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Il concetto d'Infinito in Letteratura Italiana




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Il concetto d'Infinito in Letteratura Italiana


Anche Leopardi si sofferma e analizza il concetto di infinito. Nello Zibaldone egli afferma:

'L'infinito è un parto della nostra immaginazione, della nostra piccolezza ad un tempo e della nostra superbia [], l'infinito è un'idea, un sogno, non una realtà'

La realtà vissuta per Leopardi è infelicità e noia, perché offre solo piaceri finiti e perciò deludenti. L'infinito allora coincide con la tensione che l'uomo ha connaturata in sé verso la felicità: egli infatti ricerca il piacere in un numero sempre crescente di sensazioni, nella speranza vana della sua completezza. Ma la natura pone dei limiti al raggiungimento di tale stato, e così interviene l'immaginazione, che ha come attività principale la raffigurazione del piacere. Ci sono così immagini, sensazioni che suscitano nell'animo l'idea di infinito.

L'idillio L'"Infinito" di cui parla Leopardi è forse la sua poesia più famosa, perfetta applicazione delle sue teorie poetico-filosofiche, nonché una delle liriche più profonde della letteratura italiana. Composto nel 1819, rappresenta l'esperimento più riuscito della poetica del Leopardi.

L'INFINITO

Sempre caro mi fu quest'ermo colle
e questa siepe che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni e la presente
e viva, e il suon di lei: Così tra questa
immensità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare

L'infinito di cui parla è temporale, spaziale e viene evocato tramite il limite fisico (la siepe, il fruscio del vento) che porta il poeta da una dimensione fisica e sensoriale ad una 'metafisica'. Una siepe che diventa un limite, che evoca il desiderio, l'immaginazione di ciò che il guardo esclude, di ciò che non si può raggiungere con il solo ausilio dei sensi. Da un connotato fisico di realtà, si risveglia l'immaginazione di uno spazio ben più intimo. Gli spazi sono interminati, i silenzi sono sovrumani, la quiete è profondissima. Portando all'interno del suo animo questi pensieri, si rivela il confine tra la limitatezza della vita umana e l'immensità della Natura, di cui l'uomo fa parte, ma che non può cogliere appieno. Il pensiero e l'uomo vengono sommersi da questa immensità, da questa incommensurabilità e il mare, simbolo della vastità (come riprenderà Montale), fa annegare il suo pensiero, la sua mente, la sua razionalità, lo fa perdere, obliare in una dimensione universale in comunione con l'infinito, tanto più dolce perché insperata, inaspettata.


IL DOLCE NAUFRAGAR DI PASCOLI E LEOPARDI


Giacomo leopardi nel 1819 scrive L'Infinito, idillio in cui con l'immaginazione supera l'ostacolo che trova avanti a se (la siepe) e si immerge nel mare dell'infinito.

Nel 1899 esce per la prima volta la poesia Nebbia di Pascoli che entrerà a far parte successivamente dei Canti di Castelvecchio. Anche qui incontriamo l'immagine della siepe, ma in Pascoli la siepe non è più un ostacolo da superare, bensì è qualcosa che permette la chiusura all'interno del nido, posto in cui il poeta si sente sicuro. A distanza di ottant'anni escono queste due poesie con all'interno lo stesso simbolo ma utilizzato in modo opposto.  

Leopardi superando l'ostacolo della siepe naufraga dolcemente nel mare dell'infinito, Pascoli invece non solcando l'ostacolo della siepe rimane chiuso all'interno del nido e naufraga nel dolce nido.Leopardi superando la siepe desidera andare ed immergersi in uno spazio immenso, cosa che solitamente provoca paura. Egli unisce la realtà (il rumore del vento) e la sua immaginazione e naufraga in un infinito, ovvero in uno spazio smisuratamente grande e che si estende all'infinito, molto lontano da lui. Pascoli invece vuole restare chiuso nei simboli del giardino della casa di Castelvecchio, chiuso fra l'orto, il muro e la siepe, e in più evoca la nebbia affinché essa possa nascondere le cose lontane. Le cose lontane qui sono i ricordi della morte dei cari familiari che ad uno ad uno l'hanno abbandonato.

