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Le Olimpiadi




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Le Olimpiadi, e così i Giochi Istmici, i Giochi Nemei, traevano origine da celebrazioni religiose. Le gare, gli sforzi degli atleti rappresentavano in fondo un'offerta, come una preghiera o in sacrificio di un bove, ad una determinata divinità.

Nati ufficialmente nel 776 a.C., i giochi olimpici si tenevano ogni quattro anni presso la città d'Olimpia, nella piana d'Altis, nel Peloponneso (Elide), al centro della quale, sorgeva il grande Tempio di Giove.  Tutt' intorno si ergevano altri templi in onore di vari dei ed edifici per le gare, come lo Stadio, l'Ippodromo, il Teatro, la Palestra, il Ginnasio, un complesso grandioso e imponente che aveva per scenario le bellezze naturali del luogo.

Tutto l'interesse del paese era letteralmente rivolto a questa festa e perfino le feste e le guerre che in quel periodo erano assai frequenti fra le varie città greche, venivano sospese per far sì che tutti  i cittadini indistintamente potessero essere presenti. La città a cui spettava l'organizzazione dei giuochi, Olimpia, disponeva ogni cosa, dalla verifica degli impianti alla nomina di magistrati incaricati di ricevere, accettare e scartare le iscrizioni dei concorrenti. Alle gare potevano partecipare adulti e giovinetti di origine greca, che non fossero colpevoli di delitti e dimostrassero di essere allenati convenientemente. I giuochi duravano sette giorni tra la fine di giugno e la prima quindicina di luglio: il primo e l'ultimo giorno erano consacrati ai riti religiosi propiziatori. veniva poi effettuata una grande processione a Giove, che era il dio in onore del quale la festa si svolgeva.

Nel secondo giorno i partecipanti prestavano giuramento davanti alla statua di Giove; poi l'araldo con uno squillo di tromba dava il segnale d'inizio. Ogni concorrente compiva un giro dello Stadio, mentre l'araldo ne annunciava il nome e la patria: poi incominciavano le gare. La prima gara era la corsa semplice sul rettilineo dello Stadio, che non aveva la pista a forma ovale come quelle odierna, ma formata da un unico rettilineo della lunghezza di 92 metri; i partecipanti estratti a sorte  quattro alla volta correvano le batterie. I singoli vincitori disputavano la finale. Seguiva la corsa doppia (cioè due volte il rettilineo) che tra batterie e finale durava fino a tardo pomeriggio. La sera si celebravano i vincitori. Queste corse piane erano rese più difficili dal fatto che il fondo della pista, cosparso di un denso strato di sabbia, rendeva più faticosa la corsa.

Nel terzo e quarto giorno veniva disputato il pentathlon, che consisteva in una gara di salto, nel lancio del giavellotto, nel getto del disco, nella corsa e nella lotta. Nel quinto giorno si avevano le gare riservate ai giovinetti, che si esibivano nella corsa, nella lotta, nel pugilato. Verso sera veniva disputata la corsa armata per adulti, che consisteva nel percorrere tre volte il rettilineo dello Stadio.

Nel sesto giorno si aveva il programma più sfarzoso e più spettacolare, dato che venivano disputate le gare dei cavalli per bighe e quadrighe. Queste gare venivano corse nell'Ippodromo, che era a forma ovale e aveva nel centro un muretto, detto spina, che separava i due rettilinei: i concorrenti dovevano girargli intorno senza toccarlo, pena la squalifica. Nell'Ippodromo, che misurava 768 metri, venivano disputate gare di 18, 13 e 9 chilometri ed erano competizioni entusiasmanti, per la bravura dei concorrenti che facevano vere e proprie acrobazie, per le lotte emozionanti che si creavano, per gli spettacolari incidenti che avvenivano quando le bighe, in piena corsa, si urtavano e si rovesciavano.

Terminata la disputa delle gare, si aveva la proclamazione del vincitore che riceveva, con una cerimonia particolare, una ghirlanda di ulivo ed un ramo di palma. Il suo nome veniva inciso nell' Altis Sacra, in cui spesso veniva posta una sua statua. Il vincitore olimpionico era considerato moltissimo in Grecia: la sua città gli tributava onori e feste grandiose, era da tutti ammirato e additato.

A lungo durarono le Feste Olimpiche. Infatti, se ne effettuarono ben 294 edizioni nè le sconfitte e le susseguenti conquiste da parte dei Macedoni prima e dei Romani dopo, riuscirono ad eliminare questo formidabile complesso. Furono anzi gli stessi vincitori a sentirsi onorati di potervi partecipare o assistere.

