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Caso emilia - romagna: progetto sperimentale di rilievo regionale




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CASO EMILIA - ROMAGNA: PROGETTO SPERIMENTALE DI RILIEVO REGIONALE



1. Premessa


Nella regione Emilia - Romagna l'esperienza di mediazione culturale è stata oggetto di un lavoro molto articolato iniziato nel 1998 e tutt'ora in itinere nei singoli Istituti della Regione, che motiva la necessità di una trattazione a parte. La particolarità di questa realtà è che, unico caso in Italia, ci si trova di fronte ad un progetto di rilievo regionale che ha interessato praticamente tutte le istituzioni: gli Istituti penitenziari, i Comuni, le Province, naturalmente la Regione suddetta ed il P.R.A.P. dell' Emilia - Romagna. Il progetto si propone di creare le basi e le direttive di un lavoro che poi si dovrà concretizzare all'interno di ogni Istituto con la realizzazione di sportelli informativi per la popolazione detenuta straniera, secondo le modalità e le migliori condizioni della realtà locale. In concreto, tale progetto, attiva proprio un'esperienza pilota all'interno della Casa Circondariale di Bologna e contestualmente in quella di Modena, trattandosi di due realtà piuttosto significative, visto l'alto numero di detenuti contenuti e, in particolare, di detenuti stranieri.

Questa proposta progettuale, avviata ufficialmente il 24 settembre del 1997, affonda le sue radici indietro nel tempo: una prima proposta fu infatti elaborata dalle forze del volontariato nel 1996, quando l'allora "Gruppo tecnico sulla preparazione alla dimissione del detenuto e sull'assistenza post-penitenziaria", elaborò un progetto. L' idea di base di questo, era quella di avvicinare l'ente locale al carcere collocando un ufficio informativo al suo interno, con lo scopo di tentare una risposta che non fosse solo di tipo repressivo a bisogni enormi, visto che il carcere è un contesto dove conflitti e contraddizioni sociali si enfatizzano piuttosto che risolversi. Con tale obiettivo si è giunti sino al progetto sperimentale "Sportello: informazione e accesso ai diritti per immigrati e soggetti a rischio di emarginazione detenuti". Il progetto, finanziato dalla Regione, è stato promosso dal Comitato Carcere - Città (organo politico congiunto tra Comune, Provincia e Casa Circondariale, attualmente denominato Comitato Locale ed esteso ad altri soggetti, nell'ambito degli accordi del protocollo d'intesa tra il Ministero della Giustizia - allora Ministero di Grazia e Giustizia - firmato il 5 marzo 1998), ed ha visto l'impegno di diversi attori istituzionali: anzitutto il Comune, incaricato di gestire l'iniziativa sperimentale di un anno dello sportello. In secondo luogo, una Cooperativa sociale (CSAPSA) specificatamente competente in tema di integrazione etnico - culturale, con il mandato di diffondere gli esiti e di promuovere una riflessione sulla mediazione a livello regionale attraverso la conduzione di specifici seminari; ed infine, un organo collettivo chiamato Comitato tecnico di progettazione, sede di verifica periodica sull'andamento complessivo dell'iniziativa, formato da rappresentanti di Regione, Casa Circondariale, Comune, P.R.A.P., C.S.S.A., e Istituzione per i servizi all'immigrazione dello stesso Comune di Bologna.

Per completare la premessa con un quadro che faccia comprendere i costi di tali progetti ed il tipo di investimento fatto dagli Enti, si propone di seguito uno specchietto riassuntivo dei finanziamenti dei diversi progetti Sportelli informativi per detenuti immigrati:




FINANZIAMENTI

ANNO 1999

ANNO 2000

ANNO 2001

ANNO 2002


REGIONE










COMUNI










TOTALE





Tabella n.5





2. I due ambiti d'azione del progetto: a) progetto seminario regionale; b) progetto sportello all'interno della c.c. di Bologna


