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Il sistema di rilevazione, registro e operazione. Sensi, immaginazione, memoria, coscienza.




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Il sistema di rilevazione, registro e operazione. Sensi, immaginazione, memoria, coscienza.


Le tre vie esperienziali che abbiamo menzionato all'inizio (la sensazione, l'immagine e il ricordo) dovranno essere studiate con più attenzione.

Senza sensazione non c'è dolore, non c'è piacere. Bisogna che l'immaginazione sia registrata. Senza questo registro non possiamo parlare d'immaginazione. Se registriamo il lavoro dell'immaginazione è perché essa arriva al punto di registro come sensazione. Anche il dolore si fa strada attraverso la memoria. Il registro di questo dolore che si fa strada dalla memoria è possibile grazie al fatto che la memoria si esprime come sensazione. Che si tratti d'immaginazione o di memoria, tutto è rilevato come sensazione. Il dolore non è nell'immaginazione, il dolore non è nella memoria, il dolore è nella sensazione cui si riduce ogni impulso. Si ha memoria di qualcosa perché si registra quel fatto; si immagina qualcosa perché si registra quel fatto. Perciò è quel registro, quella sensazione a darci informazione su ciò che si memorizza, su ciò che si immagina. È chiaro che per non confondere le cose dobbiamo operare una distinzione tra la sensazione propriamente detta (quella che proviene dai sensi) e altre sensazioni (che non provengono dai sensi), come quelle che provengono dalla memoria o dall'immaginazione. Queste ultime due non le chiameremo sensazione per non confondere la descrizione.

Ma, se riduciamo le cose ai loro elementi ultimi, possiamo verificare come un'immagine e un dato mnemonico arrivino a qualcosa che li registra come sensazione. Diciamo che si registra l'attività dei sensi, che si registra l'attività della memoria, che si registra l'attività dell'immaginazione. Nel dire "registro" operiamo distinzioni tra l'arrivo per una via e l'arrivo per un'altra e notiamo che esiste "qualcosa" che registra. Senza questo "qualcosa" che registra non possiamo parlare di ciò che è registrato, e ciò che registra deve avere anch'esso una sua costituzione. Sicuramente anche di esso avremo una sensazione. Stiamo parlando del registro dell'entità che registra; chiamiamo quest'entità "coscienza".

Quest'apparato che registra è in movimento come sono mobili anche le attività che esso registra: tuttavia ha una certa unità. A volte quest'apparato è identificato con l'io; ma l'io, a differenza della coscienza, non sembra essere costituito fin dall'inizio bensì si costituisce nel divenire dell'essere umano. D'altra parte, non si può parlare dell'io se non se ne stabiliscono i limiti e sembra che essi siano dati dalla sensazione del corpo. L'io deve costituirsi nell'essere umano nella misura in cui si costituisce l'insieme delle sensazioni del corpo; certamente la memoria è nel corpo, l'immaginazione è nel corpo, i sensi sono nel corpo e l'apparato di registro di tutto ciò è nel corpo e alle sensazioni del corpo è legato.

Poiché le sensazioni del corpo operano fin dalla nascita (e addirittura prima), sin dall'inizio comincia a costituirsi questa sensazione generale del corpo che alcuni identificano con l'io: ma in realtà si sta parlando della coscienza come apparato di registro. Diciamo che nella primissima infanzia, quasi al momento della nascita, l'io non funziona. Non si nasce con un io. L'identificazione con il proprio io si realizza a mano a mano che le sensazioni del corpo si codificano grazie all'apparato di memoria. Non c'è io senza memoria e la memoria non può funzionare se non ci sono dati. Tali dati iniziano ad organizzarsi via via che si sviluppa l'esperienza. Stiamo affermando che un bambino non ha un io. Un bambino può percepire un noi ma non sa se il proprio corpo inizia o termina in un oggetto. Un bambino non sa se lui è io o se sua madre è io. Questo io si articolerà per accumulazione d'esperienza.

Abbiamo affermato che tutti i fenomeni e processi psichici sono nel corpo: ma dov'è il corpo? Il corpo, per l' io che si è costituito, è fuori di lui e dentro di lui. Quali sono i limiti del corpo? I limiti del corpo hanno a che vedere con la sensazione. Ma, se la sensazione si estendesse più in là del corpo, quali sarebbero in questo caso i limiti del corpo? Questo ha una certa importanza perché, se come limite del corpo individuiamo il tatto esterno per esempio, il corpo termina dove termina il tatto esterno. Il corpo inizia lì dove si registrano sensazioni sulla pelle. Ma potrebbe succedere di non avere questo limite tattile, può darsi che la temperatura della pelle sia allo stesso livello termico dell'ambiente che la circonda; in questo caso non sapremmo esattamente quali siano i limiti del corpo, cioè fino a dove il corpo arriva. Conosciamo molte illusioni sensoriali e sappiamo che quando una persona si distende in modo rilassato e la temperatura ambientale è molto vicina alla temperatura della pelle si sperimenta la sensazione che il corpo diventi più grande; ciò non accade perché sta succedendo un fenomeno straordinario, al contrario, l'illusione di grandezza del corpo è data dall'assenza di limiti del corpo, assenza data dal fatto che la temperatura della pelle è la stessa dell'ambiente. Ecco dunque che la sensazione del proprio corpo si costituisce secondo il limite che si stabilisca per le sensazioni.

Abbiamo affermato che una delle vie del dolore è la via della sensazione e, nel parlare di sensazione, ci stiamo riferendo a ciò che si percepisce mediante determinati apparati di cui il corpo dispone. Vediamo. Ho la sensazione di un oggetto esterno. Però ho anche la sensazione di un dolore interno. Dov'è la sensazione di questo dolore interno? Sicuramente la registro nell'apparato di cui parlavamo all'inizio. Ma dov'è la sensazione? La sensazione sembra essere all'interno del mio corpo. E, quando vedo l'oggetto esterno, dov'è la sensazione? Anche in questo caso la sensazione è all'interno del mio corpo. E allora, che cosa fa sì che l'oggetto che è all'interno e quello che è all'esterno siano distinti? Sicuramente non è la sensazione, giacché sia la sensazione di ciò che succede all'esterno sia quella di ciò che succede all'interno è registrata al mio interno. Non posso registrare una sensazione esterna al mio corpo dall'esterno del mio corpo. Pur tuttavia sostengo che un oggetto che percepisco è all'esterno. Com'è possibile che io dica di un oggetto che percepisco che "sta fuori" e di un altro che "sta dentro" se in ogni caso il registro è sempre dentro? Deve esserci qualche funzionamento particolare della struttura che permetta di stabilire queste distinzioni.

Ricordo un lavoro che stavo effettuando: dove registro il ricordo di quest'evento? Lo registro al mio interno. Immagino un lavoro che effettuerò immediatamente o che effettuerò nel futuro: dove registro quello che farò? Lo registro al mio interno, sicuramente. Ma gli eventi che compaiono sul mio schermo di rappresentazione appaiono come "esterni". Sto ricordando, percependo o immaginando attività che sembrano avvenire fuori. La rappresentazione interna che ho di tutto ciò mi si presenta come se avvenisse nel mondo esterno.

Se ora osservo dove registro queste immagini (siano esse proprie dell'immaginazione o della memoria) vedo che le registro in una sorta di "schermo", in una sorta di "spazio" di rappresentazione: e questo spazio di rappresentazione è al mio interno. Se chiudo gli occhi e ricordo qualcosa osservo che ciò che ricordo appare su una specie di schermo, in uno spazio di rappresentazione. E dunque, che cosa sto facendo con tutto ciò che succede all'interno rispetto agli oggetti e agli eventi che succedono all'esterno? Sicuramente sto facendo qualcosa di diverso da ciò che succede all'esterno. Posso affermare che lo "rifletto", posso affermare che lo "traduco", posso dire ciò che voglio ma, in ogni caso, sto compiendo operazioni al mio interno che hanno qualche cosa a che vedere con fenomeni che non gli sono propri. Come tutta questa macchina funzioni sarà oggetto di studio approfondito.

In cosa possono differenziarsi una sensazione che attribuisco ad un oggetto appartenente al mondo esterno e una sensazione che attribuisco ad un oggetto del mondo interno? Alle sensazioni in se stesse o a determinati limiti che il corpo pone a tali mondi?

Dobbiamo riconoscere che esiste una certa relazione tra le sensazioni che ho del mondo esterno, i ricordi che ho del mondo esterno e l'immaginazione che ho del mondo esterno. Non possiamo affermare con leggerezza che tutto ciò sia illusione. Non è illusione, per la semplice ragione che, se penso ad un oggetto e poi mi muovo verso quell'oggetto e ho la sensazione di quell'oggetto, c'è qualcosa che concorda tra ciò che ho ricordato dell'oggetto, ciò che ho immaginato circa l'oggetto e ciò che ora dell'oggetto percepisco. È evidente che posso memorizzare l'oggetto in questione e poi aprire gli occhi e trovare l'oggetto davanti a me. Potranno variare più o meno le forme, i colori e le distanze, ma posso trovare tutto ciò davanti a me. Non solo: posso dire a qualcun altro che lì c'è un oggetto e questo qualcuno potrà rappresentarsi o trovare l'oggetto. Vale a dire che, deformata o no, qualche cosa concorda. È altrettanto chiaro che potrei, per esempio, essere daltonico, e percepire quell'oggetto, che è di un colore, come se fosse di un altro. Ecco dunque che, come c'è accordo tra tutte le varie funzioni, così può esistere anche un accordo tra illusioni. Per noi è importante capire come sia possibile che funzioni tanto eterogenee concordino, perché in un modo o nell'altro, di fatto, concordano e ciò avviene grazie a quell'apparato coordinatore ed elaboratore di tutti i vari e differenti dati. È evidente che tali segnali sono coordinati tra loro e che esiste una coscienza che li coordina. Tra le funzioni della coscienza appare l'io che registro come punto di decisione delle mie attività nel mondo esterno e di determinate attività che regolo volontariamente nel mio mondo interno. L'io è nel corpo, ma come sta nel corpo questo io? Sta nel corpo come una localizzazione fisica o s'è invece andato costituendo grazie ad una massa d'esperienza, una somma d'esperienza? O forse ancora questo io è una struttura articolata in base a segnali differenti che arrivano ad un punto determinato? Può darsi che questo io che coordina inizi a coordinare quando abbia a disposizione su una massa informativa critica, perché se questa massa non s'è ancora formata l'io non appare e il corpo stesso è confuso.

Studiamo ora punto per punto il tema delle sensazioni che si registrano all'esterno del corpo e all'interno del corpo.

Abbiamo uno schema in cui appare la struttura cui arrivano gli impulsi e dalla quale provengono le risposte. Gli impulsi che arrivano giungono ad un determinato apparato che li capta, e quest'apparato captatore d'impulsi è l'apparato dei sensi. Tale apparato censisce i dati del mondo esterno nonché di quello interno. I dati arrivano a quest'apparato ma inoltre percepisco che tali dati possono essere riattualizzati anche qualora non stiano arrivando in quel preciso momento. Dico perciò che i dati in questione, che arrivano a quel punto di registro, arrivano anche e simultaneamente ad un apparato che li immagazzina. Tali dati sono immagazzinati. Che si tratti di dati relativi all'ambiente esterno o che si tratti di dati relativi all'ambiente interno, tali dati in arrivo sono immagazzinati. Lì dove possiedo il registro di tali dati ho simultaneamente subito la registrazione degli stessi, il che mi pone in condizione di risalire, ora, a dati precedenti. Tutto ciò succede in presenza di sensi che hanno differenti localizzazioni fisiche e che si trovano in continuo movimento ma che hanno anche rapporti l'uno con l'altro e che non sono assolutamente divisi in compartimenti stagni. Ecco dunque che quando uno di essi capta qualcosa gli altri sensi subiscono modificazioni: se si percepisce attraverso o grazie agli occhi ciò avviene perché il senso legato all'occhio è in movimento (non semplicemente in movimento fisico, esterno, muscolare, atto a localizzare la fonte di luce), in azione. L'occhio non entra in attività solamente nel ricevere la luce. Il senso legato all'occhio è in movimento, è in attività e, quando gli arriva un impulso, in esso si produce una variazione. Tutti gli altri sensi sono anch'essi in attività, e quando l'occhio percepisce un fenomeno esterno ad esso anche negli altri sensi si produce una variazione del loro movimento.

