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La visione e l'enigma: la maschera di dioniso - tesina




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LA VISIONE E L'ENIGMA:

LA MASCHERA DI DIONISO



"Non è la vista già di per sé un - vedere abissi?"





Introduzione


Studiando la figura e l'opera di Nietzsche ho subito fortemente il fascino di questo autore e della sua scrittura filosofica. Ho intravisto in modo del tutto personale la possibilità di interpretare le grandi trasformazioni interne ai diversi ambiti del sapere e della cultura del '900 alla luce delle sue grandi intuizioni. Inoltre la sua opera, in particolare la lettura dello Zarathustra, mi ha spinto a riflettere su determinati aspetti della natura profonda dell'uomo, aspetti che trovano espressione nelle grandi manifestazioni artistiche, alcune delle quali ho voluto introdurre nella mia trattazione, così come nel quotidiano, poiché ogni visione, dice Nietzsche, è di per sé un vedere abissi.




Perché la visione e l'enigma?


Ad ogni visione, o per meglio dire, ad ogni fenomeno è impossibile dare una spiegazione obbediente alle regole della logica razionale e che ne racchiuda il senso per intero. Questo perché il sapere completo non può prescindere dall'aspetto irrazionale, oscuro della realtà, la zona d'ombra che la cultura occidentale da Socrate in poi ha deprezzato. Razionale non è reale, reale non è razionale. Uno dei grandi meriti di Nietzsche è appunto quello di aver liberato il sapere dal fardello della cultura tradizionale, incapace di andare oltre le sue favole metafisiche. Il sapere di Nietzsche è un sapere nuovo, intuitivo, istintivo. È un sapere che necessità dell'ombra, ossia dell'errore della conoscenza che Nietzsche per primo pone come fonte stessa del sapere. Ed è questo il senso dell'aforisma conclusivo di umano, troppo umano, un libro per spiriti liberi (1880) intitolato "il viandante e la sua ombra". L'anima non va conosciuta, bensì intuita. L'uomo può finalmente, dopo millenni di mortificazione dell'umano, riscoprire il sé più profondo e più vero, abissale: Ecce homo.

Ogni conoscenza dunque contiene un enigma, così come in ogni dato sensibile si nasconde un abisso imperscrutabile.




Montale: "Spesso il male di vivere ho incontrato" (1925)


È un meccanismo del tutto simile al "correlativo oggettivo" della poesia ermetica di Montale: ogni paesaggio e ogni oggetto è visto da Montale nel suo essere cosa in sé e come simbolo della condizione umana, oltre la sua fisicità. Questo non è altro che vedere in ogni visione un abisso, che per Montale è l'abisso della sofferenza dell'uomo e del mondo. Testo emblematico di questa tecnica e di questa filosofia è "Spesso il male di vivere ho incontrato" (1925) contenuto in "Ossi di seppia".


Spesso il male di vivere ho incontrato

era il rivo strozzato che gorgoglia

era l'incartocciarsi della foglia

riarsa, era il cavallo strozzato.


Bene non seppi, fuori del prodigio

che schiude la Divina Indifferenza:

era la statua nella sonnolenza

del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.


Per Montale in ogni cosa c'è sofferenza, in quanto la vita stessa è dolore. Questa verità non nasce da un ragionamento, bensì è del tutto intuitiva, irrazionale, e, per questo, reale. L'unico bene sta nella Divina Indifferenza, l'Atarassia di Epicuro, che Montale ancora una volta intuisce in una statua sotto il cielo pomeridiano, in una nuvola o nel volo di un falco. Ma l'indifferenza è qualità divina: all'uomo, al poeta neppure questo è concesso poiché troppa è la nostalgia, il peso della memoria, la consapevolezza stessa del male di vivere. La felicità è definitivamente negata poiché la conoscenza è dolore. Mida ha scoperto il segreto di Sileno: «Non esser mai nati è di tutte la cosa migliore; ma, ove l'uomo nasca, tornar al più presto colà donde viene è di gran lunga la seconda cosa» (Sofocle, Edipo a Colono.)


Montale, assieme ad Ungaretti, Quasimodo, Saba ed altri, è comunemente inserito nel movimento ermetico (dagli anni 20 fino al secondo dopoguerra). Il termine Ermetismo è stato coniato dal critico Francesco Flora, che intendeva disprezzarli per la loro lirica estremamente allusiva ed oscura.




La Scrittura umbratile di Nietzsche: Dioniso, Arianna, il labirinto


In tal senso "ermetica" si potrebbe definire la scrittura di Nietzsche: il suo linguaggio è umbratile, oscuro, allusivo. Il verbo che credo più adatto è "rivelare", inteso nel suo doppio significato di rendere manifesto e coprire di un velo. Questo velo è la maschera di Dioniso.

Dioniso, contrapposto ad Apollo, divinità del sapere razionale, è il dio bambino che, con la faccia impiastricciata di gesso guarda la sua immagine riflessa nello specchio e non vede più sé stesso, bensì il tutto. Tutto dunque non è altro che immagine, apparenza, ombra dell'eterno.  Nella villa dei misteri a Pompei c'è un affresco (riprodotto in copertina) in cui un adepto ai riti orfici ha lo sguardo fisso in una coppa di vino, nella quale è riflessa l'enigmatica espressione di una maschera dionisiaca: in quella coppa c'è il Tutto. Nell'arte vasaia greca, della quale Nietzsche fu il primo a considerare il valore nello studio della cultura ellenica (e per questo il filosofo è da considerarsi un precursore dell'ermeneutica), ed in particolare sul vaso François conservato a Firenze, Dioniso è l'unica divinità ad essere rappresentata frontalmente, con lo sguardo diretto verso l'osservatore, cosa estremamente rara per la tradizione greca: questo significa che il messaggio di Dioniso è diretto, totalizzante. Ed infine Dioniso è il Dio del vino, dell'ebbrezza: il sapere Dionisiaco è un sapere estatico. Nell'ebbrezza Dionisiaca l'uomo non parla: canta; l'uomo non cammina: danza. La musica di Dioniso induce a perdersi in baratri labirintici, Dioniso stesso è il labirinto che porta diritto all'essere. Uno dei ditirambi di Dioniso è intitolato "Il lamento di Arianna": Arianna è la figura mitologica legata al labirinto. E' celeberrima la vicenda di Teseo nel labirinto che grazie al filo rosso di Arianna ne fuoriesce: Arianna per Nietzsche simboleggia l'orecchio teso ad ascoltare la musica Dionisiaca, il corpo pronto a danzare, l'anima pronta a perdersi nel labirinto. Il mito fa derivare il labirinto di Cnosso dalla danza. In particolare Dedalo, prima di progettarlo compie una danza rituale, la "danza della gru". Il labirinto è il regno del caso, dell'arcano, dell'enigma. E' Dioniso. Nietsche, divenuto Hypocrites, e dunque indossando la maschera di Dioniso, nei ditirambi dirà ad Arianna "io sono il tuo labirinto".

La scrittura di Nietzsche ha le stesse qualità del canto dionisiaco: è una prosa criptica, che rivela per immagini il messaggio filosofico dell'autore, messaggio diretto e totalizzante, vigoroso e seducente. In una parola enigmatico. Il genere è quello della raccolta di aforismi, del poema filosofico e infine del ditirambo.



