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L'utilita' della storia




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L'UTILITA' DELLA STORIA


Partendo dall'osservazione di una SOCIETA' in cui alla conoscenza vince l'informazione, e alla costruzione di sè cognitiva ed etica, vince il possesso di tecniche strumentali spendibili per un fine operativamente utile, si cerca di tornare a comprendere e considerare la centralità dell'apprendimento storico.

L'utilitarismo cieco e totalitario pervade ogni forma della ricerca, della conoscenza, della formazione; e la storia -inutile ai fini della produzione- viene dimenticata nel suo senso principale: dirci e ricordarci ciò che gli uomini sono stati e ciò che potrebbero essere rispetto a quello che oggi sono.


Introduzione:

Nella dichiarazione di Bologna del '99 e da quelle di Lisbona e Parigi, emerge il progetto di trasformazione dell'istruzione che deve d'ora in poi abbracciare le finalità e le regole del mercato, secondo la logica del New Public Management (Npm).

In Italia si ha quest'approccio con la Riforma Berlinguer (99) e con la riforma Moratti (05). (Introduzione crediti per la misurazione delle acquisizioni culturali, docente ora verificatore fiscale, lo studente attraverso esamini è soggetto a una prestazione da fabbrica tayloristica.)

Che ruolo può avere la storia in un contesto di appiattimento? Quale, se l'obiettivo è costruire una razionalità strumentale di massa? Se solo ciò che si uniforma a un valore economico finisce con l'avere un valore?


COME PROLOGO

Il disagio della scuola sprofonda nel generale smarrimento culturale e civile del nostro tempo. Ogni sistema scolastico è sempre stato legato a un progetto di ricostruzione dello stato nazione. I paesi usciti dalla seconda guerra mondiale, soprattutto. Sviluppo economico e obiettivi civili andavano di pari passo; il progresso era la meta e la scuola il percorso.

Oggi il mondo della produzione industriale chiede una funzionalità stretta della formazione scolastica ai fini della concorrenza economica e della produzione. Queste logiche non vanno d'accordo con una scuola tra l'altro impigliata ancora a vecchi ideali e alle promesse dello stato nazione. Figuriamoci ora che lo stato nazione vacilla anche. In una situazione in cui il fine del meccanismo economico delle società industriali sembra ormai essere l'impoverimento finale per mezzo dell'arricchimento senza fine, è venuta ormai fuori la verità: il pianeta non è il deposito illimitato dei beni, ma un organismo fragile e vulnerabile minacciato dall'onnipotenza della tecnica e dalla voracità dei consumi. Tanta ricchezza e tanta ossessione del traguardo produttivo nello stesso tempo, è assurda. E nella stessa era dell'opulenza si apre uno scenario di immiserimento. Il lavoro,che era conseguenza del percorso di studi, è ora un approdo remoto e insicuro e dopo tanti secoli di civilizzazione la vita sembra ridotta alle sue funzioni materiali essenziali: produrre e consumare.

Si produce per poter consumare e si consuma per continuare a produrre. La Storia, che secondo quanto detto fin'ora può sembrare il più inutile dei saperi impartiti dalla scuola, è il sapere che meglio di tutti gli altri può lanciare l'allarme, custodire la memoria di ciò che siamo stati prima che essa sia perduta per sempre.

Bevilacqua si ricollega a Nietzsche e alla sua opera 'Sull'utilità e il danno della storia per la vita'(1874) per mostrare come la storia possa fare proprie alcune critiche radicali alla modernità valorizzare il passato senza deprimere l'avvenire.









CAPITOLO UNO: LA SVALUTAZIONE DEL PASSATO


1. Una promozione sociale incompresa

Si trascura la scuola elementare che è proprio la fase un cui si creano attitudini soggettive allo studio, alla riflessione, all'applicazione mentale su testi e problemi Questo perchè il ceto politico di governo è lontano dal cogliere il rilievo fondativo che la scuola elementare ha nella formazione delle generazioni nuove.


2. L'erosione della memoria

Ma più grave è l'insensibilità che le nuove generazioni hanno nei confronti della storia. E' un disamore  che colpisce le strutture mentali, il nostro modo di sentire il passato.

A partire dalla famiglia, che per secoli è stata la cellula da cui si generava la necessità della ricostruzione storica. I nuclei familiari per secoli hanno fondato il loro potere e prestigio nella conservazione e trasmissione della memoria storica. La famiglia costituiva il luogo per eccellenza di elaborazione del ricordo e di attivazione della memoria  (la rievocazione dei parenti morti, il racconto ripetuto dei fatti memorabili di cui si era stati testimoni) attraverso il dialogo e la convivialità. Il passato era di scena sempre e veniva vissuto al presente e non consumato frettolosamente. La storia aveva un significato positivo indiscutibile, una dilatazione del concetto di memoria che consentiva di riconoscersi in un comune destino.

Oggi lo spazio domestico è sempre meno luogo di conservazione: si assottiglia il tempo della conversazione, il dialogo ha più spesso scopi strumentali. Il presente mangia le tracce del passato famelicamente.

'Così si vive: non per vivere ma per aver già vissuto, per essere più vicini alla morte, per morire'

(C. Magris)

Allo stesso modo il contesto sociale ha subito trasformazioni:

- L'anziano prima era titolare del sapere. Nelle società attuali il valore della conoscenza è stato strappato al passato e consegnato all'innovazione continua.

- La televisione sembrerebbe utile per la trasmissione del sapere storico, ma essa non ci propone ciò che accade come il risultato di un processo, di uno svolgimento, ma come un evento, singolo, isolato, senza passato, senza futuro. Sono tutte news come la notizia di un nuovo prodotto. Il risultato finale di questo nuovo dominio informativo è la cancellazione del senso del passato, l'affermarsi totalizzante del presente.


3. Il declino dell'avvenire

Memoria e storia hanno altre minacce:

L'affievolimento della fede = Grazie al cristianesimo gli uomini hanno trovato la radice del proprio essere in un lontano passato: l'avvento di Cristo sulla terra. E lì che risiedeva la condizione di senso del futuro legato alla vita ultraterrena promessa dal messaggio evangelico e dalla cultura cattolica. Oggi il passato perde la sua sacralità, cessa di essere una premessa indispensabile per l'avvenire.

Un fenomeno analogo si trova nelle grandi ideologie del XX sec. come il socialismo o il comunismo. Tutte le lotte sostenute e gli eroi, facevano parte delle memorie accumulate che il movimento si portava con sé nella marcia verso l'avvenire. Oggi, con la perdita dei fini sociali da perseguire, il passato scade perché scade l'avvenire. Senza meta e senza memoria si sta nel presente.

I tedeschi indicano questa perdita di senso del sacro dell'uomo contemporaneo con il termine: Etzauberung, sottrazione del magico alle cose. Ed è l'essenza della modernità per i filosofi.