Ciò che sta accadendo ai sensi esterni sta accadendo anche ai sensi interni. I sensi interni sono anch'essi in attività, cosicché può benissimo succedere che qualcuno con l'occhio stia percependo un oggetto e nel frattempo, internamente, stia percependo un mal di stomaco. Questo percepire l'oggetto con l'occhio e simultaneamente il mal di stomaco con i sensi interni fa sì che tale informazione arrivi simultaneamente alla memoria. Facciamo un esempio: arrivo in una città e tutto inizia ad andarmi male. Quando poi ricorderò quella città, che cosa ne dirò? Dirò che "è una città maledetta". E perché dirò che è una città maledetta? Perché in quella città tutto mi è andato storto. Ma da che cosa deriva il fatto che "tutto mi è andato storto"? Dipende solo dalle percezioni che ho avuto o da una quantità di situazioni in cui mi sono trovato, una quantità di registri d'altra natura che non sono quelli percettivi esterni? Non c'è dubbio che siano intervenuti altri registri, altre sensazioni interne. Sicuramente questo succede con tutto, non solo con quella città sgradevole. Sembra proprio che quando io registro qualcosa lo imprima in memoria e che se lo registro simultaneamente ai dati d'altri sensi lo imprima in memoria in modo ugualmente simultaneo. Sembra che si ricevano continuamente informazioni da tutti i sensi e che si stia continuamente incidendo tutta quest'informazione, e sembra anche che quest'informazione proveniente da un senso sia poi condizionata ed agganciata all'informazione proveniente da un altro senso.

A volte, quando l'olfatto capta determinate fragranze, la memoria evoca situazioni visive complete: ma che cosa ha a che vedere l'olfatto con tutte queste sensazioni visive? È ovvio che i sensi sono tutti incatenati l'uno all'altro. A volte quando un senso entra in azione gli altri sensi abbassano il proprio livello d'attività. Quando tutti i sensi sono sottoposti ad una sorta di bombardamento sorge un problema per il registro, ma quando si concentra l'attenzione (vedremo presto che cosa s'intenda con "attenzione") su un senso ecco che gli altri sensi tendono ad acquietarsi. È come se tutti i sensi impegnati a "scansionare" stessero facendo rumore e stessero allertando quell'io. Come se tutti i sensi fossero a caccia. Allora, quando un segnale arriva a un senso, tutti gli altri tendono ad acquietarsi. I sensi, anche qualora non percepiscano alcun dato esterno, sono in movimento e producono un rumore che gli è proprio, fornendo informazioni su se stessi. C'è un rumore di fondo che s'abbassa nella misura in cui i sensi si specializzano in una determinata fascia di percezione.

E la memoria che cosa fa? Prende dati dai sensi e prende dati anche dalle operazioni di quell'apparato di registro. Io ricordo, per esempio, le operazioni mentali che ho compiuto: innanzi tutto possiedo la sensazione delle operazioni mentali stesse, posso parlare delle mie operazioni mentali perché ne conservo la sensazione. Conservo la sensazione delle mie operazioni e si tratta di sensazioni interne, sensazioni quali il mal di stomaco. Stiamo prendendo determinate precauzioni e stiamo mettendo in discussione determinate posizioni che circolano qua e là, posizioni che affermano che le operazioni mentali non abbiano a che vedere con il corpo, perché il corpo ha a che vedere con le operazioni dell'apparato digestivo o con quel che gli occhi percepiscono, e quando si parla di cose dello "spirito", ebbene, queste cose non vanno messe in rapporto col corpo (?). Stiamo discutendo con chi suppone che esista uno spirito che non abbia a che vedere col corpo. Ma, se c'è uno spirito che non ha a che vedere con il corpo ed è questo a portare a termine tali operazioni, allora chi è che registra queste operazioni? E dove si registrano queste operazioni? E poi, come le si evoca? Se si parla di uno spirito è perché ho un registro di tale spirito, è perché qualche cosa può essere impressionato da tale spirito. E, se non ho sensazione di tale spirito, allora non posso parlarne.

Altri pensano che l'apparato psichico sia una somma di sensazioni, come se non esistessero altri apparati complicati e delicati che coordinassero tali sensazioni, che le facessero funzionare in struttura. Anche con questi, a suo tempo, abbiamo discusso, con coloro i quali credevano che le attività della mente fossero una semplice somma di sensazioni. È molto diverso affermare che ho sensazioni del lavoro dei sensi, della memoria e dell'immaginazione e affermare che esse siano una sensazione. Esistono distinzioni ed esistono funzioni estremamente diverse svolte dagli apparati di senso e dagli apparati di rappresentazione. Ecco dunque che questo pensiero rozzo, sensualista, non è esattamente quello che condividiamo. Né condividiamo l'altro pensiero, peraltro radicato, che parla dello "spirito" come se esistesse un'entità che nulla avesse a che spartire con i registri o con le sensazioni. C'è chi parla della mente, del dolore della mente, perché il dolore del corpo non ha nulla a che vedere con loro. Ma questo dolore della mente, come lo si sperimenta? Si sperimenta nello spirito, dicono, così come è nello spirito che si sperimentano le sensazioni artistiche. Ma chi è questo cavaliere (lo "spirito") che porta a termine tante operazioni fuori del corpo, e come faccio io ad avere i dati relativi a questo cavaliere?

Per "apparati" intendiamo la struttura dei sensi, la struttura della memoria e la struttura della coscienza con i differenti relativi livelli. Questi apparati lavorano in modo integrato e la connessione esistente tra loro si effettua mediante impulsi che, a loro volta, subiscono distribuzioni, traduzioni e trasformazioni.


  • Sensi

L'apparato dei sensi ha origine nel tatto primitivo che progressivamente si è specializzato. I sensi chimici (gusto e olfatto) lavorano con particelle che producono determinate trasformazioni chimiche e come risultato consegnano il dato. C'è poi il senso meccanico (tatto), che funziona per pressione e temperatura. I sensi interni, cenestesia e cinestesia, a volte funzionano chimicamente e a volte meccanicamente. Si possiede il registro di ciò che accade nell'intracorpo anche per pressione, temperatura e trasformazioni e reazioni chimiche. Consideriamo i sensi dell'udito e della vista come sensi fisici; l'udito funziona per percussione mentre la vista riceve fisicamente un'azione vibratoria.

Nei sensi interni quello cenestesico fornisce l'informazione dell'intracorpo. Sappiamo che esistono numerosi organuli numerosi piccoli organi dell'intracorpo, che prelevano dati chimici, dati termici, dati relativi alla pressione. Anche la captazione del dolore gioca un ruolo importante. Quasi tutti i sensi, quando arrivano a un certo punto di tolleranza, ci danno un registro di dolore. Si potrebbe pensare che esista un piccolo apparato specializzato nella captazione del dolore, ma la realtà è che tutti i sensi, quando raggiungono un certo punto di tolleranza, ci provocano sensazioni dolorose. Sono queste sensazioni a mettere immediatamente in moto un'attività della struttura tesa a provocare il rifiuto, l'eliminazione di queste sensazioni intollerabili. Così che la sensazione che si capta in uno dei sensi è immediatamente legata all'attività di rifiuto di ciò che è doloroso: il lavoro dei centri è captato cenestesicamente, internamente, così come accade per i diversi livelli di lavoro della coscienza. Si può anche sperimentare la sensazione del sonno, la sensazione della stanchezza. La cenestesia è un senso estremamente importante, cui non si è prestata la dovuta attenzione: è il senso interno, specializzato in seguito tra cinestesia e cenestesia. Quando il livello di lavoro dello stato di veglia si abbassa, quando si abbassa il livello di coscienza, questo senso interno aumenta la propria emissione di impulsi.

Siccome i sensi lavorano in dinamica e in struttura, ne consegue che sono tutti in ricerca, che sono tutti intenti a scansionare generando nell'informazione un rumore di fondo. Ma quando una persona dorme e chiude le palpebre non per questo il contatto con il mondo esterno scompare completamente: solo che il rumore di fondo diminuisce considerevolmente e cresce l'informazione dei sensi interni, in misura direttamente proporzionale al diminuire dell'informazione proveniente dal mondo esterno. Non possiamo affermare con esattezza se sono gli impulsi interni che aumentano quando scende il livello di coscienza o se accade che quando diminuisce il livello della coscienza diminuisce anche il lavoro dei sensi esterni, ma quel che risulta comunque evidente è il lavoro dei sensi interni. Quando il livello di coscienza scende gli impulsi del mondo interno si manifestano con maggior intensità.

Questi sensi interni non sono localizzati nel volto, come quasi tutti gli altri, né sono localizzati precisamente né li si può individuare con precisione. Essi pervadono tutto e somministrano i loro dati senza che da parte nostra ci sia alcun atto di volontà. Si può, per esempio, chiudere gli occhi e far sì che la percezione che stava per arrivare agli occhi sparisca o si può orientare lo sguardo in una direzione o in un'altra, mentre con i sensi interni non si può fare la stessa cosa. Si può prestare maggior attenzione a determinate sensazioni interne, ma non possiamo intervenire sugli apparati sensoriali interni in questione né li possiamo chiudere. Ecco dunque che, da una parte, sono caratterizzati dall'assenza di una localizzazione precisa e dall'altra sono privi di movimento, non li si può cioè orientare come accade invece per gli altri sensi. Tra i sensi interni distinguiamo il senso cinestesico, del quale abbiamo detto che fornisce dati relativi ai movimenti, alle posture corporee, all'equilibrio e al disequilibrio fisico.

Abbiamo quindi questo insieme di apparati in dinamica che ci forniscono dati relativi al mondo esterno e al mondo interno. Le impronte di questa informazione, interna ed esterna, insieme alle impronte delle stesse operazioni della coscienza nei suoi differenti livelli di lavoro, vanno a depositarsi nell'apparato della memoria.

La struttura psichica (la coscienza) procede a coordinare i dati dei sensi e quelli impressi in memoria.

Come abbiamo già spiegato il dato non si limita ad arrivare ad un apparato che lo percepisce e che è inattivo, al contrario: il dato arriva ad un apparato che è in movimento. Questo dato, che arriva all'apparato che è in movimento, configura la percezione, cosicché la sensazione è sì un atomo teorico, ma in realtà quel che accade è il dato che arriva ad un senso che è in movimento, configurato e strutturato. A tutto ciò attribuiamo il nome di "percezione", ossia alla sensazione più l'attività del senso. Il registro, dunque, è una strutturazione che il senso compie con il dato, non semplicemente il dato.


