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Ascesa e declino della tipica figura del supereroe nell'opera di Alan Moore




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Ascesa e declino della tipica figura del supereroe nell'opera di Alan Moore




Che cos'è il fumetto?



Da sempre critici e studiosi dell'arte e della letteratura hanno cercato di istituire e di consolidare modelli schematici di classificazione e di valutazione, per sviscerare i misteriosi canoni della bellezza e della cultura, le sottili distinzioni esistenti tra sacro e profano, tra poesia e volgarità: i parametri caratterizzanti l'opera di valore, insomma. Problematiche profonde e irrisolte che agli inizi del secolo XIX col sorgere e lo svilupparsi delle prime società industriali, assunsero forme e limiti indefinibili. La nascita dei grandi mezzi di comunicazione di massa e le questioni, talvolta drammatiche, originate dall'intima esigenza dell'artista e da tutti i fruitori del suo lavoro di preservare la "purezza" dell'immagine pittorica, della figura scultorea, della musica e della parola scritta nell'era della loro riproducibilità tecnica, diedero luogo a violente reazioni, a chiusure aprioristiche, a una settorializzazione preconcetta caratterizzata dal dualismo categorico: impegno-svago, pregnanza-vacuità, nobiltà-trivialità. Il linguaggio-fumetto allora, che nasce nella seconda metà dell'ottocento e si sviluppa in seno a un'industria giornalistica accentratrice e tesa al mero profitto, essendo basato su una presunta e, per quei tempi, inaccettabile contaminazione tra segni e codici di diversa e inviolabile natura, nonché rivolto essenzialmente a intrattenere e a divertire i lettori, non poteva non essere accolto con sospetto e diffidenza. Un'aperta ostilità quella proveniente dai vertici della cultura dominante, incapace di valutare la ricchezza di un medium per loro difficilmente inquadrabile e fondamentalmente incitante a una pericolosa "pigrizia" intellettiva. Pregiudizi che, nonostante il loro lungo, profondo e generale radicamento, non hanno tuttavia impedito che il cartooning crescesse col tempo sia dal punto di vista tecnico sia da quello contenutistico, giungendo a risultati di profonda maturità espressiva. La critica fumettistica ha sofferto di numerosi equivoci. Paradossalmente il malinteso maggiore è nato proprio dalla difficoltà di capire cosa fosse davvero il fumetto. Si è detto di tutto: arte povera, arte minore, medium, e ogni definizione non faceva che ridurre la portata del linguaggio fumettistico a un singolo ambito di appartenenza, con l'esclusione dei possibili altri. I primi approcci critici di una certa consistenza erano tutti quanti protesi a "dare un senso" al fumetto. L'esito era drammaticamente scontato: il fumetto aveva un senso in quanto riflesso della società che lo produceva. La cosiddetta "critica sociologica" coglieva uno degli aspetti del fumetto, storicamente forse uno dei più importanti, ma sembrava curiosamente dimenticarne altri, in primis che si stava parlando di un'opera che era anche espressione dell'autore che la realizzava. Si è dovuti arrivare agli anni Sessanta (o meglio ancora alla prima metà dei Settanta) per capire che il fumetto era un linguaggio con una propria grammatica e una propria sintassi in continua evoluzione. All'inizio degli anni Sessanta gli interventi, le analisi e gli studi appassionati di importanti uomini di cultura, come Umberto Eco, Cesare Zavattini e Dino Buzzati, contribuirono definitivamente a stimolare l'attenzione e la curiosità degli ambienti accademici nei riguardi del complesso mondo dei fumetti, proponendo una serie di percorsi interpretativi che soltanto nell'ultimissimo scorcio del Novecento hanno trovato sbocchi adeguati e prosecuzioni d'indagine maggiormente legati all'attualità della narrativa disegnata. I comics sono uno strumento comunicativo denso, vitale, strettamente intrecciato con la realtà socio-politica, con lo "status emozionale" dominante nell'ambito in cui vengono realizzati e prodotti. Agendo, infatti, perfino con prepotenza tra le pieghe dell'immaginario collettivo (grazie anche alla sua natura ancora essenzialmente seriale, alla sua innata duttilità, alla sua capacità di adattamento e di risposta rispetto ai bisogni di un pubblico obbligato a rivedere di continuo il proprio rapporto con il quotidiano) il medium-fumetto si propone spesso come una straordinaria cartina al tornasole di mutamenti sociali e culturali, correnti d'opinione e di pensiero, legati a determinati periodi storici. Nonostante i fumetti si suddividano in generi diversissimi tra loro, spesso hanno un tema che li accomuna: il tentativo, per la verità non sempre riuscito, di attuare, da parte dei loro autori, varie forme di denuncia sociale o di avviare delle riflessioni che diventino stimoli per il lettore. Pertanto il fumetto, come tutto il resto, può essere considerato come un veicolo educativo al pari degli altri mezzi di comunicazione di massa e non soltanto come serialità e intrattenimento a basso costo.

