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Il teatro




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Il Teatro


Il teatro Greco

Il teatro si sviluppa in Grecia attorno al VI secolo a.C. con testi che furono sempre rigorosamente in versi. Gli attori che erano tutti rigorosamente uomini, utilizzavano maschere non solo per permettere allo stesso attore di svolgere più ruoli ma anche per amplificare la voce.

Le opere rappresentate svolgevano una funzione rituale ed educativa e il finanziamento del teatro era per i ricchi un utile mezzo per far propaganda politica.

Gli spettacoli veivano concentrati nel periodo delle festività dionisiache.

La tragedia (che ebbe il suo culmine nel secolo V) prevedeva vicende eccezzionali, terribili e sanguinose che dovevano concludersi in una catastrofe per i personaggi che erano sempre di rango elevato. Il coro nella tragedia svolgeva una fuzione precisa commentando gli avvenimenti della scena e guidando lo spettatore. Dai fatti rappresentati doveva derivare una catarsi nello spettatore. Le uniche tragedie che ci sono pervenute sono di Eschilo, Sofocle e Euripide.

Eschilo (525-456 a.C.) della sua grande produzione (ottanta e più titoli) ci sono giunte solo sette tragedie. Il grande significato del teatro eschileo e quello della somma giustizia e provvidenza divina.

Sofocle (496-406 a.C.) di sofocle ci sono pervenuti solo sette scritti sui centotrenta suoi. Le sue tragedie sono incentrate su di un eroe mitico costretto a partire accusato ingiustamente. Dietro a queste ingiustizie ci stanno gli dei che tramano per motivi all'umanità ignoti.

Euripide (485-407 a.C.) la grande innovazione di euripide è che cala i personaggi del mito in una dimensione più umana analizzando la psicologia e le emozioni di questi dei.

La satira si divide in satira antica, media e nuova. Quella antica è caratterizzata dalla satira politica del V secolo e ha spezzo un linguaggio osceno. Nella commedia nuova invece si abbandona completamente il tema politico e si assume quella di voler rappresentere quadri di vita moderna.

Infine il dramma satiresco presenta un soggetto mitico ma lo interpreta in chiave farsesca.


Il teatro italico e le origini del teatro latino

Nel mondo greco-italico si assiste a una gran fioritura di spettacoli teatrali fin dal VI secolo nei quali prevale l'aspetto buffonesco e caricaturiale. Un esempio può essere la farsa fliacica in cui gli attori-mimi erano provvisti di goffi costumi e maschere ridicole. Un altro esempio è la fabula atellana che era caratterizzata dall'improvvisazione degli attori su un canovaccio. Tutte queste commedie insistevano su aspetti elementari del vivere quotidiano (il cibo ad esempio).

I Fescennini Erano altre rappresentazioni rozze e volgari di origine popolare in cui due contadini so fronteggiavano lanciandosi battute feroci. Lo stato addirittura intervenne con la censura.

Nel 240 a.C. viene rappresentato il primo dramma in lingua latina di Livio Andronico (ex schiavo greco). I romani si presume tuttavia si erano già imbattuti nelle forme teatrali italiche. Il teatro romano tuttavia nasce dopo la prima guerra punica quando i romani si imbattono nel teatro grecoc scritto.


Il teatro romano

Il teatro romano appare fin dalle origini fenomeno di puro intrattenimento, privo di una vera e propria connotazione civile o religiosa. Esso era incluso nei ludi fra tanti altri spettacoli fra cui i gladiatori. Essi d'altronde erano censurati dallo stato che impediva riferimenti alla vita civile o politica. Vi era in calendario in cui avvenivano i ludi. I teatri in pietra vengono edificati dopo che il grande teatro latino si è spento. Esso era nato e si era sviluppato nei teatri provvisori composti da una cavea, la scaena sul pulpitum, un altare e un fondale dipinto.

La selezione e la messa in scena degli spettacoli era affidata ad un edile. Le compagnie di attori erano composte prima di tre attori poi mano mano di più fino ad arrivare a sei rendendo possibile dare risalto a più personaggi prima marginali.

Anche a Roma gli attori erano esclusivamente maschi e non si sa se usassero o meno maschere.

Tutto il teatro romano arcaico è tradotto dal greco, o letteralmente oppure rielaborando artisticamente il contenuto (vertere). La contaminatio invece era l'inserimento di scene provenienti da altre commedie dello stesso autore o di uno diverso (fatto reso possibile grazie alla linearità del teatro greco.)

Tutti potevano entrare a teatro indiscriminatamente e l'ingresso era gratuito. dopo il culmine de teatro romano nel II secolo esso si vede degradare in forme rozze e volgari e cadere in basso.


