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L' italia dopo l' unita'




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L' ITALIA DOPO L' UNITA'



Nel 1861 il Regno d' Italia si configura come una delle maggiori nazioni d' Europa, almeno a livello di popolazione e di superficie (22 milioni su una superficie di 259.320 km2), non poteva considerarsi una grande potenza, a causa soprattutto della sua debolezza economica e politica. Le differenze economiche, sociali e culturali ereditate dal passato ostacolavano la costruzione di uno stato unitario. Accanto ad aree coinvolte in processi di rapida modernizzazione, esistevano situazioni statiche ed arcaiche, presenti soprattutto nell' economia agricola del Mezzogiorno. Ristrette erano le basi sociali su cui poggiava lo Stato. Nelle campagne la gran massa dei contadini era rimasta quasi del tutto estranea, in certi casi ostile, al Risorgimento. Nel Sud l' ostilita' esplose in una grande ribellione (brigantaggio) durata dal 1861 al 1865, che venne sfruttata dal partito borbonico e che spinse il Governo a una durissima repressione militare .

Il nuovo stato nacque su un' impronta centralistica, nella quale alla corona vennero lasciato ampi poteri in politica interna ed estera. Il ruolo del sovrano si esplico' ampiamente nel primo decennio, quando tutte le crisi di Governo furono risolte dal re, scavalcando le prerogative del Parlamento. Nelle mani della corona si concentravano alcune leve fondamentali del potere: l' esercito, la burocrazia, la giustizia, la corte e il Senato, i cui membri, a differenza dei deputati della Camera, non erano eletti ma di nomina regia.



GOVERNI DOPO L' UNITA'


Dal 1861 al 1876 al Governo furono nominati uomini della cosiddetta Destra storica, moderati e conservatori che si consideravano eredi politici di Cavour e che avviarono il processo di unificazione istituzionale del Paese. Il fiorentino Bettino Ricasoli, il bolognese Marco Minghetti e il piemontese Quintino Sella ne furono gli esponenti di maggiore spessore politico e intellettuale.


In campo economico l' obiettivo principale della Destra su di pareggiare il bilancio dello Stato. Il ministro delle Finanze, Sella, vi riusci' con una severa azione fiscale, che comporto' il ripristino dell' impopolare tassa sul macinato, tanto odiata da causare malcontento e rivolte; essa era infatti stata introdotta per la prima volta nel XVI secolo e sembrava definitivamente scomparsa. Ma vari ministeri, oltre al Sella, ne avevano chiesto la reintroduzione, approvata definitivamente nel 1869. In campo economico si attuarono misure per il libero scambio e fu dato avvio alla costruzione della rete ferroviaria nazionale.


Un parziale ricambio nella classe dirigente si verifico' a seguito delle elezioni del 1976, vinte dai candidati che appartenevano alla cosiddetta Sinistra storica. Si trattava di uno schieramento di notabilato borghese meno conservatore della Destra, perche' sosteneva la necessita' di moderate riforme e di un intervento dello Stato nell' economia a difesa dei ceti piu' deboli. I primi Governi della Sinistra, guidati da Agostino Depretis, introdussero l' istruzione elementare obbligatoria dai sei ai nove anni. Con la riforma elettorale del 1882 la Sinistra riusci' a ottenere anche un parziale allargamento del corpo elettorale, che fece salire da 600.000 a due milioni circa il numero degli italiani aventi diritto al voto: in questo modo i dritti politici furono estesi alla piccola borghesia, agli operai, ai contadini benestanti e ai piccoli proprietari terrieri.


Dal 1887 al 1896, salvo un' interruzione di due anni, fu presidente del Consiglio Francesco Crispi, il quale avvio' un' opera di adeguamento dello stato alle nuove realta' sociali ed economiche, con il varo del codice sanitario, della riforma degli enti locali e del codice penale (che dal suo estensore prese il nome di codice Zanardelli, 1890). Crispi pratico' una politica estera che, imitando le scelte imperialistiche delle grandi potenze, si tradusse nella conquista dell' Eritrea. Ma la sconfitta subita dall' esercito italiano ad Adua nel 1896 blocco' l' espansionismo coloniale italiano e provoco' le dimissioni di Crispi.



STATUTO ALBERTINO


Carta costituzionale emanata dal re di Sardegna Carlo Alberto il 4 marzo 1848 e rimasta in vigore come legge fondamentale del Regno d' Italia fino al 1° gennaio 1948.


Espressione della volonta' del sovrano, lo Statuto albertino si componeva di 81 articoli, 22 dei quali erano riservati a definire le prerogative del re, al quale era attribuito il potere esecutivo, la normale sovrintendenza del potere giudiziario, la partecipazione al potere legislativo condiviso con il Parlamento. Il sistema di rappresentanza era bicamerale: il Senato era composto da membri nominati a vita dal re; alla Camera dei deputati accedevano i rappresentanti della nazione votati in base a una legge elettorale che non era inclusa nello Statuto. Erano garantiti i diritti fondamentali dei cittadini (liberta' individuale, di stampa, di riunione, di culto religioso) e l' inviolabilita' della proprieta' individuale. Il cattolicesimo era dichiarato ''sola religione dello stato'', ma le altre confessioni erano ammesse. Non essendo una Costituzione rigida, in quanto poteva essere modificata attraverso la normale procedura parlamentare, lo Statuto albertino si adatto' ai mutamenti sociali e istituzionali che derivarono sia dall' unificazione dell' Italia, sia dall' estensione del diritto di voto, sia dal passaggio nel 1922 dallo stato liberale a quello fascista.