Solo nel 396 d.C., cioè dopo ben 1172 anni dal loro inizio, l'imperatore d'Oriente Teodosio I ordinava l'abolizione dei Giochi olimpici e cinque anni più tardi il successore Teodosio II faceva distruggere Olimpia. Scompariva così uno dei luoghi più suggestivi e più interessanti del mondo antico, dove per la prima volta lo sport, anche se sotto un punto di vista prevalentemente etnico e religioso, aveva trionfato.

Alle Olimpiadi greche bisogna affiancare, anche se privi dello stesso spirito sportivo, i "ludi" romani. I Romani, se pur lontani come ideologia dai Greci non mancarono di manifestazioni sportive. Nell'antica Roma si svolgevano frequentemente gare di lotta, di pugilato, di nuoto, di canottaggio e corse di cavalli, ma parte principale avevano i "judi" che altro non erano se non veri e propri combattimenti tra schiere opposte o tra singoli duellanti. E se in un primo tempo essi presero un indirizzo prettamente ginnico-sportivo, in seguito divennero esclusivamente spettacoli, fatti da uomini appositamente preparati, spesso schiavi e condannati, così da rendere queste manifestazioni prive di ogni contenuto sportivo ma solo esaltazione della vittoria, della tecnica, del combattimento, della crudeltà.

Il cittadino romano non praticava questo genere di sport, un po' troppo pericoloso, e si accontentava di esercitarsi al nuoto, all'equitazione, e soprattutto al maneggio delle armi. L'istruzione di un giovane, sempre severa, era prettamente militare più per dovere che per necessità.

Con l'avvento del cristianesimo lo sport scomparve via via, poichè la nuova religione condannava soprattutto in esso lo spirito di antagonismo: ma nel Medioevo riappare profondamente mutato nello spirito. Esso si presenta nell'atmosfera di ideali cavallereschi e ha come base il senso dell'onore, della lealtà e della generosità; è sostanzialmente uno sport guerriero che si esprime nei tornei, nelle giostre, nelle caccie, principali svaghi delle corti feudali. Ma solo nel Rinascimento riapparve la necessità di una vera attività sportiva.

Sorsero così in Francia, in Inghilterra, in Italia, scuole dove il giovane veniva istruito oltre che nelle lettere anche nella educazione fisico-sportiva. Famosa la "Casa Giocosa" di Vittorino da Feltre, del 1425, dove venivano praticati la corsa, il salto, la scherma, la lotta, il pugilato, il nuoto, l'equitazione, la pesca, la caccia, il lancio del disco, la marcia in montagna e altre forme di sport. Molti i libri che trattano di sport e di educazione fisica; tra i più importanti quello del medico Gerolamo Mercuriali di Forli (1596) e quello di Andrea Baccio in cui vengono descritte, con particolari e disegni, varie discipline sportive e dove soprattutto è riconosciuta la necessità di una pratica sportiva per il benessere del fisico.

Molte anche in quel periodo le manifestazioni e gli spettacoli sportivi che si svolgono nelle varie città. Tra i più importanti, tanto che ancora oggi vengono disputati, erano il giuoco del calcio a Firenze che consisteva in due schiere di 54 giocatori i quali cercavano di far passare un pallone oltre un opposto termine di fondo, sia con le mani, sia con i piedi; e il Palio di Siena, corsa di cavalli che si disputava due volte l'anno da dieci delle diciassette contrade senesi; perciò ogni anno vengono estratte a sorte, per la seconda corsa, tre contrade dell'anno precedente e si aggiungono alle sette escluse nella prima.

Tra il Sei e il Settecento, il senso sportivo si afferma in tutta Europa, si sente la necessità di dare anche al corpo un lavoro che lo fortifichi e lo innalzi. In ogni nazione sorgono assertori dell'idea sportiva: in Inghilterra il Locke, lo Spencer e poi l'Arnold; in Germania il Gutsmuths e lo Jahn: in Svezia il Ling, in Francia il Rousseau. Numerose le scuole e gli istituti dove la disciplina sportiva è una delle principali materie di studio, così Cambridge e Rugby in Inghilterra, Jonville in Francia. Moltissime le teorie, famosa quella di Ling sulla ginnastica, che da allora prese il nome di svedese.

Anche i giochi si affinano, vengono studiati, hanno una regolamentazione che    li classifica e li individua. Ormai lo sport è entrato nella concezione della vita moderna, è un complemento ad essa, ha il suo naturale e splendido sfogo nelle Olimpiadi moderne che ritornano per affratellare gli uomini in un pacifico e generoso agonismo.