Come si può comprendere dallo stesso Protocollo d'intesa, il punto di partenza di questo progetto è la considerazione che la situazione degli stranieri in carcere "presenta un quadro di netto aggravamento rispetto ai problemi comuni alla generalità dei detenuti quali: difficoltà di relazioni sia all'interno che all'esterno; (.) emarginazione all'interno della stessa struttura carceraria; impossibilità per la maggioranza dei casi di fruire delle misure alternative; diverse esigenze alimentari legate a fattori religiosi; (.)"[1]. Ciò assieme all'altra fondamentale constatazione dell'alta percentuale numerica di extracomunitari nelle carceri della regione; in particolare, a Bologna, da cui parte il progetto pilota, si rilevava (e si rileva tutt'ora) una popolazione detenuta straniera pari al 50% del totale, contro una percentuale di presenza sul territorio appena del 5% circa. Questa realtà ha comportato un intervento mirato, che nel protocollo si impegnano a realizzare congiuntamente Ministero e Regione, che coinvolge a vario livello tutte le istituzioni per la realizzazione di un servizio di mediazione culturale che passa anche attraverso iniziative di formazione del personale sia dell'Amministrazione Penitenziaria che degli Enti Locali. Infatti il progetto di cui si riferisce, si è suddiviso in due ambiti d'azione: l'allestimento di un percorso formativo a livello regionale a cui hanno partecipato operatori dell'Amministrazione Penitenziaria (agenti, educatori, assistenti sociali) e degli Enti Locali, e parallelamente, l'esperienza all'interno della Casa Circondariale di Bologna di uno Sportello polifunzionale rivolto, in particolar modo, ai detenuti stranieri. Due quindi le esigenze fondamentali: una quella di agire in concreto, dove il disagio maggiormente si produce, cioè dentro il carcere, e fornire possibilità di reale integrazione attraverso l'impiego di mediatori culturali, fornire un supporto giuridico al fine di promuovere l'accesso dei detenuti alle risorse istituzionali e non, presenti sul territorio provinciale e regionale, perché si possa compiere il processo di reinserimento della persona. L'altra, quella di mettere in contatto i diversi soggetti istituzionali nella duplice ottica di formare in maniera adeguata il personale, che viene quotidianamente in contatto con gli immigrati, e di creare un momento di comunicazione tra i soggetti stessi con la prospettiva di una reale collaborazione con il comune obiettivo del miglioramento delle condizioni di vita interne e delle prospettive esterne dei detenuti.

Un progetto che persegue la strada della mediazione strettamente connessa all'interazione tra le varie realtà che ruotano intorno all'area dell'esecuzione penale come alternativa alla sola risposta contenitiva del carcere.

Tali finalità sono chiaramente esplicate negli interventi che fanno parte della documentazione dei seminari regionali dove ad esempio, si legge "dietro alla formazione congiunta l'ipotesi è che una risorsa che occorre vagliare e promuovere è proprio quella dell'analisi inter-organizzativa ed inter-istituzionale, alla ricerca di una piena sinergia di impegni e risorse; allo stesso modo l'esperienza concreta dello Sportello (presso la C.C. di Bologna) ha significato e significherà perseguire un modello di comunicazione e di partnership (.) nella convinzione che scenari complessi possano essere affrontati solamente attraverso la messa a punto di risposte e dispositivi altrettanto complessi e in grado di produrre sia conoscenza, sia pratiche efficaci."[2] Questo a riconfermare l'importanza dei due momenti del progetto e dello svolgimento contemporaneo degli stessi.


a) Progetto seminario regionale: mediazione, immigrazione e carcere


Si intende ora illustrare la parte del progetto relativo ai seminari per comprendere il tipo di lavoro che è stato svolto. L'inizio delle attività è stato il 2.12.1997 e l'obiettivo quello di affrontare le questioni della mediazione e della progettualità in carcere con gli operatori degli Istituti penitenziari e dei Comuni della regione Emilia-Romagna, con l'obiettivo di creare una rete di operatori per riflettere sulle problematiche della gestione dello spazio carcere con un approccio aperto alle differenze culturali. Tali seminari sono stati diretti ed organizzati da una Cooperativa sociale, CSAPSA (centro studi di analisi di psicologia e sociologia applicate), esperta nel settore immigrazione. Hanno partecipato una cinquantina di operatori provenienti da tutta la Regione: operatori degli Istituti penitenziari (dalla Polizia penitenziaria agli educatori e gli operatori del CSSA) e dei Comuni.