Max Weber spiegò questo processo di progressiva razionalizzazione e disumanizzazione delle strutture della società capitalistica: la tendenza di questa a specializzarsi esige un approccio rigorosamente oggettivo.

Questo passaggio storico non prescinde dalla Scienza, forma di sapere autovalutivo, impassibile, insensibile ai valori che non da risposte sul perchè ma sul come, e attraverso la tecnologia ha permeato la società. Ma essa ha soprattutto imposto la convinzione che la nostra conoscenza deve limitarsi al verificabile. E tutto ciò che aveva una base metafisica, la religione, la morale, i valori, il sacro si è ritrovato senza fondamenti. Nietzsche parla a questo proposito di 'morte di Dio'.

Unico Dio oggi è l'utile economico. Il senso è l'arricchimento individuale e l'avvenire rimane aperto giusto al prossimo trovato tecnico-scientifico.

La Storia in questo scadente clima spirituale è la vittima più naturale. E a questo spirito nichilista si affianca un'immagine debole di stato-nazione: Lo stato perso nel mercato sembra aver dimenticato la sua centralità di governo e orientamento della realtà sociale, un tempo affidata all'iniziativa politica. Tale regressione dello Stato è uno scacco per la storia che nasce nell'800 con l'epoca della fioritura delle identità nazionali, quando occorreva costruire la sacralità degli stati sovrani e lo si è fatto con la rievocazione di memorie e glorie di un passato collettivo. Proprio quando la patria diviene la nuova divinità del mondo moderno, sacra, di cui il passato e la memoria erano linfa vitale.

Oggi la storia sembra deperire insieme alle nazioni che ha contribuito a costruire.

Il deperimento dei valori e delle stesse utopie sociali finisce con l'affidare la situazione al meccanismo economico in cui ogni individuo consuma tutto il suo senso.

Assmann 'La storia lega l'uomo al suo prossimo, essa è il racconto di imprese collettive. Se vige l'individualismo, e la memoria del comune passato viene abbandonata, non ha più senso."



CAPITOLO DUE: LA STORIA- PROBLEMA


1) Preliminari di un progetto

Come approcciare a questo quadro storico? Innanzi tutto bisogna cogliere il carattere ambivalente delle trasformazioni operate dall'innovazione capitalistica: Introduzione macchine agricoltura = + (positivo) ha liberato i contadini dalle condizioni abbrutenti di fatica - (negativo) ha privato il territorio della cura quotidiana; Applicazione estesa dell'informatica: + lavoro umano più elevato e preciso - eliminati antichi mestieri, abilità manuali. Stile urbano di vita = + ci ha liberato dai vincoli, controlli e condizionamenti dei piccoli centri - libertà individuale solitudine, anomia sociale. 

In questo contesto cultura e politica devono assumersi il compito del governo degli uomini. Un'opera di restaurazione che sia magari nel ricondurre gli squilibri indotti dalla tecnica, all'umana misura della vita. No tornare al passato ma nuovi equilibri. Es.: informatica ruba lavoro all'uomo? Attuare la riduzione del lavoro sociale obbligato, dilatare il tempo libero La città disintegra i rapporti sociali? Si possono progettare nuove istituzioni di socialità, rivitalizzare il quartiere, più tempo ai rapporti sociali. La scuola deve diventare una cittadella della restaurazione ed essere protagonista nel ricostruire una società dotata di senso, capace di un progetto per l'avvenire.


2. La storia dei manuali.

Nella scuola si insegna la storia dei manuali, ovvero dei fatti. Fatti da imparare a memoria. Un approccio che può essere valido nella fase iniziale, acritica e di accettazione, ma che persistente indebolisce la trasmissione del sapere storico. Molta dell'indifferenza dei ragazzi per questa disciplina deriva da questo modulo di insegnamento passivo e mnemonico. Nei manuali assunto sottinteso è 'La storia non si fa con sé e ma'. Negli Stati Uniti di qualche decennio fa si praticava la storia 'controfattuale' che di 'se' e 'ma' faceva il suo centro. Lo storico doc usa i se e i ma, perché ipotesi e alternative possibili sono importanti per non osservare la storia come una serie di fatti concatenati, necessari e ineluttabili in cui nessuno ha responsabilità. Ma dopo essersi posto il problema di un diverso corso, li butta via. Come si diceva, oggi la formazione è da mandare giù a memoria.

E' importante riportare nell'insegnamento della storia il concetto di discutibilità per non dimenticare che il manuale è sì una sintesi del passato, ma che è prima di tutto interpretazione storiografica di eventi e processi. Che è tra l'altro ciò che noi conosciamo più della realtà storica. La discutibilità è qualcosa che può far tornare viva la materia attraverso discussioni, verifiche, contraddizionirendendola un terreno di riflessione critica. I ragazzi diventano così i protagonisti di un'interpretazione, non contenitori passivi di verità indiscutibili.

E capire che gli eventi da noi studiati non erano necessari, ma sono strade in cui il corso storico ha imboccato, ha un esito pedagogico di grande portata perché porta a non accettare il presente come l'unico possibile. Alimentare una cultura che non sia solidificazione indiscutibile ma un territorio delle ipotesi, delle alternative, della scelta, della libertà, fa diventare il futuro, il regno del possibile.


3. Una nuova economia della memoria

La storia deve sapersi guardare da quegli individui che propongono una nuova economia della memoria storica, intesa come una nuova selezione del passato da ricordare. E' un ipotesi aberrante. Si pensi a cancellare la storia dell'Antica Grecia: via la nascita della democrazia, l'uguaglianza politica della polis. Eliminare questo, vorrebbe dire avvalorare l' 'homo oeconomicus'.

Come potremmo immaginare un altro rapporto con il proprio corpo, con i propri simili, con la vita, con il tempo, con la morte?

Solo avendo consapevolezza di ciò che siamo stati è possibile immaginare una dimensione diversa da ciò che gli uomini sono, progettare ciò che possono diventare.

E' pur vero che la sovrabbondanza dell'informazione (che è sottile forma di violenza, manipolazione della personalità e distruzione della memoria) ci porta a considerare necessario uno snellimento delle informazioni storiche da apprendere, poichè all'oggi la quantità eccessiva e sempre crescente di dati e notizie divora il tempo della riflessione  e del pensiero. E proprio perché senza l'oblio la memoria non sarebbe possibile e il passato ci schiaccerebbe invadendo il passato senza permetterci d'agire, è' importante saper dimenticare. E' compito della storia, nel tempo dell'eccesso, raggiungere una linea di sobrietà, tramite una riorganizzazione radicale delle gerarchie di rilevanza e dei modi di trasmissione del passato.