Non fu facile giungere ad organizzare e a ripristinare i nuovi Giochi olimpici con la dovuta classicità e magnificenza. Furono fatti parecchi tentativi, tutti però senza molta convinzione e con risultati disastrosi, sia dal lato spettacolare, sia da quello sportivo (famose per il loro insuccesso le due Olimpiadi greche del 1859 e del 1870).

Solo nel 1892, e precisamente il 25 novembre, a Parigi, nell'anfiteatro della Sorbona, il barone Pierre De Coubertin, in occasione del quinto anniversario dell' "Unione Francese degli Sport Atletici" dichiarò che bisognava ristabilire i Giochi olimpici. La proposta, pur non avendo incontrato un'accoglienza entusiasmante, ebbe un seguito anche per la tenacia e la passione del De Coubertin. Infatti dopo due riunioni preliminari, la prima a New York nel 1893 e la seconda a Londra nel 1894, il 16 giugno 1894 a Parigi, un Congresso internazionale formato da 79 delegati deliberò il ristabilimento dei Giochi olimpici e designò come prima sede per la grande manifestazione Atene, in onore e ricordo degli antichi giochi.

Venne formato un Comitato Olimpico Internazionale (C.I.O.) alla presidenza del quale venne eletto all'unanimità il barone De Coubertin (carica che tenne fino alla morte avvenuta nel 1925) e comprendente un segretario e undici membri i internazionali. In seguito sorsero nelle varie nazioni comitati che, riconosciuti dal C.I.O., guidavano e curavano l'organizzazione sportiva del proprio paese in relazione all'attività olimpionica. Ormai si era sulla buona strada. Nel 1896 la prima Olimpiade moderna decreta un successo senza precedenti allo sport. Torna a vivere lo spirito degli antichi Greci, si gareggia fra nazione e nazione con spirito prettamente agonistico, senza odi, senza rancori. La frase del barone De Coubertin: "Quello che importa nei Giochi olimpici non è il vincere ma il partecipare. Nella vita non è essenziale la vittoria, ma il combattere bene", diviene l'emblema della grande manifestazione.

Dal 1896 le Olimpiadi vengono disputate regolarmente ogni quattro anni con un continuo crescendo d'interesse e di partecipazione. In oltre cinquanta anni solo tre volte esse non ebbero svolgimento, a causa di avvenimenti bellici e ciò è nel 1916, nel 1940 e nel 1944. Il numero delle Nazioni e degli atleti iscritti è aumentato notevolmente di Olimpiade in Olimpiade.

Non esiste una regola che stabilisca l'elenco delle gare in programma; però, per consuetudine, si considerano obbligatorie le specialità classiche, cioè le stesse in cui si cimentavano i mitici atleti greci (corse, lanci, salti, lotta ecc.), mentre per certi sport moderni, come il calcio, la pallacanestro, il tennis, l'hockey su prato eccetera, spetta al Paese ospitante la decisione di ammetterli o no ai Giochi.

Dal 1924 vengono pure disputate le Olimpiadi invernali; queste gare si svolgono nello stesso anno delle Olimpiadi estive, ma non sempre le ospita la stessa Nazione. Il regolamento delle Olimpiadi vieta che si stabilisca una classifica tra le Nazioni partecipanti; ciò nonostante i tecnici sportivi e i giornali, alla conclusione dei Giuochi, ne pubblicano parecchie, basandosi sul numero delle medaglie conquistate nelle diverse specialità (d'oro al primo, d'argento al secondo, di bronzo al terzo) oppure sui primi cinque atleti piazzati, o sui primi dieci, o sui tempi e sulle misure. All'epoca dei giuochi la fiamma di Olimpia viene portata dalle staffette podistiche da Olimpia lungo i vari continenti, fino a giungere alla città in cui i giochi hanno luogo.

La corsa

Forse la corsa, la corsa di velocità è un'ideale unione di doti naturali e supremo desiderio di velocità. Correre ha sempre significato sognare di correre più forte. Oggi velocità è sinonimo, per l'atleta, di resistenza alla velocità stessa, capacità di prolungare, quindi, al massimo lo sforzo. Se la corsa veloce era una volta quella dei cento metri piani, oggi è quella degli ottocento e del miglio. Forse l'uomo ha già toccato il limite massimo di velocità possibile. In poche frazioni di secondo, l'uomo deve potersi trovare lanciato e perfettamente padrone del suo corpo in equilibrio; infatti una partenza lenta o nervosa è sempre irrimediabile. L'atleta quattrocentista deve sostenere dal principio alla fine un'alta velocità, che esclude le tattiche e richiede un sacrificio totale. Una più moderna interpretazione della velocità ha prodotto nuovi interessi nell'animo dello spettatore, che oggi sa giudicare con occhio diverso gare che una volta erano considerate di resistenza, sa trarre da queste un'emozione, una tensione che parevano, un tempo, legate solo alle corse brevi.