Medium dotato di un linguaggio autonomo, riflesso dei mutamenti sociali, banale passatempo relegato ai più bassi livelli della gerarchia culturale, espressione dell'interiorità di un autore.questo, dunque, è quanto è stato detto sul fumetto. Tutti tentativi di inquadrare il fumetto in un singolo ambito, che non hanno fatto altro che sminuire quello che forse è la caratteristica principale di questo medium bistrattato: attraverso le pagine degli albi, attraverso le strips, attraverso le grandi raccolte supereroistiche, vengono diffuse conoscenze e nozioni che possono essere così apprese in modo relativamente indolore. Ad esempio, leggendo i fumetti dei supereroi classici, come di quelli contemporanei, è possibile trovare molti esempi in cui i concetti fisici sono descritti e applicati correttamente. E' ovvio che quasi sempre l'uso dei superpoteri implica di per sé una chiara violazione delle leggi note della fisica e richiede una sospensione deliberata e volontaria dell'incredulità. Molti, però, sono i personaggi che sfruttano ben precise leggi della fisica, piuttosto che superpoteri di origine incerta. Mentre solo pochi eroi basano i propri superpoteri sulla forza dell'elettricità e/o del magnetismo, i supercattivi spesso impiegano queste forze fondamentali della natura per guadagnare soldi o conquistare il mondo (a volte anche per entrambi gli scopi).


Indicativo è il caso di Electro, criminale dal discutibile senso estetico, apparso per la prima volta nel febbraio del 1963 nel numero 9 della rivista "The Amazing Spider-man". Egli, così come Magneto (antagonista degli X-Men), sfruttando le proprietà dell'elettromagnetismo, è in grado di compiere i crimini più efferati senza farsi mai "incastrare" dal rivale di turno. Come questo, altri sono i casi di "bizzarri personaggi" che, tra uno scontro epico e un lieto fine, tra una vignetta ed un'onomatopea, possono aiutare il Lettore Modello ad acquisire qualche conoscenza o, magari, comprendere meglio anche i piccoli fenomeni quotidiani.




Ampliando il discorso, la "disciplina" a cui il fumetto attinge più apertamente è l'arte.

Il gioco di specchi tra arte "colta" e fumetto è interminabile. Uno degli aspetti più interessanti del fumetto stesso è la sua straordinaria capacità di rielaborare, consapevolmente o meno, ciò che le arti maggiori hanno prodotto.

Il fumetto, come altre forme di arte visiva, si nutre principalmente di immagini e a sua volta ne crea. I punti di contatto con l'arte possono essere visualizzati su due piani:


a) quello di una citazione consapevole;

b) quello di una rimasticazione involontaria.


Il primo caso si verifica laddove gli autori "citano" i grandi maestri dell'arte per render loro omaggio oppure per svilupparne il linguaggio:



'Nudo che Scende le scale', Marcel Duchamp (1912)                               Calvin & Hobbes di Bill Watterson




La rimasticazione involontaria invece è tipica della maggior parte degli autori dei fumetti. E' lecito chiedersi quale relazione intercorra tra un quadro come "Il fantasma di una pulce"di William Blake e il fumetto Swamp Thing:


                                                   


Il disegnatore Berni Wrightson non aveva mai visto il quadro di Blake, eppure Swamp Thing ha le stesse fattezze del fantasma di una pulce. Ciò è successo perché quel quadro appartiene alle suggestioni iconografiche contemporanee e costituisce un tassello importante nel DNA culturale contemporaneo. Si instaura così un rapporto reciproco tra fumetto e arte: il fumetto diffonde a livello "popolare" segni altrimenti difficili da veicolare, mentre l'arte " colta" fornisce stimoli che arricchiscono il fumetto e il suo linguaggio.


Una corrente che contiene in sé molti aspetti che entrano di diritto nel modo di disegnare di tanti autori di fumetti è il Futurismo. Si potrebbe dire che alcune opere futuriste siano quanto di più vicino al fumetto contemporaneo l'arte abbia mai prodotto prima della rivoluzione della Pop Art. Uno dei punti essenziali del manifesto futurista è che la rappresentazione di un soggetto in movimento non possa dare in alcun modo la sensazione di staticità:


"Noi affermiamo che la magnificenza del mondo si è arricchita di una bellezza nuova: la bellezza della velocità. Un'automobile da corsa.è più bella della Vittoria di Samotracia."