Caratteristiche comuni a tutti i sensi


a) Tutti compiono attività d'astrazione e strutturazione degli stimoli, ciascuno secondo le proprie attitudini. Stiamo affermando che il senso elimina molti dati che gli arrivano e ne configura altri che non gli arrivano. Prendendo in esame alcuni esempi relativi alla percezione dell'occhio della rana, ricorderete come quest'animaletto avesse la percezione di un altro essere vivente di fronte a sé unicamente quando gli appariva una determinata forma (curva e bombata) purché tale forma, inoltre, fosse in movimento: se non era quella la forma, ma era in movimento, o viceversa, nell'apparato di captazione di quell'animaletto non si produceva alcun registro. Se ricorderete questo capirete a che cosa ci si stia riferendo quando si parla dell'astrazione operata dal senso e, ancora, della strutturazione che il senso compie. È da questa strutturazione di dati diversi che nasce la percezione.


b) Tutti i sensi sono in continua attività. Sono come radar che scansionano fasce differenti, cosa di cui pure esistono prove sperimentali.


a)     Tutti lavorano in una fascia, con un tono particolare che deve essere alterato dallo stimolo. Vale a dire che ciascun senso è in movimento in un determinato tono. Quando nasce la percezione è perché il tono di quel senso è stato portato ad un cambiamento. Ricorderete gli esperimenti compiuti sul nervo ottico della rana, che aveva una frequenza sempre pari a un impulso per secondo e che, quando gli arrivava uno stimolo nervoso, iniziava a raggiungere una frequenza molto più veloce. Il senso era in movimento. Perché si produca la percezione è necessario che lo stimolo compaia all'interno di soglie sensoriali. Il senso sta pulsando, ma se lo stimolo che gli arriva non ha sufficiente energia non è percepito. Se supera la soglia di tolleranza non è percepito come sensazione o percezione di quel determinato senso bensì come dolore. Tali soglie possiedono mobilità; le soglie inoltre si espandono o si restringono. Ecco dunque che, normalmente, quando determinate attività interna, quale quella dell'attenzione, si riferiscono a un senso, la loro soglia tende ad espandersi e le soglie degli altri sensi tendono a contrarsi. Quando i sensi interni sono in piena attività, ampliando le proprie fasce di percezione, i sensi esterni tendono a ridurre le proprie fasce. Quando l'attenzione è messa sui sensi esterni ecco che le fasce, le soglie di percezione interna tendono a contrarsi. Perciò, affinché ci sia percezione, è necessario che lo stimolo compia all'interno di soglie sensoriali: una soglia minima, al di sotto della quale non si percepisce, e una soglia di tolleranza massima, che qualora sia superata produce irritazione sensoriale o saturazione, in altre parole ciò che definiamo genericamente come "dolore". Nel caso in cui ci sia un rumore di fondo proveniente dallo stesso senso o da altri sensi; oppure se il rumore di fondo proviene dalla memoria, che mentre percepisce genera e fornisce dati; o che il rumore di fondo derivi dal fatto che la coscienza, più in generale, sta emettendo dati, lo stimolo per essere registrato dovrà aumentare d'intensità, senza oltrepassare la soglia massima perché non si generino saturazione e blocco sensoriale. Quando una persona sta divagando, sognando ad occhi aperti e le sue immagini invadono il campo della coscienza, lo stimolo che compare dovrà aumentare la propria attività per poter essere captato. Ad ogni modo, quando si sta divagando o sognando ad occhi aperti, l'attività cinestesica interna aumenta, perciò si abbassano le frange di percezione esterna. È necessario dunque che aumentiamo l'attività del mondo esterno ed esclamare, per esempio, "svegliati, amico!". Quando si oltrepassa la soglia massima, o si ha un blocco sensoriale, è imprescindibile far scomparire il rumore di fondo affinché il segnale arrivi al senso. Un altro caso è quello stabilito dalla legge di diminuzione dello stimolo costante per adattamento della soglia: è come con i vestiti che indossiamo, all'inizio ci danno un registro di sensazione tattile, ma con il passare del tempo non li sentiamo più. Non solo perché ci siamo distratti dal problema dei vestiti e siamo occupati da altro, non è solo per questo; il punto è che lo stimolo costante diminuisce d'intensità. A mano a mano che passa il tempo, per la percezione lo stimolo costante diminuisce. Perciò, quando uno stimolo è all'interno della soglia ma diventa costante, la soglia si adatta ad esso per definirne un limite e impedirgli di continuare ad avere accesso al registro, perturbando così altre attività dell'apparato. Per concludere: abbiamo numerosi stimoli, ma quando tali stimoli si fanno costanti le soglie dei sensi si adattano affinché il rumore di fondo scompaia. In caso contrario il nostro bombardamento di percezioni sarebbe costante e saremmo sommersi da un tale rumore di fondo che non potremmo quasi distinguere tra le nuove percezioni in arrivo. La percezione dunque si verifica tra fasce e soglie di tolleranza minime e massime, soglie che sono in continua mobilità. In presenza di stimoli costanti che compaiano all'interno delle fasce in questione le fasce si adattano, affinché la percezione di quello stimolo diminuisca. Chiamiamo questo fenomeno legge di diminuzione dello stimolo costante per adattamento della soglia.


b)     Tutti i sensi lavorano tra soglie e limiti  di tolleranza che possono variare secondo l'educazione e secondo le necessità metaboliche (in realtà è lì che si trova la radice dell'esistenza sensoriale). Le caratteristiche di variabilità sono importanti per distinguere gli errori sensoriali.


c)     Tutti i sensi traducono le percezioni in uno stesso sistema di impulsi. Sono tali impulsi ad essere distribuiti in modi differenti. Ora non vogliamo addentrarci nella questione fisiologica, ma notiamo come tutti i sensi traducano le percezioni in uno stesso sistema d'impulsi. A ciò diamo nome di omogeneità degli impulsi dei vari sensi. Ecco dunque che da una parte vedo, dall'altra odo, dall'altra ancora gusto, ma tutto questo udire, gustare, vedere e così via, tutto è tradotto in uno stesso sistema d'impulso omogeneo. Si lavora con lo stesso tipo d'impulso. I suoni non vagano all'interno della testa, né lo fanno le immagini visive né le sensazioni gustative e olfattive.


d)     Tutti i sensi hanno localizzazioni fisiche, localizzazioni fisiche terminali, precise o diffuse, connesse a un sistema che le coordina. Tutti i sensi hanno localizzazioni terminali nervose, precise o diffuse, sempre connesse al sistema nervoso centrale e al sistema periferico o autonomo, da cui opera l'apparato di coordinazione.


e)     Tutti i sensi sono vincolati all'apparato della memoria generale dell'organismo.


f)      Tutti i sensi presentano registri propri, dati dalla variazione del tono nel momento in cui si presenta lo stimolo.


Tutti i sensi possono commettere errori nella percezione nel dato: tali errori possono provenire da un blocco del senso, per esempio per irritazione sensoriale. Irritiamo un senso, arriviamo alla soglia di tolleranza e la percezione che abbiamo del dato che irrita il senso è una percezione fortemente modificata, che nulla ha a che vedere con l'oggetto. Ecco allora che gli errori cui accennavamo possono provenire dal blocco del senso per irritazione sensoriale, ma anche per mancanza o deficienza del senso: non c'è chi non conosca la miopia, la sordità e così via. Si può anche dare il caso del mancato intervento di un altro senso, o più d'uno, che aiutano a fornire parametri, che aiutano a fornire riferimenti alla percezione. Per esempio: sentiamo un suono apparentemente lontano, ma poi, nel vedere l'oggetto in questione, lo iniziamo ad ascoltare in altro modo, diversamente. È questo un caso, molto frequente, di illusione uditiva. Si crede che l'oggetto sia lontano, ma solamente quando lo si vede, quando lo si localizza visivamente, la percezione si riadatta. Come già sappiamo tutti i sensi lavorano in struttura, perciò normalmente si continua a ricevere dati, a ricevere informazioni dai vari sensi, con cui si configurano le percezioni relative al mondo che ci circonda. Perciò, quando i parametri mancano e abbiamo solamente un dato sensoriale, si produce l'illusione nella percezione. Esistono anche errori della sensazione o della percezione causati da agenti meccanici: è questo il caso di quando, per aver esercitato una pressione sui globi oculari, vediamo luce. In quasi tutti i sensi troviamo esempi di illusioni prodotte da un'azione meccanica.


  • Immaginazione

È molto difficile stabilire la differenza tra lo stimolo che, provenendo da un senso, arriva ad un apparato di registro e l'immagine che suscita, l'immagine che tale stimolo ridesta. È abbastanza difficile distinguere tra l'impulso del senso e l'immagine che corrisponde a tale impulso. Non possiamo dire che l'immagine e l'impulso del senso siano la stessa cosa; né possiamo distinguere, psicologicamente, le velocità dell'impulso interno e la velocità propria dell'immagine. È come se l'immagine e l'impulso fossero la stessa cosa, quando in realtà non lo sono.

Nel considerare l'immagine è necessario prendere alcune precauzioni. In primo luogo dobbiamo riconoscere che le immagini non solo corrispondono agli stimoli sensoriali ma che sono suscitate anche dalla memoria, in secondo luogo dobbiamo stare all'erta nei confronti di quell'interpretazione ingenua che fa apparire l'immagine come corrispondente solo al senso della vista.

Secondo alcuni tra i primissimi studiosi in questo campo, l'immagine ha adempiuto una funzione di secondo grado nell'economia dello psichismo. Secondo tali studiosi un'immagine è una sorta di percezione degradata, una percezione di seconda classe. In altre parole, se una persona guarda un oggetto e poi chiude gli occhi ed evoca l'oggetto in questione, noterà come l'evocazione dell'oggetto sia di qualità inferiore alla percezione. Con l'occhio percepisce l'oggetto meglio e più chiaramente che non evocandolo. Il ricordo, per lo più, è come intriso di una quantità di elementi estranei che influiscono nella confusione prodotta rispetto all'oggetto. Dunque la rappresentazione che ci si fa dell'oggetto, rispetto a come esso si presenta, sembra essere una degradazione, una sorta di caduta della percezione. Una volta arrivati a questa conclusione, i primi studiosi archiviarono l'immagine nell'inventario dei fenomeni secondari dello psichismo. Non raggiunsero nemmeno una grande chiarezza rispetto al fatto che le immagini non corrispondevano solo al senso della vista, dato che ogni senso produce immagini corrispondenti. Infine, si credette che l'immagine avesse a che vedere unicamente con la memoria, senza essere strettamente legata al senso.

In realtà l'immagine adempie parecchie funzioni. Abbiamo bisogno di comprendere la funzione dell'immagine per poter poi capire come essa, entrando in movimento, agisca sui centri e trasporti l'energia da un punto a un altro, producendo trasformazioni di somma importanza per l'economia dello psichismo. Per il momento, se i sensi compaiono per fornire informazioni sui fenomeni del mondo esterno o interno, le immagini che accompagnano le percezioni dei sensi non servono semplicemente a ripetere i dati dell'informazione ricevuta bensì per mettere in moto attività relative allo stimolo che arriva. Osserviamo tutto ciò in un esempio quotidiano: sono a casa mia e suona il campanello. Il campanello, per me che lo percepisco, è uno stimolo, perciò mi alzo rapidamente dalla seggiola su cui siedo e vado ad aprire la porta. Il giorno dopo il campanello suona di nuovo; si tratta dello stesso stimolo, ma invece di saltare sulla seggiola e andare ad aprire la porta resto seduto. Nel primo caso stavo aspettando che il postino mi consegnasse una lettera, nel secondo sapevo che si trattava del vicino che veniva a chiedermi in prestito una pentola. Se in mia presenza, o in mia compresenza, c'era un dato o un altro, ecco che lo stimolo, secondo il caso, si limita a mettere in moto una determinata immagine. Nel primo caso lo stimolo ha messo in moto l'immagine del postino che stavo aspettando. È evidente, io ero occupato e in quel preciso momento non stavo aspettando il postino: certamente ero preso da altro, ma quando è arrivato lo stimolo l'insieme di immagini sulle quali io, in un certo senso, contavo si è messo in moto e, nel momento in cui le immagini si sono messe in moto, sono saltato in piedi e ho raggiunto la porta. Nel secondo caso, invece, ero preso da un altro sistema di idee e quando il campanello ha suonato non è scattata l'immagine del postino bensì quella del vicino, anche perché avevo già ricevuto la lettera che il giorno prima stavo ancora aspettando. Ecco perché, davanti all'insorgere di una seconda immagine, il mio corpo si è mosso in altro modo o non si è mosso per nulla.

Perciò quest'antica idea, ossia che tutto funziona unicamente in base a stimoli e risposte corrispondenti a tali stimoli, non è vera. Anche quando lo stimolo arriva in un circuito elementare, in un arco reattivo corto come quello del riflesso, e la risposta nasce del tutto involontariamente, immediatamente si genera un'immagine, che a sua volta produrrà un effetto. Ecco dunque che alla sensazione si accompagnerà sempre l'insorgere di un'immagine e che a mettere in moto le attività in realtà non è la percezione, bensì l'immagine.

Vediamo ora come quest'immagine possieda proprietà già studiate quando abbiamo parlato della "tonicità muscolare", in cui i muscoli assumono un determinato tono di attività a seconda delle immagini visive. Le immagini visive vanno in una determinata direzione e i muscoli si predispongono in quella direzione. È forse lo stimolo a muovere i muscoli? Assolutamente no. È l'immagine a muoverli. Dobbiamo riconoscere che determinate immagini non attivano solo la nostra muscolatura esterna ma anche quella interna, innescando numerosi fenomeni fisiologici. L'immagine mette in movimento fenomeni interni, il che genera un'attività verso il mondo esterno, dal quale ci sono arrivate le sensazioni.