Il vaso di François, conservato nel museo archeologico di Firenze, 570 a.C. circa.

Dioniso è la figura centrale, alla destra dei due cavalli.



Picasso: "Guernica" (1937)


Esistono delle assonanze tra la scrittura nietzschiana e la pittura di Picasso. L'adesione, ideologica ma non formale, al movimento surrealista bretoniano è significativa in questo senso: nel manifesto del surrealismo assume una parte fondamentale la dichiarazione di libertà rispetto alla logica tradizionale, ossia alla cultura che Nietzsche definisce apollinea. Ed alla rinuncia al razionale consegue il recupero del'irrazionale Dionisiaco.

L'irrazionale subentra anche nella storia, che ha smesso di essere ordine e simmetria, secondo la lezione Hegeliana, divenendo un susseguirsi di eventi tragici, testimonianza della follia dell'uomo, un senso di colpa che la civiltà tutta è costretta a portarsi dietro. La strage dei civili di Guernica è un risultato di questo processo. Non sono più solo i soldati a morire, ma gli innocenti.

Con Guernica Picasso vuole rendere presente il misfatto nella coscienza sociale: non assiste al fatto con terrore, ma è dentro il fatto; non compatisce le vittime: lui è tra le vittime. Esprime tutto questo attraverso un linguaggio simbolico, senza tradire la spazialità scomposta e la sintesi tipica del cubismo. Il monocromatismo non serve a rendere l'atmosfera più mesta: eliminare il colore, così come il rilievo, serve ad annullare la vita nel dipinto. Esso non rappresenta nulla di vivo, è solo morte e devastazione assoluta. Sulla sinistra una donna tiene in braccio il cadavere del suo bambino, con il volto rivolto al cielo, in un'espressione di agonia. Sopra di essa vi è un toro, simbolo della Spagna, con gli occhi sbarrati, impotente. Al centro vi è un cavallo ferito, imbizzarrito e sotto i suoi zoccoli la testa di un uomo con la glacialità della morte impressa sul volto. Più a destra una spada, rotta. Non è più quella l'arma con cui si combattono le guerre, e c'è da dire purtroppo: in alto una lampadina, in spagnolo "bomba".








Pablo Picasso, Guernica, Olio su tela, Madrid, Museo Nacional, 1937


Commento al brano "la visione e l'enigma"


In quale misura la scrittura di Nietzsche sia visione ed enigma, e quanto problematica possa rivelarsi la sua interpretazione lo si può appurare attraverso la lettura di uno dei suoi brani.

Il passo che ho selezionato, e che ho posto come cuore della mia mappa si intitola proprio "la visione e l'enigma", ed è tratto dal terzo libro del "Così parlò Zarathustra", il più celebre lavoro di Nietzsche nel quale il profeta persiano Zarathustra annuncia l'oltreuomo.

E' possibile rintracciare nel brano proposto tutti i principali concetti chiave della filosofia Nietzschiana.


Il profeta si rivolge ai suoi ascoltatori prediletti: temerari della ricerca e del tentativo, ebbri di enigmi, giacché voi non volete con mano codarda seguir tentoni un filo (Arianna), e dove siete in grado di indovinare vi è in odio il dedurre.


La sua platea è costituita dagli uomini liberi, quelli che hanno recepito il messaggio dell'uomo folle, che Dio è morto, e con lui tutti i miti e le favole metafisiche del passato, cui dunque il peso della cultura apollinea non grava più sulle spalle.


A loro racconta l'enigma che vide:

Zarathustra narra la salita su di un impervio sentiero di montagna, l'unica via che possa condurre alla saggezza, avendo egli assistito al tramonto di molti "soli", ovvero le certezze metafisiche che con coraggio aveva confutato. La salita è resa più faticosa dal peso dello spirito di gravità che il profeta porta sulle spalle.


metà nano; metà talpa; storpio; storpiante; gocciante piombo nel cavo del mio orecchio, pensieri - gocce - di - piombo nel mio cervello.


Le parole del nano sono quelle dell'ultimo degli uomini, di colui che si riduce ad un nichilismo passivo: lo spirito di gravità, al quale è dedicato un intero capitolo dello Zarathustra, è colui che sminuisce tutto, che considera tutto privo di senso e inutile.


« O Zarathustra, sussurrava beffardamente sillabando le parole, tu pietra filosofale! Hai scagliato te stesso in alto, ma qualsiasi pietra scagliata deve - cadere!

O Zarathustra, pietra filosofale, pietra lanciata da fionda, tu che frantumi le stelle! Hai scagliato te stesso così in alto, - ma ogni pietra scagliata deve cadere!

Condannato a te stesso, alla lapidazione di te stesso: o Zarathustra, è vero: tu scagliasti la tua pietra lontano - ma essa ricadrà su di te!».


Ma con il coraggio, l'arma più micidiale, Zarathustra ad egli si oppone:


«Alt, nano!' dissi. 'O io! O tu! Ma di noi due il più forte son io -: tu non conosci il mio pensiero abissale! Questo - tu non potresti sopportarlo!».-


Il pensiero abissale di cui parla Zarathustra è l'eterno ritorno, pensiero che non esita a manifestarsi nell'immagine della porta carraia:


«Guarda questa porta carraia! Nano! continuai: Essa ha due volti. Due sentieri convergono qui: nessuno li ha mai percorsi fino alla fine.

Questa lunga via fino alla porta e all'indietro: dura un'eternità. E quella lunga via fuori della porta e in avanti - è un'altra eternità.

Si contraddicono a vicenda, questi sentieri; sbattono la testa l'uno contro l'altro: e qui, a questa porta carraia, essi convergono. In alto sta scritto il nome della porta:-'attimo'.

Ma, chi ne percorresse uno dei due - sempre più avanti e sempre più lontano: credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?». -

E quei sentieri ogni essere deve averli percorsi infinite volte, e quella stessa porta esserci stata infinite volte.



La scena cambia e davanti agli occhi del profeta c'è ora un pastore cui un serpente è strisciato entro le fauci, e che ora lo soffoca. Il pastore è il più solo tra gli uomini, il filosofo autentico che ora è costretto a lottare con la ripugnanza del pensiero dell'eterno ritorno: se tutto torna uguale a sé stesso eternamente anche l'ultimo degli uomini dovrà esistere sempre. Il serpente è l'oroborus, il simbolo della circolarità del tempo, è il peso dell'umanità, è il sapere che strangola. Zarathustra grida all'uomo di mordere e staccargli la testa. Così il principium inividuationis è rotto: l'attimo non è più vissuto in quanto tale, ma in quanto eternità. Inoltre l'atto del mordere è la grande espressione della volontà di potenza: il volere il proprio continuo superamento, l'imprimere al divenire il carattere dell'essere. L'umano può finalmente trascendere la sua condizione, può superarsi e volere l'eterno ritorno: il pastore dopo aver sputato la testa.


.balzò in piedi.-

Non più pastore, non più uomo, - un trasformato, un circonfuso di luce, che rideva! Mai prima al mondo aveva riso un uomo, come lui rise!


