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Il cigno




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IL CIGNO


Il Cigno è un romanzo storico scritto da Sebastiano Vassalli per rappresentare la realtà e la società palermitana tra Ottocento e Novecento, mettendo in evidenza le enormi differenze culturali col resto d'Italia ma anche i caratteri comuni con la realtà moderna.

Lo scrittore tratta questi argomenti analizzando gli stretti legami che intercorrono tra mafia e politica in questo periodo e l'omicidio del commendatore Emanuele Notarbartolo; omicidio che costituisce il primo grande delitto mafioso della storia e che porta il termine "mafia" per la prima volta nelle aule di un tribunale.

Il romanzo si apre con un'accurata descrizione dell'omicidio dell'ex sindaco di Palermo Emanuele Notarbartolo, che, da qualche tempo, stava indagando su scottanti segreti, truffe ed illeciti vari commessi dal governo Crispi e dallo stesso Banco di Sicilia, del quale era stato direttore per 13 anni.

Raffaele Palizzolo, soprannominato Il Cigno, deputato e consigliere d'amministrazione del Banco di Sicilia, si era infatti notevolmente arricchito con i soldi dei risparmiatori, ma aveva compiuto il grande errore di accreditare il denaro a se stesso e non ad un prestanome. Tutto questo era poi finito nelle mani del presidente del consiglio, il marchese di Rudinì, il quale aveva incaricato Notarbartolo di scoprire i fautori di queste truffe.

Il commendatore aveva lavorato a lungo su questo progetto riuscendo a portare a termine importanti scoperte, ma prima di riuscire a renderle pubbliche, viene brutalmente ucciso dalla mafia. Il delitto avviene alla stazione di Termini Imerese, quando due uomini, ricevuto il via libera dal complice ferroviere, entrano nello scompartimento di prima classe dove si trova Nobartartolo che attende di tornare a Palermo.

Non appena il treno acquista velocità, i due uomini, armati di coltello, approfittano del gran frastuono per portare a termine l'omicidio; Emanuele Notarbartolo non ha né il tempo, né i mezzi per reagire e viene in pochi secondi trafitto da diverse coltellate e buttato giù dal treno da Don Piddu e Peppi Lauriano, i suoi assassini.

Il ritrovamento del suo corpo ha subito grande eco in tutta Italia infiammandone l'opinione pubblica. Vengono eseguiti molti arresti, ma nessuno che porti alla condanna dei veri assassini o del mandante dell'omicidio, il Cigno.

Palizzolo cosi, poco tempo dopo, decide di festeggiare la scomparsa del suo più grande nemico imbandendo una gran tavolata alla quale partecipano tutti i suoi amici mafiosi e in cui si parla apertamente e con orgoglio dell'omicidio portato a termine.

I 4 anni successivi passano senza che le indagini portino ad una verosimile pista da seguire; il Cigno fa la conoscenza di una giovane donna di nome Filicetta che divenuta povera e vedova a causa dell'uccisione del marito in una rivolta popolare, chiede il suo aiuto.

Egli notando il suo bell'aspetto decide di avviarla alla prostituzione e le promette un buon profitto alla quale lei, vista la sua condizione, non può e non riesce a rinunciare.

Nel 1897, quando ormai il delitto sembra essere stato dimenticato ed abbandonato, nelle maggiori testate giornalistiche si riprende a parlare del processo per via di alcune importanti novità.

Il processo viene spostato da Palermo a Milano e un gran numero di testimoni chiamati a sentenziare in tribunale si vede obbligato a recarsi in questa nuova città cosi distante, non tanto geograficamente, ma culturalmente. Questi uomini e queste donne vengono cosi gettati in un mondo completamente diverso dal loro per usi, costumi, pensiero, cultura e tradizioni, causando due opposte reazioni.

I Milanesi, avvertiti del loro arrivo e vedendoli invadere le loro strade, offrono ai Siciliani un grande supporto: regalano loro abiti adatti al clima milanese, li ospitano nelle loro case e li aiutano economicamente.