Dal Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Martinetti,1909


O anche


"La letteratura esaltò, fino ad oggi, l'immobilità pensosa, l'estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l 'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno."



L'esperienza futurista che eredità ha nel fumetto? Il problema della rappresentazione del movimento, della "scomposizione" che esso determina nel soggetto disegnato, viene ripreso e risolto dai giapponesi. Le linee cinetiche sono elemento essenziale dei manga: quel modo di rendere il dinamismo passa al Sol Levante per essere successivamente fatto proprio anche dal fumetto supereroistico americano, un tempo basato molto più sulla potenza che non sulla velocità. "Forme uniche nella continuità dello spazio" vista con gli occhi del giapponese Go Nagai, è dunque un robot in movimento, "antenato" e precursore dei futuri Goldrake, Mazinga & co.



                        


Il binomio arte-fumetto vive anche un intenso rapporto osmotico: così come il secondo attinge, più o meno consapevolmente, all' immaginario dell'arte contemporanea, così anche quest'ultima si rifà, anche in modo piuttosto diretto, al medium fumetto. Un nome su tutti: Roy Lichtenstein. Il suo modus operandi è precisissimo: sottrae al normale consumo la struttura dell'immagine nei racconti a strisce figurate. Recupera in tal modo l'immagine archetipica, non interessandosi del contenuto del messaggio,ma del modo in cui è comunicato, del medium. Il vero messaggio è perciò il medium, cioè il medium non fa che comunicare se stesso.

Lichtenstein ripropone l'immagine in modo letterale, trasferendola in scala ingigantita sulla tela. Un prodotto della cultura "bassa" e popolare viene così issato nella sfera "alta" e nobile della pittura, modificando in profondità i connotati di base di ambedue i linguaggi. Isolata dal contesto della storia e microscopicamente ingrandita, l'immagine non è più consumabile. Così facendo, muove un'accusa pesante a tutto il mondo della cultura di massa: il modo di recepire questo tipo di comunicazione è oltremodo banale!




Un altro esponente della Pop Art, Andy Warhol, è a sua volta ripreso in una tavola di Milo Manara:



     


I fumetti, però, non vivono solo di contaminazioni e scambi con linguaggi come quelli della letteratura, del cinema della poesia. Hanno anche una propria spiccata identità e un nocciolo di caratteristiche che li rendono unici e diversi da qualunque altra arte.




BREVE STORIA DEL FUMETTO SUPEREROISTICO


Quella di narrare una storia in forma grafica è una tradizione ben più antica di quanto si pensi. Immagini (e sequenze di immagini),finalizzate a narrare qualcosa, sono sempre esistite sin dall'antichità. Basta far riferimento ai graffiti preistorici, alla Colonna Traiana o alle "Storie di San Francesco" ad Assisi.

Ma con più precisione quando nasce il fumetto supereroistico?

Comunemente si è soliti far risalire la nascita del fumetto al personaggio di Yellow Kid, ritenuto il primo fumetto vero e proprio. Yellow Kid fu lanciato sul mercato nel 1895, nel periodo della "massificazione" della società, avvenuta dopo la "Grande Depressione" che colpì Stati Uniti ed Europa.

Le prime figure eroiche cominciarono a fare la loro comparsa durante il periodo della "Grande Crisi" del '29, quando si avvertiva il bisogno di sicurezza e protezione.

Gli albi a fumetti, però, non si affermarono del tutto prima del 1933 quando Janosik, Delacorte, Wildenberg e Gaines decisero di tentare la fortuna e ristampare le strisce a colori apparse sul supplemento domenicale dei quotidiani, usando carta da giornale in formato tabloid standard e piegandone i fogli in un opuscolo da 16,8x25,7 cm (crearono così il formato standard degli albi a fumetti, rimasto invariato fino ad oggi). La velocità con cui questi fumetti da edicola andarono a ruba dimostrò che questi albi divertenti avevano un futuro. Nel 1938 si aggiunse ai consueti personaggi dei fumetti, uno strano visitatore proveniente da un altro pianeta, con poteri e capacità molto maggiori rispetto ai comuni mortali: Superman. Il supereroe Superman inaugura la "golden age" periodo in cui ben presto le edicole si riempirono di fumetti dei supereroi, con personaggi che vantavano una gamma stupefacente di poteri e capacità. Molto spesso i poteri dei personaggi avevano un'origine mistica o soprannaturale e in questo modo i fumetti, proprio come oggi non facevano altro che riflettere lo spirito culturale del tempo. Il calo delle vendite, dovuto alla perdita di una grande rete di distribuzione  e alla concorrenza della tv, portò il fumetto sull'orlo del collasso, e dal 1953 al 1956 continuò ad essere pubblicata solo mezza dozzina di testate di supereroi, con un calo drastico rispetto alle 130 che si trovavano in edicola al culmine della "golden age".Nel 1956 la National Comics decise di tastare il terreno dei supereroi e le vendite indicarono che il mercato era maturo per il loro ritorno. Cominciò così la "Silver age".