4. Una storia discutibile

Importante nella trasformazione dell'insegnamento e dell'approccio alla storia è che si trasformi il grande racconto della storia dei manuali in un numero limitato e selezionato di questioni. Occorre trasformare gli studenti da immagazzinatori di fatti, in protagonisti di indagini e discussioni. Ricerca e discussione al posto dell'esibizione solitaria e mnemonica. I moduli organizzativi e gli strumenti potrebbero essere i più vari es.: una questione proposta inizio lezione con immediato schieramento degli alunni e un dibattito con schieramento post ricerca e documentazione, acquisizione di competenze che costituirebbe una lezione salutare sulla facilità di deboli e approssimative e infondate convinzioni. Ma per passare dalla storia-racconto alla storia-problema occorre una strumentazione didattica nuova, appositamente pensata per questa trasformazione dell'insegnamento: l'utilizzo di tecnologie didattiche (video e pc), l'aggiunta di un manuale storiografico al manuale classico. La vera obiezione è immaginabile negli insegnanti: ' Non creiamo degli esperti di epoche e degli ignoranti della storia in generale?' Ma con un'innovazione qualcosa si perde sempre. E questo non è un ghiribizzo ma qualcosa di necessario in una condizione di innumerevoli eventi e processi che la ricerca storica ci consegna incessantemente. Per non perdere il senso del processo storico complessivo, ciò si potrebbe fare, scegliendo dei singoli casi fra i grandi temi della tradizione. (Storia - problema) Gli eventi saranno così attorno a un centro vitale di riflessioni


CAPITOLO TRE: IL PRESENTE E IL PASSATO


1. Storici e antiquari

Marc Bloch ci racconta di un viaggio con un suo amico a Stoccolma. Questo chiese di visitare per prima cosa un municipio nuovissimo. E guardando il mio stupore disse:' Se fossi antiquario avrei occhi per le cose vecchie ma sono uno storico. Ecco perché amo la vita'. Questo per riflettere sul carattere ispiratore che il presente deve assumere nel lavoro dello storico. Tutto ciò che abbiamo alle spalle è muto se non lo fa rivivere la nostra curiosità e il nostro bisogno spirituale.

Croce aveva definito questa subordinazione del passato al presente definendo la storia come 'sempre contemporanea'.

Gli storici però prendono avvio nelle loro ricerche dalle questioni lasciate aperte dalla tradizione storiografica. Anche se alcune delle rivoluzioni del sapere sono state compiute mettendo in discussione le certezze e il sapere fin lì accumulatosi pensi a Galilei che aprì le strade della fisica moderna scegliendo di leggere direttamente 'il libro della natura', osservando e rifiutando la tradizione aristotelica tolemaica. In storia Marc Bloch con un atteggiamento simile utilizzò fonti nuove come le mappe catastali e aprì un nuovo settore di studi storici, insegnando a leggere fonti prima inutilizzate.

E ci si chiede qui: è possibile formulare anche nell'insegnamento, problemi di storia che non partano necessariamente dalla tradizione storiografica ma dal presente? Un'insegnante che avvii in classe un percorso di storia-problema sulla base di interrogativi del mondo attuale, sarebbe l'ideale per la ragione ultima del volgersi al passato: rispondere a domande del proprio tempo. E' molto difficile. Lo studente deve scoprire la propria epoca come esito visibile della storia studiata.

Solo la viva conoscenza delle questioni del presente, la partecipazione a queste ultime, consente di insegnare la storia come forma e non come hobby collezionistico. E' nei bisogni e nelle inquietudini spirituali dell'oggi che si custodisce il senso con cui formuliamo le nostre domande al passato.

Obiettivo della storia è una fervida passione intellettuale per i problemi del presente.


2. L'istituzione del consumismo

Ogni generazione ha l'impressione di trovarsi nell'unico mondo possibile, con i suoi pensieri, desideri, gusti dati come naturali e immutabili. 

Nelle nuove generazioni ad es. questo concetto vale soprattutto per quanto riguarda l'atteggiamento consumistico. I ragazzi hanno assimilato un'attitudine verso gli oggetti di consumo naturale e sono consumatori prima che persone e cittadini. Essi persuasi di essere naturali e liberi nelle loro scelte sono stati già scelti da chi li ha preceduti, per alcuni aspetti importanti della loro futura condotta sociale. Sono formati come consumatori di merci prima ancora che sulla propria individualità personale e sociale. Credo sia importante mostrare ai ragazzi come la loro soggettività presente sia non un dato di partenza o una componente naturale ma un esito storico; scoprire il condizionamento artificiale della propria libertà e spiritualità.

La critica alla società consumistica e alle sue forme di condizionamento e persuasione è condotta dalle discipline sociologiche, non ancora ben radicate nella nostra scuola e la storia potrebbe svelare quanto oggi il nostro rapporto con le cose e i beni sia naturale o storico, quanto sia il frutto dello sviluppo economico o il risultato di strategie di manipolazione. ecc.

La storia oggi ci mostra la nascita del consumismo, soprattutto grazie agli studi di Jeremy Rifkin che lo ha connesso all'industria degli Stati Uniti. Agli inizi del XX sec. gli imprenditori ebbero un nuovo problema: le capacità produttive delle loro fabbriche erano superiori alla domanda dei consumatori. (Crisi tipica della società capitalistica). Gli individui erano ancora lasciati liberi al loro comportamento, alle loro scelte e non consumavano quanto era loro richiesto(Crisi da sovrapproduzione). Il più grande freno alla crescita economica erano gli uomini e le donne protestanti: lavoratori, risparmiatori dallo stile di vita sobrio. Occorreva imporre alla massa dei fedeli un nuovo dio: il consumo di merci.

Fu così che un dirigente della General Motors sostenne che la chiave della prosperità economica è la creazione organizzata dell'insoddisfazione. Compito dell'imprenditore è quindi quello di produrre merci e di creare un consumatore insoddisfatto. Nasce una nuova materia di studi: l'economia del consumo. Scienza con la quale si capì che oltre alle merci bisognava creare anche, nell'anima dei consumatori, il bisogno di acquistarle. E' da allora che si diffuse il marketing e la pubblicità: studio del mercato e le forme di persuasione all'acquisto.

Dopo la II guerra mondiale ciò approdò anche in Europa. E uscita dal conflitto con danni limitati l'America emerse come la grande potenza economica del pianeta. L'ex colonia fondata da europei bianchi era leader. E aiutò l'Europa con il Piano Marshall: operazione per rimettere in moto la macchina produttiva del vecchio continente. La penetrazione dei modelli consumistici americani nell'Europa del 40 era un processo militare, politico, economico e culturale. Si diffonde l'americanismo, fenomeno culturale che si esprime soprattutto sotto forma di nuovi linguaggi e messaggi espressi attraverso le immagini, la velocità, il ritmo musicale, i fenomeni di costume, i prodotti commerciali. Nuovi linguaggi e nuovi modelli di comportamento erano la stessa cosa. Il cinema, i miti, la coca cola, pubblicità erano sia incitazione al consumo sia stile di vita. E consumare diventa la forma più desiderabile di vivere. Il modo di vita americano si presentava come un'offerta inedita di prosperità, senza distinzioni di ceti e classi.

