trova sempre a casa sua.

Questo logicamente è metafora del destino degli ebrei, da secoli esiliati, integrati nei nuovi paesi di appartenenza, capaci di adattarsi ovunque, malgrado la loro radice sia quella misteriosa Gerusalemme, da cui sono sempre divisi. Gerusalemme non è mai descritta storicamente, ma è descritta dalla memoria dei protagonisti, dalla vista di chi la ritrova e di chi la incontra per la prima volta, dalla sensazione di chi la conosce da sempre e la comprende nei suoi più intimi aspetti.

In essa i protagonisti cristiani, ebrei ed arabi vivono esperienze drammatiche e quotidiane, come mito di ogni tempo. Attraverso i cinque dialoghi è comunque possibile ricostruire alcuni eventi storici, salienti per gli ebrei nel mondo e  per gli ebrei, poi risarciti della terra promessa.

Partiamo dalla nascita del movimento sionista, dai suoi congressi, si passa per la DICHIARAZIONE DI BALFOUR durante la prima guerra mondiale, per arrivare all'OLOCAUSTO, alla guerra in Libano e alle prime forme di INTIFADA.

Gli eventi storici compaiono solo marginalmente, sono la cornice o momenti particolari dei protagonisti ma non determinanti, come se il vero tempo storico sia ben più lontano, quasi indecifrabile e incalcolabile.

Non è il singolo evento che interessa all'autore, quanto la saga degli ebrei, il loro continuo peregrinare nel mondo, le loro speranze e il ritorno in una terra che non sarà mai completamente loro. E' l'ebraismo la vera tesi assiale e non la storia degli ebrei.




Setta sciita, che considera come suo imam nascosto,che riapparirà un giorno per far trionfare la vera fede Isma.

Dal IX secolo in poi si organizzarono politicamente r fondarono stati indipendenti in Persia, in Siria e nell'Arabia del sud-ovest.Esistono ancora oggi musulmani eretici discendenti e continuatori dell'antica setta, ma non conservano più il carattere antico, estremistico e terrorista della setta.

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