I fumetti della "Silver age" spesso regalavano alcune perle di erudizione riguardo a discipline dotte. Gli anni Settanta vengono percepiti come confusi e inquietanti dalla sensibilità comune, perché caratterizzati da tensioni sociali e critica ideologica. Non vi sono più l'ottimismo e il desiderio di progresso che avevano permeato i due decenni precedenti. Il senso di instabilità e circospezione, la paura dell'olocausto nucleare, la guerra in Vietnam, la presenza insomma di problemi mai apparsi così complicati, rendono obsoleti i fumetti di supereroi, ancora aggrappati a un'identità avventurosa dotata di valori troppo categorici e troppo poco ricercati. Crisi di vendite e crisi creativa al tempo stesso. Il fumetto supereroico raggiunge nuove vette di qualità grazie a tre autori in particolare: Chris Claremont, Frank Miller e Alan Moore. Il loro operato, negli anni Ottanta, ha infatti radicalmente mutato l'approccio al fumetto supereroistico, ampliando a dismisura le chiavi narrative e di interpretazione e condizionandone di conseguenza gli sviluppi negli ultimi venti anni. Gli anni Ottanta dunque sono considerati il periodo che ha dato una nuova spinta al fumetto supereroico. Dopo una fase di riflessione dovuta alla cosiddetta crisi degli anni Settanta, i supereroi e le loro avventure furono proiettati in una nuova dimensione, la cui origine si trovava nel motto di Stan Lee "supereroi con superproblemi", ma il cui obiettivo consisteva di dare di questo motto una versione più complessa e articolata. Tutte le scelte degli autori portarono amaramente allo stesso punto: i superproblemi dei supereroi erano semplicemente costituiti dalla mediocrità umana. Questa conclusione portò anche a ben definite scelte stilistiche, improntate in termini essenziali alla sistematica demolizione della figura del supereroe di un tempo, non più considerato un essere invulnerabile, privo di dubbi e di remore, bensì spesso raffigurato con una maschera dalle valenze decisamente negative. Il supereroe quindi può sbagliare, odiare, macchiare la propria verginità morale, cadere nel peccato e addirittura morire.
































IDENTITA' LACERATE



«En vain j'ai voulu de l'espace

trouver la fin et le mielieu ;

sous je ne sais quel oeil de feu

je sens mon aile qui se casse. »


C.Baudelaire,Les Plaintes D'Un Icare


Invano ho voluto dello spazio

Trovare il centro e il limite

Sotto non so quale occhio di fuoco

Sento che la mia ala si spezza.


Charles Baudelaire, I lamenti di un Icaro




Con gli anni Ottanta si assiste alla decostruzione del supereroe e al rovesciamento della narrativa classica. Quindi il concetto di supereroe viene messo fortemente in discussione e minato alle radici, viene privato della classica morale dell'eroe. Partendo da un'analisi psicologica realistica e minuziosa, chi di primo acchito sembra un eroe, in realtà è un uomo solo, chi ha l'apparenza di una bestia umana in realtà può essere semplicemente una persona incolta e di conseguenza molto rozza. In ogni caso, si tratta sempre e comunque di diverse forme di umanità, da quelle più nobili a quelle più meschine. Proprio su questo principio si regge il nuovo tipo di supereroe, nel raffinare e portare alle dovute conseguenze le premesse del ventennio precedente.

Introdurre nuovi stereotipi, per quanto riguarda l'aspetto e la psicologia dei personaggi, significa imprimere una nuova direzione anche a tutto ciò che riguarda la categoria causale. La nuova direzione imposta alla definizione dei personaggi verte sostanzialmente su un problema morale, o meglio sull'ambiguità morale. Questi personaggi vivono tutti il dilemma se il fine giustifichi i mezzi, e in alternativa se i mezzi giustifichino il fine.

L'autore più importante che operò in tale direzione fu Alan Moore. Con un colpo di genio, cancellò la memoria del supereroe e rinarrò le sue origini.Nasceva così l'essenza stessa della poetica supereroistica di Moore:

Se i supereroi esistessero davvero considererebbero se stessi simili a divinità e guarderebbero le vicende umane con occhi privo di emozione.