Il fondo

Milziade commise un errore mandando da Maratona ad Atene, nel 490 a.C., un soldato come l'oplita Fidippide. Questi morì, subito dopo aver dato l'annuncio della vittoria dei Greci sui Persiani, perché si era sottoposto a uno sforzo eccessivo. Malgrado questa eccezionale impresa, non bisogna credere che il motore umano sia un meccanismo di potenza straordinaria: esso ha capacità di esprimere un lavoro che copre solo di 1/8 quello possibile a un cavallo. Tale capacità di lavoro, se l'individuo sa però educarla, può tuttavia dare risultati notevoli: le prove di fondo dell'atletica stanno a dimostrarlo.

Staffette e ostacoli

Armonia e senso del ritmo governano gli uomini che gareggiano nelle staffette, dove la velocità e l'abilità del singolo devono potersi sposare in un attimo a quelle del compagno. L'ostacolo delle staffette è "il testimone", cioè il bastoncino che deve passare di mano in mano fino al traguardo. Esso obbliga i corridori a farsi un "orecchio" speciale per la corsa, a registrare i propri movimenti fino a farli diventare impersonali, uguali a quelli dei compagni. Strategia, leggerezza di esecuzione, abilità, non lasciano posto all'estro nervoso dei concorrenti. Un cambio di staffetta errato fa perdere preziosi decimi di secondo: nell'esecuzione rapida ma non precipitosa di un movimento si decide spesso l'esito della corsa. Allora quello scorrere fluido da un corridore all'altro, si può dire di una forza nell'altra, appare il frutto di una preparazione non solo tecnicamente perfetta, ma anche strategicamente ben impostata.

Le corse ad ostacoli costituiscono un ideale anello di congiunzione tra le gare piane su pista e i concorsi: all'atleta che gareggia nelle corse ad ostacoli sono richieste sia la velocità e la resistenza del duecento-quattrocentista, sia la capacità di spinta e di elevazione di chi partecipa ai concorsi.

I salti

Alla base dei concorsi, cioè dei salti e dei lanci, c'è un rapporto tra velocità e scatto. I salti chiedono all'atleta potenza, abilità, massima contrazione muscolare, padronanza nervosa. I salti sono tra gli esercizi più belli e impegnativi, anche se la partecipazione sentimentale di chi li osserva è minore. Appaiono atleti dotati di mezzi eccezionali, ma le loro lunghe leve compiono un esercizio che sembra privo di vera emozione. Il salto in alto è eminentemente tecnica, non istinto ma studio e ricerca. Tutti i salti hanno un motivo di fondo che li accomuna: è facile notare come i salti siano specialità praticate e popolari, e quindi suscettibili di buoni risultati agonistici, proprio in quegli ambienti di notevole educazione sportiva, che hanno coltivato non solo le doti naturali di una vasta massa sportiva, ma le hanno raffinate attraverso uno studio tecnico che va dall'allenamento all'elaborazione di nuovi stili di gara.

I lanci

Il lancio di un peso può aiutare ad immaginare lunghe epoche umane, in cui la necessità di compiere tale esercizio, costituì la base della lotta per la vita: uccidere un animale, colpire un nemico con una pietra, una lancia, saperlo colpire con forza, prima che l'avversario potesse a sua volta farsi avanti e offendere, fu legge naturale. I lanci moderni, sulla pedana di uno stadio, non sono altro che la rappresentazione, tecnicamente perfezionata e liberata dalle ragioni specifiche dell'offesa e della difesa di tale atto.


Il nuoto

Nuotare è un esercizio antichissimo, essendo per l'uomo una vera conquista. Nuoto vuol dire compiere movimenti di propulsione che permettono all'uomo di avanzare più o meno felicemente e in una posizione diversa da quella che gli è abituale. Per l'uomo nuotare ha significato inventare questi movimenti, adeguarsi all'ambiente nuovo che lo accoglie, rendere a poco a poco naturale la diversa posizione assunta per obbligo in acqua.

Le grandi città antiche, dalla Grecia a Roma, costruirono nei loro periodi di massimo splendore regali terme e bagni con acqua calda e fredda.


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