Portava con sè anche un'altra innovazione sul terreno sociale: il concetto di egualitarismo,

un contrasto forte in un'Europa costituita da gerarchie tra le classi e con grande attenzione alle nobiltà di sangue. La capacità di produrre e consumare rendeva tutti uguali. A ciascuno era consentito di arricchirsi, e farsi strada con il proprio lavoro e il proprio talento.

Con la tv (anni 50) si cercò di filtrare il fenomeno, di ritardarlo soprattutto per non turbare la morale cattolica, ma fu possibile per poco. Nuovi stili di vita si consolidavano non solo con le immagini ma con i prodotti: elettrodomestici, ma soprattutto l'automobile che negli Stati Uniti già del '20 con Ford, aveva conosciuto una diffusione di massa.

Georg Simmel spiega la dinamica del consumismo con il meccanismo tipico della moda che parte dalle classi superiori per poi passare alle classi inferiori, scatenando la reazione delle classi superiori che cambiano e si differenziano così all'infinito.

La ragione del successo dell'americanismo è proprio questa: hanno trasformato l'economia di mercato in società, moda, spettacolo, avventura, gioco; in una forma di vita. Ci hanno dato la forma di vita più corrispondente al modo di produzione capitalistico.

Ma quella che era una tendenza a persuadere i cittadini al consumo non è più una branca specializzata. Oggi è essenza della società industriale e si definisce tecnostruttura: una cerchia di ingegneri, esperti di marketing, manager, ossessionata dalle quotazioni in borsa. E a queste dinamiche di marketing rispondono tutti i campi. E' una realtà nuova quella in cui le industrie non si limitano a produrre merci, ma diventano il centro motore della vita sociale.

In un'esistenza in cui l'uomo, consumatore passivo , finisce col perdere la distinzione tra vivere e sopravvivere, la storia deve far riflettere sul detentore della coscienza soggettiva degli individui , prima della religione e dei suoi poteri organizzati, poi dello stato e della chiesa, ora della produzione di merci. La storia deve svelare le contraddizioni che si celano dietro questo fittizio paradiso terrestre: Perchè arricchirsi individualmente mentre si diventa socialmente più poveri? Come non preoccuparsi di come beni e merci sottratti alla natura vengano restituiti sottoforma di rifiuto?  Accrescere la ricchezza individuale vuol dire impoverire il pianeta, la ricchezza di tutti. Come non vedere che il consumismo è una minaccia che incombe sul futuro? Come può reggere la terra uno degli obiettivi degli stati industriali: trasformare le terre vergini in società consumistiche?

Il ruolo della conoscenza storica è qui farsi autenticamente cultura: liberazione spirituale dalle costrizioni di ciò che si subisce per non conoscenza. Dobbiamo formare generazioni consapevoli del fatto che la nostra libertà ci potrà appartenere a condizione di un'aspra e quotidiana critica delle menzogne che respiriamo nell'aria.


3.Il lavoro e le sue metamorfosi

Oggi il lavoro è precario, e un percorso di studi compiuto non porta a nessuna garanzia lavorativa.

Questo perché le campagne, le fabbriche, gli uffici e le banche sono ispirate tutte dallo stesso tentativo di eliminazione del lavoro umano.

Ma la storia del lavoro cosa ci racconta?Come siamo arrivati a questo? Il lavoro non ha mai rinunciato alle braccia da lavoro:sia Egiziani (Piramidi: il più grande reclutamento temporaneo di lavoro mai realizzato)che Greci (Aristotele teorizzava la necessità della schiavitù) che Romani. Lentamente scomparsero dall'occidente per fiorire nella ragioni germaniche, in Polonia, e in Ungheria e in Russia. Essa fu abolita nel 1861 dallo zar Alessandro. Ma se impresari, mercanti, proprietari terrieri trovarono poi conveniente compensare con un salario il lavoro, ciò non accadde con uomini dal diverso colore di pelle. Faccia nera, capelli crespi e lingua incomprensibile portava un'ovvia valutazione di inferiorità. L'Europa Cristiana fece un commercio di uomini nel Mediterraneo. Dopo la scoperta dell'America, il fenomeno si ampliò e durò 3 sec, in cui i giovani africani venivano portati nel sud e nel centro America. Andavano importati continuamente perchè essendo solo uomini non si riproducevano.

Oggi l'approccio alle risorse del paese degli imprenditori è simile a quello di quei mercanti se ci sono risorse in abbondanza perchè preoccuparsi della loro rigenerazione? E come non trovarvi legami con la nostra epoca? Basta pensare alle campagne sovietiche sotto Stalin, trasformate in un lavoro servile di massa, oppure Hitler, più grande pratica di sfruttamento del lavoro e sterminio. Oppure oggi con i fabbricatori di mattoni del brasile o i tessitori pakistani per una cifra complessiva di 27 milioni di persone.

La Storia dovrebbe fornire una visione d'insieme che consenta di capire i rapporti tra lavoro coatto e l'evoluzione della società contemporanea.



4)L'epopea del lavoro libero

L'Europa ha scelto sin dal tardo medioevo la strada del lavoro libero.

I servi della gleba scappati dalle campagne erano a servizio di artigiani e mercanti nelle città era ormai chiaro quanto fosse conveniente retribuire gli operai con un salario giornaliero che mantenerli a vita come schiavi.

L'unica cosa meno gestibile era la disponibilità del lavoratore che da schiavo era al servizio ogni qual volta il padrone lo volesse, da libero no.

Per riuscire a garantire una subalternità nuova del lavoratore che fosse simile a quella della schiavitù ma che non comportasse per il padrone gli stessi vincoli e costi, subentrò la Chiesa.

Spetta a lei il merito di aver reso possibile il passaggio dal lavoro servile a quello libero. Formalmente liberi, bisognava che qualcosa dei lavoratori rimanesse pronto e docile alla disciplina del lavoro.

Occorreva incatenarli in altro modo. Si puntò sull'anima. La soggettività delle persone fu plasmata dall'intima necessità del lavoro, della sua ineluttabile disciplina e sofferenza.

E' Max Weber a sottolinearlo: 'con la penitenza e la confessione la Chiesa ha addomesticato l'Europa Medioevale.'

Dal 1215 la Confessione era sistematica. E la pressione della Chiesa sulla condotta professionale e lavorativa, anche. Con un incremento di ciò nei paesi in cui c'era la riforma.

Si può dire che l'etica calvinista non fu che la continuazione di un processo avviato già.

Oltre la confessione, altri strumenti quali il terrore del demonio, la paura della dannazione,ma soprattutto l' 'invenzione' del peccato.