È il riso di un Dio, il riso di Dioniso bambino, è espressione dell'amor fati: il saper amare l'eterno ritorno, il vivere secondo la formula "così fu, e così volli che fosse", ovvero vivere ogni attimo in modo da desiderarne l'eterno ripetersi.

Tale è la potenza di queste immagini da sconvolgere lo stesso Zarathustra, che ora vive una condizione di desiderosa nostalgia: egli ha visto con i suoi occhi la divinità.











L'oroborus, il serpente che si morde la coda, simboleggia la ciclicità del tempo.



Il Canto Trentesimo Terzo del Paradiso


La più celebre rappresentazione letteraria del divino cattolico è quella proposta da Dante nella Divina Commedia. Il divino Nietzschiano è cosa ben diversa dal Dio cattolico, al punto che quasi stupisce di come la luce sia elemento comune alle manifestazioni dell'uno e dell'altro. Ma a marcare la differenza sostanziale tra le due immagini è invece l'effetto che la visione delle entità genera nello spettatore.

La "visio divinae essentiae", che dona la "beatitudo hominis" è il tema centrale dell'ultimo canto della Commedia. Questa visione però non è umanamente concepibile, per questo Dante non ha altro escamotage che quello di ricorrere al fallo della memoria, incapace di reggere la grandezza di Dio, che di per sé è un'entità extraintellettuale. Benedetto Croce individua la più alta lirica nel canto in tre terzine (55-65):


Qual è colui che somniando vede,
che dopo il sogno la passione impressa
rimane, e l'altro alla mente non riede,

cotal son io ché quasi tutta cessa
mia visione, ed ancor mi distilla
nel core il dolce che nacque da essa.

Così la neve al sol si dissigilla;
così al vento nelle foglie levi
si perdea la sentenza di Sibilla.'

Proprio in questi versi è spiegata, con tre tra le più riuscite comparazioni dantesche, quale sia la reazione dell'animo di Dante alla "visio" divina. Dice il Croce: «è la lirica dell'uomo che è stato tenuto da un sogno di singolare gioia e voluttà, contraddittorio, assurdo, caotico forse nelle immagini di cui è composto, e tale che non ha lasciato traccia nella memoria intellettiva, ma profonda l'ha lasciata nel sentimento di un piacere e di un benessere, la quale ancora dura, svanita l'immagine che lo ha prodotto». Questo punto è fondamentale: Dante anche dopo la visione è colmo di beatitudine, pienamente soddisfatto nei sensi. La vista divina lo ha realizzato a pieno, in eterno. Non può e non deve desiderare altro. Per Zarathustra è molto diverso. Egli ha visto il divino, ma la consapevolezza che in sé egli stesso nasconda in potenza un altro "Dio", il fatto che egli stesso possa superarsi, lo condanna ad un desiderio nostalgico che di per sé è un tormento, ma che saprà tramutarsi in energia, in volontà di potenza. L'umanità di Dante è compiuta, ha raggiunto la più alta vetta, Nietzsche ambisce invece a superare l'umano. E l'oltreuomo stesso, in quanto espressione della volontà di potenza altro non è che continuo superamento di sé. La pace eterna, statica, immutabile del cristianesimo non esiste per nessuno in quanto essa è morte. Ed inoltre la visione del dio Dantesco non può essere spiegata, è una promessa di beatitudine eterna che si otterrà in un mondo metafisico. Zarathustra chiede invece a tutti noi la soluzione dell'enigma affinché noi, nel comprenderla, possiamo realizzare in Terra la nostra divinità.




The Epiphany


In both cases the sight of God means a sudden revelation able to change our way of being: it is a spiritual awakening. However we don't need to see a divine entity to experience such a change, as soon as in every sight there could be a fullness of meaning. . When the soul of the commonest objects seems to us radiant it can guide us to a deeper insight into the truth of things. James Joyce calls this kind of events epiphany. It designates the moment in a narrative when events, images, ideas, or any combination of these have reached critical mass and produce for the characters and for the reader an explosive recognition of meaning. The Irish writer believed that « it was for the man of letters to record these epiphanies with extreme care », and for this reason he makes use of this device in each of his works. The effect of the sight of the snow, of hearing a piece of music or of a sudden thought are often more meaningful than the entire plot of his novels and short stories. "The Dead" is relevant in this sense: it is a short story, taken from the collection called "Dubliners" published in 1914. The plot presents the thoughts and actions of one man, Gabriel Conroy. On a night he and his wife attend a party given by his two aunts. The story is realistic in style. The description of public life of upper class in Dublin emphasizes the cultural stagnation of that town that Joyce calls paralysis. After hearing an old Irish piece of music Gabriel's wife, Gretta, has the first epiphany: the music recalls her a relationship she had as a young girl with a youth, Michael Furey, who loved her passionately, and died for her when she had to leave him. After the party, when Gabriel and Gretta reach their hotel room, she starts to cry and reveals to his husband her past love story. Gabriel has his own epiphany. When Gretta falls asleep he stares at the window, watching the snow falling. He understands how meaningless is his life, and the life of those around him, all of whom will die and be forgotten under the snow. The appearance of well-being described in the party now looses its sense. Even the love he thought he felt for his wife is nothing compared to the passion of Michael Furey. Nothing has sense anymore; even the most intense moments of existence will fade into oblivion. This revelation has an abyssal power: after this there's place only for pain and horror. Gabriel suffers from the same desperation of the loneliest man with the snake in his mouth, and has not the courage to bite its head: the pain given by the consciousness that everything is vane.


In entrambi i casi la vista di Dio è una rivelazione improvvisa capace di cambiare il nostro modo di essere: è un risveglio spirituale. Ad ogni modo non abbiamo bisogno di vedere un'entità divina per sperimentare un tale cambiamento, dal momento che da ogni visione possiamo ricavare una vastità di significati. Quando l'anima degli oggetti più comuni ci sembra radiosa, essa può condurci ad una conoscenza più profonda della verità delle cose. James Joyce chiama questo tipo di eventi epifania. Essa designa il momento in una narrazione quando gli eventi, le immagini, le idee, o qualsiasi combinazione di queste, hanno raggiunto una concentrazione critica e producono nei personaggi e nel lettore un'improvvisa rivelazione di significati. Lo scrittore irlandese credeva che «il letterato deve registrare queste epifanie con estrema cura», e per questa ragione egli fa uso di questa tecnica narrativa in ogni sua opera. L'effetto della vista della neve, dell'ascolto di un brano musicale, o di un pensiero improvviso sono spesso maggiormente pieni di significato dell'intera trama dei suoi romanzi e dei suoi racconti. "I morti" è significativo in questo senso: è un racconto breve, tratto dalla raccolta intitolata "Gente di Dublino", pubblicata nel 1914. "I morti" ritrae i pensieri e le azioni di un uomo, Gabriel Conoroy. Una notte lui e sua moglie si recano ad una festa organizzata da due sue zie. Lo stile della narrazione è realistico. La descrizione della vita sociale dell'alta borghesia di Dublino enfatizza il ristagno culturale di quella città che Joyce definisce paralisi. Dopo aver ascoltato una vecchia canzone irlandese, la moglie di Gabriel ha la prima epifania: la musica le ricorda una relazione che lei ebbe da ragazza, con un giovane, Michael Furey, che l'amava appassionatamente, e mori per lei quando lo dovette lasciare. Dopo la festa, quando Gabriel e Gretta raggiungono la loro camera d'albergo, lei comincia a piangere e rivela a suo marito la sua antica storia d'amore. Gabriel ha la sua epifania. Quando gretta cade addormentata lui osserva fuori dalla finestra la neve cadere. Capisce quanto è insignificante la sua vita, e quella di chi gli sta intorno, che moriranno e saranno dimenticati sotto la neve. La parvenza di benessere descritta nella scena della festa ora perde di significato. Anche l'amore che credeva di provare per sua moglie è nulla in confronto alla passione di Michael Furey. Niente ha più senso, pure i momenti più intensi dell'esistenza scompariranno nell'oblio. Questa rivelazione ha un potere abissale: dopo di ciò c'è posto solo per dolore e orrore. Gabriel soffre la stessa disperazione del più solo tra gli uomini con il serpente tra le fauci, e che non ha il coraggio di mordere: il dolore dato dalla consapevolezza che tutto è vano.