I governi mondiali tenderebbero a manipolarli e a imbrigliarli per i rispettivi fini.

La loro condizione porterebbe a una totale riconsiderazione, da parte del genere umano, dei principi fisici dell'universo e dell'io interiore.


Riflessioni preludio al tetro universo di Watchmen, un'opera considerata all'unanimità come uno dei massimi capolavori di tutta la storia dei comics, tanto che il Time l'ha inserito fra i cento migliori romanzi in lingua inglese dal 1923 ad oggi.



Watchmen costituì una ventata di novità nel panorama mondiale del fumetto: eroi che vivevano una realtà "ucronica" solo parzialmente differente dalla nostra, maschere che nascondevano uomini comuni (eccezion fatta per il Dr. Manatthan che nulla ormai ha più di umano), tinte fosche e cupe che saranno fondamentali per il fumetto introspettivo degli anni Novanta. Eroi assolutamente nuovi (ossia non inseriti nella continuity ), visti non nell'attimo di massimo splendore ma nella fase di vecchiaia, personaggi approfonditi nei loro risvolti psicologici tanto da risultare definiti a tutto tondo, trame sovrapposte, citazioni librarie, simboli, richiami e una particolare attenzione ai dettagli più minuziosi. I personaggi hanno tutti una grande profondità psicologica, la loro storia non è mai banale né lineare. Ogni personaggio, tra l'altro, è esemplificativo di alcuni dei caratteri della specie umana.

C'è Rorschach, il più tormentato e umano: è il personaggio più complesso della squadra, ed anche il più semplice. Egli ha una visione del mondo assoluta: non ci sono mezzi toni, né ipocrisie, né scelte di  comodo, ci sono soltanto i buoni e poi ci sono i cattivi e i cattivi devono essere combattuti. Rorschach vive ai confini della legalità, e per perseguire i suoi scopi si comporta in modo violento e scorretto e  non esita ad usare ogni mezzo, anche il più turpe, per raggiungere i suoi fini.


Poi c'è il malinconico Dr. Manhattan, che pur con i suoi straordinari superpoteri, non riesce a vivere in realtà la propria vita. Lui è l'unico vero super della saga di Watchmen, l'unico dotato di abilità al di sopra e anche sotto dei poveri e miseri mortali. Egli è capace di teletrasportarsi nel tempo, oltre che nello spazio, è dotato di superforza, e altre incredibili capacità. Basta uno come lui per cambiare letteralmente la storia. Ed in Watchmen succede proprio qualcosa del genere.

Infine ci sono Ozymandias, megalomane e perfido watchman in "pensione"; Gufo Notturno II, ex-studente modello, ma mediocre come uomo; Il Comico, supercorrotto, cinico e insopportabile; la femminile e ingenuamente umana Spettro di Seta.

Fra eroi in calzamaglia con la pancetta, "superuomini" in grado di vedere il futuro ma senza più emozioni, sociopatici difensori della verità ad ogni costo, megalomani e violenti comici si dipana una storia sorprendente nel finale e che fa riflettere.

Watchmen sta per "custodi, sorveglianti, guardiani" ed è appunto una storia di "supereroi normali", senza particolari superpoteri (se si esclude il Dr. Manhattan) quella narrata da Alan Moore. Questi sorveglianti mascherati hanno assunto su di se' il compito di vigilare sull'ordinato svolgimento delle cose fino a quando il decreto Keene non li mette fuori legge, perchè mascherati e soprattutto perchè "Who watches the Watchmen?"

"Who Watches The Watchmen?"(Chi controllerà i controllori?) è la frase che, liberamente tradotta dalle satire di Giovenale, fa da leitmotiv all'intera opera.