Giovanni Pascoli si sente sicuro all'interno del nido e lì desidera affondare dolcemente, lì prova piacere nell'affondare. Giacomo Leopardi invece prova piacere nell'affondare in uno spazio smisuratamente grande e infinitamente disteso. Dietro alla diversità fra i due poeti che porta uno a raggiungere l'infinito e l'altro a voler stare chiuso nel nido, nel finito, c'è un sentimento di uguale natura, il sentimento dell'inconoscibile nel quale si risolve il rovello di una personale iattura. Le cose lontane come già detto sono i dolori della perdita dei cari, dolore che è vivo nel poeta, ma le cose lontane rappresentano anche la lontananza e il mistero che si nasconde negli spazi lontani che provocano paura e così la chiusura in uno spazio conosciuto porta sicurezza e conforto e permette così di naufragare dolcemente


ALFIERI E LO SCOGLIO


Alfieri è l'esemplificazione dell'eroe pre-romantico, del viandante. Non ha una propria identità, è colui che compie lunghi viaggi sfidando tutti e tutto. Egli vuole scoprire ciò che c'è oltre la realtà, vuole superare le barriere che vi sono tra lui ed il mistero. L'inquietudine interna lo spinge ad un continuo viaggiare, vagare nello spazio. Il viandante infatti non riesce a trovare un luogo in cui stare, un luogo che gli consente di trovare finalmente l'equilibrio interiore.

Lo scoglio alfieriano ricorda la siepe leopardiana, al di là della quella Leopardi immaginava infiniti spazi. Ma mentre in Leopardi vi è un totale annullamento dell'Io, Alfieri s'immerge in immensità del tutto fisiche e reali (cielo e mar) che lo portano a fantasticare, ad immaginare.






Conclusione

Al termine di questa ricerca che mi ha portato a gettare "uno sguardo oltre il visibile, verso l'Universo Infinito", osservato da diverse angolazioni, mi sono resa conto che l'idea d'Infinito è, fra tutte le invenzioni umane, quella più affascinante che ha rapito la mente di molti intellettuali e che continua a porre interrogativi a cui ancora oggi non si è trovata risposta.

E' forse proprio questa l'origine del suo fascino.

Il mio pensiero conclusivo è rivolto al ringraziamento di tutti gli insegnanti che mi hanno supportato con la loro collaborazione ed i loro consigli per ciò che concerne i vari collegamenti che ho effettuato. In particolar modo vorrei ringraziare l'insegnante di Scienze Suor Rosa Maria Patanè per la sua disponibilità e sollecitudine nel coordinare questo lavoro.



















Bibliografia

Siti internet:

  • https://digilander.libero.it
  • www.linguaggioglobale.com
  • https://spazioinwind.libero.it/towardthespace/index.html
  • www.astrosurf.com
  • https://astrolink.mclink.it/
  • https://www.inftub.com/
  • https://www.pd.astro.it/
  • www.unich.it/filosofia/
  • https://www.freewebs.com/moebiusring/index.html
  • www.atuttascuola.it
  • www.disf.org
  • www.homolaicus.com
  • www.arte.go.it

Testi:


  • Palmieri, Parotto, La Terra nello spazio e nel tempo, Zanichelli, 2002
  • Accordi, Palmieri, Il Globo terrestre e la sua evoluzione, Zanichelli, 1973
  • Neviani, Pignocchino Feyles, Geografia Generale, SEI, 1998
  • Pastore, Lezioni di Filosofia, SEI, 2000
  • Baldi, Giusso, Rametti, Zaccaria, Dal testo alla storia dalla storia al testo, Paravia, 2000


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