I sensi interni devono ricevere anche informazioni rispetto a quel che succede nelle attività della mia coscienza, perché se non avessi informazioni su ciò che accade nelle attività della mia coscienza non potrei dare continuità ai suoi processi. Perciò i sensi interni stanno captando non solo dati viscerali, dati dell'intracorpo, ma anche ciò che accade alle mie attività ed alle operazioni della mia coscienza.

L'"apparato" formatore di immagini funziona a diversi livelli di lavoro, contribuendo a modificare non solo l'attività della coscienza, del coordinatore, ma anche quella degli stessi apparati d'informazione della memoria e dell'attività dei centri.

Naturalmente ai sensi interni arrivano dati relativi al funzionamento della coscienza. A sua volta la coscienza può anche agire in modo da orientare i sensi in una direzione o in un'altra e far sì che si concentri l'attenzione su una determinata fascia sensoriale a scapito di un'altra. Queste, in realtà, sono funzioni della coscienza più che dei sensi. Dovremo studiare tutto ciò quando affronteremo il tema della strutturazione effettuata dalla coscienza, ma, in ogni caso, sarà bene notare come i sensi siano messi in moto dall'attività dei fenomeni che arrivano fino a loro, così come sono mossi dalla direzione impressa dall'apparato coordinatore. Quando i sensi non si limitano solo a ricevere impressioni del mondo esterno o interno ma sono indirizzati intenzionalmente ci troviamo in presenza del fenomeno di reversibilità. È molto diverso sentire un rumore, prodotto senza la partecipazione della mia volontà, e andare a cercare un determinato rumore. Quando, con i miei sensi, sto cercando una determinata cosa, sto dirigendo l'attività del senso a partire dai meccanismi del coordinatore; inoltre, a parte dal dirigere i sensi, è molto diverso se mi limito a percepire un dato o se ho coscienza della percezione di tale dato. Sento il campanello e la cosa per me non significa un granché. Ma quando sento il campanello e l'atto di ascoltarlo è da me stesso reso cosciente, nel senso che lo isolo da una massa indifferenziata di stimoli e gli presto attenzione, ecco allora che non sto più lavorando con la percezione di uno stimolo indifferenziato bensì con l'appercezione di quello stimolo. C'è dunque un lavoro che non si limita a captare e poi percepire bensì arriva ad un livello in cui pongo attenzione alla percezione: chiamo questo lavoro "appercezione". Di più: posso instradare tutti i miei sensi in direzione dell'appercezione. Notate come trovarsi in un atteggiamento percettivo sia molto differente dal limitarsi a permanere in una massa di percezioni. In tale atteggiamento tutti gli stimoli che arrivano sono registrati con attenzione. Posso trovarmi in un atteggiamento annoiato e gli stimoli mi arriveranno comunque, o posso trovarmi in un atteggiamento attento all'arrivo degli stimoli, come un cacciatore che attende il balzo della lepre. Posso essere estremamente attento, in attesa che sorgano determinati stimoli, e anche se gli stimoli non arrivano sarò in atteggiamento appercettivo. Prendere in considerazione il meccanismo di reversibilità sarà dunque importante per capire il problema dei livelli di lavoro della coscienza e definire alcuni fenomeni illusori.

Stiamo tentando di mettere in rilievo, tra le altre cose, come i sensi non stiano solo portando informazioni relative al mondo esterno, dato che essi lavorano in modo molto complesso e che sono diretti, in alcune delle loro parti, dall'attività della coscienza. I sensi non subiscono solamente l'influenza dei fenomeni relativi al mondo esterno o dei fenomeni viscerali interni; anche l'attività della coscienza influisce sul lavoro dei sensi. Se così non fosse non si spiegherebbe come certe perturbazioni della coscienza modifichino il registro che abbiamo del mondo esterno. Facciamo un esempio: dieci persone diverse possono, di uno stesso oggetto, avere una percezione diversa (nonostante siano disposte alla stessa distanza, nelle stesse condizioni di luce e così via), perché esistono determinati oggetti che si prestano facilmente a che la coscienza proietti su di essi il proprio lavoro. In realtà la coscienza non proietta il proprio lavoro sugli oggetti: la coscienza proietta il proprio lavoro sui sensi, modificando così il sistema di percezione. La coscienza può proiettare le proprie immagini sull'apparato di ricezione, l'apparato di ricezione può devolvere questa stimolazione interna e così si può avere il registro dell'arrivo del fenomeno dall'esterno. Se così è, allora determinati funzionamenti della coscienza possono modificare la strutturazione compiuta dai sensi sui dati del mondo esterno.


  • Memoria

Nemmeno la memoria lavora in modo isolato, così come non lo fanno i sensi né alcun altro componente dello psichismo; anche la memoria lavora in struttura. La memoria, come abbiamo chiarito a suo tempo, ha la funzione di registrare e ritenere dati provenienti dai sensi, dati provenienti dalla coscienza; non solo, ha anche la funzione di somministrare dati alla coscienza quando la coscienza ha bisogno di tali dati. Il lavoro della memoria dà alla coscienza il riferimento della sua ubicazione temporale tra i vari fenomeni. Senza quest'apparato di memoria la coscienza incontrerebbe gravi problemi ad ubicare i fenomeni nel tempo, non sapendo se un dato fenomeno è avvenuto prima o dopo e non potendo così articolare il mondo in una successione temporale.

È grazie all'esistenza di differenti frange di memoria, nonché grazie all'esistenza di soglie della memoria, che la coscienza può ubicarsi nel tempo. Sicuramente è anche grazie alla memoria che la coscienza può ubicarsi nello spazio, giacché non è assolutamente possibile che lo spazio mentale si trovi svincolato dai tempi della coscienza, tempi che sono somministrati dai fenomeni provenienti dalla memoria. Ecco allora che le due categorie di tempo e spazio funzionano nella coscienza grazie alla somministrazione di dati compiuta dalla memoria. Vediamo tutto ciò più in particolare.

Come si parla di atomo teorico di sensazione, così si può parlare di atomo teorico di reminiscenza: ma tutto ciò è appunto teorico, perché nei fenomeni che si sperimentano esso non esiste. Ciò che si può registrare è che nella memoria si ricevono, si elaborano e si ordinano dati provenienti dai sensi e dalla coscienza, sotto forma di registrazioni strutturate. La memoria riceve dati dai sensi, riceve dati dalle operazioni della coscienza, ma oltre a ciò ordina questi dati e li struttura; compie un lavoro molto complesso di compilazione e ordinamento dei dati. Quando il livello della coscienza si abbassa, la memoria procede ad ordinare tutti i dati che erano stati archiviati ad un altro livello della coscienza. Ad un livello la memoria sta lavorando, registrando, archiviando tutti i dati quotidiani, i dati del giorno a mano a mano che arrivano, e ad un altro livello di lavoro la memoria inizia a catalogare ed ordinare quei dati che sono arrivati durante la veglia.

Nel sonno, che è un altro livello di coscienza, ci troviamo nello stato in cui la memoria procede ad elaborare i dati; l'ordinamento effettuato dalla memoria dei dati che si sono ricevuti non è lo stesso ordinamento che si effettua nel momento in cui si ricevono i dati.


È così: in questo momento sto ricevendo informazioni dai sensi, e l'informazione che ricevo va ad archiviarsi nella memoria. Ma quando il mio livello di coscienza si abbassa e comincio a sognare, succede che trovo anche i dati del mondo quotidiano, i dati del mondo della veglia. Mi appare così tutta la materia prima che ho ricevuto e registrato durante il giorno, ma questa materia prima non si articola nello stesso modo nel mio sistema di rappresentazione interna. Ciò che durante il giorno aveva una certa sequenza, quando si abbassa il livello di coscienza segue un altro ordine. Quello che allora successe alla fine qui succede all'inizio; elementi recenti della mia memoria si legano ad altri elementi molto antichi e quella che si produce è una strutturazione interna della materia prima ricevuta durante il giorno e dei dati precedenti appartenenti a aree differenti della memoria corrispondenti ad una memoria antica, ad una memoria più o meno mediata. La memoria è un "apparato" che svolge diverse funzioni a seconda del livello di lavoro in cui si trovi la struttura della coscienza.


I dati sono registrati dalla memoria in vari modi:


1) Un forte stimolo si imprime nella memoria con forza.

Si imprime con forza anche ciò che entra simultaneamente attraverso sensi differenti;

3) L'impressione in memoria avviene anche qualora uno stesso dato relativo ad un fenomeno si presenti in maniere diverse. Se presento un oggetto lo memorizzo in un modo, se lo presento in un'altra maniera lo memorizzo in un altro modo. La mia coscienza lo sta strutturando, lo sta articolando; ma, a parte ciò, ho avuto un'impressione A e un'impressione B. La memorizzazione avviene per via di una ripetizione e, inoltre, perché si stanno imprimendo in memoria i dati che la coscienza sta strutturando relativi all'oggetto in questione;

4) La memorizzazione avviene anche per ripetizione propriamente detta;

5) I dati si imprimono nella memoria meglio in un contesto che individualmente;

6) La memorizzazione è migliore anche quando emergono o risaltano per assenza di contesto. Quel che risalta, quel che non può essere, predispone ad una maggiore attenzione e, di conseguenza, l'impressione in memoria avviene con maggior forza;

7) La qualità dell'impressione aumenta quando gli stimoli sono distinguibili, e ciò si produce in assenza di rumore di fondo, per nitidezza dei segnali.


Quando, per reiterazione, c'è saturazione, si produce un blocco. Gli esperti di pubblicità hanno esagerato un po' la legge di ripetizione. Un dato s'incorpora per ripetizione ma, sempre per ripetizione, si produce fatica nei sensi. Inoltre vale per la memoria ciò che vale per i sensi in generale, cioè si torna alla legge dello stimolo che decresce nella misura in cui lo stimolo permane. Se manteniamo un continuo gocciolio d'acqua, questa ripetizione del gocciolio d'acqua non arriva ad essere impressa in memoria come gocciolio d'acqua: quel che si ottiene è che si chiuda la soglia di memorizzazione, così come si chiude la soglia di percezione, e quindi il dato smette di influire. Quando una campagna pubblicitaria diventa eccessivamente ripetitiva e insiste oltre ogni misura basandosi su questa legge della memorizzazione per ripetizione, produce saturazione in memoria e il dato non entra più, producendo irritazione sensoriale e saturazione nella memoria. Con alcuni animaletti si lavora su questa reiterazione dello stimolo che, invece di incidersi con forza e generare una risposta corrispondente e adeguata allo stimolo in questione, fa sì che l'animaletto si addormenti.

In assenza di stimoli esterni, il primo stimolo che compare è impresso in memoria con forza. Anche quando la memoria non sta somministrando informazione alla coscienza c'è più disponibilità per memorizzare e la memoria libera informazione, in forma compensatoria, quando non stanno arrivando dati alla coscienza. Immaginiamo un esempio. Una persona si rinchiude in una grotta in cui non arrivano stimoli del mondo esterno. Non arriva luce, non arriva suono, non ci sono raffiche di vento che impressionino la sua sensibilità tattile. c'è una sensazione di temperatura più o meno costante. I dati esterni si riducono e la memoria allora inizia a liberare i dati che ha immagazzinato. Ecco un curioso funzionamento della memoria. Si rinchiuda una persona in un carcere, o la si metta in una caverna, ed ecco che, siccome i sensi esterni non stanno lavorando e non esistono dati esterni, la memoria provvederà a fornire dati al coordinatore. Se eliminiamo i dati sensoriali esterni, immediatamente la memoria inizierà comunque a compensare somministrando informazione. La memoria si comporta così perché, comunque sia, la coscienza ha bisogno di tutti quei dati per ubicarsi nel tempo e nello spazio e, quando la coscienza non ha dati di riferimento che la stimolino, perde la propria strutturalità. E l'io, quell'io che era sorto per somma di stimoli e somma di attività degli apparati, si trova nella condizione di non avere stimoli né dati provenienti dagli apparati. L'io perde la propria strutturalità e sperimenta la sensazione di disintegrarsi, di perdere coesione interna. Fa allora appello al riferimento offerto dai dati, per quanto essi provengano solamente dalla memoria, e questo mantiene la precaria unità dell'io.

Il ricordo o, ad essere più precisi, l'evocazione sorge quando la memoria affida alla coscienza dati già memorizzati. Tale evocazione è prodotta intenzionalmente dalla coscienza, il che la distingue da un altro tipo di rammemorazione che alla coscienza s'impone.

