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Rosso come comunismo




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Rosso come comunismo


La rivoluzione del 1917 affonda le sue radici nell'incapacità della monarchia zarista e della sua classe dirigente di riformare un sistema sociale e politico attraversato da spinte al rinnovamento e da secolari ritardi. Nella Russia prerivoluzionaria i retaggi del passato feudale entravano in urto con spinte alla modernizzazione sempre più forti, questo sotto ogni punto di vista. Sotto la cappa dell'autocrazia si agitava un fermento di dibattiti e opzioni politiche: le proposte del partito "cadetto" di riforma costituzionale e liberale del sistema, la ipotesi di rivoluzione agraria dei socialrivoluzionari, il socialismo marxista dei menscevichi e dei bolscevichi. Le cause che portarono alla rivoluzione del 1917 furono: la questione della terra e della condizione operaia; l'anacronismo del regime politico autocratico; le rivendicazioni autonomistiche delle nazionalità non russe dell'impero; lo spostamento tra l'effettiva solidità economico-politica dello stato e le sue ambizioni a svolgere un ruolo di "grande potenza" in campo internazionale; la nascita di nuove forme di organizzazione da basso, i soviet; l'entrata a pieno titolo dei contadini nella lotta rivoluzionaria; il venir meno della fedeltà dell'esercito; la disarticolazione all'interno del sistema economico - politico - militare per l'effetto della guerra mondiale. Il più organico tentativo riformatore si deve a Stolypin, primo ministro dal 1906 al 1911, il quale attuò una repressione di spietata durezza contro i contadini e i socialrivoluzionari affiancando ad essa il tentativo di modernizzare la società russa in due direzioni: la creazione di una proprietà contadina diffusa, attraverso la privatizzazione delle terre comuni, e lo sviluppo dell'industrializzazione. In campo industriale il governo ottenne dei successi ma l'industrializzazione determinò la formazione di un ceto medio urbano e di una classe operaia che con i suoi soviet, aveva fatto maturare esperienza e coscienza politica. Mancò al governo di Stolypin qualsiasi politica operaia, qualsiasi sforzo riformatore per migliorare i bassissimi salari e le pessime condizioni di lavoro in fabbrica. Il nodo politico stava nell'incapacità della monarchia zarista a riformare il sistema. L'autocrazia, si rimangiò le concessioni di tipo liberale come le libertà civili, l'elezione di un parlamento, la duma. Inoltre il tanto sospirato parlamento ebbe un peso democratico assai modesto e il sistema elettorale era finalizzato a comporre un parlamento in cui i ceti privilegiati mantenessero la maggioranza. La difesa dell'autocrazia (l'idea che lo zar sia tale per diritto divino) si univa, poi, all'ideologia "grande russa", che professava l'assoluto primato della Russia fra le molte nazionalità dell'impero e la necessità di reprimere ogni tentativo di autonomia. Il primo censimento dell'impero rivelò che i russi costituivano meno del 50% della popolazione, ciò spinse il governo di Nicola II ad accentuare la russificazione delle altre nazionalità. In Russia, l'estate del 1914, segnò un momento di concordia nazionale, solo i bolscevichi e menscevichi erano contro la guerra. Ma le contro-offensive austro-tedesche e il protrarsi del conflitto misero a nudo le deficienze di armamento, organizzazione e approviggionamento dell'esercito. All'inizio del 1917 il regime zarista era sull'orlo del crollo e così la società russa venne disgregandosi sotto i colpi delle sconfitte militari e della crisi economica. La riduzione della produzione agricola in seguito al massiccio invio di contadini al fronte e il dirottamento di tutte le risorse verso la produzione industriale portò ad una grave penuria alimentare, i prezzi dei beni aumentarono, si moltiplicarono ammutinamenti, scioperi, sommosse, fronteggiati con spietate repressioni. In questo clima s'inserì la protesta popolare, incominciata a Pietrogrado il 20 febbraio con uno sciopero in seguito alla chiusura delle industrie Putilov, rimaste prive di materie prime. In pochi giorni uno sciopero generale paralizzò la capitale: lo zar ordinò di sciogliere le manifestazioni operaie e decretò lo stato d'assedio, ma le truppe fraternizzarono con gli scioperanti (Rivoluzione di febbraio). Quest'ultima delineò due problemi principali: chi dovesse detenere il potere, e quali decisioni prendere rispetto al proseguimento della guerra. I giorni della rivoluzione produssero due centri di potere: il governo provvisorio egemonizzato dai liberali, e il soviet di Pietrogrado egemonizzato dai socialrivoluzionari e menscevichi. Questi due poteri esprimevano interessi diversi e programmi contrastanti: per il primo, l'obiettivo era quello di condurre la rivoluzione a un esito costituzionale parlamentare di tipo occidentale, in questa linea prese una serie di provvedimenti come la libertà di parola, di stampa, di associazione politica, abolizione della pena di morte ed era favorevole al proseguimento del conflitto; nel secondo si evidenziavano diverse posizioni, i menscevichi intendevano dare alla rivoluzione un carattere democratico e legalitario; i socialisti rivoluzionari puntavano invece sulla riforma agraria consistente nell'assegnazione alle comunità rurali delle terre appartenenti ai grandi proprietari ed entrambi i gruppi ritenevano che si dovesse arrivare a una pace "senza annessioni né riparazioni". Il doppio potere nascondeva un vuoto di potere: né il governo provvisorio né il soviet di Pietrogrado avevano in quel momento le redini di un processo rivoluzionario.

