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La Civiltà Greca




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La Civiltà Greca


LA NASCITA DELLE POLIS:

dopo la conquista e la distruzione di Troia (1220 a.C.) i regni micenei affrontarono un periodo di crisi che culminò con la distruzione o l'abbandono di numerosi palazzi e insediamenti. La decadenza della civiltà micenea va collegata con lo sconvolgimento dell'assetto del vicino oriente e con la graduale occupazione del territorio da parte dei Dori. (1100 a.C.).

Allo splendore della cultura micenea seguì un'età buia (1050-750 a.C.) in cui l'uso della scrittura scomparve e i commerci e l'artigianato vennero meno. Tuttavia fu proprio in questo periodo che si innescò un processo di trasformazione che portò alla nascita di nuove forme di aggregazione politica e sociale:le polis.

Il vuoto di potere lasciato dalla caduta dei signori micenei fu riempito da aristocrazie guerriere, in forte competizione tra loro e governate da un basileus ovvero un re che però non aveva potere assoluto.

Col tempo i suoi poteri furono limitati solo alla religione mentre si affermò l'uguaglianza tra gli aristocratici e dell'esercizio del potere come bene comune.

Nacque così la polis, unità sociale e culturale dei cittadini di pieno diritto che, in principio erano soltanto gli aristocratici.

Essi si autogovernavano attraverso l'assemblea e i magistrati e avevano uguale diritto di partecipare alla vita politica, di militare nell'esercito e di essere proprietari terrieri.

La polis ha il suo centro nell'agorà, la piazza in cui si riunivano i cittadini in assemblea ed era dislocato il principale luogo sacro, il focolare comune, simbolo della città.

Sulle acropoli erano costruiti templi delle divinità protettrici che erano aperti a tutta la comunità. Nella polis tornò ad essere usata la scrittura nel 750 a.C. per effettuare registrazioni, per comunicare ecc.


LA GRANDE COLONIZZAZIONE:

nell'VIII secolo vi fu un aumento della popolazione in alcune polis cui però non corrispose un proporzionale aumento delle risorse. Si crearono quindi delle tensioni sociali e, per estinguerle, si ricorse all'emigrazione.

Ebbe inizio così la colonizzazione che diffuse la civiltà greca in Sicilia, nell'Italia Meridionale, (magna Grecia), sulle coste meridionali della Francia, su quelle orientali della Spagna, in Pirenaica, sulle rive dell'Ellesponto e del Mar Nero.

La spedizione era spesso organizzata da più polis insieme; sul luogo prescelto per lo stanziamento i coloni fondavano il santuario delle divinità protettrici della città d'origine e si spartivano la terra. La nuova città manteneva con la madre patria rapporti di carattere culturale e commerciale, ma era autonoma politicamente.

Nei luoghi disabitati lo stanziamento delle colonie avveniva senza resistenze, ma spesso la spedizione doveva affrontare la reazione di popoli indigeni che, sconfitti, erano ridotti in schiavitù e impiegati nel lavoro nei campi oppure erano costretti a ripiegare nell'entroterra. Nonostante questo, i rapporti tra le popolazioni indigene e i coloni, favoriti anche da matrimoni misti, col tempo divennero sempre più intensi in quanto favorivano proficui scambi commerciali. (manufatti artigianali in cambio di materie prime).

La colonizzazione ebbe ripercussioni positive sull'economia mediterranea poiché attivò una fitta rete di relazioni commerciali tra colonie e madrepatria e aprì e potenziò i contatti con popolazioni e mercati diversi.


L'IDENTITA' GRECA:

le polis greche, ad eccezione di Sparta e Atene, non ampliarono mai di molto il loro territorio per ragioni politiche. Erano indipendenti tra loro ma unite da un forte patrimonio culturale in comune che si esprimeva, oltre che nell'organizzazione in polis, anche sul piano linguistico, religioso e culturale.

I greci erano politeisti e consideravano gli dei immortali e dotati di poteri straordinari ma non dissimili dagli uomini per comportamenti e sentimenti. Mondo divino e mondo umano non erano quindi entità separate.

Non vi era una casta di sacerdoti professionisti poiché le funzioni di sacerdote potevano essere esercitate da qualunque cittadino. Ogni occasione di vita pubblica era accompagnata da riti religiosi, spesso culminanti con sacrifici di animali le cui spoglie erano in piccola parte bruciate e, per il resto, distribuite tra i cittadini.