Il lavoro si presenta come un lavoro di gruppo, il percorso loro proposto ha mirato a combinare diversi elementi: fornire informazioni, fornire strumenti metodologici, facilitare il confronto tra operatori attraverso l'interazione, rilevare i bisogni locali per elaborare strategie operative e progetti d'azione. Fondamentale la presenza, nei gruppi di formazione, di diverse figure professionali che hanno permesso di sperimentare una comunicazione costruttiva. In tale contesto il lavoro sulla mediazione ha dunque interessato vari livelli: la mediazione tra gli operatori e detenuti immigrati in particolare, tra detenuti immigrati e detenuti italiani, tra operatori penitenziari e operatori degli enti locali, tra attori istituzionali e servizi, ed ancora mediazione tra operatori penitenziari e volontariato. Si sintetizza di seguito il contenuto dei singoli incontri, per meglio evidenziare le tappe del percorso. Nel primo incontro è stato illustrato agli operatori il progetto nel suo complesso ed in particolare la sperimentazione dello sportello; i tre gruppi di lavoro dovevano dunque rispondere alle domande riguardo gli obiettivi, le funzioni dello sportello stesso, e le problematiche ad esso collegate. Nell'incontro del mese successivo l'attenzione è stata focalizzata sul concetto di mediazione, sono stati trattati gli aspetti teorici e metodologici, e i vari livelli della mediazione, e nuovamente creati gruppi di lavoro, quattro, per conoscere l'approccio del singolo operatore con la mediazione. Successivamente, il lavoro prosegue affrontando le tematiche relative ai rapporti interistituzionali, mediazione e gestione del conflitto, cioè la valutazione dello sportello e della mediazione come gestione del conflitto. Il quarto incontro analizza la legislazione sull'immigrazione e la problematica immigrazione in carcere; l'ultimo, tocca il tema del volontariato in carcere, propone riflessioni conclusive sul percorso fatto, nonché un riepilogo del progetto regionale. Al termine di tale lavoro è stato prodotto del materiale che ha raccolto le problematiche e le riflessioni emerse nei seminari: a partire dai mutamenti profondi dei rapporti in carcere con l'aumento sì sostanzioso di stranieri, passando per i problemi più sentiti ed evidenti di quest'ultimi in carcere (tensioni, assenza di familiari, assenza di una rete di riferimento fuori, ecc.), nonché la situazione degli stessi operatori, il loro disagio ma anche la necessità di una loro preparazione professionale più adeguata alla situazione contingente. Altra tematica di rilievo, inoltre, quella relativa alle questioni di metodo nel lavoro di mediazione in carcere; si tratta di trovare strategie operative adatte e non solo, si tratta soprattutto di chiarire la posizione e la figura del mediatore, la sua preparazione e la sua legittimazione nel carcere, sia agli occhi degli operatori che dei detenuti.

Sono dunque, emerse proposte e considerazioni fondamentali per la realizzazione e lo svolgimento dell'esperienza interna alla Casa Circondariale, relativa cioè al servizio informativo sperimentato sul campo, a testimonianza di quanto sia importante, per poter agire positivamente nel concreto, e coinvolgere tutti coloro che nella quotidianità si trovano ad interagire con gli stranieri. Nonché il confronto fra operatori ha fatto emergere l'esistenza di diverse esperienze locali e la necessità di collegare, territorializzare e dare un quadro di riferimento comune alle diverse azioni di sportello rivolte ai detenuti immigrati presenti a livello regionale, ciò anche per creare condizioni di eguaglianza delle opportunità e garantire l'accesso ai diritti; ma anche è emersa l'importanza di un' azione di monitoraggio e di supervisione delle azioni di sportello che potrebbe rivelarsi garanzia di qualità e continuità.