I bolscevichi, nelle prime settimane dopo il febbraio, tennero una linea di opposizione al governo provvisorio ma questa linea mutò con il ritorno di Lenin dall'esilio in Svizzera, egli riteneva possibile in Russia una rivoluzione socialista. Nelle cosiddette "Tesi di aprile", Lenin propose di rompere con il governo provvisorio, di dare tutto il potere ai soviet, di stringere un'alleanza con i contadini poveri mediante una riforma agraria e di porre fine alla guerra. Così la politica del governo provvisorio venne messo in difficoltà dai contrasti al suo interno e dal contropotere dei soviet, deludendo le aspettative dei soldati e degli operai mentre la popolarità dei bolscevichi andava crescendo nel paese. Nel corso dell'estate 1917 la Russia divenne praticamente ingovernabile: interi reparti disertavano e i soldati ritornavano nelle campagne, dove i socialrivoluzionari non riuscivano più a controllare il movimento dei contadini. Questi ultimi cominciarono a prendere di mira i proprietari nobili e le loro terre, con assalti alle case ed uccisioni. Nelle grandi città e nelle fabbriche cresceva il movimento della protesta operaia: mentre gli industriali chiudevano sempre più fabbriche, gli operai rivendicavano non solo più aumenti salariali, ma il controllo sulla produzione. All'inizio di Luglio a Pietrogrado, la tensione giunse al culmine, si ebbe un movimento insurrezionale a cui i bolscevichi parteciparono ed il governo reagì con provvedimenti repressivi nei loro confronti, e questi furono costretti a ritornare alla clandestinità mentre Lenin fuggì in Filanda. Da qui egli esortava i bolscevichi a forzare la situazione attraverso un'insurrezione armata; rientrato clandestinamente a Pietrogrado in ottobre, Lenin convinse il Comitato centrale bolscevico a seguire la sua linea. In questa circostanza, egli ebbe il sostegno di due leader bolscevichi: Trockij e Stalin. Nella notte fra il 24 e il 25 ottobre 1917 i bolscevichi occuparono i punti strategici della città e conquistarono il Palazzo d'inverno, sede del governo provvisorio.