Facendo un'analogia, affinché tutti questi meccanismi risultino più o meno simmetrici a ciò che accadeva con i sensi e la coscienza: quando gli stimoli della memoria arrivano alla coscienza parliamo di "rammemorazione"; quando la coscienza andava in direzione degli stimoli abbiamo parlato di "appercezione"; infine, quando la coscienza va in direzione dei dati della memoria, vale a dire, quando cerca il dato che le interessa, allora parliamo di "evocazione". Si evoca quando l'attenzione si dirige verso una determinata area di ricordi immagazzinati.

Sappiamo che alla coscienza arrivano sia dati dei sensi esterni sia dati dei sensi interni e che quest'informazione arriva simultaneamente alla coscienza. Ciò vuol dire che, quando evoco, quando vado a cercare il dato esterno nella memoria, molto frequentemente il dato che estraggo dalla memoria è mescolato agli altri dati che, a suo tempo, accompagnarono la percezione: in altre parole, se ora sto ricevendo un'informazione esterna ed essa arriva alla memoria, sto ricevendo anche un'informazione interna che va ugualmente in memoria. Quando evoco ciò che è accaduto, alla coscienza non si presenta solamente il dato esterno ma anche quello interno, che ha accompagnato il momento in questione. Ciò è di grandissima importanza.

Si esamini quel che succede quando ricordo. Osservo l'oggetto, chiudo le palpebre, ricordo l'oggetto. Se la mia educazione visiva è buona, normale o cattiva, la riproduzione di quell'impressione sarà più o meno fedele. È solo l'oggetto che ricordo? O ricordo anche alcune altre cose? Pensateci bene. Non stiamo parlando delle catene di idee, delle associazioni che il ricordo di quell'oggetto suscita, per quanto esse esistano: ricordo l'oggetto e insieme sorgono varie altre cose. Andiamo al ricordo dell'oggetto. Osservo l'oggetto, chiudo le palpebre e dalla memoria si riproduce l'oggetto, m'appare un'immagine dell'oggetto. Ma quest'immagine dell'oggetto che m'appare, oltre ad avere altre componenti visive giacché sto lavorando con l'occhio, per me, nel mio registro interno, è composta da toni muscolari, da un determinato sapore, da un determinato clima che nulla ha a che vedere con la percezione. Perciò di quell'oggetto non sto ricordando solamente la memorizzazione che l'oggetto stesso mi propone bensì anche la memorizzazione del mio stato nel momento in cui si è prodotta. Naturalmente tutto ciò ha conseguenze rilevanti, perché, se stessimo parlando semplicemente di un "archivista" di dati sensoriali, tutto sarebbe più facile; ma l'informazione che sto ricevendo dal mondo esterno risulta essere associata allo stato in cui si trovava la struttura nel momento della memorizzazione. Ma andiamo più in là: diciamo che può esistere un'evocazione e che i dati immagazzinati in memoria possono arrivare alla coscienza grazie al fatto che i dati relativi ai fenomeni sono impressi in memoria insieme ai dati della struttura. Perché, se ci pensate con attenzione, l'evocazione non lavora cercando immagini bensì cercando stati e le immagini che corrispondono ad una sensazione o ad un'altra non si identificano grazie all'immagine in sé ma grazie allo stato che le corrisponde. Osservate quel che fate nel momento in cui ricordate: poniamo che ora vogliate ricordare la vostra casa. Come fate per ricordarla? Esaminate attentamente quel che fate. Non sperimentate una sorta di sensazione interna? E questa sensazione, prima che sorga l'immagine della vostra casa, questa sensazione interna, è una sensazione di immagini? No, è una sensazione cenestesica. E questa sensazione cenestesica sta cercando, tra i differenti stati interni, il clima generale che corrisponde alle impressioni in memoria delle immagini visive della vostra casa.

Che cosa fate, invece, quando evocate un'immagine orrida? La cercate tra le diverse maschere mostruose fino a trovare quella giusta o la cercate nel clima che corrisponde a quel livello particolare della memoria che v'impressiona perché orrido? No, non cercate tra le immagini: cercate tra masse di stimoli interni che accompagnano le memorizzazioni in questione. Quando infine l'immagine è evocata dalla coscienza, si è nella disposizione in cui l'immagine può effettuare operazioni, provocare scariche, mettere in moto i muscoli, mobilitare un apparato allo scopo di farlo lavorare sull'immagine in questione, nel qual caso appariranno operazioni intellettuali, o mettere in moto emozioni e così via. Quando l'immagine si proietta sullo schermo di rappresentazione, ecco che si è nella disposizione giusta per agire: ma il sistema di evocazione non lavora tra le immagini, lavora cercando tra gli stati. Sapendo tutto questo e passando alla fisiologia, diremo allora che nei neuroni non si imprimono immagini visive, che all'interno dei neuroni non restano le immagini piccole, microscopiche, ma che, piuttosto, esistono flussi di corrente elettrochimici che non sono immagini e che, quando si produce il fenomeno dell'evocazione, non si va alla ricerca di tali immagini microscopiche fino a trovarle bensì si cercano i livelli elettrochimici che danno il registro corrispondente al livello all'interno del quale, successivamente, si articola l'immagine. Dunque non si evoca tramite immagini ma tramite gli stati che accompagnarono la percezione sensoriale di quel momento.

Facciamo un esempio che utilizziamo sempre: esco da un posto e ad un certo punto mi accorgo di aver dimenticato qualcosa. Che cosa registrate in questo caso, un'immagine o piuttosto registrate una sensazione curiosa? Un'immagine no, sicuramente, perché altrimenti sapreste che cosa avete dimenticato. Avete il registro di una sensazione curiosa, legata a qualcosa che avete dimenticato. E che cosa fate a quel punto? Iniziate a cercare immagini, ve ne appare una e dite "Questa no", ve ne appare un'altra e dite "Nemmeno questa". Dunque lavorate scartando immagini. Ora, chi vi guida in questa ricerca? Vi guida l'immagine? No, non vi guida l'immagine, vi guida lo stato che fa sorgere le diverse immagini e, quando sorge un'immagine scorretta, vi dite "No, non è questo l'oggetto che ho dimenticato, perché l'ho con me". E così continuate, facendovi guidare dagli stati interni finché, finalmente, si produce l'individuazione dell'oggetto e sperimentate la sensazione del ritrovamento ed esclamate: "Ecco cos'è che avevo dimenticato!" in tutto questo lavoro avete continuato a cercare tra stati, tali stati hanno proiettato immagini e voi avete infine prodotto il riconoscimento. Lo stato corrispondente all'atto di cercare un oggetto è molto diverso da quello corrispondente all'atto di trovare (implesion ) l'oggetto. I registri che si hanno sono molto diversi, ma in tutti i casi stiamo parlando di stati, accompagnati a gran velocità da immagini.

In un esempio fatto prima, quello della "città sgradevole" che ricordo, posso dire di riconoscerla non solo perché appaiono le sue immagini ma anche perché compare lo stato in cui mi trovavo nel momento in cui ho impresso nella memoria i dati relativi a quella città, che mi risulterà sgradevole o al contrario piacevole, o comunque avrà determinate caratteristiche, non per via dell'evocazione delle semplici immagini che ne ho bensì per via degli stati che mi suscitò nel momento in cui li memorizzai. Osservate una fotografia appartenente ad un'altra epoca: è una specie di cristallizzazione dei tempi passati. Nel vedere quella fotografia, essa immediatamente vi susciterà la felicità legata al momento che rappresenta, risvegliando in voi la sensazione nostalgica di qualche cosa che certamente è ancora presente ma che è andato perduto. C'è un parallelo, un raffronto tra ciò che è presente e ciò che si è perduto; tra lo stato associato alle memorizzazioni effettuate in quel momento e lo stato attuale, in cui sto memorizzando quel dato.

Abbiamo già detto come il ricordo, o più precisamente l'evocazione, sorga quando la memoria affida alla coscienza dati già memorizzati: quest'evocazione è prodotta intenzionalmente dalla coscienza, il che la distingue da un altro tipo di rammemorazione che alla coscienza s'impone. è come quando certi ricordi invadono la coscienza, coincidendo, a volte, con ricerche o con contraddizioni psicologiche che compaiono senza che la coscienza stessa vi prenda parte. C'è differenza tra questo ricercare un dato nella memoria e quel sorgere spontaneo dalla memoria di dati che invadono la coscienza con maggior o minore forza a seconda della carica che possiedono. Ci sono stati di memoria che arrivano alla coscienza, liberano immagini e poi queste immagini si impongono ossessivamente. È per via dell'immagine in sé, è per il ricordo in sé, o è per lo stato che accompagna tale immagine? Senza dubbio è per lo stato che accompagna l'immagine in questione, e quest'immagine ossessiva corrispondente ad una situazione vissuta molto tempo fa, quest'immagine che mi s'impone, ha una forte carica "climatica" (come spiegheremo più avanti). Perciò è associata ad uno stato, allo stato in cui quel fenomeno si impresse nella memoria.

Esistono gradi d'evocazione, differenti gradi d'evocazione, a seconda che il dato si sia registrato con maggiore o minor intensità. Quando i dati sfiorano leggermente la soglia di registro, anche l'evocazione sarà leggera. Si danno addirittura casi in cui non si ricorda ma, nel tornare a percepire il dato, lo si ri-conosce. Ed esistono dati che sono al lavoro alla soglia della percezione, che in questo caso per noi è anche la soglia della memoria. Ciò che è andato di moda in un determinato periodo, ciò che attiene all'azione "subliminale" o alla propaganda subliminale, ciò che sembrava essere un fenomeno interessante e che poi si è rivelato un fiasco, era un meccanismo semplice, abbastanza elementare, in cui si lanciava uno stimolo nella soglia di percezione. Il soggetto non arrivava a registrare il dato ma il dato comunque entrava. Sappiamo che il dato entrava sia perché in seguito tale dato appariva, per esempio, nei sogni del soggetto, sia perché il soggetto in un determinato stato avrebbe potuto rammemorare ciò che, a suo tempo, sembrava non aver percepito, non aver visto. Ecco allora che esiste una quantità di dati che colpiscono comunque la soglia di percezione, senza che in quel momento siano registrati dalla coscienza, ma entrando in ogni caso in memoria. Ora, se questi dati vanno in memoria saranno anche in rapporto con lo stato particolare che li accompagnava. Dirò di più: perché quei dati potessero funzionare in senso pubblicitario era necessario associare alla presentazione dell'oggetto subliminale una determinata emozione. Se si fosse voluto pubblicizzare una bevanda il punto non sarebbe stato solamente inserire la bevanda in un fotogramma ogni sedici del film pubblicitario (sappiamo, infatti, che se inseriamo un'immagine dell'oggetto ogni sedici fotogrammi del film vedremo il film ma non vedremo passare la presentazione subliminale, che sta lavorando esattamente al limite della fascia di percezione). Se avessimo scelto determinate sequenze del film (le sequenze contraddistinte dal maggior calore emotivo) e, in quelle sequenze, avessimo inserito il prodotto in questione, ecco che il soggetto, vale a dire lo spettatore, nell'evocare quella pellicola avrebbe subito con maggiore intensità il fenomeno memorizzato subliminalmente. Questa era l'idea, che funzionava in modo estremamente elementare: ma non sembra che la vendita dei prodotti pubblicizzati con questo sistema sia aumentata particolarmente: eppure c'è ancora gente che continua a credere nel "potere di quella terribile arma segreta". Quello di cui ci stiamo occupando non è il problema della pubblicità subliminale: è il problema dell'immagine, o del fenomeno, che sfiora appena la soglia e si imprime in memoria, ma contemporaneamente si sta imprimendo nella memoria uno stato. A partire dalle soglie minime di evocazione appaiono gradazioni più o meno intense fino ad arrivare al ricordo automatico, che è di riconoscimento veloce. Prendiamo il caso del linguaggio. Quando si sta parlando e si ha una grande padronanza di una determinata lingua, perché la voce esca non è necessario ricordare le parole che si devono pronunciare. Questo succede nelle fasi di apprendimento, quando si sta imparando un altro idioma, ma non nel momento in cui quel sistema linguistico è diventato, per chi parla, automatico. Qui si sta lavorando con idee, qui si sta lavorando sulle emozioni e quindi la memoria somministra dati armonici agli stati che si suscitano, via via, in chi vuole sviluppare le proprie idee. Sarebbe davvero curioso se la memoria fosse semplicemente una memorizzazione di dati sensoriali! Per poter parlare dovremmo riprodurre tutto quel che si produsse nel momento in cui apprendemmo a parlare, o almeno dovremmo riprodurre tutto il sistema segnico. Ma, quando sto parlando, non vado in cerca del sistema segnico: vado in cerca delle mie idee, delle mie emozioni, e allora si liberano le articolazioni segniche, le immagini segniche che poi lancerò nel linguaggio. Ciò che sta agendo è il ricordo automatico, un ricordo di riconoscimento veloce. Ed il riconoscimento di un oggetto si produce quando quella percezione è raffrontata ai dati precedentemente percepiti.