Terrorizzare le anime era utile a renderle flessibili e piegarle a una condizione di comando.

Belzebù è stato il principio d'ordine degli uomini dell'occidente. Il pretesto per unire le coscienze, disciplinare vagabondi e poveri, formare sudditi fedeli e lavoratori disciplinati.

Nell'opera di assoggettamento del lavoro la Chiesa ebbe alleati sia i suoi sudditi più potenti, sia il potere temporale: re e imperatori.

Nel XII secolo la pressione sul lavoro diventò generale e sistematica:

- Si moltiplicano le case per i poveri (workhouse) in cui l'internato è condannato al lavoro forzato.

- In Olanda c'era la casa dell'acqua: vi venivano rinchiusi coloro che non volevano lavorare i quali avevano a disposizione una pompa per smaltire l'acqua che in altro caso li avrebbe fatti annegare.

. In Inghilterra, sotto la rivoluzione industriale, si utilizzò la forza lavoro dei bambini fruttabili e plasmabili come futuri lavoratori a vita. Spesso orfani e fanciulli affidati alla chiesa anglicana.

Il lavoro industriale ai suoi inizi era un inferno in terra. Le ore di lavoro erano tra le 14 e le 18 ore.

L'importanza del conoscere questo non è per generare pietas:

1) La memoria e la storia hanno un loro modo di portare giustizia che non può essere sottovalutato: ricordare chi è passato sulla terra senza lasciare traccia, sacrificando la propria vita per la prosperità altrui, è un modo in cui la storia rende l'umanità sacra a sè stessa. 'L'atto del ricordo è carità e giustizia per le vittime del male e dolore ()'.(Magris)

2) Occorre ricordare e sapere a quale prezzo, e grazie al sacrificio di chi, è stato possibile edificare la potenza e la ricchezza di cui disponiamo nel presente.

3)La storia del lavoro mostra come siamo diventati oggi ciò che siamo. Il nostro modo di essere individui di una società industriale appare come il frutto di una lunga opera di repressione.

Dobbiamo essere in grado di educare generazioni consapevoli che il nostro modo di vivere il lavoro è una costruzione storica, il frutto di lunghe violenze subite.


5)Dal fordismo alla società senza lavoro

La storia del lavoro del 900 inizia con Taylor, l'ingegnere americano che negli anni 10, decise di abolire i tempi morti della fabbrica. La produttività potenziale dell'operaio veniva studiata a tavolino secondo modi di calcolo e suddivisione scientifica del tempo, poi applicata in fabbrica.. L'organizzazione in fabbrica mutò profondamente. Le operazioni complesse vennero scisse in operazioni semplici. Ogni individuo aveva poche e ripetitive mansioni, il nastro correva veloce e non si fermava.Ormai egli era schiavo non solo della macchina ma anche della sua velocità.

Antonio Gramsci osservava questi passaggi e si aspettava una forma di società superiore che non c'è stata. Unica conseguenza è stata l'asservimento degli individui, nella fabbrica e nella società, a ritmi frenetici di lavoro e comportamento. Non vita collettiva, ma intimo scadimento della vita umana. Basti pensare come sia sfociata nella costruzione della bomba atomica o alle società industriali, dirette responsabili delle 2 guerre mondiali. Le soc. industriali sono responsabili della minaccia più grave mai portata dagli uomini alle premesse elementari di ogni civiltà: le condizioni materiali di esistenza di tutte le creature viventi sulla terra.

La migliore applicazione della rivoluzione tayloristica è degli anni 20 con la Ford. Applicazioni della catena di montaggio su larga scala aumentarono la produzione, salari alti per gli operai che garantivano un perfetto lavoro di linea. Ciò comporta abbassamento prezzo auto che diventavano accessibili agli operai stessi e inaugura così il circolo vizioso, intimo motore delle società industriali: operai producevano e consumavano. Nel 2° dopoguerra arriva il modello in Europa. La fabbrica tayloristica ha dominato il mondo industrializzato fino ai primi anni 70. I prodotti standardizzati di massa hanno portato la ricerca di una presenza creativa che facesse la differenza, di un prodotto di qualità, o di una personalizzazione del prodotto. L'azienda simbolo di quest'innovazione è la Toyota che ha abolito la struttura fordiana affermando un'organizzazione orizzontale per squadre composte da ingegnere, il tecnico, l' operaio tecnico, operaio specializzato.

Il taylorismo non scompare ma vi si affiancano modelli diversi di fabbrica in fabbrica.

Con l'elettronica e le macchine a controllo numerico passiamo dalla manifattura alla macchina fattura.

Si riduce il lavoro dell'uomo. Questo è un rivolgimento sociale agli inizi. La forza lavoro non è più utile alle fabbriche come alle campagne. Per questo la disoccupazione non riguarda più solo fasce povere, ma chiunque. 20 milioni di disoccupati in Europa, 800 milioni di disoccupati totali.: fenomeno non collegabile a una circostanza economica avversa, ma che accresce in condizioni di relativa buona salute dell'industria. Il meccanismo economico capitalistico non è retto da finalità sociali, non cerca di soddisfare bisogni reali. Esso persegue l'accumulazione di merci e denaro e corre verso l'infinito. E apre un'infinita fase di miseria sociale in cui gli uomini sono strumenti flessibili delle macchine.

Abbiamo davanti una sfida economica delle più formidabili della storia, che non si risolverà con un'ulteriore crescita economica. , come gli stati industriali pensano.

Si continua a perseguire una logica di accumulazione  ma servirebbe una logica di distribuzione. Si continua a seguire una logica dell'accrescimento quando l'unica possibilità di miglioramento sarebbe una logica della diminuzione: meno ore di lavoro, meno merci, meno consumo, meno velocità e fretta.


6)Stato e Stato sociale

Il termine 'Stato' ha molti significati: macchina burocratica, ricchezza pubblica e servizi, assistenza ai cittadini, ecc. In ogni caso è una formazione storica. Il termine Stato conosce oggi una declinazione specifica prevalente 'Stato Assistenziale' (o Welfare State), che è quello che si viene configurando nei paesi industrializzati, dopo la IIa guerra mondiale. E' la forma di assistenza pubblica che si sviluppa a partire dagli anni 40, ed è diversa di nazione in nazione. Pone sotto tutela operai e classi povere e ceti medi. Nasce nel 1948 quando in Inghilterra entrò in funzione il Piano Beveridge: una completa assicurazione contro malattia, invalidità, vedovanza, per tutta la vita.