(segue) il monitoraggio dei progetti "sportelli" a livello regionale


Proprio in relazione a quanto appena detto circa una eventuale azione di supervisione, il progetto prevede come momento fondamentale, proprio l'organizzazione di una "unità di monitoraggio" che comprende il gruppo tecnico della Regione, i rappresentanti dell'Amministrazione penitenziaria e dei diversi Istituti, quelli del CSSA e degli Enti Locali. Tale gruppo di pilotage avrebbe dunque il compito, dice testualmente il progetto,di fare da "centrale connettiva". Dunque un gruppo con una funzione di raccordo, veicolazione e raccolta di informazioni, che sia il collegamento con le azioni locali, e un raccordo tra l'avvio differenziato degli Sportelli nei vari Istituti, e che abbia il compito di monitorare l'andamento del Progetto regionale e di valutare il proseguimento degli interventi. Quale anello di congiunzione tra tale unità di monitoraggio e gli sportelli, è inoltre previsto un "comitato di coordinamento tecnico" che verifica in itinere le azioni, costituito dai membri dell' "unità di monitoraggio", da operatori delegati dai diversi "gruppi progetto" dei vari Istituti, e dai supervisori di tali gruppi. Gli obiettivi che tale organizzazione di contatti si propone, sono anzitutto quello di costruire un sistema di verifica della azioni, in secondo luogo quello di offrire agli operatori la possibilità di verificare i risultati attraverso alcuni indicatori (ad esempio il numero di colloqui, il numero di richieste ricevute,ecc., confrontati anche con il lavoro di altri operatori), ed anche ricalibrare e modificare se necessario, i progetti in itinere. Si tenga presente che il progetto, nel fornire le indicazioni di metodo ed organizzative da perseguire per la realizzazione degli sportelli, prevede che i diversi gruppi di lavoro (operatori - mediatori) producano una documentazione della propria esperienza concreta, proprio perché tale lavoro sia suscettibile di valutazione e confronto. Il metodo indicato è quello di programmare riunioni a cadenza stabilita (ad esempio due volte al mese) anche allargando tali incontri alle altre figure del carcere, producendo una documentazione analitica di tutto il lavoro svolto.


b) Progetto pilota: lo sportello all'interno della c.c. di Bologna


Nell'allegato numero 8 del Protocollo d'intesa del Ministero di Grazia e Giustizia e la regione Emilia - Romagna si trova la scheda di sintesi del progetto pilota condotto nella casa circondariale di Bologna. La premessa che ivi si legge, è che le istituzioni chiamate a dare una risposta a gravi bisogni quali quelli che un detenuto, in particolar modo straniero, si trova a dover affrontare, sono "l'Amministrazione Penitenziaria, per la parte che riguarda  l'informazione sulle regole che governano la vita negli Istituti di prevenzione e di Pena, l'assistenza sanitaria, il trattamento rieducativi ecc.; e gli Enti Locali per quanto disposto dal D.P.R. 616/1977 e collegati". La durata della fase sperimentale del progetto era prevista di un anno, lo sportello comunque, allo stato attuale, è ancora operativo. Quali obiettivi prioritari del progetto sono indicati quello di "favorire l'accesso dei detenuti alle risorse istituzionali e non, per il reinserimento", e quello di "produrre materiale di documentazione, diffusione, implementazione dell'attività a livello regionale", come si legge nel Protocollo stesso. Destinataria è tutta la popolazione detenuta, con particolare attenzione ai soggetti a rischio emarginazione, stranieri, tossicodipendenti ecc.; in prima istanza, sempre nel Protocollo, il progetto si rivolge alla fascia di popolazione detenuta che debba ancora scontare un periodo di pena inferiore ai sei mesi.