Senza riconoscimento lo psichismo sperimenterebbe il trovarsi di fronte ai fenomeni sempre per la prima volta, nonostante il loro ripetersi. Il fenomeno sarebbe sempre lo stesso, non potrebbe esistere riconoscimento e perciò lo psichismo non potrebbe procedere, nonostante quello che pensano alcune correnti oggi di moda, che definiscono "interessante processo psicologico" il fatto che la coscienza lavori senza memoria. Ma se lavorassero senza memoria, questi predicatori non potrebbero nemmeno spiegare ad altri la loro teoria.

L'oblio, al contrario, è l'impossibilità di portare alla coscienza i dati già impressi nella memoria. È molto curioso come, a volte, si dimentichino intere parti di situazioni, di concetti o di fenomeni. In alcuni casi quel che un determinato clima potrebbe suscitare è cancellato e di conseguenza sono cancellati tutti i fenomeni impressi nella memoria e che hanno qualcosa a che a che vedere con quello stato. Si cancellano intere aree  perché potrebbero suscitare quell'immagine, associata ad atmosfere dolorose.

In generale l'oblio è l'impossibilità di portare alla coscienza dati già memorizzati. Ciò accade per via di un blocco nella reminiscenza che impedisce la ricomparsa dell'informazione: ma esistono anche dei tipi di oblio funzionale che impediscono il continuo riapparire di ricordi, grazie a meccanismi di interregolazione che operano inibendo un apparato mentre ne funziona un altro. Ciò significa che, fortunatamente, non si ricorda tutto in continuazione; che, fortunatamente, si può ricordare situando oggetti e fenomeni in momenti diversi, in tempi diversi. Fortunatamente non si ricorda di continuo perché, in quel caso, la ricezione dei dati dal mondo esterno sarebbe gravemente perturbata. In presenza del continuo rumore di fondo costituito dal ricordo avremmo, ovviamente, problemi nell'osservare i nuovi fenomeni, ed è chiaro che le nostre operazioni intellettuali sarebbero fortemente perturbate anche se fossimo sottoposti al bombardamento continuo della memoria. Vedremo poi anche come l'oblio, o l'amnesia, o il blocco, operino non per difetto bensì adempiendo una funzione importante all'interno dell'economia dello psichismo. Non è che la struttura sia stata costruita male, è che essa sta adempiendo funzioni precise anche quando commette errori.

Possiamo osservare diversi livelli di memoria. Nell'acquisizione della memoria individuale, nei primi istanti in cui s'inizia a percepire e subito s'inizia ad incidere, si forma una sorta di "substrato", per dargli un nome: una sorta di antico substrato della memoria, un substrato profondo di memoria. Su questa base di memoria, che è la base dei dati con cui lavorerà la coscienza, si struttura il sistema di relazioni che, poi, la coscienza porta a termine: è la memoria più antica, dal punto di vista del fondamento delle operazioni che si effettuano. Su questa memoria più antica si vanno "depositando" tutte le memorizzazioni che si continuano a registrare nel corso della vita, e questo è un secondo livello di memoria. C'è poi un terzo livello di memoria, vale a dire la memoria immediata, quella dei dati immediati con cui lavoriamo. Normalmente, la memoria profonda resta archiviata con forza, senza che nel suo substrato si producano operazioni importanti, mentre nella memoria recente è necessario tutto un lavoro di ordinamento, classificazione e archiviazione dei dati. Inoltre tra questi livelli (il più recente, il più immediato e quello mediato) si stabiliscono varie specie di "differenze di potenziale", potremmo dire, in cui i dati nuovi, mentre entrano, procedono anche a modificare la memoria mediata. Se volessimo, scolasticamente, operare una classificazione, potremmo parlare di memoria antica, memoria mediata e memoria immediata. Ed è la memoria immediata, piuttosto che agli altri tipi di memoria, alla quale affideremmo il maggior lavoro di classificazione. Per quanto non si lavori intensamente con i dati più antichi, essi sono fortemente radicati. È come se creassero un campo all'interno del quale cadono i nuovi dati; perciò abbiamo serie difficoltà a realizzare lavori con la memoria antica. Possiamo compiere operazioni con la memoria immediata o agire indirettamente sulla memoria mediata, ma ci costerà un'immensa fatica modificare le impronte profonde del substrato. Esse sono il trasfondo che è rimasto ed è tale trasfondo, impresso con forza nella memoria, che sta influendo sui nuovi potenziali che continuano ad arrivare all'archivista. Ecco allora che, in realtà, queste tensioni interne della memoria, queste specie di climi interni della memoria, stanno influendo sui nuovi dati.

In ogni memorizzazione come pure nel ricordare ciò che è memorizzato, il lavoro delle emozioni gioca un ruolo molto importante, cosicché le emozioni dolorose o gli stati dolorosi che accompagnano una memorizzazione ci daranno un registro differente da quello delle memorizzazioni che furono effettuate in stati emotivi di piacevolezza. Quindi, quando si evoca una determinata memorizzazione sensoriale esterna sorgeranno anche gli stati interni che l'accompagnarono. Se questo dato esterno è accompagnato da un sistema di emozioni di difesa, un sistema di emozioni dolorose, l'evocazione di ciò che fu impresso in memoria sarà intrisa da tutto il sistema doloroso di ideazione che accompagnò la memorizzazione del dato esterno, il che ha importantissime conseguenze.

Esiste anche una specie di memoria di tipo situazionale. Si imprime in memoria una persona in una determinata situazione: poco tempo dopo si rivede questa stessa persona ma in una situazione che nulla ha a che vedere con la precedente. Dunque, si incontra la persona e la si registra come conosciuta, però non la si riconosce appieno: le immagini non coincidono, perché quell'immagine della persona non coincide con la situazione in cui essa fu memorizzata. In realtà qualsiasi tipo di memorizzazione è situazionale e potremmo parlare di una specie di memoria situazionale in cui l'oggetto viene memorizzato attraverso il contesto. Poi, modificando il contesto in cui quell'oggetto si trova, ritroviamo nell'oggetto una sorta di sapore conosciuto ma non lo possiamo riconoscere perché sono variati i parametri di riferimento. Avremo perciò difficoltà nel riconoscimento, date dalla variazione del contesto in cui confrontiamo l'immagine nota e quella nuova. Nei meccanismi di evocazione, nella rammemorazione in generale, ci sono problemi, perché a volte non si sa come localizzare l'oggetto se non si trova tutto ciò che lo ha accompagnato. Ciò che abbiamo detto dell'evocazione, relativamente al fatto che non si cercano immagini bensì si cercano determinati toni, vale anche in questo caso.

Le vie d'entrata degli impulsi mnemici (ovvero gli impulsi della memoria) sono i sensi interni, i sensi esterni e le attività dell'apparato di coordinazione. Da parte loro gli stimoli che arrivano seguono un doppio percorso: una via va direttamente all'apparato di registro, un'altra all'apparato di memoria. Affinché gli stimoli siano registrabili è sufficiente che oltrepassino leggermente le soglie sensoriali, ed è sufficiente una minima attività ai differenti livelli di coscienza perché si produca l'impressione in memoria. D'altra parte la memoria, nel momento in cui si attualizza grazie alla traduzione dall'impulso all'immagine e dall'immagine al centro, si rafforza, perché a sua volta esiste un registro del funzionamento del centro. Quel che stiamo dicendo è che se un impulso di memoria arriva alla coscienza e, una volta nella coscienza, si traduce in immagine, quest'immagine agisce sui centri e sono questi a trasmettere il segnale all'esterno. Nel momento in cui questo segnale arriva all'esterno, l'attività del centro la si registra comunque nei sensi interni. Di conseguenza, come si impara veramente? Si impara davvero grazie al dato che arriva ai sensi e poi è archiviato in memoria o si impara quando si sta agendo? Entrambe le cose sono in parte vere.

Nell'educazione scolastica si è dato per scontato che l'apprendimento consistesse in una fonte che emette segnali e una fonte che li riceve, ma sembra che le cose non vadano proprio così. Sembra invece che si apprenda quando il dato lascia la memoria e arriva alla coscienza, traducendosi in immagine, mettendo in moto il centro e ripartendo come risposta (che si tratti di una risposta intellettuale, emotiva o motoria). Quando quest'impulso, convertito in immagine, mette in moto il centro e il centro agisce, di quest'azione del centro a sua volta si ha un registro interno. Nello stesso momento in cui si stabilisce tutta questa retroalimentazione, questo "feedback", la memorizzazione si accentua. Detto in altre parole: si apprende facendo, non semplicemente registrando. Se lavorate con un bambino fornendogli spiegazioni e il bambino si limita ad essere in attitudine ricettiva la sua situazione di apprendimento sarà molto diversa da quella di un bambino cui, dopo avergli fornito le spiegazioni, sia chiesto di strutturare relazioni tra i dati ricevuti e spiegare con parole sue ciò che ha appreso. Come esiste un circuito tra chi insegna e chi apprende, così le operazioni proprie di chi apprende, le domande fatte da chi apprende a chi insegna, fanno sì che chi insegna debba a sua volta effettuare operazioni e stabilire relazioni cui forse non aveva addirittura pensato. Ecco dunque che all'interno di questo sistema relazionale apprendono tutti. Si tratta di un sistema relazionale che coinvolge entrambi gli interlocutori e in cui, chiaramente, lo schema di causa ed effetto non funziona: al suo posto funziona un continuo riaggiustamento nella struttura, nella quale il dato è esaminato da diversi punti di vista e in cui non esiste solo l'atteggiamento attivo di chi somministra il dato e quello passivo di chi lo riceve.

Nel circuito tra sensi e coordinatore la memoria agisce come una sorta di connettiva, come un ponte, compensando a volte la mancanza di dati sensoriali, sia che ciò avvenga per evocazione sia per ricordo involontario. Nel caso del sonno profondo, in cui non c'è immissione di dati esterni, alla coscienza arrivano dati cenestesici combinati con dati di memoria. In questo caso i dati mnemici non sembrano essere evocati intenzionalmente, ma ad ogni modo il coordinatore sta compiendo un lavoro, sta ordinando dati, sta analizzando, sta effettuando operazioni con la partecipazione della memoria; operazioni, tutte queste, che si realizzano persino nello stato di sonno profondo. È la coscienza a fare tutto ciò. Come ben sapete, noi non identifichiamo la coscienza con la veglia: la coscienza, per noi, è qualche cosa di molto più ampio, perciò parliamo di livelli di coscienza. Ebbene, la coscienza, nel suo livello di sonno, si dedica a questo lavoro meccanico di classificazione e ordinamento dei dati. Nel livello di sonno profondo c'è un riordinamento della materia prima vigilica, vale a dire della memoria recente. Per questa ragione i sogni di un determinato giorno hanno a che vedere preferenzialmente con la materia prima che si è ricevuta durante quel giorno: naturalmente qui si stabiliscono lunghe catene associative, e il dato di quel giorno, la materia prima di quel determinato giorno a sua volta si collega e si connette a dati precedenti, ma sostanzialmente è la materia prima del giorno in questione (cioè la memoria recente) che lavora alla formazione dell'insogno del sogno.