Tra gli stessi Watchmen non c'è più rigore nel distinguere e nel distinguersi dal resto del mondo che marcisce sotto una pioggia impressionante, la condizione atmosferica più presente nel testo.
Watchmen sovvertì completamente la comune visione del mondo dei supereroi che lettori comuni e appassionati avevano fino a quel momento conservato. In un romanzo corale, colto, carico di significati, denso di ambiguità, di situazioni angosciose, imprevedibili, come pure di drammatici risvolti umani, di eventi tragici e sconvolgenti, gli eroi abbandonavano la loro patina di onnipotenza e mostravano finalmente il loro volto perverso, misero, talora folle. I colori della vita assumevano toni foschi e tristi, mentre la concezione del futuro diventava amara e senza illusioni come forse mai era accaduto prima in ambito fumettistico.
Moore va oltre e ci mostra i dietro le quinte di questi sedicenti eroi: e qui cambia tutto. Ognuno dei personaggi di questa storia ha una dimensione insondabile tanto è profonda e pregna di implicazioni.
La prima domanda che si pone è: ma che razza di persona andrebbe in giro mascherata, peraltro con costumi sgargianti, colorati, ridicoli? E dato per scontato ciò, quale sarebbero le più intime ragioni per cui una persona dovrebbe spingersi a fare questo? Siamo proprio sicuri che queste persone non abbiano turbe anche peggiori di quelle che affliggono i "cattivoni" che combattono? La cosa diventa complessa e, all'improvviso, Watchmen diventa un mini trattato di sociologia e psicologia. Moore prova a rispondere. E lo fa a modo suo, naturalmente. Quel che ne viene fuori è un quadro iperrealistico e agghiacciante di tutto ciò che ruota intorno alla figura di un uomo che si forma nella violenza, vive di violenza e, talvolta, muore violentemente.
Ma che razza di persona è uno che trova conforto nella vendetta, pur giustificandola con i più nobili scopi? Forse l'80% degli eroi in calzamaglia della storia del fumetto comincia a mascherarsi per vendetta, per esempio,per la morte violenta di una persona amata. Dall'Uomo Ragno a Batman, da Daredevil al Corvo al Punitore, si fa sempre il tifo per chi esce fuori dalle regole, per chi si fa giustizia da solo, per il vigilante di turno, appunto: ma ci si è mai chiesti cosa c'è dietro questi comportamenti, cosa può passare per la testa, di una persona che, a prescindere dai super poteri, decide di inaugurare con costanza e perizia, la sua personalissima crociata contro degli sconosciuti?

La risposta, a questo punto, non può che essere una: la follia.

Erasmo da Rotterdam con pungente ironia, ci mostrava le straordinarie sfaccettature tra una pazzia geniale e costruttiva ed una follia oscura e distruttiva. Moore pare strizzare l'occhio al filosofo nel momento in cui indica quanto sia labile in tal caso il confine tra bene e male, e che forse il vigilante può giudicare le sue azioni solo in base ad uno strano metodo valutativo: se dettate dalla pazzia allora buone, se dalla follia cattive. Ma Moore non si accontenta. Si chiede allora se effettivamente è possibile delineare il confine tra il bene e il male. Quando i massacri della guerra possono dirsi giusti? Moore non vuole dare risposte, solo invitare alla riflessione e al confronto, costruendo intorno a vigilanti dalle anime tormentate un universo di persone comuni, con i problemi delle persone comuni ma non per questo meno tormentate!

Ben pochi, tra i protagonisti di Watchmen, sono brave persone che sfruttano alcuni loro talenti al servizio del bene; più spesso ci si trova di fronte a psicotici che non sanno più vivere senza la loro maschera, avidi uomini di spettacolo che sfruttano la loro fama di supereroi per guadagnare sul proprio merchandising, essere superumani dall'atteggiamento divino, personaggi estremi perché estreme sono state le loro vite.

Watchmen è il progetto di Moore di creare dal nulla, dalla prima all'ultima immagine, un universo conchiuso, un orologio(watch) narrativo perfettamente calibrato in cui nulla è casuale, un'opera di ingegneria, di sceneggiatura e disegno nella quale ogni immagine richiama qualcosa, ogni parola ha un senso, un sottotesto, un inconscio, una profezia, un richiamo, in cui il passato, il presente, il futuro convivono, fluiscono senza impedimenti da una scena all'altra. Lo dice ad un certo punto il Dr. Manhattan a Spettro di seta, sulla superficie di Marte: << Non c'è futuro, non c'è passato. Non capisci?Il tempo è simultaneo, un gioiello dalla struttura intricata che gli umani insistono a voler vedere un lato per volta, quando il suo disegno d'insieme è visibile su ogni faccia.>>.


Si è detto che Watchmen è soprattutto forma, una creazione così perfetta, così meticolosamente ideata, da superare ogni fumetto scritto prima e dopo: Watchmen però è anche sostanza. E' il primo fumetto tematicamente moderno in cui violenza, sessualità, psicologia, filosofia, follia, politica, investono il mondo dei comics, fino a quel momento ingessato da decenni di perbenismo.