 

















Edward Munch: "Il grido


Lo stesso sentimento angoscioso è descritto nell'opera più celebre del pittore norvegese Edward Munch, Il grido, la cui origine è legata ad una folgorazione, un'inaspettata epifania:

«Camminavo lungo la strada con due amici - racconta l'autore stesso nei suoi diari - quando il sole tramontò. I cieli diventarono improvvisamente rosso sangue e percepii un brivido di tristezza. Un dolore lancinante al petto. Mi fermai - mi appoggiai al parapetto, in preda ad una stanchezza mortale. Lingue di fiamma come sangue coprivano il fiordo nero-blu e la città. I miei amici continuarono a camminare - e io fui lasciato tremante di paura. E sentii un immenso urlo infinito attraversare la natura».

Tutto ciò è un vedere abissi terribili. L'immagine prodotta è agghiacciante: un uomo, o meglio, l'ombra di un uomo è in primo piano, contorto, deformato, la bocca spalancata in un'espressione di orrore. Il grido non è il suo: si tappa le orecchie con ambedue le mani per non udire il terribile urlo del mondo circostante. È l'urlo del Tutto, il canto di Dioniso. Esso non può essere arrestato, e risuona nel profondo dell'anima. Le lingue di fiamma come sangue, il fiordo nero-blu sono presenti e compongono un moto violento, quasi un vortice che trae a sé tutte le linee del dipinto. L'immagine non deve impressionare l'occhio, deve colpire nel profondo, riprodurre nello spettatore lo stesso abisso che l'ha generata. I due amici sullo sfondo, ignari, si allontanano: la coscienza del male di vivere genera il vuoto dentro e attorno a sé.











Edward Munch, Il Grido, tempera su cartone, Oslo, Munch-Museet, 1893

Emily Dickinson: "There is  solitude of space"(pub.1914)


Wisdom means loneliness. The loneliest man Nietzsche tells about in the last part of the passage I tried to explain before is the pure philosopher, whose reflections led to be alone. The following poem, whose title is "There is a solitude of space", is open to different interpretations, for its language, extremely cryptic and elliptical. It was written by Emily Dickinson, an English poetess who spent her life in complete isolation, devoting herself to poetry and to spiritual life.


There is a solitude of space

A solitude of sea

A solitude of death, but these

Society shall be

Compared with that profounder site

That polar privacy

A soul admitted to itself -

Finite infinity.


These few lines tell that true loneliness does not depend on how many people are around you: only when anyone tries to understand the deepest truth of his or her own nature it means true loneliness. The infinity Emily refers to is the profundity of human soul, which can be discovered only through a deep philosophical research. In this infinity the writer felt lost, as a grain of sand in the free space.

Saggezza significa solitudine. Il più solo tra gli uomini di cui parla Nietzsche nella parte conclusiva del brano che ho tentato di analizzare precedentemente è il puro filosofo le cui riflessioni conducono alla solitudine. La poesia che segue, il cui titolo è "Ha una solitudine lo spazio", per il suo linguaggio estremamente criptico ed ellittico è aperta a differenti interpretazioni. È stata scritta da Emily Dickinson, una poetessa inglese che ha condotto la sua vita in completo isolamento, dedicandosi alla poesia e alla vita spirituale.


Ha una sua solitudine lo spazio,
solitudine il mare
e solitudine la morte - eppure
tutte queste son folla
in confronto a quel punto più profondo,
segretezza polare,
che è un'anima al cospetto di sé stessa:
infinità finita.


Queste poche righe affermano che la vera solitudine non dipende da quante persone stanno intorno a te: solo quando si prova a capire la vera natura profonda del proprio essere si prova la vera solitudine. L'infinità a cui Emily si riferisce è l'abisso dell'animo umano, che può essere scoperta solo attraverso una profonda ricerca filosofica. In questa infinità la scrittrice si sente persa, come un granello di sabbia nell'universo.

 











Leopardi: "L'infinito" (1819)



Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
infinità s'annega il pensier mio:
e il naufragar m'è dolce in questo mare


L'infinito di Leopardi è forse la più celebre rappresentazione dell'infinito di tutta la letteratura italiana, che, per la sua complessità, ha dato vita a numerose interpretazioni: laddove Luigi Russo legge "la poesia più profondamente religiosa del nostro tempo, in cui la vita esteriore è abolita, dove l'io contingente naufraga in Dio", dopo aver asserito che "il Nulla è l'idolo religioso del poeta" e che "nell'assenza silenziosa dalla vita consiste la sua attitudine religiosa", Francesco Flora intuisce "il puro ritmo dell'immensità, il pensiero di uno scorrere e mutare, di un vivere e morire, di un risuonare, un grande fremito di moti indistinti" ma affianco a questo la consapevolezza che il poeta "non annega in una vuota immensità, ma in quella che egli si ha finta" ed infine Angelo Marchese percepisce in questo "attimo di smarrimento" "la necessità di ancorare la dispersione fenomenica ad un valore metafisico intrinseco alla coscienza senza alcuna concessione mistico-religiosa".

L'idea di introdurre questo capolavoro della poesia italiana nella mia trattazione mi è giunta dal titolo di un'opera del napoletano Antimo Negri dal titolo "infiniti spazi ed eterno ritorno, Nietzsche e Leopardi" che mi ha spinto a riflettere sui possibili legami tra la filosofia dell'eterno ritorno e questo brano. Innanzitutto è singolare notare come sia l'intuizione dell'eterno ritorno, sia quella dell'Infinito siano scaturite dalla visione di due paesaggi naturali: la siepe sul monte Tabor a Recanati e il lago di Silvaplana, in alta Engadina, «6000 piedi al di là dell'uomo e del tempo». La siepe del Leopardi, negativamente limitando l'orizzonte del poeta, per contrasto suggerisce l'idea dell'infinito. Non è un'infinità solo spaziale: oltre quella siepe il poeta percepisce l'eternità. L'attimo che descrive con un perfetto lirismo racchiude in sé tutto il tempo passato. Sebbene il Leopardi non abbia una concezione ciclica del tempo, il suo intuire l'infinito temporale rimanda al concetto di 'attimo' Nietzschiano, la porta carraia nella quale le due eternità del passato e del futuro convergono, e non si contraddicono. L'attimo descritto nell'infinito è di per sé un'eternità intuita, e il poeta si abbandona a questa, come in un mare infinito, perdendo la concezione del tempo e dello spazio, infinitamente dilatati, rompendo il principium individuationis. In conclusione, sebbene sia impossibile parlare di eterno ritorno leopardiano, è la percezione dell'eterno nell'attimo che rende questo brano somigliante, sebbene non assimilabile, a una parte ben circoscritta della filosofia del tempo di Nietzsche.