Il coordinatore può rivolgersi alla memoria mediante l'evocazione, evocazione che noi definiamo come "meccanismo di reversibilità" e che esige un'attività del coordinatore nella ricerca delle fonti. Esiste poi anche una gran quantità di errori di memoria. L'errore di memoria più generale è quello del falso riconoscimento, che sorge quando un nuovo dato è messo in relazione in modo sbagliato con uno precedente. La situazione in cui mi trovo in questo preciso momento è estremamente simile ad un'altra in cui mi sono trovato precedentemente, ma l'oggetto che vedo ora non è quello che vidi allora. Come esistono memorizzazoni di tipo situazionale, così ora sperimento la sensazione di avere già visto quell'oggetto; non è che lo abbia mai visto, è che riconosco situazioni analoghe a quella in cui mi trovo ora e che, in un altro momento, sono già successe. Allora colloco il nuovo oggetto all'interno di questa memoria situazionale ed esso mi appare come riconosciuto. A volte accade il contrario. Capita che un oggetto che riconosco suscita una situazione che non ho mai vissuto ma che mi pare di aver già vissuto. Una variante di questa situazione, variante detta del "ricordo equivoco", è quella in cui si sostituisce un dato che non appare in memoria con un altro, come se si riempisse un vuoto d'informazione.

Genericamente si chiama amnesia un registro di totale impossibilità di evocare dati o sequenze complete di dati. Di tali amnesie, di tali oblii, esistono differenti classificazioni. Possono esistere amnesie non riferite solo ad un determinato oggetto, o ad altri concatenati col primo per contiguità, per contrasto o per similitudine, così come possono esistere amnesie in cui ciò che si cancella non è un determinato oggetto bensì una determinata situazione; ciò agisce a livelli differenti di memoria. Esemplifichiamo tutto ciò: non dimentico solamente ciò che è accaduto negli ultimi cinque giorni, ma dimentico alcune situazioni, appartenenti a differenti tappe della mia vita e in relazione l'una con l'altra. Dunque l'oblio non è solo lineare ed interno ad una area temporale bensì, a volte, è selettivo di una determinata situazione che si ripete in differenti tappe della vita. Tutta l'area in questione risulta cancellata, apparentemente, perché in realtà è molto difficile che qualche cosa si cancelli dalla memoria. Ciò che accade, normalmente, è che il dato non può essere evocato perché non si ha registro di quella sensazione, poiché la sensazione del registro corrispondente a quell'area ha subito l'influenza di altri tipi di sensazioni, tra le quali le sensazioni dolorose. Le sensazioni dolorose che accompagnano le memorizzazioni di determinati fenomeni sono quelle che tendono a scomparire nell'evocazione. Siccome queste sensazioni dolorose sono rifiutate da tutta la struttura ecco che è rifiutato anche tutto ciò che le accompagna. Fondamentalmente si tratta del meccanismo di dolore nell'imprimere un dato in memoria, il che, prima o poi, farà come evaporare il dato, farà scomparire il dato, se non altro nel suo aspetto evocativo. Comunque sia, ciò che fu impresso con dolore o è dimenticato oppure è evocato nuovamente alla coscienza, ma i contenuti collaterali che lo accompagnarono ne saranno stati trasformati. Esistono impressioni in memoria "a fuoco", si potrebbe dire, che sono impressioni dolorose: ma in queste memorizzazioni dolorose, se le si esamina con attenzione, si vedrà come numerosi fenomeni che le accompagnano sono stati fortemente trasformati. Qualsiasi memorizzazione è associata ad altre contigue, perciò non esiste un ricordo isolato: perché è il coordinatore a selezionare, tra i ricordi, quelli che gli sono necessari.

Ritornando al problema della memorizzazione di ciò che è doloroso e di ciò che è piacevole, ci si chiede: che cosa succede quando uno stimolo sensoriale è memorizzato piacevolmente ma, per via di altre circostanze, ciò provoca un dolore morale o un dolore intellettuale? Supponiamo che una persona, per via della sua formazione morale, abbia problemi con determinati dati sensoriali di tipo piacevole: in questo caso avremo una mescolanza di piacere e dolore. Ne consegue che questa persona registrerà un piacere fisico, sì, ma che questo piacere fisico potrà creargli problemi di ordine morale. Dunque, come evocherà quel registro? La cosa più probabile è che nel futuro non vorrà nemmeno ricordare ciò che gli è successo: ma è altrettanto probabile che insorga una sorta di stato ossessivo legato a quella situazione. Ecco allora che avremo una brava persona in cui coesistono la repressione dell'evocazione dei registri del piacere e l'insorgere di registri del piacere che s'impongono alla sua coscienza.


  • Coscienza

Intendiamo la coscienza come il sistema di coordinazione e registro messo in opera dallo psichismo umano. Parliamo a volte di "coscienza", a volte di "coordinatore" e a volte di "registratore". Ciò che accade è che tale entità, sebbene sia sostanzialmente la stessa, svolge funzioni differenti, anche se non si tratta di entità differenti. Molto diverso il caso di ciò che chiamiamo "io". Questo io non lo identifichiamo con coscienza. Consideriamo i livelli di coscienza come ambiti diversi del lavoro della coscienza e identifichiamo l'io con quello che osserva i processi psichici, non necessariamente vigilici, che si sviluppano mano a mano. In stato di veglia registro e compio numerose operazioni. Se qualcuno mi domanda: "Chi sei?" rispondo: "Io", e aggiungo alla mia affermazione un documento d'identità, un numero, un nome o altre cose di questo genere. Ho l'impressione che quest'io registrerà dall'interno le stesse operazioni, osserverà le operazioni della coscienza. Abbiamo già sotto mano una distinzione tra le operazioni effettuate dalla coscienza e l'osservatore che fa riferimento a tali operazioni della coscienza; e, se faccio caso al modo in cui osservo le cose, mi rendo conto che le osservo "dall'interno". Se poi osservo i miei stessi meccanismi vedo che tali meccanismi sono visti "dall'esterno". Se ora abbasso il livello di coscienza e mi addormento, come mi vedo? Sto camminando per la strada, in sogno: vedo passare automobili, vedo passare gente, ma da dove vedo la gente che passa, le automobili che passano? Dal mio stesso interno (esattamente come ora vedo voi che mi ascoltate e so che siete fuori di me, e per questo vi vedo dall'interno di me)? È così che mi vedo? No, io mi vedo dall'esterno. Se osservo il modo in cui vedo dal livello del sogno, vedo me stesso che vede le automobili che passano, la gente che passa, e mi osservo dall'esterno. Mettetela in un altro modo, provate con la memoria. Ricordate ora una situazione della vostra infanzia. Bene. Che cosa vedete in quella scena? Vi vedete dall'interno, proprio come ora vedete le cose che vi circondano? Vedete dall'interno (essendo bambini) le cose che vi circondano? No, vi vedete dall'esterno. In questo senso, dov'è l'io? L'io è all'interno del sistema di strutturazione che opera la coscienza e percepisce le cose, oppure l'io è fuori? L'impressione che abbiamo è che in alcuni casi sia all'interno e in altri all'esterno, da un lato; ma dall'altro si vede come, nell'osservare le operazioni stesse della coscienza, l'osservatore sia separato da tali operazioni. In entrambi i casi l'io, che si trovi dentro o fuori, appare come separato. Quel che sappiamo sicuramente è che non è incluso nelle operazioni.

Ma allora, se tutti i registri che ho sono di separazione tra io e coscienza, com'è che identifico questo io con la coscienza? Se osservo tutti i registri dell'io che ho, vedrò che tutti questi registri sono di separazione tra ciò che chiamo "coscienza e operazioni della coscienza" e ciò che chiamo "io".

Come si costituisce questo io? Perché sorge questo io, e perché commetto l'errore di associare l'io alla coscienza? Innanzitutto non consideriamo cosciente alcun fenomeno che non sia registrato, né tanto meno alcuna operazione dello psichismo in cui non ci siano compiti di coordinamento. Quando parliamo di registro, parliamo di registro a differenti livelli, perché non identifichiamo coscienza e veglia: la coscienza è qualcosa di molto più ampio. Siamo abituati a vincolare la coscienza all'attività vigilica, lasciando tutto il resto fuori dalla coscienza.

Quanto ai meccanismi fondamentali della coscienza, intendiamo come tali i meccanismi di reversibilità, ovverosia le facoltà che la coscienza ha di dirigersi, per mezzo dell'attenzione, alle proprie fonti d'informazione. Se ci si dirige verso la fonte sensoriale parliamo di "appercezione"; se ci si dirige verso la fonte della memoria, allora parliamo di "evocazione". Certo può esistere anche l'"appercezione dell'evocazione", quando si appercepisce un dato che è stato memorizzato alla soglia del registro: è il caso della memorizzazione subliminale, della quale nel momento in cui si verifica non ci si rende conto e che successivamente, tuttavia, potrà essere evocata.

Chiamo "percezione" il semplice registro del dato sensoriale. Ora ci troviamo tutti insieme e, se si sente un rumore, percepisco il rumore. Il mio interesse potrà dunque rivolgersi verso la fonte del rumore, ma il punto è che il dato si è imposto al mio registro: a tutto ciò do il nome di percezione. Naturalmente si tratta di un fenomeno estremamente complesso in cui è intervenuta la strutturazione e tutto il resto. Chiamo invece "appercezione" la ricerca del dato sensoriale. Riassumendo: percepisco quando il dato s'impone, appercepisco quando ricerco il dato. Chiamo "ricordo" quel che non viene dai sensi bensì dalla memoria per arrivare infine alla coscienza e chiamo "evocazione" quest'attività della coscienza che si mette in cerca dei dati della memoria. Ma ci sono anche altri casi che complicano il quadro: l'"appercezione nell'evocazione", per esempio, in cui gli atti dei due apparati sembrano mescolarsi. È il caso in cui il dato è stato impresso in memoria nella soglia sensoriale in un momento in cui non avevo coscienza vigilica di ciò che accadeva a quel dato: ma il dato si è comunque registrato in memoria. Più tardi, perciò, con un lavoro di evocazione, tale dato si evidenzia. Esemplifichiamo. In strada vedo parecchie persone, io cammino tenendo lo sguardo automaticamente avanti a me e ad un tratto, ricordando ciò che mi è appena successo, esclamo: "Ma guarda, ho superato un amico e non l'ho salutato!" In questo caso sto lavorando con l'appercezione nell'evocazione. Vale a dire che sto facendo caso a quel che è successo nella mia memoria, sto evocando, e nell'evocare emerge ciò che era stato memorizzato ma di cui non mi ero reso sufficientemente conto nel momento in cui era successo. Ecco allora che, tra tutte le sensazioni di registro che ho ora, nel momento in cui evoco, ne seleziono una e la scelgo.

L'operatività dei meccanismi di reversibilità è in rapporto diretto con il livello di lavoro della coscienza e possiamo affermare che il lavoro di questi meccanismi diminuisce mano a mano che si scende nei livelli di coscienza, e viceversa. Tutto ciò, per noi, avrà una grande importanza pratica negli approfondimenti che faremo. Via via che il livello di lavoro della coscienza diminuisce, i meccanismi di reversibilità, diminuendo la loro attività, finiscono per bloccarsi, mentre, via via che saliamo di livello nel lavoro della coscienza, cresce l'attività della reversibilità (cioè del dirigersi della coscienza verso i propri meccanismi).

Esiste una strutturazione minima in base alla quale funzionano tutti i meccanismi della coscienza, ed è quella atto-oggetto. Come c'è un funzionamento stimoli-registri, così nella coscienza c'è quello atti-oggetti, legati da questo meccanismo di strutturalità della coscienza stessa, da questo meccanismo intenzionale della coscienza. Gli atti sono sempre in relazione ad oggetti, che si tratti di oggetti tangibili, intangibili o meramente psichici.

Sensi e memoria lavorano continuamente; altrettanto fa la coscienza, lanciando atti e muovendosi in direzione degli oggetti. Questo legame tra un atto e un oggetto non è permanente, giacché esistono atti lanciati alla ricerca del loro oggetto; è precisamente questa situazione a dare dinamica alla coscienza.