La tragedia latina

Della tragedia latina genere penalizzato nell'ambiente teatrale romano non ci restano che frammenti. Due sono i tipi di tragedia che possiamo evidenziare: la fabula cothurnata e la fabula praetexta. La prima è di argomento greco (dal nome della calzatura in uso in Grecia), la seconda si ambienta a Roma. Le prime hanno soggetto mitologico ispirato ai grandi cicli quali quello troiano o quello di Tebe (con al centro il mito di Edipo), le seconde hanno varia hanno un tono patriottico celebrativo con soggetto sia mitologico che storico.

Scrissero in fabula cothurnata Livio Andronico, Nevio, Ennio.

Scrissero in fabula praetexta Nevio (fondatore), Ennio, Pacuvio.


La commedia latina

La commedia latina si divide anch'essa in fabula palliata e togata. La prima ha ambientazione greca e nomi greci (estremizzati in modo da essere buffi) non vi sono riferimenti a Roma salvo rari casi. Sono pervenute venti commedie di Plauto e sei di Terenzio. La seconda è sostanzialmente identica alla prima come stile, strutture e comicità ma con ambientazione romana. Tuttavia i censori di Roma limitavano il tipo di comicità soprattutto riguardo alla figura dello stato o dei politici. Tre furono gli autori: Titinio, Afranio e Q. Atta.

Nel 115 a.C. un editto censorio bandiva da Roma gli spettacoli di origine o ambientazione greca nel tentativo di rilanciare la commedia italica. Fu così che la fabula atellaria fu trasformata in un vero e proprio testo letterario.

Un altro spettacolo comune nei ludi era il mimo una sorta di varietà con scenette di vita quotidiana e imitazione di gesti e di voci. A volte si concludevano addirittura con spogliarelli (unico caso in cui le attrici erano donne).

I due mimografi più noti furono Decimo Laberio e Publilio Siro.


Capitolo 4

L'epica

L'epica greca

Il componimento epico presenta le seguenti caratteristiche:

è ampio

è una rappresentazione oggettiva

ha un carattere narrativo

predilige argomenti guerreschi e avventurosi

le gesta sono esemplari, eroiche e sublimi

interferisce il divino

viene utilizzato un linguaggio elaborato

I capostipiti dell'epica sono i poemi omerici. Che tramandati per anni dagli Aedi, furono scritti verso la fine dell'VIII secolo a.C. Come sappiamo si tratta di racconti mitici di imprese eroiche in cui vi era una intensa interazione fra umano e divino. Queste opere erano un mezzo per diffondere le conoscenza di quel tempo in diversi campi (etico, religioso, giuridico ma anche scientifico e tecnico). Il successo dei due testi stimolò la fioritura di altri testi pseudo-omerici modellati su "L'Iliade" e "L'odissea". Questi formarono un "Ciclo" che ebbe una grande importanza poiché furono di ispirazione ad autori successivi.

In seguito nel V secolo a.C. con la contrapposizione fra mythos e logos, si viene a creare una nuova epica storica in cui (sebbene siano ancora presenti gli interventi divini) la vicenda è essenzialmente umana. Fra i primi a scrivere c'è Cherilo di Samo che narra la vittoriosa guerra delle città greche contro i persiani.

L'epos tuttavia non scompare ma viene duramente criticato da Callimaco e dai suoi seguaci che prediligono la forma più breve dell'Epillio, un poemetto in esametri ricco di ricercatezze. Essi si rivolgevano infatti ad un pubblico erudito.

Apollonio Rodio, allievo e poi rivale di Callimaco, rivaluta invece l'epos, e scrive le Argonautiche di ispirazione omerica anche se non riferendosi al ciclo di Troia ma ad un altro ciclo autorevole dell'epica. Esso ha anche influssi moderni alessandrini tant'è che interviene spesso nella narrazione contravvenendo alla rigida oggettività dell'epica e rende i suoi personaggi umani grazie alla descrizione dei loro sentimenti. Egli è un raccordo fra l'epica omerica e quella latina successiva.


Nascita dell'epica in Roma: l'Odiussa di Livio Andronico

Il genere epico compare a Roma nel III secolo a.C. con l'Odiussa di Livio Andronico. Dovevano già esistere dei carmina convivalia, dei canti epici formatisi in ambito sia famigliare che aristocratico.

L'Odiussa è una traduzione dell'odissea di cui non ci rimane altro che una quarantina di versi. Essa era scritta non più in esametri ma in saturni tipici del metro italico e più breve dell'esametro. L'autore dovette procedere ad una vera e propria romanizzazione del testo, sia lessicale che a livello di concetti sociali e religiosi. Tuttavia Livio Andronico cerca di essere il più fedele possibile ad Omero.

Con quest'opera si dimostra che anche il latino è degno di essere una lingua letteraria e si crea un lessico e una lingua poetica per le composizioni successive.