E' il primo fumetto veramente revisionista del genere supereroistico dei cui protagonisti rivela impietosamente le debolezze, le manie, le perversioni, strappando quel "Velo di Maya" che dalla prima storia di Superman in poi ci aveva sempre dipinto degli eroi in costume puri come gigli, disinteressati, altruisti e non degli esaltati alla ricerca di un'emozione a buon mercato, saltando sui tetti in un costume di pelle o gomma. Watchmen è una di quelle opere la cui intensità, la cui verità, rimangono marchiate a lettere di fuoco nella mente del lettore: la responsabilità personale della propria vita, il pensiero laterale per la risoluzione dei problemi, l'atteggiamento davanti all'orrore della storia, di ribellione e di consapevolezza, mai di resa, il saper accettare il proprio destino a un tempo ineluttabile e imprevedibile.











NUOVI TIPI DI SUPER EROE



Già con V for Vendetta, fa la sua comparsa nel panorama supereroistico un personaggio anomalo, nome in codice "V", che in un contesto orwelliano (con una forte componente tecnocratica), si batte contro una società ormai impigrita e asservita al potere. Egli non è che un terrorista e sotto il profilo dell'abilità fisica non è né migliore né peggiore di altri, ma sopravanza i suoi nemici sotto il profilo culturale e morale: cita Shakespeare, parla in latino e quando agisce, lo fa sulle note della "Overture 1812" di Tchaikovsky. E' mascherato, certo, ma indossa la maschera di Guy Fawkes. Si batte per la libertà dell'Inghilterra, ma la sua unica e vera lotta in realtà si conclude con una sconfitta, poiché viene colpito a morte.





Dopo V for Vendetta e dopo la rivoluzione di Watchmen, Alan Moore porta avanti incessantemente l'opera di scavo sulla psiche del supereroe. In fumetti come The Killing Joke o La Lega Degli Straordinari Gentlemen egli giunge ad una nuova e ulteriore definizione e negazione dell'archetipo supereroistico.











La lega degli straordinari gentlemen e la parodia della letteratura d'età vittoriana.





Alan Moore nelle sue storie della Lega presenta una serie di personaggi e citazioni dai romanzi e dalla cultura ottocentesca pressoché infiniti: ogni singolo personaggio di una certa rilevanza ha un legame con un qualche romanzo.

La scelta dei personaggi e le loro peripezie sono ricche di humor inglese. Sono tutti protagonisti di grandi romanzi della letteratura d'oltremanica, scelti tenendo in considerazione il fatto che "l'impero britannico ha sempre trovato difficoltà a distinguere tra i suoi eroi e i suoi mostri". E così abbiamo Mina Murray (uno dei personaggi principali del romanzo Dracula di Bram Stoker), personaggio di una nobiltà e fermezza d'animo senza pari, animata da un coraggio, una fierezza ed una determinazione da far ribollire il sangue per l'invidia ai più nobili gentlemen d'Inghilterra. Il Capitano Nemo (creazione di Jules Verne), ammiraglio valoroso del Nautilus, ammette che "se lavora per i Britannici è perché non si sente neanche più indiano".

Né indiano, né britannico, ma intanto la sua correttezza lo porta a rispondere alla richiesta d'aiuto dell'Inghilterra ed esserle fedele fino all'ultimo (o quasi!). C'è Allan Quaterman, strabiliante personaggio di H.R.Haggard ( "Le miniere di re Salomone"). Ironico, divertente, distratto è un cacciatore di elefanti che nei territori africani è sempre riuscito a levarsi dai pasticci. Un personaggio talmente affascinante che non può non piacere. Ci sono il dottor Jekill ed Edward Hyde ( "Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde" di Stevenson ). Quando il primo si trasforma nel secondo sembra un mostro incontrollabile. Ma anche un gigante sanguinario e bestiale come il tremendo Hyde può rendersi utile, a suo modo, e trasformarsi in eroe. Tutto il contrario si può dire di Hawley Griffin ( "L'uomo invisibile" di H. G. Wells): inaffidabile era (quando l'hanno acchiappato al collegio femminile) e inaffidabile è rimasto (quando è diventato traditore). Nonostante ciò, Griffin l'uomo invisibile, per buona parte del racconto ha fatto parte della schiera degli eroi, dei gentlemen che hanno combattuto contro terribili extraterrestri sbarcati sulla terra con l'intento di evaporarne la popolazione. In quest'opera Moore decide di far rinascere nientemeno che le icone della narrativa popolare mondiale, soprattutto quelle della letteratura inglese dell'età vittoriana. A guardare bene c'era un'enorme mole di personaggi da poter usare, ma Moore ha effettuato una scelta assai mirata scegliendo per la sua lega i "primi" nel loro genere, quelli su cui poi sarebbero stati modellati tutti i loro simili successivi. In definitiva ci troviamo di fronte all'ennesimo colpo di genio di Moore che questa volta preferisce giocare con le icone della letteratura popolare mondiale anziché con le psicologie e le nevrosi dei personaggi a fumetti. Anche questa volta ha fatto quello che gli riesce meglio: reinterpretare un genere trasformando un fine gioco di citazioni in un'avventura coinvolgente e ricca di pathos.



