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Il monumento a Corridoni




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Il monumento a Corridoni


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Il monumento a Corridoni


Nel 1925 cominciarono le prime inaugurazioni di opere pubbliche attribuibili al regime o comunque all'opera conclusiva del fascismo, come l'acquedotto di Sterpeto (Bedonia) «con apposizione Fascio Littorio su nuova opera . Cominciarono anche gli omaggi alla famiglia Mussolini: in Oltretorrente si riaprì l'asilo notturno e il prefetto riferiva:

«è stata inaugurata sala intitolata S.M. il Re e quella femminile con lettino dedicato signorina Edda Mussolini [.], musica suonava inno reale e giovinezza» . E cominciò ad essere introdotto il saluto romano negli uffici pubblici .

Ma il 1925 fu anche un anno d'inaugurazione di monumenti che commemoravano la guerra mondiale. Un movimento per la costruzione dei monumenti ai caduti della prima guerra mondiale era iniziato con difficoltà nel 1919-1920, per i contrasti ancora accesi sul valore della guerra italiana. Aveva poi subito un'accelerazione man mano che la sinistra neutralista o rivoluzionaria perdeva peso, ed erano cominciate le prime inaugurazioni di monumenti, che nel giro di un ornarono tutti i comuni della provincia e spesso anche le frazioni dei comuni. Nel 1925 furono inaugurati i monumenti ai caduti di Mezzani, di Collecchio dal generale Ugo Cavallero, di Colorno, di San Nicomede (Salsomaggiore) dalla

regina e di Borgo San Donnino dal re Vittorio Emanuele III .

Ma nel 1925 l'evento più appariscente fu appunto l'inizio della costruzione del

monumento a Filippo Corridoni. La costruzione del monumento aveva significati nazionali e locali. Nazionalmente, rappresentava una nuova e importante sanzione dell'interpretazione di Filippo Corridoni quale precursore del fascismo e simbolo dell'innesto e del congiungimento fra movimento operaio e nazione che il fascismo riteneva appunto di avere realizzato. Localmente, per il luogo ove si scelse di collocarlo, all'ingresso dell'Oltretorrente, in piazza Corridoni già piazza della Rocchetta, aveva ulteriori significati: sembrava l'offerta di un patto di pacificazione dei fascisti con l'Oltretorrente ribelle e

sovversivo dopo le barricate del 192 , ma anche e forse soprattutto un monumento

costituito per ricordare l'Oltretorrente interventista del 1914-1915 e per rimarcare la volontà del fascismo di assumere la rappresentanza integrale delle classi popolari.

In età giolittiana, Filippo Corridoni (1887-1915) fu, com'è noto, uno dei maggiori esponenti del sindacalismo rivoluzionario italiano, soprattutto come organizzatore operaio. A

Parma, la «Mecca del sindacalismo rivoluzionario» (la definizione è di Angelo Tasca) per la presenza di una Camera del Lavoro che raccoglieva circa un terzo delle forze sindacaliste italiane, egli era ben conosciuto. Nel 1908 partecipò al grandioso sciopero agrario parmense sotto lo pseudonimo di Leo Celvisio e nel 1913 contribuì alla campagna elettorale di Alceste De Ambris, candidato "di protesta" nel collegio elettorale di Parma Sud, che portò in parlamento il «condottiero apuano». Corridoni fu inoltre fra i maggiori protagonisti dell'interventismo italiano nella sua componente rivoluzionaria e fu altresì piuttosto presente a Parma nella campagna per l'intervento in guerra dell'Italia, con diverse conferenze e comizi. Volontario in guerra nonostante la tisi che lo affliggeva, morì sul Carso per una ferita d'arma da fuoco nemica, nella Trincea delle Frasche.