Lo stato veniva a porsi come lo strumento collettivo per la valorizzazione del capitale privato. Lo stato accumulava beni attraverso lo sviluppo industriale e si preoccupava di garantire le buone condizioni a quegli elementi senza i quali nessuna valorizzazione del capitale sarebbe stata possibile: forza lavoro operaia. E non era più detentore del potere e basta, ma centro propulsore della produzione. Prefiguratore del Welfare state è la politica del New Deal: la grande crisi del 29 aveva mostrato la possibilità di un tracollo dell'intero sistema capitalistico, in assenza della forza regolatrice di un'intelligenza pubblica:la regolazione dello Stato.  Fu con l'incremento dell'occupazione che l'economia americana, e mondiale, ripartì alla grande per 30 anni. Ciò indica il ruolo centrale che lo stato deve avere, mantenendo piena occupazione, e nello stesso tempo indicava quanto tale condizione fosse non solo supporto ma leva del meccanismo. Anni 70: nuova fase d'instabilità finanziarie e crisi dello stato assistenziale causata da:

l'allungamento della durata della vita che comporta pensioni più durature, il declino della natalità che restringe la base del prelievo fiscale per mantenere i pensionati, le spese del settore sanitario sempre più moderno, la disoccupazione tutti fattori che determinano quella che J. O Connor definisce Crisi fiscale dello Stato, che dalla pressione fiscale da anche impulsi all'industria capitalistica, civile, militare. Così dagli anni 80, Inghilterra e Stati uniti avviano politiche di revisione dello stato sociale, volte a migliorare l'intervento pubblico in economia e fondate sul nuovo credo teorico 'Deregulation': Partendo dal presupposto secondo il quale l'intervento dello stato accresce i costi della burocrazia, richiede tasse alte, altera il mercato e scoraggia le imprese; considerato che la protezione ai cittadini crea una cultura della dipendenza, smorza l'iniziativa e costa, viene proposta una diminuzione delle tasse, la limitazione dell'assistenza, la liberalizzazione dell'economia, privatizzazione di imprese pubbliche. Si abbassano i prezzi, aumenta la concorrenza.

In Europa sono linee di tendenza appena agli inizi ma lo scenario che se ne prevede sono individui sradicati dalla vita di comunità e ridotti al ruolo di produttori e consumatori. Lo stato tende a scomparire nei rapporti privati. I cittadini dovranno badare da sè a tutte le necessità di ordine sociale, ma lo potranno fare (assicurano gli esperti liberisti) perchè saranno sempre in grado di utilizzare il maggior reddito privato che l'economia di mercato metterà loro a disposizione.

Bevilacqua non si permette di analizzarne i risultati di questa politica per mancanza di competenza, ma è indignato perchè vi scorge un orizzonte minimo fatto di rapporti sociali mercantili ridotti al nudo rapporto dare e avere. Quali trasformazioni ci attendono? E' importante insegnare il processo dello stato fino al suo declino per comprenderle.










CAPITOLO QUATTRO: LOCALE E UNIVERSALE

1. Itaca e il mondo

La scuola fornisce una formazione fondata su grandi processi ed eventi, ma che non tiene conto delle realtà locali. I giovani hanno così un sapere universale, ma in cui la loro città e regione sembrano totalmente estranei. Non bisogna dimenticare di dare alla storia locale nuova rilevanza, cosa fondamentale per sentire la storia vicina e connessa alle proprie problematiche. Negli anni 80 la Microstoria si occupò delle realtà locali trattando un singolo caso per parlare di un problema storico generale. Es. "Il formaggio e i vermi" di Carlo Ginzburg che parla della storia del mugnaio friulano del 500, Menocchio, ma che in realtà è teoria dell'Italia della Controriforma. Questo caso ci spiega come la conoscenza storica sia una sintesi tra locale e universale.

Oggi la conoscenza della storia locale parte da altri presupposti.

La modernizzazione in atto, attraverso un processo di trasformazione e omologazione della periferia,uniformità di campagne e città, eliminazione del piccolo commercio per banche e spazi urbani, cancella differenze,culture, linguaggi, economie. Ogni realtà territoriale con l'avanzare della tecnica perde le proprie peculiarità storiche. E la tv e i PC sono il mezzo con cui si tende a cancellare la pluralità dei luoghi del mondo in favore del profilo funzionale. Creano una nuova cittadinanza virtuale, spiegazione della nostra limitata cittadinanza reale, in cui c'è informazione ma non spazio d'azione. Per questo è necessario considerare i punti di partenza, le città. Non a caso l'attitudine degli individui alla democrazia si forma nella polis. La storia deve diventare memoria consapevole e tutelare tradizione, culture e linguaggi.

Attenzione: non si cerca di mettere in discussione la nazione. La conservazione delle particolarità periferiche è lo sforzo di costruire un rinnovato universalismo che nella diversità delle patrie riconosca tradizioni e culture. Sentire le proprie tradizioni come un frammento della storia generale è fondamentale perchè gli uomini possano vivere non passivamente questa nuova vicenda del mondo. 'Solo chi custodisce un'Itaca nella propria memoria è l'Ulisse che sa esplorare il mondo. Il viaggiatore che riesce a stupirsi di tutto ciò che è nuovo rispetto al punto di partenza. Chi non lo ha è solo un girovago, che consuma vanamente il tempo e lo spazio, senza approdi nè mete.' (P. Bevilacqua)


2. Il territorio: un libro aperto

Ma come far conciliare la necessità della storia locale all'economia della memoria storica? Di grande aiuto può esserci il libro del territorio: è nello spazio che la storia universale trova le sue declinazioni particolari. Gli uomini tendono a dimenticarsi cosa c'è dietro ciò che vedono ogni giornopensando che sia un oggetto del presente invece di un processo del passato. L'insegnamento en plein air potrebbe rivelarsi interessante in campagna.

Es. L'eucalipto allineato lungo le nostre coste viene dall'Australia ed è stato impiantato nei primi anni del 900 nei luoghi paludosi per rigenerare l'aria; esso costituisce un capitolo di lunga lotta, igienica e civile, contro la malaria nelle nostre campagne. Stessa cosa vale per un fiume, un ponte, una strada è possibile dilatare lo scenario dei processi storici.

Come nella città.

Del territorio noi non dimentichiamo solo il passato ma anche il presente.  Es.: età pre-industriale un centro di 10 000 abitanti aveva bisogno di 50-80 km di bosco per garantire uso domestico e riscaldamento. Oggi c'è una selva invisibile di fonti di energia sottoterra: tubi, acquedotti, gasdotti che alimentano la nostra vita quotidiana. Pensiamo di essere grandi produttori, ma siamo prima passivi consumatori. Solo che le prove di dipendenza dalla natura sono nascoste. La Polis ha sempre celato ciò che la mostra dipendente dal mondo fisico.

Oppure si pensi a quei quartieri senza piazze, senza spazio tra i palazzichi ha costruito quei pezzi di città ha condizionato la realtà sociale, le forme di vita. Il presente non è quindi un insieme di dati oggettivi, indiscutibile immodificabile, ma il risultato di un processo, di una storia.

E l'allievo vedrà i manufatti come forme viventi, l'intera città non sarà più solo l'esistente.