Provano quasi pietà per questi individui, cosi diversi da loro nel modo di vestire, di parlare e di comportarsi e l'unico suggerimento che si sentono in dovere di dare è quello di testimoniare correttamente ed onestamente al processo che, svolgendosi a Milano sarebbe potuto finalmente giungere a compimento e permettere la scoperta dei veri colpevoli.

I Siciliani invece, sofferenti per il freddo, stentano ad accettare il loro aiuto per via della pessima reputazione che i milanesi hanno della loro terra; vengono considerati come dei delinquenti e la loro identificazione con la mafia e con la violenza, della quale negano l'esistenza, è ormai diventata immediata.

I Siciliani rimangono sorpresi dall'abbigliamento delle donne milanesi, completamente diverso da quello delle loro donne, e, nonostante non ne avessero una buona reputazione, nasce in loro una grande curiosità, al punto da indurne la maggior parte ad avere delle avventure con loro ed a vantarsene.

Sebbene la distanza tra Palermo e Milano non sia molta, queste due città sembrano appartenere a due mondi completamente diversi, inconciliabili tra loro, anche se apparentemente appartenenti allo stesso Stato.

Ci troviamo infatti nel periodo storico dell'unificazione dell'Italia, ma si tratta di un'unificazione solo teorica perché tra le diverse regioni non vi sono ancora punti di legame e di identità né dal punto di vista politico, né da quello culturale e sociale.

Il 5 dicembre 1899 il processo ha finalmente inizio e una grande svolta porta alla cattura di Raffaele Palizzolo. Il figlio del defunto Emanuele Notarbartolo, Leopoldo Notarbartolo, infatti, afferma in tribunale di sapere con certezza che il mandante dell'omicidio è proprio il Cigno. Giunta voce a Palermo della sentenza, Raffaele Palizzolo, sofferente nella sua casa, viene arrestato e portato in prigione, a Napoli, dove rimane fino al 31 luglio 1904, quando il tribunale di Firenze, per assenza di prove schiaccianti sul suo conto, decide di liberarlo.

La liberazione viene festeggiata calorosamente dai Palermitani i quali hanno sempre visto Palizzolo come un innocente ingiustamente arrestato dagli uomini del nord che essi disprezzavano ed odiavano per via della considerazione che avevano di loro e per via della loro insistenza nell'interessarsi di una realtà che non gli apparteneva.

Una gran festa di piazza accoglie il ritorno in Sicilia del Cigno che viene acclamato e seguito fino all'entrata della sua villa. L'entusiasmo del popolo e dello stesso Palizzolo col passare del tempo decresce fino ad annullarsi del tutto, quando, il Cigno, riproponendosi come candidato alle elezioni non riceve altro che una manciata di voti.

Demoralizzato e deluso dal risultato ottenuto decide di ritirarsi dall'attività politica e dedicarsi alla letteratura.

Attraverso la lettura di questo libro è possibile notare diversi aspetti della realtà palermitana che trovano riscontro anche nella società odierna, seppure in maniera consona allo sviluppo acquisito nel tempo. In primo luogo la costante presenza della mafia che continua ancora oggi a mietere vittime, tramare nell'ombra, arricchirsi illegalmente ed intrattenere rapporti con l'apparato politico; poi lo sviluppo della prostituzione che ieri come oggi induce le giovani donne in difficoltà a compiere questa scelta per potersi garantire i soldi necessari alla sopravvivenza. Poi ancora l'atteggiamento del popolo palermitano che, se nel libro difende l'assassino, non perché convinto della sua innocenza, ma perché si sente messo sotto accusa dal resto dell'Italia, oggi ha paura di esporsi e pensa che rimanere nel silenzio sia il modo migliore per proteggersi dalla mafia.

Lo scrittore quindi, raccontando degli eventi cronologicamente distanti da noi ma quanto mai attuali, coinvolge il lettore in una riflessione sulla realtà che ieri ed oggi invade la Sicilia e che solo tramite un'adeguata conoscenza e consapevolezza da parte degli stessi cittadini, può essere modificata e migliorata.

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