Dopo la sua morte, avvenuta nell'ottobre 1915, divenne in breve tempo un mito fuori di Parma e soprattutto a Parma assurgendo a simbolo, per i sindacalisti, dell'avvenuta conciliazione fra movimento operaio e nazione. Alla notizia della morte, i suoi compagni di fede parmensi vollero immediatamente dedicargli una lapide, con un'epigrafe del poeta Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, che fu murata nella sede della Camera del Lavoro sindacalista, e soprattutto l'intitolazione di una strada, nel gennaio 1916. Così si inaugurò Via Corridoni, già Borgo Minelli, ove Corridoni aveva soggiornato nel 1908: il borgo dell'Oltretorrente che, per il ribellismo che lo pervadeva e per le sommosse urbane di cui era stato uno dei protagonisti, era popolarmente denominato Forte di Makallè.

Già nel 1915 i sindacalisti parmensi avevano iniziato a raccogliere una sottoscrizione

in denaro per un monumento a Corridoni che sarebbe dovuto sorgere a Milano: nel 1919, venuta meno la prospettiva milanese, s'iniziò a lavorare da parte d'interventisti, di volontari di guerra, di sindacalisti rivoluzionari perché il monumento fosse eretto a Parma e a tale scopo la somma raccolta fu dirottata.

Nel dopoguerra, peraltro, si aprì a Parma una lotta intensa per l'eredità morale e politica di Corridoni fra sindacalisti rivoluzionari, che si ritenevano i legittimi eredi, repubblicani, che gli intitolarono il circolo di Fidenza, fascisti, che gli dedicarono una delle prime squadre d'azione, e persino comunisti, che gli intestarono una cellula.

Tuttavia, furono soprattutto i sindacalisti a farne un emblema, promuovendone ogni anno sino al 1924 la commemorazione (nel «biennio rosso» fu diverse volte contestata dai socialisti massimalisti, con una qualche violenza) della ricorrenza della morte, spesso con la presenza della madre, Enrichetta, del padre e dei famigliari. Nel 1923, il questore la vietò e contemporaneamente, invece, consentì che la celebrassero i sindacati fascisti.

Nell'estate del 1923 il quotidiano «Il Piccolo» rilanciò la proposta di un monumento

cui aderirono immediatamente i sindacalisti rivoluzionari e l'Associazione Nazionale Combattenti, la più importante associazione di reduci, ma dopo la marcia su Roma il fascismo aveva cominciato a impadronirsi della proposta, sicché nello stesso periodo i fascisti raffazzonarono una commissione provvisoria per il monumento.

Agli inizi del 1924 si formò infine ufficialmente il Comitato parmense per il monumento a Filippo Corridoni, che cominciò a rendere operativo il proposito, lanciando

una sottoscrizione. Nel Comitato la presenza dei fascisti era massiccia e tuttavia è da rimarcare anche la presenza, sebbene minoritaria, di antifascisti già interventisti: il presidente del comitato d'onore era, infatti, Ildebrando Cocconi, mentre del comitato esecutivo era presidente Giuseppe Compiani e segretario generale Gino Guardoli (due sindacalisti rivoluzionari passati al fascismo), ma al suo interno erano anche lo stesso Cocconi e Tullio Masotti, il sindacalista rivoluzionario divenuto socialista riformista e direttore de' «Il Piccolo».

Il progetto del monumento fu affidato all'architetto Mario Monguidi e in seguito l'esecuzione della statua e degli altorilievi allo scultore Alessandro Marzaroli.

Il monumento fu finanziato dal governo, dalla locale Cassa di Risparmio e da altre banche cittadine: la sottoscrizione popolare invece fu un insuccesso, sebbene Mussolini in

persona avesse offerto mille lire.

Gli antifascisti cercarono di contrastare la cerimonia d'inaugurazione, ma le retate di

antifascisti operate dalla polizia (soprattutto comunisti, ma anche socialisti e repubblicani)

del settembre e ottobre 1925 stroncarono sul nascere la protesta contro il monumento.