Il Bellum Poenicium di Nevio

La seconda opera latina non è più una traduzione ma è un poema epico-storico ambientato durante la prima guerra punica (264-241 a.C.) anche se è scritto durante la seconda guerra punica 40 anni dopo. Originariamente l'opera era in un carmen continuum cioè ininterrotto. Tuttavia durante il secolo successivo venne diviso in sette libri. Oggi ne rimane pochissimo, solo qualche frammento.

L'opera di Nevio soprattutto in relazione con il periodo storico in cui venne scritto il poema aveva un fine molto chiaro. Esso era patriottico-celebrativo-propagandistico. Infatti il libro non si limitava a narrare della guerra ma si crede vi fosse un ampia digressione riguardante le origini di Roma. Vi sono diverse ipotesi riguardo a dove fosse collocata questa digressione all'interno del testo. Il poema quindi aveva diverse ispirazioni dal modello omerico. L'intervento divino, presente nel testo, ha la funzione di legittimare la battaglia che i romani combattono contro i cartaginesi. Allo stesso modo di Apolloni Rodio anche Nevio riesce a concentrare moltissime cose in pochi versi.

Il linguaggio è più ricercato e la narrazione fluida grazie ad espedienti che non rendono pesante la lettura anche se è un tale concentrato. I versi sono i saturni.

Gli Annales di Ennio

Ennio tenta di scrivere addirittura l'intera storia della città e il titolo dell'opera, Annales si riferisce ai documenti che ogni anno dovevano stilare i Pontifex Maximus. L'opera richiederà circa 20 anni per essere scritta in quanto consta di almeno 15000 versi in 18 libri. Il verso usato è ora l'esametro dattilico.

La trattazione cominciava dalla fondazione di Roma e finiva con la guerra istrica del 178. Ennio iniziò a scrivere verso il 189 quando si recò in Etolia mentre la cultura stava diventando cosmopolita e ellenistica. Egli rievoca e loda la cultura greca e critica coloro che avevano utilizzato il saturnio come metro, inoltre si autodefinisce e autoelegge modello per la poesia latina. Anche Ennio sotto la copertura greca ha dei contenuti romani, celebra anche lui il suo popolo non esaltando la guerra ma sottolineando la grande virtus portatrice di una concezione morale e giuridica superiore.

Indubbiamente Ennio era un uomo colto e aperto alla sperimentazione tanto che abbandona la brevitas caratteristica degli altri autori e scrive un trattato storico lunghissimo.


Capitolo 6

Plauto

La vita e le opere

Plauto è nato a Sarsina, un piccolo centro dell'appennino emilio-romagnolo, le notizie biografiche sono poi scarse, sappiamo solo che si dedicò al commercio e andò presto in rovina, fu costretto per sopravvivere a girare la macina di un mulino. La sua attività di comico si svolse a Roma tra il 215 e il 184 a.C. (anno della sua morte). Sappiamo inoltre che non assunse mai la cittadinanza romana.

Plauto è un commediante formatosi nel teatro indigeno popolare e venuto poi a contatto con la commedia greca. Inoltre è il primo autore latino a specializzarsi in un solo genere: la palliata. Vi sono state numerose falsificazioni che portano la sua firma per attirare spettatori.

A classificare le commedie attribuite a Plauto fu Varrone un secolo dopo. Costui individuò solo ventuno commedie (sulle centotrenta) come originali. Queste ventuno fabulae ci sono pervenute pressochè integre (mancano frammenti della vidularia, i finali dell'amphitruo e dell'Aulularia e l'inizio del bacchides e la parte centrale della Cistellaria). Oggi ogni ricostruzione è molto difficile, anche ordinare cronologicamente le commedie è un'impresa. Inoltre le commedie hanno subito modifiche in età medioevale come la divisione in atti e l'aggiunta di argumenta e di didascalie.


Le Fabulae

Le fabulae palliate sono ambientate in una città greca (generalmente Atene) e hanno un prologo (che viene recitato non necessariamente all'inizio della commedia da un personaggio della vicenda, estraneo alla vicenda o da un personaggio allegorico) anche se il prologo non sempre è di mano plautina. A volte il prologo rompe l'illusione scenica entrando in contatto diretto con lo spettatore. La trama delle commedie è generalmente uniforme: Un giovane si innamora di una giovane ma il loro amore è ostacolato dal padre o dalla mancanza di denaro. Il giovane grazie ad astuti aiutanti (generalmente il servus) riuscirà nell'impresa di convincere il padre. A volte vi un'agnizione ossia il riconoscimento improvviso della fanciulla come nobildonna o ricca in modo da risolvere i problemi. Le palliate richiedono un finale rigorosamente lieto. Plauto si serve spesso della contaminazio cioè copia da testi preesistenti apportando piccole modifiche. Alla conclusione della commedia si interrompe nuovamente quando un personaggio di scena chiede gli applausi.