Alcuni psicologi hanno ritenuto che la caratteristica fondamentale della coscienza consistesse nel legame tra atto e oggetto; che non potesse esistere atto senza oggetto né oggetto senza atto. Naturalmente tali studiosi non esclusero la possibilità che l'oggetto cui si riferiva la coscienza potesse cambiare. Se così non fosse, la coscienza si vedrebbe in serie difficoltà per transitare da un oggetto all'altro, perché nel momento del transito l'atto si troverebbe senza lo stesso oggetto. Gli atti, però, possono lavorare alla ricerca degli oggetti, ed è grazie a questo che la coscienza può passare dagli uni agli altri. Bisogna ammettere che quegli psicologi scoprirono una grande verità, vale a dire che l'atto della coscienza è sempre riferito a un oggetto e che, quand'anche l'oggetto cambi, la coscienza continua a muoversi "in direzione di". La coscienza, pertanto, è intenzionale, e si comporta come una struttura atto-oggetto. Gli oggetti della coscienza, perciò, si tratti di percezioni che arrivano alla coscienza, di ricordi, di rappresentazioni, di astrazioni e così via, sembrano essere, tutti, oggetti degli atti della coscienza. Ecco, dunque, che posso cercare un determinato ricordo ed esso sarà un oggetto, che posso cercare una determinata percezione ed essa sarà un oggetto, che posso operare un'astrazione ed essa sarà un oggetto. Ma le operazioni che compio sono di distinta natura ed esistono differenti tipi di atto.

Questa intenzionalità della coscienza (questo dirigersi degli atti della coscienza verso determinati oggetti) è sempre lanciata verso il futuro, verso cose che devono ancora apparire. Quest'attività di protensione al futuro dell'atto di coscienza è estremamente importante: l'intenzionalità è sempre lanciata verso il futuro, il che si registra come tensione di ricerca.

Se procedo a ricordare quel che è successo mezz'ora fa mi sto preparando a lanciare il mio atto di coscienza verso il futuro. In questo momento "ancora non" trovo quel che è successo dieci minuti fa, ma lo sto cercando; sicuramente nel prossimo futuro troverò quel che sto cercando e, finalmente, ora ho trovato quel che stavo cercando. Inevitabilmente la coscienza si muove nel futuro e così lavora, ritornando sugli avvenimenti passati. Inevitabilmente il tempo della coscienza è di protensione al futuro: anche nel caso del ricordo, va verso ciò che nella coscienza accadrà. Anche nelle persone orientate verso il passato, quelle che vivono nel passato e che vi rimangono inchiodate tanto che la loro dinamica di coscienza sembra essersi cristallizzata, anche in loro la dinamica di coscienza continua ad operare. In qualsiasi caso io produco registri di eventi passati; ma la direzione della mia coscienza è sempre verso la ricerca, è sempre in avanti, anche se sta cercando di ritrovare avvenimenti successi molto tempo fa. La strutturazione dei tempi della coscienza è differente a seconda che vari il livello di lavoro della coscienza. La successione del trascorrere si modifica secondo i livelli di coscienza, perciò le cose precedenti possono sembrare successive e le successive precedenti; si produce così quella particolare mescolanza tipica dei sogni.

Nella strutturazione che la coscienza effettua, secondo il livello di lavoro in cui sia impegnata, sono presenti due caratteristiche importanti: l'ordinamento dei tempi, da una parte, e la variazione della reversibilità dall'altra.


L'efficacia dei meccanismi di reversibilità e l'ordinamento degli oggetti nei tempi della coscienza sono caratteristiche nettamente vigiliche. Possiamo parlare di un'altra sorta di meccanismo, o di un'altra sorta di funzione della coscienza, quale l'attenzione, vale a dire un'attitudine della coscienza che permette di osservare i fenomeni interni ed esterni. Quando uno stimolo supera la soglia desta l'interesse della coscienza, situandosi in un campo centrale cui l'attenzione si dirige. Vale a dire che l'attenzione funziona in base ad interessi, in base a qualche cosa che, in qualche modo, impressiona la coscienza.

Sorge uno stimolo che passa la soglia e allora, non avendo altro da fare, la mia attenzione si dirige verso lo stimolo che la sollecita. Vale a dire che quest'attenzione è sempre guidata da interessi, che sono registri. L'oggetto può fermarsi in un campo centrale, nel qual caso mi dedico completamente ad esaminarlo e, se mi dedico completamente ad esaminare tale oggetto, gli oggetti che lo circondano perdono interesse, nel senso che la mia attenzione ingloba l'oggetto e, solo secondariamente, amplia il proprio raggio d'azione agli altri. Ma la mia attenzione è diretta verso un oggetto. Chiamo tutto ciò, ossia tutto ciò che appare nella mia attenzione in modo dominante, campo di presenza, mentre qualsiasi cosa non sembri strettamente legata a quest'oggetto si diluisce nella mia attenzione. E' come se mi disinteressassi di altre cose che circondano l'oggetto. Mi rendo conto che questo graduale disinteresse per tali oggetti entra nel campo della compresenza, ma anche questa compresenza agisce e accompagna la presenza dell'oggetto centrale. Pertanto cerchiamo di non confondere i campi di presenza e compresenza con la vecchia rappresentazione del "fuoco attenzionale" che si supponeva facesse risaltare l'oggetto cui si dedicava la propria attenzione rendendo gradualmente indistinti gli altri oggetti che rimanevano in situazione d'inattività.

Questi campi di compresenza, per quanto sembrino essere fenomeni strettamente inerenti al meccanismo della coscienza, hanno a che vedere con la memoria. In un primo momento sto osservando un oggetto e quest'oggetto è circondato da altri. L'oggetto su cui mi concentro è il più importante, ma ce ne sono anche altri. Queste operazioni hanno a che vedere con l'attenzione e hanno a che vedere con la percezione. Se evoco l'oggetto centrale che ho precedentemente osservato, ecco che esso entrerà nel mio campo di presenza: ma ora posso anche evocare e situare nel mio campo di presenza gli oggetti che erano rimasti in secondo piano al momento della percezione, cosicché nell'evocazione posso spostare il mio campo di presenza alle compresenze. Ciò che era secondario può, nell'evocazione, diventare primario, e posso fare tutto ciò perché, ad ogni modo, è esistito un registro dell'oggetto presente e degli oggetti compresenti.

Queste compresenze della memoria adempiono funzioni molto importanti, perché mi permettono di collegare una quantità di oggetti, non presenti in una determinata fase di memorizzazione ma già memorizzati precedentemente. Ciò mi permette di dire: "Ah, questa cosa assomiglia a quella che ho visto prima! Ah, questa cosa somiglia a quell'altra! Ah, questo è diverso da quello! Ah, questo è in rapporto con quello!" E questo perché, mano a mano che percepisco, sta lavorando anche la memoria e, compresentemente, di fronte al dato che vedo, stanno lavorando numerosi dati. Questo lavoro di presenze e compresenze permette di strutturare i nuovi dati che arrivano, sia pure tramite le percezioni. Se non esistesse la pressione di questi dati di compresenza non potrei strutturare i dati nuovi che arrivano.

Diciamo perciò, molto semplicemente, che quando l'attenzione è al lavoro ci sono oggetti che appaiono centrali e oggetti che appaiono alla periferia; oggetti che appaiono compresentemente. Questa presenza e compresenza attenzionale si verifica tanto con gli oggetti esterni quanto con gli oggetti interni.

Nel prestare attenzione a un oggetto balza agli occhi un aspetto evidente, mentre quello non evidente opera in modo compresente. Quest'oggetto che sto vedendo è presente solo in ciò che riesco a percepirne, tutto il resto è "oscurato": ma ciò che è oscurato agisce in modo compresente. Non immagino che sia solo una linea che ho davanti a me, o solo un piano o due piani che mi limito a percepire. Mi rendo conto che si tratta di un corpo. Tutto ciò sta lavorando compresentemente, e tutto ciò va al di là della percezione che ne ho. Ogni volta che percepisco, percepisco l'oggetto più ciò che l'accompagna. Questo lo fa la coscienza sulla percezione: e io percepisco sempre e strutturo sempre più di quel che percepisco. A volte lo faccio correttamente, a volte non tanto. Questo fatto, inferire relativamente a un oggetto più di ciò che se ne percepisce, è caratteristico della coscienza. La coscienza lavora con più cose di quelle cui le è necessario prestare attenzione, andando al di là dell'oggetto osservato. La stessa cosa si sperimenta ai differenti livelli di coscienza. Per esempio, in stato di veglia c'è compresenza d'insogno e nei sogni può essere compresente la veglia. Chi non ha avuto la sensazione di essere sveglio mentre stava dormendo? Chi non ha avuto la sensazione, nell'avvertire in stato di veglia la forza di una sequenza d'insogni, di essere più o meno addormentato? I livelli stanno lavorando compresentemente e, a volte, si ha registro di questo fenomeno. A volte affiorano alla veglia contenuti di diversi livelli e allora prendo coscienza della pressione di tali contenuti. La mia veglia è invasa da uno stato, il mio livello vigilico di coscienza è invaso da uno stato che non corrisponde al mondo della percezione, da oggetti che nulla hanno a che vedere con gli oggetti che percepisco quotidianamente. Gli stati che sorgono durante la mia veglia mi mettono alla presenza del fatto che, simultaneamente al livello di veglia, stanno operando altri livelli. Anche questa è compresenza del lavoro degli altri livelli, simultaneamente al lavoro di un determinato livello.

In questa coscienza singolare esistono anche alcuni meccanismi astrattivi ed associativi. Anche la capacità di astrarre della coscienza aumenta al livello vigilico. Diciamo che, in generale, in veglia la reversibilità aumenta, aumenta l'operatività dell'attenzione, aumenta l'ordine degli avvenimenti nel tempo e aumenta, infine, il lavoro di astrazione della coscienza. In dormiveglia ed in sogno tutti i meccanismi precedentemente descritti diminuiscono il proprio livello di lavoro e insieme diminuisce anche la capacità di astrazione. Mano a mano che si diminuisce di livello diminuisce la capacità di astrazione e si può astrarre meno. Quando si ha sonno si effettuano meno operazioni matematiche e pochissime quando si dorme: ma, mano a mano che si abbassa il livello di coscienza, la capacità associativa aumenta. Alla base dello stato di veglia c'è anche l'associazione, però la veglia è specializzata nei meccanismi astrattivi. Parlando dell'immaginazione, diremo che il suo lavoro si manifesta nel mettere in moto i meccanismi associativi. Abbiamo dimostrato l'esistenza di un'immaginazione spontanea, per così dire, semplicemente associativa, e un'immaginazione guidata. È molto diverso associare cose disordinatamente o mettere in relazione avvenimenti differenti così come fa, per esempio, un romanziere, che scrive "Capitolo primo", "Capitolo secondo" e ordina così la propria immaginazione. L'immaginazione spontanea, disordinata ed associativa, è molto diversa dall'immaginazione che ordina tutte le associazioni che sono venute in mente; chiamiamo questa seconda "immaginazione guidata". L'arte lavora molto con questo genere d'immaginazione.

Esistono importanti distinzioni tra le operazioni astrattive e le operazioni immaginative. Quelle astrattive hanno una logica maggiore e ordinano il mondo dei dati, mentre l'immaginazione non si occupa di ordinare bensì lavora con immagini che funzionano secondo associazioni e che vanno da uguale ad uguale, o da simile a simile. È questa una via che chiameremo di "similitudine". Una similitudine è, per esempio, l'associazione "rosso-sangue". Per "contiguità", o prossimità, si può associare "ponte-fiume", mentre per contrasto si possono associare "bianco-nero", "alto-basso" e così via. L'immaginazione divagatoria si caratterizza per l'associazione libera, priva di guida, in cui le immagini si liberano e s'impongono alla coscienza soprattutto nei sogni e negli insogni. Nell'immaginazione guidata, invece, esiste una certa libertà operativa della coscienza nel suo livello di veglia, ipotizzando una direzione intorno ad un piano d'inventiva in cui ci interessi formalizzare qualcosa di ancora inesistente. Immaginiamo che qualcuno segua un piano, si dica "Voglio scrivere su questo argomento" e liberi l'immaginazione ma sempre seguendo, più o meno, il piano.

A seconda che gli impulsi che arrivano alla coscienza siano elaborati da uno o l'altro dei meccanismi segnalati, vale a dire dai meccanismi di astrazione o da quelli di associazione, si otterranno distinte traduzioni che si formalizzeranno in distinte rappresentazioni. Normalmente, i lavori astratti hanno poco a che vedere con l'immagine. Invece, quando si liberano i meccanismi associativi, la base del lavoro è l'immagine. Questo tema, l'immagine, ci porta ad affrontare problemi di somma importanza.





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