I comunisti diffusero tuttavia un volantino a stampa in cui si scriveva:


prossimamente in occasione della venuta del Duce a Parma, i fascisti si sforzeranno, con buffonesche parate coreografiche, di dimostrare che nella nostra provincia il fascismo gode della simpatia e del consenso fra le masse. Ma noi sappiamo come si preparano queste accoglienze al Duce. Ne sanno qualcosa anche gli esercenti locali che si vedono obbligati a contribuire alla raccolta dei fondi necessari per lo spreco in sbandieramenti ipocriti, illuminazioni, banchetti e altro. Ora questa manifesta ostilità dei lavoratori parmensi contro i fascisti manda in furia i servi fedeli della borghesia ladra e sfruttatrice. Ed ecco la reazione. Ed ecco gli arresti in massa, le persecuzioni contro i militi più fedeli della causa

proletaria


E, secondo un rapporto coevo del prefetto, risultava che il deputato comunista Guido Picelli e l'Esecutivo del Partito Comunista d'Italia «avrebbero stabilito di promuovere manifestazione allo scopo di ostacolare la venuta a Parma di S. E. il Presidente del Consiglio .


Dopo la giornata dell'inaugurazione, si mosse anche l'antifascismo democratico, che stampò alla macchia un opuscolo da diffondersi in circa duemila copie, dal titolo La visita di Mussolini a Parma. Come si organizza l'Enorme Consenso, ma l'opuscolo fu sequestrato dalla polizia.


Il 23 ottobre 1925 si festeggiò la cerimonia d'inizio dei lavori per il monumento a

Filippo Corridoni, cerimonia che ebbe protagonista Benito Mussolini.

Accolto alla stazione ferroviaria da un imponente schieramento di fascisti, di

reggimenti dell'esercito, d'istituzioni e di autorità e protetto da un massiccio impiego forza pubblica , Mussolini si fermò al buffet condotto dalla sezione di Parma dell'Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi di Guerra, ove prese un vermouth e ascoltò un indirizzo di saluto del presidente dell'associazione, Giuseppe Balestrazzi. Uscito nel piazzale, dopo

avere ammirato il lancio di quattromila piccioni viaggiatori offerto dalle società colombofile parmensi, si recò in piazza della Rocchetta, che da circa un anno era stata denominata piazza Filippo Corridoni. Qui tenne un breve discorso, ricordando la figura dell'organizzatore sindacalista e sottolineando le benemerenze della Parma interventista del 1915:


Noi onoriamo in lui l'amico delle classi umili, laboriose - un amico ardente e disinteressato - onoriamo inoltre l'interventista della vigilia, che comprese la guerra come uno strappo alla soluzione di continuità di una politica miserabile e vile. Noi onoriamo l'intrepido volontario, l'intrepido fante del carso che balza sulla trincea conquistata e muore gridando Viva l'Italia". . È giusto che a Parma sorga il monumento a Filippo Corridoni, perché egli era cittadino di Parma, perché Parma e voglio renderle questo mio esplicito onore categorico di fronte all'Italia) nei mesi grigi della neutralità torbida dell'attesa fu la sola città italiana, la quale mostrò il prodigio di un popolo lavoratore che voleva la guerra.


Consegnò alla madre Enrichetta la medaglia d'oro alla memoria dell'«eroico tribuno» e pose la prima pietra del monumento, che copriva una pergamena da lui firmata a ricordo dell'evento. Poi, durante la sua permanenza in città, visitò la Scuola di Applicazione di Fanteria nel giardino ducale e il Reggimento di cavalleria Novara e passò in rassegna la 74° e l'80° legione della milizia e le rappresentanze delle scuole e delle associazioni patriottiche. Partecipò allo scoprimento della lapide ai caduti fascisti e visitò il Palazzo delle Corporazioni, ove tenne un discorso dedicato soprattutto ai caratteri e al significato del sindacalismo fascista, elogiando il segretario generale Alcide Aimi con parole che suonavano anche ammonimento nei confronti del turbolento fascismo parmense: «voglio esprimere la mia simpatia al capo del Sindacalismo della vostra Provincia Alcide Aimi che conosco da anni e considero come uno dei migliori fascisti d'Italia perché appartiene a quella categoria di quegli Italiani che io voglio creare per amore o per forza, i quali obbediscono in silenzio e lavorano con disciplina».