Nello specifico i compiti e la funzioni di tale sportello possono così sintetizzarsi:

funzione di segretariato sociale: cioè il compito di rispondere alle domande poste direttamente dai detenuti nei colloqui (sui propri diritti, sulle opportunità di reinserimento, sulle Associazioni pubbliche e private di sostegno sociale e culturale, sulle normative, consulenza e orientamento legale in collaborazione con l'ISI, assistenza relativa ai diritti del malato, ecc.);

funzione di intermediazione culturale: al fine di facilitare la comunicazione e la comprensione linguistico - culturale tra l'operatore di un servizio pubblico e un detenuto straniero è necessaria la figura di un mediatore culturale, che, oltre ad una attività di interpretariato, possa anche comprendere il significato culturale di alcuni comportamenti, veicolare e fornire spiegazioni al detenuto straniero anche in merito alla nostra cultura;

funzione di attivazione: nel senso che laddove la situazione riscontrata nel colloquio lo suggerisca ci sia una vera e propria attivazione delle specifiche risorse comunali esistenti (ad es. CSSA) sino ad una possibile presa in carico del soggetto;

funzione di raccordo: nel senso di un'azione di coordinamento, di tipo informativo, tra vari enti al fine del massimo raccordo possibile soprattutto con le realtà che direttamente collaborano col carcere, per promuovere e facilitare l'intervento ai servizi istituzionali e non che si occupano dei problemi degli stranieri. L'operatore svolgerà una ricerca di tutte le risorse del territorio provinciale e regionale, con attenzione ai problemi abitativi, occupazionali, sanitari, legali ecc., in riferimento alla popolazione carceraria che usufruisce di misure alternative alla detenzione e ai soggetti in via di dimissione.

Nella scheda di sintesi vengono, inoltre, precisamente individuate le risorse necessarie: 1 operatore sociale (per 18 ore settimanali) individuato dal Comune in intesa con la Casa Circondariale; 2 mediatori culturali ( per 8 ore settimanali) già individuati, uno di origine araba e l'altro slava, già presenti nell'Istituto come volontari, ed in possesso di precedenti esperienze in grado di effettuare colloqui e attività di traduzione simultanea in arabo, albanese, inglese, francese; collaborazione professionale di consulenza dell' Ufficio Legale dell' ISI - Istituzione dei Servizi per l'Immigrazione di Bologna - (per 2 ore settimanali); un ufficio attrezzato come sede dello Sportello, nell'area della Direzione, alla cui attivazione provvederà il Comune di Bologna con propri fondi; utilizzo sale interne alla Casa Circondariale adibite a colloquio degli operatori con i detenuti; ed infine, fondi e strutture per la produzione di schede di raccolta dati sul soggetto (si tratta di una scheda con tutte le notizie sul detenuto per avere un quadro completo sulla sua situazione) e di valutazione delle attività dello Sportello, nonché per l'elaborazione del materiale informativo di comunicazione, documentazione e diffusione del progetto.

In relazione a quest'ultimo punto, si noti che parte integrante del progetto è la previsione di un opuscolo scritto in più lingue da mettere a disposizione dei detenuti, contenente informazioni (prodotte in collaborazione con la C. C.) relative ai diritti del detenuto, alle risorse e ai servizi per l'accesso alle misure alternative alla detenzione e all'assistenza post - penitenziaria. E' altresì prevista la produzione di materiale di documentazione relativo all'attivazione e conduzione del servizio, che renda possibile il lavoro di valutazione dell' esperienza: infatti, mediante l'elaborazione di tali dati (raccolti in delle schede - guida) si potrà analizzare il lavoro svolto ponendo attenzione a vari fattori, quali i bisogni espressi dai detenuti, l'efficacia reale della struttura progettuale, ma anche, ad esempio, eventuali bisogni formativi per gli operatori del settore.

