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La "tragedia" di medea : madre-morte




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LA "TRAGEDIA" DI MEDEA : MADRE-MORTE


Medea è,insieme a quelle di altre eroine (Penelope,Elena,Fedra,Clitennestra) la figura femminile del mito greco che ha da sempre esercitato maggiore suggestione sull'immaginario collettivo della cultura occidentale. Nella tragedia di Euripide risalente al IV secolo a.c., Medea e Giasone dopo la conquista del vello d'oro, risiedono con i figli a Corintho. Giasone però sta per ripudiare la moglie per sposare Glauce, la figlia di Creonte, Re della città. Medea temuta per le arti magiche, viene espulsa per ordine del re,ma riesce a rimandare di un giorno la partenza, in modo da poter attuare la propria vendetta. In un denso scontro verbale,in cui Euripide utilizza la più raffinata tecnica retorica,marito e moglie mostrano la totale inconciliabilità delle rispettive motivazioni: da un lato la donna sottolinea la propria totale dedizione e il patto d'amore tradito, dall'altro l'eroe contrappone la logica politica. Medea allora mette in atto il suo tragico proposito: finge di riappacificarsi con Giasone e fa portare dai figli come doni alla sposa, una corona e un peplo da cui sono sprigionate fiamme che uccidono fra atroci dolori sia Glauce che il padre. La vendetta, per essere totale richiede però anche l'uccisone dei figli nati dall'unione con Giasone.

Euripide, partendo dal razionalismo della sofistica che gli aveva permesso di superare il mito e realizzare una tragedia veramente umana, fa un'indagine critica che lo porta a superare le premesse sofistiche per penetrare nella profondità dell'animo umano e scorgervi quanto di irrazionale e di inafferrabile vi si agiti.

Medea ha così una personalità che può essere definita "doppia" : il suo dualismo consiste nel fatto che da un lato si presenta come una madre premurosa e attenta, ma dall'altro è una moglie, una donna ferita, pronta ad uccidere persino ciò che di più preziosi ha, i figli, per avere la sua vendetta nei confronti del marito; il contrasto tragico infatti è espresso dal travaglio psicologico della protagonista, trasformata da essere umano( una madre generatrice di vita) nel suo opposto ( una belva portatrice di morte).

Euripide ha fatto di Medea, maga della Colchide, una figura umana e mossa da passioni umane. Nella Medea l'azione della protagonista resta crudele e disumana ma motivata da impulsi sentimentali, dalla vita intima di una donna costretta per amore a lasciare la propria patria e quindi abbandonata.Ella diventa insomma una vittima. La chiave della tragedia è nel " cuore violento" della maga, così lontana dal modello tradizionale della donna ateniese del V secolo a.c., la cui vita si svolgeva in totale sottomissione ai componenti maschili della famiglia, in una condizione di inferiorità sociale che Euripide analizza proprio attraverso le parole di Medea: " di tutte le creature che hanno anima e mente, noi donne siamo gli esseri più infelici".

Medea non è greca, ha ben altre concezioni del matrimonio e della vita coniugale, rispetto a Giasone.Lei non è disposta a tollerare di essere solo una concubina ai voleri di Giasone, e si sente tradita, in quanto i favori che gli ha reso nella conquista del vello d'oro non le sembrano degni di tale sgarbo. Medea ha abbandonato i suoi parenti e la sua terra per seguire Giasone, e adesso il suo mondo crolla, ritrovandosi sola in terra straniera, relegata ad una funzione sociale che non le va per niente bene e che non riesce ad accettare e a capire. Probabilmente una qualsiasi altra donna greca avrebbe accettato tranquillamente il fatto di diventare una concubina del marito, ma in Medea non ci sono i presupposti culturali per tale sottomissione, e la sua reazione è al contrario forte e violenta, tale da provocare un'altra serie di incomprensioni da parte del marito che non afferra l'idea di una così dura ribellione di una donna al volere maschile. Medea non è una figura indiscutibilmente negativa, e la personificazione dello scontro tra la cultura greca e le diverse e molteplici culture barbare. Di fronte al dramma di Medea , si subisce il peso della sua sofferenza e della sua vendetta che dimostra in una totale assenza di dei, il senso dell'impotenza e della debolezza, pur nel contesto di una furia scatenata della natura di fronte a condizioni dolorosamente irrimediabili di ingiustizia suprema.