Dopo aver visitato la Casa del Fascio entrò in Prefettura, davanti alla quale

stazionava una folla di fascisti a cui rivolse poche parole, e pranzò. Alle quindici e trenta una nuova affollata dimostrazione di fascisti (dodicimila, secondo la stima della «Gazzetta di Parma») provocò il suo terzo discorso parmense, riservato all'illustrazione della comunione e della consonanza fra duce e popolo italiano e ai successi del fascismo nei confronti delle opposizioni aventiniane: alle diciassette circa partì da Parma in automobile.

Tuttavia, fra la posa della prima pietra e l'inaugurazione autentica del monumento

passarono circa due anni. La sottoscrizione per costruire il monumento stentò a raccogliere la cifra necessaria e più volte il segretario amministrativo del Partito Nazionale Fascista Giovanni Marinelli, per raggiungere l'importo necessario, erogò consistenti somme al Gruppo Rionale fascista "Filippo Corridoni", che aveva competenza territoriale sull'Oltretorrente. Infine, nel 1927 fu inaugurata la scultura commemorativa, con una cerimonia minore rispetto alla posa della prima pietra.

Mussolini aveva spostato l'annuario della marcia su Roma, che cadeva il venerdì 28 ottobre, alla domenica 30 ottobre. Sicché il monumento fu inaugurato all'interno delle manifestazioni per la ricorrenza, che in quella giornata prevedevano anche l'inaugurazione di nuove sale del Museo di Antichità, di un tratto del nuovo Lungo Parma, dell'erma a Paolo Toschi, delle case popolari dell'Ente Autonomo, di una lapide alle scuole Angelo Mazza per commemorare il discorso interventista ivi tenuto da Mussolini nel dicembre 1914 e l'apertura del ponte "Pio Costa" a Langhirano. Come oratore principale, parlò Edmondo Rossoni, l'ex sindacalista rivoluzionario, poi leader del sindacalismo fascista. Ancora una volta il Partito Comunista d'Italia provò a contestare simbolicamente l'inaugurazione: nella notte fra il 29 e il 30 ottobre 1927 si rinvennero due bandiere rosse con falce e martello, in una finestra della Chiesa di Ognissanti e in Borgo Corridoni.

Così descriveva il «Corriere Emiliano», quotidiano fascista, il complesso

architettonico e scultorio:


Il monumento al grande Tribuno è dell'altezza di circa tredici metri, e posa su una base di gradini di porfido. Sui gradini si erge la prima parte del monumento: un blocco quadrato raffigurante la trincea e consacrato alla lotta ininterrotta del barricadiero e del soldato. Quattro fanti fusi nel masso e sorgenti dal solco, e quattro teste di aquila negli spigoli completano questo basamento. Da esso si innalza una stele bianca, in contrasto col colore scuro della parte inferiore. Sui fianchi della stele sono scolpiti quattro altorilievi: la fede, l'amore, la povertà e la vampa rivoluzionaria, le quattro magnifiche doti dell'eroe. ] La parte superiore della stele in marmi di vari colori regge la bronzea statua alta m. 0 del fante in piedi in atto di rovesciarsi, colpito in fronte: con le braccia allargate a guisa di crocefisso, così come Corridoni cadde nella Trincea delle Frasche122.


Qua e là, nella giornata, oltre alle ormai tipiche mobilitazioni delle parate fasciste, si coglievano alcune curiosità. Quattromila bambini delle scuole primarie e secondarie sfilarono davanti al monumento e il fotografo Luigi Vaghi, proprietario del maggiore studio fotografico di Parma, espose in piazza della Pilotta un grande ritratto del Duce che si estendeva su trenta metri quadrati di superficie: «può a ragione definirsi il più grande ritratto

del più grande Uomo del mondo», scrisse senza alcuna ironia il «Corriere Emiliano .






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