Come ultimo elemento per comprendere la struttura dello Sportello si vogliono illustrare quali sono le modalità di attivazione e di conduzione del suddetto servizio: lo Sportello viene aperto due volte alla settimana, con orario stabilito in relazione soprattutto alla organizzazione delle attività dei detenuti, e si sposta nelle diverse sezioni del carcere secondo un calendario mensile predefinito e concordato con la Direzione, così da consentire a tutti i detenuti la possibilità di svolgere colloqui con gli operatori. Esistono modelli di domanda (la cosiddetta "domandina") disponibili fra i detenuti che essi devono compilare con almeno una settimana di anticipo per richiedere un incontro. Per quanto riguarda le modalità del colloquio si tenga presente che ogni primo colloquio viene realizzato congiuntamente all'educatore di riferimento (e, per i soli imputati, previo nulla osta dell'Autorità giudiziaria), mentre i successivi sono a cura del solo operatore dello sportello sulla base del tipo di esigenza emersa e del percorso attivato.




3. Alcuni dati e riflessioni emersi nel corso della sperimentazione


Nella documentazione relativa al progetto vengono messe in evidenza le difficoltà incontrate nell'implementazione del servizio, aspetti interessanti per avere chiaro il quadro complessivo e cosa possa comportare un progetto come questo. Le difficoltà di cui si parla sono insite nel passaggio dal progetto all'azione, quando ci si scontra con diverse esigenze di riconoscimento delle reciproche competenze, con processi burocratici ed organizzativi che a volte rischiano di ledere l'efficienza. Quindi, tra problematiche di vario tipo, non ultime quelle di raccordo tra le varie figure istituzionali e non, per collaborare, il primo colloquio all'interno della C. C. è stato effettuato il 4 febbraio 1998. E' possibile fornire un rapido quadro statistico per illustrare l'attività dello sportello nei primi otto mesi: su una popolazione detenuta che al 31 dicembre del 1997 contava 709 soggetti (di cui il 60% ca. non definitivo) di cui 348 stranieri, hanno richiesto ed ottenuto un colloquio 71 detenuti, di cui 26 stranieri, e con 32 di essi i colloqui sono stati più di uno. Tale lavoro iniziale è stato oggetto di analisi e valutazioni sia per capire quali sono i bisogni primari dei detenuti così come emersi dal lavoro con essi, ma anche quali le necessità da un punto di vista organizzativo e professionale per gli operatori e gli attori istituzionali. L'individuazione di tali bisogni incide sul concreto buon funzionamento di un servizio complesso come questo, rende possibile per chi vi opera far divenire realisticamente efficace il proprio lavoro, è quindi passo necessario. E' evidente, inoltre, e viene spesso ribadito nella documentazione dello sportello, che fondamentale per gli esiti di tale lavoro risulta essere la formazione del personale in senso multiculturale.

Ciò che emerge in maniera netta è il concetto che per un'azione incisiva in una realtà difficile come quella del carcere, è ormai indispensabile una solida collaborazione fra soggetti istituzionali e non. In particolare, se si vuole incidere sulla realtà vissuta dagli stranieri operando concretamente nel carcere come fuori da esso, dove molte delle problematiche che affliggono chi è detenuto continuano anche in stato di libertà, allora alla collaborazione è necessario aggiungere una formazione specifica degli operatori dei servizi. E' ormai individuata come indispensabile una conoscenza interculturale che, dunque, non deve caratterizzare i soli mediatori culturali in senso stretto: la questione della formazione infatti, è fra le priorità inserite nel Protocollo d'Intesa già citato dove si legge " il Ministero di Grazia e Giustizia e la regione Emilia - Romagna riaffermano il comune impegno nell'organizzazione di iniziative di formazione congiunta rivolte al personale sia dell'Amministrazione Penitenziaria che degli Enti Locali in tutti gli ambiti in cui si realizza il rapporto di collaborazione (.)".