Ma la difficoltà con cui Medea si adatta allo status delle donne non è che un'altra manifestazione del suo carattere passionale : un impulso violento ed irrazionale, che non ammette sconfitte e reagisce in modo selvaggio a qualunque attacco. Fino a questo punto, tuttavia, le donne greche sono ancora capaci di capirla; l'offesa che il marito le ha recato è stata grande e la vendetta è giusta. Ma la solidarietà femminile viene a cessare nel momento in cui la moglie gelosa si trasforma in una madre snaturata;nella feroce decisione di uccidere i figli,Medea si trova sola,lacerata fra un amore materno ed una brama di vendetta,che è,in fondo,la distruzione di una parte di sé. Il suo personaggio appare caratterizzato dall'aggressività e da un crudele desiderio di vendetta. Se all'inizio del dramma l'animo della maga è stato dominato dalla disperazione e dall'emotività irrazionale,dopo,l'immagine della donna distrutta dal dolore lascia il posto a quella di una creatura orgogliosa,scaltra,risoluta,carica d'odio,capace di decidere con fredda lucidità. La maga valuta con piena consapevolezza le sue possibilità di vendetta. Il suo animo è dominato da un'inesorabile volontà di ricambiare il male ricevuto. Poiché il bene da lei fatto è stato ricambiato con l'infedeltà e il disprezzo,la maga considera la vendetta come un diritto e un dovere al tempo stesso. Senza giustificare del tutto il comportamento di Medea,Euripide volle mostrare la terribile vendetta della maga come il risultato di un lungo disagio,fatto di emarginazione,di incomprensione,di solitudine affettiva,esploso infine in una rabbia incontenibile. In Medea si è scatenato un drammatico conflitto interiore,dilaniata fra un profondo e appassionato amore materno e un altrettanto inestinguibile odio verso il marito infedele. Medea segue alternativamente cuore e logica:inizialmente il suo istinto di madre le fa escludere a priori il delitto. Ella percorre con la mente l'ipotesi della rassegnazione,soffermandosi sui dolori e sulle sventure che serviranno a procurare la vita regale ai figli. Ma dal v. 1042,dove compare "kardia", si fa sempre più presente lo qumos, che giunge al culmine del v. 1049, quando la barbara personalità di Medea insorge contro la "viltà". Le opposizioni dell'istinto materno si fanno sempre più deboli.

Alla fine lo qumos viene lucidamente organizzato per il delitto. Il "bouleuma" è il proposito di rassegnazione e la vita per i figli;la viltà di un tale comportamento è però estranea alla sua cultura,in cui è lo qumos a governare le azioni. Non si tratta di uno qumos del tutto cieco:il suo agire è giustificato da una situazione critica. Negli ultimi versi Medea dice che è lo qumos a spingere i mortali alla sventura,ma ciò nonostante lo qumos è più forte: per quanto forse errato,è inarrestabile.      Ma,morti Creonte e la figlia,i due fanciulli,portatori dei doni fatali,sarebbero esposti alla vendetta dei Corinzi,che certamente non li risparmierebbero. Perciò,prima che una mano estranea si abbatta su di loro,sarà la madre ad ucciderli,distruggendo le vite create da lei con amore e dolore. Medea trova nell'imminente vendetta dei Corinzi la spinta definitiva per compiere,non senza angoscia,ciò che di necessità doveva accadere.

Lo spettatore moderno,tuttavia,pur in presenza di un gesto così orrendo,non riesce a giudicare e valutare sbrigativamente la maga come un'assassina. L'arte di Euripide è capace di far sorgere addirittura un sentimento di pietà verso questa infelice creatura,lucidamente determinata a condannarsi per sempre alla sofferenza e al rimorso pur di vendicarsi dell'uomo cui ha sacrificato patria e affetti. D'altronde,il poeta non intendeva proporre un modello di comportamento per tutte le donne tradite o ripudiate dal marito;Medea non rappresenta il tipo di donna che gli Ateniesi erano abituati a vedersi in casa (così come non lo era Antigone);però solo ad una figura simile Euripide poteva affidare senza forzature la cruda e spietata analisi di ciò che significava essere donna ad Atene nel v secolo a.C.,priva di qualsiasi possibilità di difesa dalla prepotenza maschile.

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