Senza la consapevolezza storica veniamo schiacciati dalle cose. Senza gli strumenti o la predisposizione a capirla viviamo passivi, neanche consapevoli di essere schiacciati.


3. Noi e gli altri

Partendo dall'osservazione della nostra società, è importante capire il fenomeno dell'immigrazione: capirne le ragioni che non sono solo economiche, ma che trovano risposta nella perdita della cultura cui appartengono. Karl Polanyi lo spiega. la ragione di fondo è la ferita immortale inflitta dai dominatori alle istituzioni di queste culture. Si pensi agli imperi Inca e Aztechi, messi in discussione da masnadieri con fucili, che annientarono le loro credenze psicologiche e religiose.

Lo sradicamento culturale sgretola valori, regole e istituzioni dei paesi poveri e in via di sviluppo e li abbaglia con la cultura consumistica.

La scuola prepara bene i ragazzi a una realtà civile e multietnica. Anche se, spesso, con atteggiamento moralistico, mentre il fattore più importante è la comprensione dell'altro, possibile solo attraverso la conoscenza della sua storia.

Noi abbiamo un grande limite in questo senso: l'Eurocentrismo, che ci porta a vedere il passato delle altre culture immobile, cioè insignificante da un pdv storico. Automatico è il concetto di disvalore e arretratezza che poniamo su quei paesi che non sono società industriali. Paesi che sono oggetto della storia d'Europa, terreno di scontro per la colonizzazione. mai soggetti autonomi di storia.

Nonostante ciò abbia voluto dire imporre ad altri popoli la privazione dell'autonomia, della propria diversità culturale, della possibilità di uno sviluppo economico coerente al proprio habitat, abbiamo questa superiorità ineliminabile.

La nostra visione eurocentrica è ben radicata. Importante è dare ai ragazzi il senso del dominio imposto e di quello subito. Far capire attraverso la ricostruzione storica, quanto il successo economico e tecnologico dei paesi occ sia in parte il risultato di un dominio che ha posto gli altri in subalternità. Almeno una volta nelle scuole secondarie andrebbe dedicato un capitolo della storia-problema alle vicende della storia extraeuropea.

Si pensi alla Scoperta dell'America: I Cristiani Europei scoprirono l'America distruggendo popolazione, istituzioni, modi di vita. Quello che è l'inizio della storia moderna, orgogliosam chiamata "scoperta", è anche il più grande genocidio dell'umanità.

Dunque la supremazia d'occ non è solo superiorità culturale, tecnica e militare, ma è anche lo sfruttare le risorse di territori altrui per incrementare il proprio gigantesco processo di accumulazione.

Fondamentale nell'avvicinarsi a quest'argomento è non cadere nei rischi di:

* Raggruppare sotto un'unica definizione: realtà nazionali, percorsi storici e situazioni diverse. Evitando il "terzomondismo" (dottrina politica secondo la quale il sottosviluppo dei paesi del terzo mondo è un prodotto del colonialismo occidentale e delle sue seguenti derivazioni.) sfrenato : non tutti i problemi derivano dai paesi ricchi e non nella stessa misura.

* Giudicare la realtà di questi paesi secondo i parametri validi per le nostre società: arretrato/sviluppato, produttivo/improduttivo.

Affrontiamo a questo proposito, alcuni processi storici generali: Molti dei problemi dei paesi in via di sviluppo derivano dal fatto che essi sono stati avviati ai meccanismi capitalisti ma non possono ultimare questra trasformazione. Così sono fermi, incapaci di rispondere alle esigenze locali, e impossibilitati ad entrare negli scambi internazionali. (Caso di Cuba che ha cambiato il proprio sistema economico ma che dipende sempre dallo zucchero).

Diverso e analogo caso è la Rivoluzione Verde a partire dagli anni 60 del 900, quando Europei e Americani, hanno tentato la trasformazione delle campagne africane in moderne aziende capitalistiche. Per far questo tagliarono alberi spianando vaste coltive a grano, ma il terreno africano (agricoltura policulturale) sottoposto alle intense calure del sole diventava sterile e improduttivo.

Occorre non dimenticare che ruolo abbiamo nel fenomeno dell'immigrazione.

Noi offriamo un modello ideale di libertà e democrazia perseguibile con un viaggio. Perché attendere nella miseria un lungo e penoso sforzo?

CAPITOLO CINQUE: LA STORIA E IL RACCONTO


1. L'evento e la replica

Duby afferma che la storia non è che un genere letterario. Una forma di racconto in cui lo storico narra vicende vere, dopo la raccolta di info tratte da fonti.

Prendiamo queste parole come spunto di riflessione. Il Racconto è la struttura di un nostro modo di organizzare la conoscenza e rappresentare la realtà; una forma della memoria che da intelligibilità ai fatti frammentari e confusi del passato disponendoli in una successione temporale coerente.  Sappiamo che epos, storia e romanzo hanno rappresentato il passato per secoli.

Ma esso lascia anche fuori gran parte di realtà:

il tempo della natura per la sua ciclicità e ripetitività. Come raccontare fiumi, stagioni?

La storia comincia dove il tempo naturale finisce: nasce quando la società ha sottomesso a sé la natura e la vive come fonte di produzione, quando vi ha sovrapposto la vita organizzata che genera eventi nuovi. Infatti, una volta inserita la natura nei processi storici, viene abbandonata la storia-narrazione. Con Marc Bloch, Fernand Braudel, e tutti gli storici attenti alla geografia, si scopre una nuova dimensione del tempo: la durata. E da qui la realtà del territorio e il mondo delle cose sono stati rappresentati come storia, in uno svolgimento temporale che rompeva la linearità rapida della narrazione.


Altro elemento che subisce occultamento poiché irraccontabile, è la tecnica = Sono raccontabili le trasformazioni conseguenti alla tecnica, ma non il come, che si nasconde nella ripetitività dei gesti. Esito della rimozione della tecnica dalla storia: un'idea deterministica del corso storicoè come se la soggettività fosse sommersa dallo scorrere di un fiume che ne determina i mutamenti, mentre è la soggettività, con le sue scelte, le sue operazioni umane e la tecnica a determinare il corso del fiume. Da questo si evince quanto può essere importante rimettere le tecniche nella storia.


Manca poi la narrazione della nuda soggettività = Sappiamo tutto di battaglie, conflitti, trasformazioni economiche, ma non sappiamo la psicologia, la tensione spirituale, vita sentimentale dell'uomo storico. La nostra storia sembra fatta da eroi di cartapesta. E' come se i protagonisti restassero sempre gli stessi.

Dobbiamo le conoscenze sull'uomo che cambia ad altre discipline: Freud (psicanalisi) Durkheim (sociologia) Rimmel (filosofo-rapporti col denaro).


