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Ermetismo




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ERMETISMO

Col termine Ermetismo si indica un tipo di poetica che sorge intorno agli anni '20 e si sviluppa negli anni compresi tra le due guerre mondiali.

La definizione fu coniata in senso dispregiativo da Francesco Flora nel suo saggio 'la poesia Ermetica', in cui intendeva condannare l'oscurità e l'indecifrabilità della nuova poesia, ritenuta difficile in confronto alle chiare strutture della poesia classica.

Ma l'ermetismo come corrente letteraria nacque intorno al 1930-35 e fu all'inizio un fenomeno fiorentino. Essa ha caratterizzato buona parte della poesia italiana nei decenni centrali del '900.

I poeti ermetici perseguono l'ideale della 'poesia pura libera', cioè libera non solo dalle forme metriche e retoriche tradizionali, ma anche da ogni finalità pratica didascalica e celebrativa. Il tema centrale della poesia ermetica è il senso della solitudine disperata dell'uomo moderno che ha perduto fede negli antichi valori, nei miti della civiltà romantica e positivistica e non ha più certezze a cui ancorarsi saldamente. Egli vive in un mondo incomprensibile sconvolto dalle guerre e offeso dalle dittature per tanto il poeta ha una visione della vita sfiduciata, priva di illusioni. Altri temi della nuova poesia sono: l'incomunicabilità, l'alienazione (la coscienza di essere ridotto ad un ingranaggio nella moderna civiltà di massa), frustrazione (deriva dal contrasto fra realtà quotidiana che è sempre deludente e i nostri sogni).

Il nuovo poeta non ha più miti e certezze in cui credere, perciò va alla ricerca di parole essenziali, scabre e secche che meglio descrivano il loro stato d'animo; per poter far questo ricorrono all'analogia e alla sinestesia. L'analogia si può considerare una metafora in cui è stato soppresso il primo termine di paragone (es.: da 'accarezzo i tuoi capelli neri come la notte' a 'accarezzo la tua notte'). La sinestesia è l'accostamento di parole appartenenti a diverse aree sensitive (es.: 'l'urlo nero').

CARATTERI DELL'ERMETISMO

  • Poesie brevi →non vuol dire mancanza di ispirazione, povertà nel contenuto →è un aspetto dell'essenzialità e della purezza / non è un limite negativo.
  • L'analogia → similitudine, è stato soppresso il "come"il rapporto di confronto.
  • Bianchi →spazi vuoti tra una strofe e l'altra.
  • Mancanza parziale o totale della punteggiatura.

I principali poeti ermetici sono Giuseppe Ungaretti, Salvatore Quasimodo e Eugenio Montale


Eugenio Montale (1896-1981)

Nasce a Genova il 12 ottobre del 1896. Trascorre l'infanzia e l'adolescenza tra Genova e Monterosso, luoghi e paesaggi divenuti poi essenziali per la sua poesia. Di salute malferma, compie studi irregolari, nutrendo una forte passione, oltre che per la letteratura e la poesia, anche per il canto. Nel 1917 viene chiamato alle armi come ufficiale di fanteria.
Dopo la guerra stringe rapporti con alcuni scrittori (in particolar modo con Camillo Sbarbaro) e con il gruppo torinese di Piero Gobetti, che negli anni venti cerca di attuare una resistenza culturale al fascismo, in opposizione al futurismo e al dannunzianesimo. Nel 1925 pubblica, proprio per le edizioni di Gobetti, il suo primo libro di poesie, Ossi di seppia, e firma il manifesto antifascista di Croce.
Sempre nel '25 esce sulla rivista milanese «L'esame» l'articolo Omaggio a Italo Svevo, con cui contribuisce in modo determinante alla scoperta dello scrittore triestino, di cui negli anni successivi diviene amico. Nel '26 conosce inoltre Saba e il poeta americano Ezra Pound, e d'allora indirizza una viva attenzione alla letteratura anglosassone. Nel 1927 raggiunge l'indipendenza economica dalla famiglia ottenendo un impiego a Firenze presso la casa editrice Bemporad; e conosce Drusilla Tanzi, moglie del critico d'arte Matteo Marangoni, che più tardi diverrà sua compagna, ma che sposerà solo nel 1962.
Nel '29 è nominato direttore del Gabinetto scientifico-letterario Vieusseux, dal quale incarico nel '38 verrà esonerato, avendo sempre rifiutato di iscriversi al partito fascista. In quegli anni Montale è uno dei principali animatori della vita intellettuale fiorentina: frequenta il noto caffè degli ermetici Le Giubbe Rosse, fa amicizia con i maggiori scrittori italiani del tempo (Vittorini, Gadda) e inoltre allarga sempre più i sui interessi alla cultura europea.
Negli anni bui della guerra e dell'occupazione tedesca vive attraverso collaborazioni a riviste e soprattutto grazie ad una varia attività di traduttore. Nel '39 pubblica la sua seconda raccolta di poesie, Le occasioni. Dopo una breve poesia introduttiva, Il balcone, la raccolta si divide in quattro parti: la prima e l'ultima presentano poesie di carattere diverso; la seconda, invece, s'intitola Mottetti e contiene venti brevi componimenti che intendono riprodurre la forma musicale del 'mottetto', sorta nel XIII secolo; la terza, infine, contiene tre pezzi dal comune titolo di Tempo di Bellosguardo. Nel '43, a Lugano esce Finisterre, un volumetto di liriche scritte tra il '40 e il '42, esportato clandestinamente in Svizzera. Finita la guerra, si iscrive al partito d'azione, riceve un incarico culturale dal Comitato Nazionale di Liberazione e fonda, con Bonsanti e Loira, il quindicinale «Il Mondo». La sua esperienza politica è tuttavia assai breve: le sue aspirazioni ad un'Italia liberale ed europea, estranea a chiusure nazionali e provinciali, vengono fortemente deluse dallo scontro creatosi nel dopoguerra tra il nuovo clericalismo e la sinistra filostalinista.
All'inizio del '48 la sua vita, fino ad allora così normale, comincia a mutare. Si trasferisce infatti a Milano, dove lavora come giornalista e critico letterario al «Corriere della Sera» e al «Corriere d'Informazione». Pubblica sia una nutrita serie di interventi di attualità culturale e politica che tendono a sostenere una cultura borghese critica e razionale, sia recensioni musicali (raccolte nel 1981 nel volume Prime alla scala), reportages di viaggio in diversi paesi del mondo (raccolti nel 1969 nel volume Fuori di casa) e numerosi brevi racconti, la maggior parte dei quali costituiranno il volume Farfalla di Dinard (1958).
Nel '56 esce la sua terza raccolta di poesie, per lo più risalenti agli anni della guerra e dell'immediato dopoguerra, La bufera e altro. Negli anni Cinquanta e Sessanta viene considerato il più grande poeta italiano vivente, modello di cultura laica e liberale, tanto che riceverà diversi riconoscimenti culminanti nel 1967 nella nomina a senatore a vita, e nel 1975 nel premio Nobel per la letteratura.