UN PAESE DIVISO. POVERTA', ANALFABETISMO, MALATTIE: L' ITALIA ''REALE'' DOPO L' UNITA'.


Problemi. Nel 1861 la popolazione del regno superava di poco di 25 milioni; la citta' maggiore, Napoli, contava 429.000 abitanti, mentre Palermo, Milano e Torino avevano meno di 200.000 residenti.

In Italia, quindi, non si era ancora verificata la grande crescita urbana caratteristica dei Paesi industrializzati, e la maggior parte della popolazione viveva in piccoli centri o in case sparse per la campagna. Nel secondo Ottocento l' Italia era dunque un Paese essenzialmente agricolo: il 70% circa degli individui attivi era appunto impegnato nell' agricoltura, mentre solo il 18% lavorava nell' industria.

Contadini, operai o piccoli artigiani, i lavoratori italiani erano comunque accomunati da un' estrema miseria. Privi in molti casi di un' alimentazione adeguata e costretti, soprattutto nelle citta', a vivere in condizioni igieniche precarie, essi venivano frequentemente colpiti da gravi malattie come il colera, la malaria o la pellagra. La mortalita' della popolazione era ancora molto elevata, specie quella infantile.




Al degrado dovuto alla poverta', si aggiungeva poi una diffusa ignoranza: piu' del 75% degli italiani era completamente analfabeta.


Con lo Stato italiano nasce anche la ''questione meridionale''. Nell' Italia dei contadini e delle parlate regionali, la divisione piu' netta era comunque quella che correva fra il nord e il sud del Paese. Questa spaccatura, in realta', era sempre esistita: il nord aveva conosciuto i liberi comuni, il sud no; il nord era ricco di citta', il sud era una terra di piccole borgate agricole; nel nord si sviluppavano traffici e manifatture, mentre nel sud dominava il latifondo. Non solo: erano stati soprattutto i patrioti del centro-nord a battersi per l' unita', mentre i poveri contadini meridionali, affamai di terra, avevano visto sfumare le speranze di riscatto sociale nutrire in occasione della spedizione garibaldina. Laddove avevano cercato di unire alla lotta per l' unita' d' Italia quella per una maggiore giustizia sociale, infatti, erano stati duramente messi a tacere dall' esercito garibaldino. Per i contadini del sud lo stato italiano rappresentava solo un nuovo cumulo di imposizioni: fra queste una delle piu' avversate era l' obbligo del servizio militare, che toglieva braccia preziose al lavoro nei campi. Fu quindi facile, per i numerosi gruppi filoborbonici e clericali rimasti nel sud, sfruttare il malcontento popolare e aizzare le masse contadine contro il nuovo regno, facendo scoppiare una vera e propria guerra civile che vide lo scontro fra l' esercito italiano e numerose bande di contadini ribelli.



TANTE ITALIE DIVISE DA LINGUE,ABITUDINI, TRADIZIONI



Sul territorio italiano convivevano culture, abitudini di vita, tradizioni, persino lingue (dialetti) profondamente diverse, e gli italiani non avevano alcun interesse a perdere queste identita' locali.Per la maggior parte di loro lo stato unitario rappresentava ,infatti, un'entita' astratta,priva di riscontro reale nella vita di tutti i giorni, che da tempi immemorabili si svolgeva nel limitato orizzonte di una piccola citta' o di un borgo rurale.

Il sistema dei trasporti non agevolava certo l' unificazione del paese: le strade erano poche e in pessime condizioni; le ferrovie erano ancora scarse, soprattutto nel meridione,e non collegavano fra loro i diversi stati da cui l'Italia era stata composta fino sino 1861







BRIGANTAGGIO MERIDIONALE:


Fenomeno politico-sociale diffuso nelle campagne del Mezzogiorno all' indomani dell' Unita' Italia, che associo' le forme tradizionali del ribellismo contadino ad una violenta protesta contro lo stato italiano, appena costituito, favorita dall' appoggio dei Borbone e del governo pontificio.


Il brigantaggio mise radici sulle condizioni materiali e morali in cui vivevano le popolazioni del Meridione ed esplose contro lo stato unitario, che aveva imposto misure amministrative e fiscali considerate esose e punitive. La dissoluzione dell' esercito borbonico, che reclutava truppe tra i contadini poveri, l' abolizione dei vantaggi dell' ordinamento feudale per i contadini, lì introduzione della leva obbligatoria furono alcune delle regioni che scatenarono il brigantaggio.


Le bande di briganti colpirono con attacchi e imboscate i soldati e le forze di polizia, assassinando chi si era espresso a favore dello stato italiano e commettendo atti di brutale violenza. La risposta del Governo fu prevalentemente repressiva: fu inviato un ingente corpo di spedizione al comando del generale Enrico Cialdini e quindi del generale Alfonso La Marmora, e furono emanate leggi eccezionali (legge Pica del 1863) sotto la giurisdizione dei tribunali militari. Vennero comminate oltre 7.000 condanne a morte e uccisi piu' di 5.000 banditi; diversi paesi che avevano solidarizzato con i briganti furono incendiati.



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