Il lavoro, operazione così ripetitiva da non poter essere raccontata. (Il lavoro diventa raccontabile quando non è più tale:lo sciopero crea l'evento). E la storia non racconta ripetizioni, ma eventi, e fa della sua prima necessità, trattare fatti che cambiano nel tempo e che cambiano il tempo. La storia è quindi costretta a cancellare il lavoro. Il paradosso: ciò che rende materialmente possibile la società, non può essere oggetto di racconto storico.  La fondazione stessa del vivere sociale deve restare celata e cancellare l'essere naturale sempre uguale che sta sotto l'essere naturale sempre mutevole. Hannah Arendt: Nel mondo Greco la storia aveva il compito di dar memoria e rilievo a uomini e imprese eccezionali per sempre.

E' questa ricerca dell'immortalità che troviamo nel racconto storico, che divinizza ciò che non si ripete.

Nella rappresentazione storica senza racconto troviamo quindi uno strumento di rivincita dell'umana conoscenza. La storia critica, ad es. si sottrae al giogo di conoscenze occultanti e disvela tutto.


2. La natura nella storia

La storia comincia quando l'uomo inizia a manipolare la natura. L'agricoltura ad es. è la prima alterazione dell'habitat naturale. La storia è strettamente legata alla violazione della natura. Ma la contrapposiz tra natura e 'uomo' non può essere portata fino alla fine perchè l'uomo è natura, e questo è un limite al totale dominio dell'uomo. Ed è proprio in questo limite che siamo oggi.

Prima il conflitto uomo natura si risolveva in una serie di squilibri naturali che dava luogo a nuovi equilibri, oggi gli squilibri non si ricompongono in nuovi equilibri: è la natura che aggredita e mutilata dall'uomo ci segnala la sua presenza, e il suo essere più forte di qualunque avvenim. storico.

Ci ha fatto così comprendere che è l'ecosfera che garantisce la sopravvivenza dell'uomo.

La distruzione e la minaccia dell'ecosistema hanno una storia che è il risultato del comportamento dell'uomo. Possiamo inserire la storia dell'ambiente nell'insegnamento storico? Ostacoli sono la scarsità di strumenti didattici sull'ambiente. Però non possiamo trascurare il concetto che vede minacciato il nostro pianeta. I giovani rischiano di ereditare un pianeta povero e inquinato. Le società industriali non consumano solo il proprio tempo storico ma anche quello delle società a venire. Il tempo del futuro è già compromesso. Le nuove generazioni vanno avvertite perchè questo è un problema nuovo. La potenza della tecnica ci ha imposto una tale distruttività nei confronti dell'habitat da rendere la conoscenza, un obbligo etico. Lo studente deve sapere che la sua esperienza locale riguarda il pianeta, che la natura non è infinita. Legare la storia alle scienze naturali è importante per capire i fenomeni presenti, le responsabilità storiche degli uomini del passato, per indicare linee di condotta per il futuro.


3. Il racconto del potere

Dopo aver visto come la storia non vada d'accordo con la ripetitività, occorre rilevare che tutte le figure e i gruppi politici dominanti possiedono una raccontabilità superiore. La loro parola è amplificata da un potere costituito. E' nel potere che si colloca una rappresentatività. Viene da sè come la storia politica tradizionale, nel raccontare la vicenda dei gruppi dirigenti, ha preteso di fare la storia della nazione.

Offre però un insostituibile servizio al racconto storico. Infatti si parla di età carolingia,napoleonica.

Ma quanta corrispondenza reale c'è in questa etichettatura per nomina? Ci sono anche altri piccoli attori accanto al protagonista. E non si tratta di sminuire il potere politico, ma di riflettere sulla misurazione della sua effettività reale, di non dimenticare le influenze delle situazioni in cui il potere politico opera. Esso infatti è determinante (basta pensare alle ultime due guerre per vedere come pochi uomini hanno deciso il destino di tutti), ma non è un unico fattore.

Chiamando in campo ad esempio altri attori come le tecniche. Anche loro hanno fatto la storia. L'apparizione della bomba atomica ad es. ha segnato il percorso storico, rende distruttibile il pianeta, cambia qualità al corso dell'avvenire. Oggi però il potere politico è diviso con il potere delle macchine. L'agire politico necessita di nuovi criteri di misurazione. Non va dimenticata l'incidenza che hanno anche i comuni e le città. La nostra storia collettiva non viene realizzata solo in parlamento.

Il racconto svaluta il contributo politico di chi non possiede un cognome storico, fino ad educare alla mitizzazione del comando Un'altra buona ragione per sperimentare la storia-problema.


4. La verità della storia

Il racconto è dunque una rappresentazione parziale della realtà. Ma la narrazione a volte arriva a narrare ciò che la rappresentazione storica non ha mai registrato. Si pensi al caso del racconto della letteratura. Quale storia della borghesia dell'800 potrà mai restituirci il mondo dei borghesi come Balzac? Dobbiamo alla letteratura come all'arte e al pensiero filosofico, contributi di conoscenza determinanti per comprendere l'uomo della società contemporanea.

La letteratura, vivifica il passato fornendo colori e sfumature di un determinato clima spirituale.

Dietro a ogni scrittore c'è sempre uno storico involontario che, dietro le sue storie, ci racconta come 'sentivano" gli uomini del suo tempo.

Per capire cosa è stata la prima guerra mondiale, sarà molto più utile leggere 'Un anno sull'altipiano' di Emilio Lussu che sapere perfettamente date, cause e battaglie.

Ma questo mix di finzione letteraria e di conoscenza scientifica può generare confusione.

Qual'è la conoscenza effettiva??

ll conoscere storico è accettato come soggettivo. Le stesse fonti d'archivio su cui il suo lavoro si basa sono registrazioni soggettive, non documentano i fatti, li interpretano.

L'unica obiettività possibile della storia sta nella diversità di paradigmi concettuali rispetto ai protagonisti di cui si raccontano le vicende. Distanza e distacco sono la condizione dell'unica obiettività possibile. La storia con la S maiuscola è quella che mette in grado di ripensare il passato illuminando le cause profonde che sfuggivano ai protagonisti.  Distacco non neutralità. Perché non si possono mettere sullo stesso piano personaggi e fatti storici per amore dell'obiettività scientifica. Qual'è quindi il grado di conoscenza che ci offre la conoscenza storica? La qualità della memoria dipende dal presente che la conserva: quanto più si allontana da un controllo monopolistico del potere tanto più è veritiera, soprattutto grazie alla pluralità dei punti di vista che la costituiscono.

Essa è anche un presidio della verità mai definitivala verità di una società dialogante. Offre infatti un campo di accordo che è fatto di discussione.

L'insegnamento della storia può essere il collante per unire la conoscenza divisa tra i vari saperi: attraverso la storia-problema si può favorire un dialogo tra storia e letteratura mai stato fin'ora.

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