The killing joke e il rapporto Batman/Joker




The Killing Joke, vede nel Joker, l'arcinemico di Batman, la sua nemesi per eccellenza, il principale protagonista di una vicenda in cui il malefico "buffone" tenta di dimostrare all'uomo pipistrello che può bastare una sola giornata sfortunata per condurre un uomo alla follia. La storia si conclude con l'inquietante abbraccio tra Batman e il Joker i quali, in preda ad una risata isterica, si rendono conto di essere accomunati, nonostante una morale antitetica, da un'identica pazzia che spinge l'uno a interpretare la parte del clown sadico e l'altro a indossare i panni di un pipistrello volante. Le parole con cui il Joker accusa Batman di essere un pazzo sono inconfutabili:


<<Ho dimostrato che non c'è differenza tra me e gli altri. Basta un brutto giorno per trasformare il migliore degli uomini in un folle. Ecco quanto sono lontano io dal mondo normale, solo un giorno. Anche tu hai avuto un brutto giorno una volta, vero? Lo leggo in te. E' bastato un brutto giorno per cambiare la tua vita. Hai avuto un brutto giorno e ti ha fatto impazzire come farebbe a chiunque altro. Solo che non vuoi ammetterlo! Devi continuare a far finta che la vita abbia un senso, che c'è una qualche buona ragione per tutto questo lottare. Dio, mi fai venire il vomito. Dico, cosa è stato per te? Cos'è che ti spiega a essere come sei? Ma la mia tesi è che sono impazzito Quando ho visto che razza di oscura barzelletta era il mondo, sono diventato matto come un cavallo! Lo ammetto! Perché tu no? Voglio dire, non sei stupido! Devi capire la realtà della situazione!>>


Davanti a un simile salto di prospettiva, muta il tradizionale rapporto Batman/Joker. E' un rapporto che non può essere ridotto a uno scontro manicheo: la complementarietà di Batman e Joker non sta nell'essere semplicemente buono e cattivo, ma essi sono l'opposizione di due "forze cosmiche" che lottano e mantengono vivo il mondo, incarnano l'eterno scontro tra "forza inarrestabile" e "forza inamovibile". Il loro legame è inscindibile: nessuno dei due ha il coraggio di uccidere l'altro. Nessuno dei due esisterebbe senza l'altro.

Batman sembra sublimare le caratteristiche umane più nobili, quali coraggio, abnegazione, senso del dovere, mentre il Joker è la follia personificata, una finzione continua, è il ridicolo. Il Joker ( o Jolly), nel mazzo delle carte, è l'unico elemento che non ha nulla in comune con gli altri. Sotto la superficie, infatti, Joker sembra l'unico ad avere una visione della realtà e della vita molto più lucida di chiunque lo circondi, mentre Batman, che ha deciso di difendere la sua città, Gotham City, dopo aver visto morire entrambi i genitori, rivela "soltanto" un forte istinto auto-punitivo.

In qualche modo, ciò può anche essere interpretato tramite la contrapposizione tra apollineo e dionisiaco teorizzata da Nietzsche ne "La nascita della tragedia" (1872).

L'apollineo scaturisce da un impulso alla forma e dalla fuga di fronte al divenire, mentre il divenire scaturisce dalla forza vitale e dalla partecipazione al divenire.

Nonostante con questa coppia di opposti ( che si concretizza in altre sotto-coppie, come forma-caos, luce-oscurità, ecc.) Nietzsche intenda i due impulsi di base dello spirito e dell'arte greca, quelli di apollineo e dionisiaco sono concetti che possono essere applicati anche alla coppia Batman-Joker. Essi sono estremizzazioni di ordine e caos. Joker è un agente del caos e Batman, che lo combatte, è il tentativo di dare forma, ordine a questo caos. The Killing Joke sembra pertanto rivalutare la figura del Joker e mettere in ombra quella di Batman.

Con Alan Moore, dunque, il mito del superero pure e senza macchia crolla con un tonfo sordo e personaggi, ormai entrati nella storia del costume, si caricano di nuove, tormentate, ambigue valenze. Gli approcci narrativi e le tematiche che caratterizzano le minuziose e maniacali sceneggiature di Moore non possono non colpire al cuore e allo stomaco il lettore. In fondo l'abilità di uno scrittore degno di tale nome, risiede proprio in questo.






































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Appunti su: poeta del supereroe,



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