La siepe dell'infinito, su monte Tabor a Recanati, e il lago si Silvaplana, in alta Engadina, dove Nietzsche intuì l'eterno ritorno.

Ripercussioni del pensiero di Nietzsche sulla cultura scientifica

del '900


L'attitudine di Nietzsche nei riguardi dei saperi tradizionali è stata sempre fortemente critica. La formula «Costruite la vostra città sul Vesuvio» (la Gaia Scienza, 1882) è emblematica in questo senso: dobbiamo avere il coraggio di mettere in discussione per intero il nostro apparato culturale nonché scientifico nel caso di una rivoluzione-eruzione. Un'eruzione è un evento imprevedibile, con un potere distruttivo enorme, capace di far sprofondare in abissi tutto ciò che vi è attorno. Di questo tipo di stravolgimenti la cultura del '900 è colma, ragion per cui il Croce parla di una "cultura della crisi", soffermandosi in verità prevalentemente sugli aspetti filosofici, politici e sociali di questa tendenza. Tuttavia la cultura scientifica non ne è esclusa: la fisica Newtoniana e la geometria Euclidea perdono la loro pretesa validità universale lasciando spazio alle nuove teorie matematiche e fisiche, con le loro implicazioni cosmologiche. Il legame tra Nietzsche e questo tipo di cultura scientifica è più stretto di quanto si possa immaginare e critici del calibro di Deleuze, Mann e Negri si sono soffermati su questa particolare interpretazione del suo pensiero.




La crisi della fisica Newtoniana


Nietzsche ha reso il suo arcinemico lo spirito di gravità, il nano che gli rammenta di come ogni cosa scagliata in alto debba ricadere. Sebbene non senza una certa forzatura, questo fatto può essere interpretato come una critica alla presunzione di universalità della scienza fisica Newtoniana, universalità che nel primo quarto del XX secolo verrà confutata dalla teoria della relatività e dalla teoria quantistica. Nella crisi di tutte le certezze si è perso ogni centro di gravità, ogni punto di riferimento, e la fisica classica deve essere uno di questi.

Per comprendere fenomeni apparentemente paradossali è stato necessario rinunciare alle idee "classiche" del tempo assoluto e della natura corpuscolare delle particelle subatomiche. Questo non vuol dire che la Fisica Newtoniana ha perso tutta la sua validità, ma essa è stata ristretta ai casi che soddisfino queste due condizioni:


Le velocità dei corpi devono essere tutte piccole rispetto alla velocità della luce (

I prodotti delle quantità di moto dei corpi per le loro dimensioni caratteristiche devono essere grandi rispetto alla costante di Planck

).




La fisica quantistica


La teoria quantistica parte dalla considerazione di Planck che l'energia possa essere emessa o assorbita solo in quantità E che sono multipli interi di un valore minimo dato dal prodotto di h (costante di Planck) e di f (frequenza dell'onda elettromagnetica assorbita o emessa).



Einstein aggiunse che anche la luce è composta da quanti di energia detti fotoni (). Notando poi che i fotoni interagiscono in certe condizioni con la materia, come se fossero particelle singole, venne ipotizzata la doppia natura della luce, e poi in generale della materia, che si comporta come un'onda o come una particella a seconda delle condizioni sperimentali. De Broglie intuì che ad ogni particella di materiale con quantità di moto p deve essere associata un'onda di lunghezza d'onda tale che




e dato che h è una grandezza molto piccola e λ è inversamente proporzionale a p (quantità di moto), e direttamente proporzionale alla costante di Plank, un numero estremamente piccolo: di conseguenza ad oggetti macroscopici corrispondono lunghezze d'onda infinitesimali, che non sortiscono alcun effetto.

La natura particellare della luce provoca l'impossibilità di osservare il moto delle particelle subatomiche: la quantità di moto trasportata dalla luce necessaria ad osservare il fenomeno infatti interferisce con i risultati perturbando il moto delle particelle. Heisemberg ha espresso questo fenomeno nella formula



dove Δx e Δp sono le indeterminazioni dello spazio e della quantità di moto, che sono tra di loro inversamente proporzionali. Questo è detto principio di indeterminazione.




La fisica relativistica


La fisica relativistica, elaborata da Albert Einstein, ha come oggetto lo studio dei fenomeni che avvengono alle elevatissime velocità, ovvero velocità prossime alla velocità della luce.


La teoria della relatività ristretta, riferita a sistemi inerziali è compendiata in due postulati:


Primo postulato (principio di relatività): tutte le leggi fisiche sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali;

Secondo postulato (invarianza della luce): la velocità della luce nel vuoto ha lo stesso valore in tutti i sistemi di riferimento inerziali, indipendentemente dalla velocità dell'osservatore o dalla velocità della sorgente di luce.


Questi due postulati richiedono che noi abbandoniamo la classica concezione dello spazio e del tempo, basata sull'idea di un continuum spaziale fluente attraverso un continuum temporale, per assumere quella di un unico continuum spazio-temporale, nel quale distanze e intervalli di tempo variano al variare del sistema di riferimento. Il tempo diventa così una quarta dimensione omogenea alle tre dimensioni spaziali.

La teoria della relatività ristretta da luogo a cinque conseguenze fondamentali, alcune delle quali possono apparire assurde, ma tutte verificate ed attendibili:


Non può esistere una velocità maggiore alla velocità della luce c.

la lunghezza di un corpo è più grande quando questo è a riposo relativamente all'osservatore. Quando il corpo si muove con una velocità v rispetto all'osservatore la sua lunghezza si contrae, nella direzione del moto, del fattore β (fattore relativistico ).


un orologio va al ritmo più veloce quando è a riposo rispetto all'osservatore. Quando si muove con velocità v rispetto all'osservatore, il suo ritmo misurato subisce un rallentamento di un fattore β.



la massa di un corpo varia quando esso si muove con velocità costante v.



la massa non è altro che una forma di energia:


Quest'ultima considerazione in particolare diede il via agli studi sul nucleare che portarono alla creazione della bomba atomica utilizzata dagli Stati Uniti durante il secondo conflitto mondiale.


La teoria della relatività estesa invece fa riferimento anche ai corpi accelerati. Per descriverla viene introdotta l'idea di un continuum quadridimensionale a curvatura variabile, la cui curvatura è prodotta dalla presenza della materia, in modo simile al modo in cui le cariche generano un campo elettrico. In questo continuum si possono immaginare delle geodetiche che corrispondono alle traiettorie dei corpi in moto libero; l'orbita di un pianeta non è più la traiettoria che il pianeta percorre in quanto attratto dalla forza gravitazionale che si origina dal Sole, ma è una geodetica dello spazio-tempo.