Nel 1966 pubblica le riflessioni di Auto da fé, e nel 1973 il volumetto Trentadue variazioni. Dopo un periodo di completo silenzio poetico esce nel 1971 Satura, e nel 1973 Diario del '71 e del '72, nel 1977 Quaderno di quattro anni; ed infine nel 1980, caso unico per un autore contemporaneo vivente, viene pubblicata l'edizione critica della sua intera Opera in versi. Trascorre gran parte della vecchiaia nell'appartamento milanese in via Bigli 15. Muore a Milano il 12 settembre 1981.


Meriggiare pallido e assorto

È il più antico componimento di Ossi di seppia, essendo stato scritto nel 1916, quando il poeta aveva soltanto vent'anni. Eppure, questa poesia, ha già in sé tutti gli elementi della maturità del poeta: dal paesaggio basato sulla precisa osservazione degli aspetti naturali e sulla recezione dei suoni, alla lingua che gioca sull'intreccio delle assonanze e sull'onomatopea, alla precisa allusività dei simboli. Il corroso, salmastro paesaggio della Liguria diviene, infatti, una suggestiva metafora dell'esistenza. Un simbolo, insomma, del nostro desiderio di sporgerci oltre il muro che limita la visione, ma anche un emblema dell'impossibilità di farlo, a causa di quei cocci aguzzi di bottiglia che rappresentano tutto il limite della nostra condizione di uomini.

Schema metrico: 4 quartine (ma l'ultima strofa presenta 5 versi), di endecasillabi e novenari alternati con versi di diversa lunghezza. Lo schema delle rime (Aabb, Cdcd, Eeff, Ghxgh)presenta irregolarità al v. 7 e al v. 15.

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d' orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch' ora si rompono ed ora s' intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com' é tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

(Eugenio Montale, Ossi di seppia)


Spesso il male di vivere ho incontrato

Spesso il male di vivere ho incontrato è una delle più celebri poesie di Montale. Il pessimismo di fondo e la tragica visione della realtà trovano appunto nella formula del male di vivere la più coerente definizione, che tuttavia non esaurisce la profondità della poesia di Montale, costantemente proiettata verso un'ansia metafisica, una ricerca di una via di scampo, nel desiderio di vincere l'angoscia per riconsegnare all'uomo il dono della felicità. I due nuclei attorno cui ruota la poesia sono il "male" e il "bene", realtà che il poeta non spiega ricorrendo a una definizione, ma illustra facendo direttamente riferimento a oggetti emblematici, secondo quella tecnica che è stata definita «poetica degli oggetti».

Schema metrico: versi liberi, in 2 quartine di endecasillabi (tranne l'ottavo), rimati secondo lo schema ABBA CDDA.

Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l'incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.


(Eugenio Montale, Ossi di seppia)



La casa dei doganieri


Una delle presenze predilette, nelle Occasioni, è la figura femminile. Ispiratrice di Montale, qui e altrove, è Annetta. Montale la frequentò in gioventù, ma poi non la rivide più. Dopo essere passato molto tempo, il poeta però si ricorda della casa dei doganieri e di Annetta, e le manda con questi versi una cartolina d'amore, tenera e desolata. Alla donna il poeta si rivolge direttamente ("tu")ma il dialogo è, in realtà, un monologo senza risposta, costruito sul tema dell'imcomunicabilità.


  In questa poesia, è ripreso anche il tema della memoria e della fuga del tempo, che ci avverte che quanto avvenne e fu gioia non torna piú.




Libeccio sferza da anni le vecchie mura
e il suono del tuo riso non é più lieto:
la bussola va impazzita all' avventura
e il calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s' addipana.

Ne tengo ancora un capo; ma s'allontana
la casa e in cima al tetto la banderuola
affumicata gira senza pietà.
Ne tengo un capo; ma tu resti sola
né qui respiri nell' oscurità.

Oh l' orizzonte in fuga, dove s' accende
rara la luce della petroliera!
Il varco é qui? (Ripullula il frangente
ancora sulla balza che scoscende ).
Tu non ricordi la casa di questa
mia sera. Ed io non so chi va e chi resta.

 















(Eugenio Montale, Le occasioni; Parte quarta)



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