I Personaggi

I Personaggi di Plauto non sono dei caratteri individuati ma delle maschere fisse che si presentano in scena già conosciute dal pubblico. Nel prologo infatti si allude ai personaggi utilizzando nomi generici non propri. Tuttavia i personaggi nelle commedie potranno anche avere "nomi parlanti" ossia nomi assurdi e impronunciabili che risultano dalla fusione di più parole con un significato descrittivo della funzione del personaggio.


Una Poetica della finzione: il metateatro plautino

Il teatro plautino si basa su situazioni realistiche ma sono situazioni convenzionali e spesso ripetitive. Si basa su personaggi inverosimili o meccanismi comici ripetitivi come la beffa ingegnosa, l'equivoco, lo scambio di persona o il travestimento. Plauto è infatti poco interessato alle trame delle sue commedie e spezza l'illusione scenica costringendo lo spettatore non ad immergersi nella vicenda ma a guardarla dal di fuori. Anche il significato del teatro plautino che è abbastanza liberatorio e carnevalesco e tale per coinvolgere meglio il pubblico e farlo divertire maggiormente.


Le strutture Formali: la lingua, lo stile, i metri

Il teatro plautino è una commistione di commedia nuova e farsa italica. Da quest'ultima derivano il dinamismo scenico, la ricchezza di battute, giochi di parole e linguaggio metaforico oltre ad ovviamente parodie del linguaggio ufficiale o del linguaggio della tragedia greca.


Capitolo 9

Terenzio

La vita e le opere

Publius Terentius Afer nasce nel 185 a.C. a Cartagine, viene portato a Roma come schiavo e viene poi liberato per la sua bellezza fisica e il suo ingegno, frequenta il circolo degli scipionici che si opponeva al circolo dei catonici, nel 166 presenta la sua prima commedia (l'Andria) che dopo la diffidenza iniziale viene accolta con entusiasmo dai critici. Scrisse sei palliate ma non ebbe mai un gran successo in quanto a pubblico. Nel 159 parte per la Grecia sia per studio che per difendersi da accuse che gli erano state rivolte. Durante il ritorno, dopo un naufragio in cui perde tutto il materiale raccolto e le sue opere, muore sempre nel 159.

I prologhi: una nuova consapevolezza dell'attività letteraria

Mentre in Plauto i prologhi avevano prevalentemente la funzione di spiegare al pubblico l'antefatto o l'intreccio della commedia in Terenzio la funzione è diversa eli spiega la sua poetica e si difende dagli attacchi che gli vengono rivolti a riguardo. Terenzio ed Ennio furono gli unici a fare una polemica sul modello della cultura ellenistica ed alessandrina. Le accuse che gli venivano rivolte erano:

Di non essere il vero autore delle sue commedie

Di non possedere una virtus comica e di non aver rispettato il modello della palliata. In effetti il teatro di Terenzio presentava varie differenze da quello plautino più ricco di invenzioni sceniche mirabolanti ma povero riguardo a realisticità delle situazioni.

Di aver plagiato altre opere e di aver usato la contaminazio. Tuttavia questo era già stato usato da altri autori quindi si può solo presumere che fosse caduto in disuso come pratica dal fatto che è un attacco verso Terenzio.

Terenzio componeva per un pubblico più raffinato e colto di quello plautino.

Struttura drammatica e tecnica teatrale

Mentre il teatro plautino si configurava come metateatro ludico, Terenzio al contrario opta per un teatro più realistico fondato su un criterio di verosimiglianza e naturalezza espressiva. Egli quindi riduce le parti cantate e le allocuzioni agli spettatori. La rinuncia agli aspetti più buffoneschi va a vantaggio degli aspetti patetici e sentimentali dell'approfondimento dei caratteri e dei personaggi.

Il valore pedagogico della commedia terenziana

Al contrario del teatro plautino, nel teatro di Terenzio sono evidenziati gli intenti morali ed educativi dell'autore. Al centro della commedia di Terenzio per la prima colta c'è l'uomo colto nella sua intimità ma anche nella sua collocazione sociale. L'uomo spesso ha desideri di vita più libera e di maggiore coinvolgimento umano con ciò che lo circonda. Tuttavia si sente limitato ed oppresso dalla società, i costumi e le istituzioni che lo circondano. Terenzio si oppone a queste limitazioni tramite una filosofia della razionalità. Egli si opponeva in quanto facente parte del circolo filoellenico degli scipioni ai catonici che invece erano conservatori.

Lingua e stile di Terenzio

Terenzio evita sbalzi o eccessi preferendo uno stile uniforme e raffinato. Egli non scrive nel sermo familiaris ma ambisce a creare uno stile colto, fondato sugli ideali etici, di misura, grazia, decoro destinato a una società raffinata.

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