La geometria sferica


Zarathustra nel dire "credi tu, nano, che questi sentieri si contraddicano in eterno?" pone un quesito che, seguendo le logiche di una geometria euclidea risulta assurdo: due semirette aventi il punto d'origine comune non possono incrociarsi in altri punti, allo stesso modo che due rette parallele non si incontrano mai, come afferma il quinto postulato di Euclide.

Tuttavia se invece di riferirci ad un modello di geometria piana utilizzassimo un modello di geometria sferica tale affermazione non sorprenderebbe.

La geometria sferica è un modello ideato dal matematico Riemann e che nega il quinto postulato di Euclide. Infatti l'assioma di Riemann afferma che due rette qualsiasi di un piano hanno sempre almeno un punto in comune. Dunque non esistono rette parallele. Il piano a cui di fa riferimento è diverso da quello euclideo, esso infatti è l'insieme di tutti i punti della superficie di una sfera. Sulla superficie sferica i punti sono definiti nel senso usuale, mentre le rette sono le circonferenze massime. Pertanto, in questa geometria gli angoli sono definiti tra cerchi massimi e ne deriva una trigonometria del tutto differente (ad esempio la somma degli angoli interni ad un triangolo è sempre maggiore di 180°).

In tale sistema variano anche le definizioni degli elementi fondamentali:




piano

insieme dei punti di una superficie sferica dello spazio euclideo

punto

punto della superficie della sfera

retta

cerchio massimo della superficie sferica (cerchio di intersezione della superficie sferica con un piano passante per il centro della sfera)

segmento

parte di una retta delimitato da due punti della retta stessa

punti antipodali

punti diametralmente opposti della superficie sferica

congruenza tra segmenti

congruenza tra archi di cerchio massimo in geometria euclidea (definita mediante la congruenza delle corde o mediante i movimenti della sfera)

angolo tra due rette

angolo diedro tra i due piani che tagliano la sfera secondo le due rette, oppure angolo che coincide con l'angolo delle due rette euclidee tangenti alla sfera nel punto di intersezione delle due rette sferiche e giacenti nei piani da esse individuati

congruenza tra angoli

congruenza tra angoli in senso euclideo



Alcuni Teoremi di geometria sferica


La circonferenza

La circonferenza è definita come il luogo dei punti equidistanti da un punto dato detto centro. Una circonferenza può anche essere definita come il luogo dei punti equidistanti da una retta data.


Area di un triangolo

Dato un triangolo sferico costruito su una sfera di raggio R e di angoli α,β,γ, l'area del triangolo è:


Somma degli angoli interni di un triangolo

Dalla relazione precedente subito discende che la somma degli angoli interni di un triangolo è sempre maggiore di


Criteri di congruenza tra triangoli

Sono uguali due triangoli sferici che abbiano ordinatamente uguali:

due lati e l'angolo compreso;

due angoli e il lato comune

i tre lati;

i tre angoli.


Formula di Eulero

Dato un poliedro sferico convesso con V vertici, E spigoli ed F facce, vale:

Tutte le perpendicolari ad una retta concorrono in due punti, punti antipodali.

Due punti antipodali dividono la retta in due parti congruenti.

Due punti antipodali dividono in due parti congruenti tutte le rette che passano per essi.

Tutte le rette sono congruenti.

In un triangolo rettangolo l'angolo opposto ad uno dei due lati dell'angolo retto è acuto, ottuso o retto a seconda che tale lato è minore, maggiore o congruente all'altro lato dell'angolo retto.


La geometria sferica è solo una delle geometrie non euclidee che partono dal concetto di curvatura del piano di riferimento. In effetti la geometria euclidea rappresenta il caso in cui la curvatura è nulla. Nella geometria sferica essa è uguale a 1/R (in cui R è il raggio della sfera). Nel caso in cui il valore della curvatura sia negativo si avrà una geometria detta iperbolica.






Interpretazione cosmologica dell'eterno ritorno e la teoria

dell'universo chiuso




L'eterno ritorno è uno dei punti più controversi e dibattuti dell'intera filosofia Nietzschiana. Al di là delle implicazioni sul piano etico che già ho illustrato in precedenza, all'interno dell'opera del filosofo sono presenti dei tentativi per dare un fondamento pseudo-scientifico a questa teoria. Nietzsche sostiene che poiché la quantità di energia all'interno dell'universo è finita, mentre il tempo su cui essa si dispiega è infinito, le manifestazioni e le combinazioni del mondo devono per forza ripetersi.

Questa visione ciclica è rapportabile alla teoria dell'universo chiuso, secondo la quale alla fase, attuale, di espansione dell'universo, generate dal Big Bang, seguirà una fase di riavvicinamento ed un collasso, un gigantesco impatto, il Big Crunch, che riformerà l'uovo cosmico ipotizzato da Gamov, ossia un piccolissimo punto di temperatura e densità infinite. In questo modo si originerà un nuovo Big Bang ed eternamente si ripeteranno le stesse situazioni.

Ci è impossibile con le nostre conoscenze attuali stabilire la veridicità di queste teorie e quale sia il destino ultimo dell'universo. All'interno dell'universo agiscono due principali forze contrapposte: la spinta espansionistica che tende a far allontanare le galassie l'una dall'altra, della quale le prove scientifiche raccolte da Hubble hanno dimostrato l'esistenza, e la forza gravitazionale che frena l'espansione. L'evoluzione dell'universo dipenderà da quale delle due forze prevarrà ovvero dalla quantità di materia esistente. I cosmologi hanno ideato un parametro detto Omega (Ω), al variare del quale è possibile ipotizzare in che tipo di universo ci troviamo.  Omega rappresenta il rapporto tra la densità media della materia nell'universo e la densità critica. Se Ω è minore di 1 la quantità di materia è insufficiente ad invertire il moto di espansione e lo spazio-tempo segue il modello della geometria iperbolica. L'espansione non si arresterà mai (universo aperto). Se Ω è uguale a 1 l'espansione rallenterà lentamente fino ad arrestarsi. Lo spazio-tempo è un piano euclideo (universo piatto). Se infine Ω è maggiore di uno si verificherà l'ipotesi precedentemente descritta. Lo spazio tempo in questo caso ubbidirà alle leggi della geometria sferica (universo chiuso).



Rappresentazioni ideali dello spazio-tempo secondo le teorie dell'universo chiuso (Ω>1), dell'universo aperto (Ω<1) e dell'universo piatto (Ω=1).

Rappresentazioni ideali dello spazio-tempo secondo le teorie dell'universo chiuso (Ω>1), dell'universo aperto (Ω<1) e dell'universo piatto (Ω=1).