Lenin costituì un governo rivoluzionario bolscevico i cui primi provvedimenti furono : la nazionalizzazione della banche, la consegna della gestione delle fabbriche ai delegati operai, l'avvio di trattative di pace, il riconoscimento dell'uguaglianza di tutti i popoli della Russia, il decreto sulla terra che confiscava le proprietà dei grandi proprietari e della chiesa e dava il compito ai soviet di ridistribuirle fra i contadini. Sul piano interno, Lenin operò in modo da ridurre le possibilità di opposizione: con l'accusa di preparare un colpo di stato il Partito cadetto fu dichiarato illegale e i suoi dirigenti principali furono arrestati; venne ridotta la libertà di stampa; fu creata una polizia politica, la Ceka. Inoltre Lenin temendo che l'assemblea costituente si rifiutasse di riconoscere la legittimità del governo bolscevico la fece sciogliere con la forza. Il 3 marzo 1918 il governo sovietico firmò il trattato di Brest-Litovsk, si trattava di una pace durissima, che imponeva la smobilitazione dell'esercito russo e la cessazione dei territori polacchi. Questa pace e lo scioglimento dell'assemblea costituente, alimentarono la reazione antibolscevica. Il pericolo maggiore del Partito comunista veniva dalle armate controrivoluzionarie bianche. Dalla fine del 1917 alla fine del 1919 una spietata guerra civile infuriò il paese, con eccidi e brutalità; del "terrore bianco" e del "terrore rosso" fece soprattutto le spese la popolazione contadina, un conflitto che si dispiegò con una miriade di scontri locali, con città conquistate e prese più volte, con avanzate e ritirate che lasciavano dietro di sé devastazioni e sangue. Sul piano militare, risultò decisiva la costituzione dell'Armata rossa, organizzata da Trockij che in due anni riuscì a sconfiggere le forze controrivoluzionarie bianche e a riportare sotto il controllo di Pietrogrado gran parte del paese. I bianchi persero la guerra più sul piano politico: alle popolazioni contadine essi non seppero proporre altro che dittature spietate; alle nazionalità non russe non furono in grado di prospettare che la riaffermazione dell'ideologia imperiale grande russa. Inoltre,  agli occhi di molti cittadini il governo bolscevico rappresentava l'unica forza capace di mantenere unito lo stato. L'armata rossa dovette sostenere anche un conflitto militare con la Polonia che si concluse con la pace di Riga. Quest'ultima e il ristabilimento dell'ordine interno consentirono di fissare i confini territoriali del nuovo stato: nel 1922 nacque L'Urss. Il governo bolscevico aveva ereditato un'economia distrutta e per fronteggiare tale situazione i bolscevichi decisero per una accelerazione del processo di abolizione della proprietà privata e del libero mercato. Il cosiddetto comunismo di guerra portò con sé la nazionalizzazione di tutte le imprese, la statalizzazione del commercio interno e l'attuazione di una rigida disciplina del commercio interno e l'attuazione di una rigida disciplina del lavoro. Nella campagna fu decisa la requisizione forzata di tutto il grano eccedente e squadre di operai armati vennero organizzate per garantire l'osservanza del decreto; sul piano politico venne instaurata la dittatura del Partito comunista. Le altre organizzazioni politiche furono messe fuori legge, vennero vietati i giornali non bolscevichi, fu reintrodotta la pena di morte. Attraverso la Ceka fu instaurato un vero e proprio terrore; anche all'interno del partito ebbe luogo un'irrigidimento della vita politica: le decisioni assunte dall'ufficio politico dovevano essere accettate da tutti. Il comunismo di guerra ebbe conseguenze disastrose nelle campagne, perché i contadini reagirono alle requisizioni riducendo la produzione. La penuria dei beni alimentari e di consumo faceva fiorire il mercato nero e il ritorno al baratto; masse di popolo si spostavano dalle città alle campagne. Una grande frattura così si era aperta tra il governo comunista e la popolazione.



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