Ogni polis aveva i suoi dei protettori con i relativi templi, ma molta importanza assunsero i santuari indipendenti frequentati da pellegrini come quello di Apollo a

Delfi, sede di un famoso oracolo.

Presso i santuari più prestigiosi si tenevano anche grandi competizioni atletiche periodiche, come i famosi quadriennali Giochi Olimpici del santuario di Zeus a Olimpia. In occasione di essi erano proclamate tregue generali, comportavano numerose gare e, per il primo classificato non c'era nulla di concreto, ma solo la gloria della propria città.


SPARTA E ATENE:

tra l'VIII e il VII secolo a.C. la polis spartana si impadronì di quasi tutto il Peloponneso. I cittadini di Sparta, gli Spartiati, erano di numero limitato. Essi non lavoravano: alle attività economiche provvedevano gli Iloti e i Perieci.

Il futuro cittadino spartano era sottratto presto alla famiglia e addestrato dalla polis fino ai vent'anni in modo da poter diventare un soldato di prim'ordine.

Al vertice del governo spartano c'erano due re (comandanti dell'esercito)che ricevevano il potere per via ereditaria.

Più influenti nella vita politica erano i cinque efori (ispettori), eletti annualmente dall'assemblea e atti al controllo dell'applicazione delle leggi e arbitri dell'amministrazione della giustizia e della politica estera.

L'assemblea o apella ratificava o meno senza discutere le proposte avanzate dalla gerusia, formata dai due re più ventotto cittadini di età superiore ai sessant'anni.


La storia ateniese invece seguì l'andamento proprio della nascita di numerose polis: la figura del re fu ridotta alle funzioni religiose; il potere fu assunto dall'assemblea, espressione di un ristretto gruppo di famiglie aristocratiche che eleggevano i nove arconti, magistrati che reggevano il governo assistiti dall'areopago (consiglio di ex arconti).

Questo sistema fu scosso da una crisi agraria e sociale; in seguito l'assemblea assunse i poteri decisionali più rilevanti, per numerose cariche fu introdotto il sistema del sorteggio poiché esse, annuali, fossero accessibili a tutti.

Questa riforma dette concretamente vita alla democrazia basata sulla libertà di parola e la partecipazione diretta di tutti i cittadini.


GLI ESCLUSI DALLA POLIS:

perché il sistema della partecipazione diretta potesse funzionare il numero degli effettivi cittadini doveva essere limitato e inoltre il cittadino soldato doveva essere messo nella condizioni di potersi dedicare ampiamente alla politica e all'esercizio delle armi: così erano attivi molti meccanismi di esclusione dalla polis.

I bambini deformi venivano abbandonati ma anche i più deboli, i frutti di unioni illegittime, i figli di schiave o genitori che non potevano mantenerli, o che si rendevano conto che la spartizione del patrimonio agli eredi non avrebbe garantito il mantenimento della posizione sociale della famiglia.

Molto spesso erano abbandonate le bambine, ritenute quasi una sventura per genitori che, privi di mezzi, dovevano preoccuparsi di procacciare loro una dote per maritarle.

La donna aveva funzione di procreare e per questo era esclusa dalla vita pubblica e poteva prendere parte solo alle cerimonie religiose; passava le giornate a casa ad occuparsi di essa e dei figli.

Solo coloro che non potevano permettersi uno schiavo erano autorizzate ad uscire quotidianamente da casa. Si sposavano giovani, sulla base di un contratto stipulato dal padre, ed erano sempre sotto la tutela di un maschio della casa. Il divorzio era ammesso solo se consensuale o se deciso unilateralmente dal marito.

Anche gli stranieri liberi che risiedevano in città erano esclusi dal diritto alla cittadinanza, disuguali davanti alla legge ma costretti a prestare servizio militare e a pagare una tassa. Non potevano avere beni immobili nel territorio; quindi svolgevano attività commerciali, artigianali e legate al prestito.

Totalmente esclusi erano gli schiavi; essi erano oggetto di commercio ed erano considerati oggetto di proprietà. Il loro lavoro era indispensabile per mantenere i cittadini di pieno diritto il cui tempo era destinato alla politica e al servizio militare, non al lavoro.

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