L'eterno ritorno e il saggio nello Stoicismo


La concezione ciclica del tempo e dell'universo ha un precedente nell'apocatastasi stoica. L'intero cosmo è soggetto a cicli periodici di distruzione e riedificazione, di ecpirosi e di palingenesi: il mondo, destabilizzato dal fuoco, viene distrutto e poi successivamente riedificato dal logòs sempre nella stessa e identica forma. Ciò significa che non solo il tempo per gli stoici non è lineare ma, ogni evento, ogni vita, ogni singola percezione umana, è destinata a ripetersi ciclicamente nel tempo sempre nello stesso e identico modo, in eterno, in quanto il logos non può che essere sempre uguale a sé stesso.

Al di là della visione circolare del tempo, che comporta il più difficile dei comandamenti, come lo definisce Alfonso Traina, ossia l'amare il proprio destino (amor fati direbbe Zarathustra), la filosofia Stoica è nel suo complesso direttamente antitetica a quella di Nietzsche, per la volontà di dominare le passioni (apatia) e per il ruolo centrale del Logos, ossia la ragione universale che ordina il mondo.

Da tali diversità dottrinali è inevitabile che scaturiscano due modelli comportamentali estremamente dissomiglianti, quali il saggio stoico e l'oltreuomo.

È possibile attraverso lo studio dell'opera di Lucio Anneo Seneca ricostruire quali siano le caratteristiche del saggio. Innanzi tutto non è un ideale utopico: il filosofo ritiene che nel corso della storia siano vissuti uomini degni dell'appellativo di saggio. Nelle Epistulae morales ad Lucillum individua in Catone l'Uticense uno di questi, per la prudentia di aver saputo distanziarsi da tutte le tirannie, rifiutando tanto Cesare quanto Pompeo, la fortitudo di saper conservare la propria serenità tra i turbamenti di tutto il popolo, la iustitia di rivendicare per Roma la libertà che le apparteneva e la temperantia di esortare lo stato a non cedere ai più facili compromessi, ma a lottare per la libertà. Infine ha fondamentale importanza il rifiuto alla vita in assenza di libertas, il suicidio meditato: non un gesto patetico, ma il frutto della ragione, una morte voluta per affermare la propria autarkeia. Il saggio è anche colui che sa essere padrone del tempo. Nel 'De brevitate vitae', uno dei dieci Dialogi, Seneca afferma che solo il saggio vive davvero, perché è colui che non spreca il suo tempo in occupazioni futili, non si proietta nel futuro tormentandosi in speranze vane, né si rifugia nel passato. Vive il presente coscientemente e non si perde negli affanni del quotidiano come gli occupati. Sa fare tesoro di ogni attimo per migliorarsi in vista della perfezione morale e spirituale. Questo è l'unico modo per non sprecare il tempo che la natura ci offre, che non è poco in quanto vita, si uti scias, longa est.

Il saggio stoico non possiede la volontà creatrice dell'übermensch. I valori che rincorre sono canonizzati dalla tradizione e dalla dottrina. La sua santità morale, come l'eterna beatitudine cara a Dante, porta all'arresto di ogni dinamismo una volta raggiunta: essa è compimento di una perfezione interiore imperturbabile. L'oltreuomo invece è perfetto solo per sé, e, mosso dalla volontà di potenza, è continuo divenire e continua affermazione di sé.



Superuomo dannunziano e oltreuomo nietzschiano


Gabriele D'Annunzio, conducendo la sua "vita inimitabile", pensò di realizzare l'ideale dell'übermensch. Egli fu tra i primi in Italia a leggere e tradurre l'opera di Nietzsche, dando però un'interpretazione del tutto superficiale e forzata della sua filosofia, al punto che la critica moderna è generalmente concorde nello scindere il superuomo dannunziano dall'oltreuomo nietzschiano.

Il superuomo vive al di sopra di tutte le regole. È colui che, ereditando alcuni caratteri dal'estetismo inglese e dal dandyismo, conduce una vita all'insegna della ricerca del bello, in ogni sua forma, anche sensuale, senza alcuna preoccupazione di ordine morale. Ama gli eccessi ed è un megalomane. Il bello è una scelta aristocratica e un segno di superiorità. Fortissimo è l'egotismo del superuomo che si colloca al di sopra degli altri uomini, con autoritarismo ed aggressività. Disprezza le masse e la democrazia e si rende portavoce degli ideali nazionalisti, in maniera pomposamente eroica, sino a sfociare nel razzismo. D'Annunzio recupera infatti il mito della stirpe latina, «che già dominò e dovrà tornare a dominare il mondo». È una retorica che verrà ripresa da quella fascista e mussoliniana. Nonostante il piedistallo su cui d'Annunzio si pone, ed il dichiarato disprezzo per le masse, egli è il primo in Italia ad organizzare la sua produzione letteraria per il consumo di massa, a rincorrere il successo sfruttando con abilità i meccanismi dell'industria culturale.

L'oltreuomo non è nulla di tutto ciò: non è un uomo al superlativo, ma un uomo diverso da quello che conosciamo, non per l'eccessività dei suoi atteggiamenti, ma perché è un trasformato, è un uomo oltre l'uomo, capace di creare valori nuovi e di rapportarsi in maniera inedita con la realtà. Il superuomo dannunziano vive il suo tempo, traendone il massimo vantaggio, mentre il tempo dell'übermensch ancora deve venire. Egli disprezza le masse e per questo fugge dal mercato, non le strumentalizza per rincorrere fama e fortuna. È un filosofo vero, che mai pone fine al suo divenire, in quanto egli è espressione della volontà di potenza. Disprezza ogni forma di politica: «Si chiama stato il più gelido di tutti i gelidi mostri. Esso è gelido anche quando mente; e questa menzogna gli striscia dalla bocca: io, lo Stato, sono il popolo!» così parla Zarathustra e prosegue: «là dove lo Stato finisce - guardate, guardate fratelli! Non vedete l'arcobaleno e i ponti del Superuomo?». In una tale concezione non c'è posto per il nazionalismo. L'oltreuomo è al di là del bene e del male, ma non è un amorale: egli segue le regole dettate dalla sua coscienza, i nuovi valori, poiché una legge universale non può esistere. Egli non disprezza il debole, disprezza chi, qualunque sia la sua forza, è separato da quanto è in suo potere.

D'altronde Nietzsche sapeva che la sua filosofia avrebbe dato vita a fraintendimenti e distorsioni di questa, e di peggiore natura. In un capitolo del secondo libro dello Zarathustra intitolato "il fanciullo con lo specchio" un fanciullo si presenta in sogno al profeta mostrandogli, in uno specchio la sua immagine distorta in un ghigno deforme: « i miei nemici sono diventati potenti, hanno deformato l'immagine della mia dottrina». In una lettera del 1884 scriveva: «Chissà quante generazioni dovranno trascorrere per produrre alcune persone che riescano a sentire dentro di sé ciò che ho fatto! E anche allora mi terrorizza il pensiero di tutti coloro che, ingiustificatamente e del tutto impropriamente, si richiameranno alla mia autorità. Ma questo è il tormento di ogni grande maestro dell'umanità: egli sa che, in date circostanze del tutto accidentali, può diventare con la stessa facilità una sventura o una benedizione per l'umanità». Quanto egli scrisse in questa lettera ha quasi del profetico.


Nietzsche e il nazismo


Il nome di Nietzsche è stato a lungo ingiustamente associato alla cultura nazista. Questo fraintendimento è stato causato in larga misura dalla sorella di Nietzsche, Elisabeth che ha curato la pubblicazione del suo epistolario e di una parte dei frammenti postumi, sotto il nome di "La volontà di potenza", falsificandone il contenuto in modo da diffondere l'immagine del fratello come teorico dell'antisemitismo e propugnatore di una palingenesi reazionaria dell'umanità.

Sebbene nelle opere edite sotto approvazione di Nietzsche siano presenti spunti antidemocratici e antiegalitari che potrebbero far supporre un orientamento politico reazionario, è ancor più evidente quanto poco interesse egli abbia provato per la politica, e quanto disprezzo egli provi per lo Stato, in ogni sua forma. La volontà di potenza è una cosa che va ben al di là del desiderio di sopraffazione.

Interpretare la filosofia di Nietzsche come la profezia dell'avvento del Nazismo è una mistificazione del suo pensiero e un oltraggio nei confronti di questo eminente pensatore.

Basterebbe leggere qualche pagina del Mein Kampf di Hitler per rendersi conto di come nulla accomuni le teorie di questo folle alla filosofia di Nietzsche: la tesi di quest'opera, sulla quale il partito Nazionalsocialista si fonda, è quella della superiorità della razza degli arii, unica vera fondatrice di cultura, che avrebbe il dovere di sottomettere tutti gli uomini inferiori, ultimi tra i quali gli ebrei, al fine di raggiungere il più alto livello di sviluppo. Niente di tutto ciò è presente nell'opera del filosofo: neppure l'oltreuomo ha la pretesa di dominare gli uomini comuni, e di certo non è un dato genetico a determinare la sua superiorità. Zarathustra non pone nessun limite di ordine biologico ai suoi ascoltatori: il suo messaggio è aperto a tutta l'umanità atta a recepirlo.

Come certe teorie abominevoli abbiano potuto trovare un così alto grado di consenso in Germania è una questione complessa. L'ascesa del Nazismo segue la "grande crisi" del 1929, che aveva sconvolto l'assetto economico mondiale, ed in particolar modo quello di una nazione debole come la Germania. Fino a quel momento il partito Nazionalsocialista, fondato il 24 febbraio 1920, quando Hitler espose le 25 tesi ispiratrici del movimento in una birreria di Monaco, aveva costituito una minoranza politica. Il Putsch di Monaco del 1923, l'ultimo dei due "anni terribili", era terminato con l'arresto di Hitler, rivelandosi un fallimento su ogni fronte. Ma la crisi mutò drasticamente la situazione: il popolo Tedesco non era più disposto a prestare fiducia ad uno Stato che nel giro di poco più di dieci anni gli aveva dato una sconfitta in guerra, l'inflazione (negli anni dal 1914 al 1923 il marco aveva subito un deprezzamento incredibile) e ora ancora disoccupazione e miseria. In una condizione del genere la propaganda eversiva del partito di Hitler dava i suoi frutti: lo Stato Nazionalsocialista si presentava come uno Stato nuovo, forte, antiparlamentare, anticomunista che avrebbe assolto il dovere di vendicare le ingiustizie del Trattato di Versailles e di portare alto il nome della nazione Tedesca. Nel 1932 il NSDAP era divenuto il primo partito sulla scena politica tedesca. Un anno dopo, a pochi mesi dalla "notte dei lunghi coltelli" durante la quale Hitler aveva fatto assassinare i suoi principali avversari politici, finiva la repubblica di Weimar: Adolph Hitler aveva assunto i poteri di Reichskanzler (capo del governo) e Reichspresident (presidente della repubblica). Da quel momento divenne il Führer, il dittatore al di sopra delle leggi a cui tutti dovevano prestare attenzione. Nel 1935 venero emanate le leggi di Norimberga, che stabilivano le procedure per l'attuazione delle persecuzioni verso gli ebrei e tutti coloro che erano considerati "diversi": omosessuali, portatori di malattie genetiche, intellettuali scomodi. Il progetto di dominio si stava attuando.


Conclusione


Giunto al termine di questo mio percorso interdisciplinare vorrei concludere accogliendo un'esortazione di Nietzsche: «Lasciate che il mondo non perda mai il suo carattere inquietante, enigmatico».

Sebbene in ogni enigma possa celarsi un inganno, anche tremendo, il rischio per me è da preferirsi al consueto vizio della nostra ragione, di generare determinazioni irremovibili limitando sé medesima e quanto la vita ci offre. L'enigma è il solo a rendere possibile lo stupore, la meraviglia, l'estasi. Le sue vie tortuose conducono alla vera profondità. Spero di conservare in eterno la disposizione, che sento mia, a perdermi in baratri labirintici, a cogliere l'abisso che di continuo si mostra ai miei occhi.



INDICE DEI TESTI CONSULTATI

FILOSOFIA

Abbagnano-Fornasero, Protagonisti e testi della filosofia 3, Paravia

Reale-Antiseri,Storia dell filosofia 3, La scuola

Reale-Antiseri-Baldini, Antologia filosofica 3, La scuola

F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Adelphi Editore

F. Nietzsche, La nascita della tragedia, Editori Laterza

F. Nietzsche, Nell'orizzonte dell'infinito e L'uomo folle, da La gaia scienza, Adelphi Editore

F. Nietzsche, Come il mondo vero finì per diventare favola, da Il crepuscolo degli idoli

G. Deleuze, Nietzsche, sintesi curata dal professor Lucariello

A. Negri, La sentenza di Nietzsche, non fatti ma interpretazioni, rai educational (www.educational.rai.it)

LETTERATURA ITALIANA

Luperini-Catandi-Marchiani-Marchese, Manuale di letteratura 2-3, Palumbo editore

L. Russo, I classici italiano vol.III L'Ottocento, Sansoni editore

L. Russo, Compendio storico della letteratura italiana, G. D'Anna

Flora-Nicastro, Storia della letteratura italiana III, Mondadori

DIVINA COMMEDIA

D. Alighieri, La divina commedia, testo critico della Società Dantesca Italiana, Hoelpi

B. Croce, L'ultimo canto della Commedia, in Poesia antica e moderna, Laterza

S. Battaglia, La poesia dell'ineffabilità, in Esemplarità e antagonismo nel pensiero di Dante, Liguori

LETTERATURA INGLESE

George Orwell, 1984, Mondadori

Thomson-Maglioni, New Literary Links 3, Black cat

STORIA DELL'ARTE

Carlo Giulio Argan, L'arte moderna, Sansoni

Andrè Breton, Manifesto del Surrealismo

Russoli-De Serio-Toso, Picasso 1915-1973, un'arte tutta nel presente, Rizzoli

Chiappini-Armiraglio, Munch, impeto visionario nel 'fregio della vita', Rizzoli

STORIA

Desideri-Themelly, Storia e storiografia 3, G. D'Anna

A.Hitler, la mia battaglia (brani scelti)

SCIENZE DELLA TERRA

Fornasero, Il pianeta blu, il capitello

MATEMATICA E FISICA

P. Odifreddi, La matematica del 900, Einaudi scienza

Amaldi, Fisica: idee ed esperimenti 3, Zanichelli









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