Interventi successivi


Durante i seminari regionali di cui si è parlato (cfr. par. 2.1.), gli operatori hanno esplicitato una richiesta specifica di formazione sulla mediazione: in seguito ad essa, è stato presentato presso l'Assessorato alla formazione professionale un percorso formativo di 120 ore rivolto a tutti gli operatori penitenziari (agenti di polizia, educatori), agli operatori, ai mediatori degli Sportelli, e agli assistenti sociali dei CSSA coinvolti nella realizzazione del progetto regionale. Tale percorso formativo si è svolto nell' anno 2000/2001 ed ha approfondito tematiche attinenti alla mediazione culturale con diversi moduli: le tecniche, gli strumenti e la metodologia della comunicazione interculturale, l'evoluzione del quadro normativo sull'immigrazione, il lavoro di mediazione nell'ambito carcerario, il lavoro sociale di rete.

Come si evince anche dai contenuti di questo corso, ancora una volta, caratteristica saliente che l'intero progetto sottende è anche, e soprattutto, quella di voler dare delle basi comuni del concetto di mediazione e delle funzioni del mediatore, proprio nella convinzione che si tratti di un tema tanto frastagliato e complesso per cui sia necessario trovare definizioni comunemente condivise; diversamente, si rischiano azioni poco efficaci ed incisive nel concreto. E' passo fondamentale, dunque, pensare un agire comune affinché non ci sia inutile dispersione di energie. A tal proposito nel lavoro svolto nei seminari si è teso ad individuare in modo chiaro il profilo professionale del mediatore culturale, in particolare le competenze specifiche di chi deve operare in carcere, e questo, si tenga presente, anche e soprattutto in assenza di una normativa che definisca le caratteristiche di tale profilo professionale.


Una indagine valutativa


Nel Giugno del 2001 il gruppo di pilotage regionale (cfr. par. 2.2) si è riunito per proporre una valutazione del progetto attraverso un'indagine qualitativa da realizzare nei vari Istituti. Viene dunque proposto un questionario che vuole capire come è vissuta in carcere la presenza dello sportello, qual è il suo impatto e come viene visto dai diversi attori penitenziari: Direttori, Polizia penitenziaria, educatori, operatori sanitari, assistenti sociali dei CSSA ed anche operatori e mediatori culturali degli Enti Locali coinvolti nella gestione degli sportelli.

Tali questionari sono stati presentati e diffusi in tutti gli Istituti: sono stati compilati più di 320 questionari e la rielaborazione dei dati e delle risposte è attualmente (al momento in cui si scrive) in corso, ed è in programma un convegno dedicato proprio alla mediazione e al progetto di cui si parla, dove i risultati di tale indagine saranno esposti. Naturalmente lo scopo di una valutazione di questo genere è fondamentalmente quello di permettere alla Regione di comprendere l'impatto reale degli sportelli e decidere come proseguire, modificare e sviluppare il progetto. Inoltre, il convegno che si intende organizzare vorrebbe essere non solo un momento di verifica del lavoro svolto, ma soprattutto un momento di riflessione su tutti i temi legati alla mediazione per fornire un nuovo spunto in questa direzione; naturalmente, a parteciparvi, tutte le parti collegate al progetto regionale.



I singoli Sportelli negli Istituti della Regione


Si forniscono alcuni dati, in maniera sintetica, circa l'attività condotta dalle singole Case Circondariali, al fine di far comprendere in cosa consiste in concreto un'attività come quella dello Sportello e di mettere in luce le eventuali differenze che si rinvengono a seconda della diversa realtà che caratterizza ciascun Istituto. Si precisa che tali dati emergono da una elaborazione congiunta del materiale desunto dai questionari della ricerca di cui si riporta, insieme a quello fornito dalla Regione Emilia - Romagna (Assessorato alle Politiche sociali):


1) Casa Circondariale di Parma:

Attività svolte dallo Sportello:

Colloqui di informazione, orientamento e consulenza in ambito giuridico - penale;

Diritti di tutela giuridica (documenti);

Formazione e lavoro;

Sostegno materiale;

Produzione di materiali informativi;

Collaborazione con servizi;

Iniziative culturali.

Numero di colloqui effettuati: 280 dal marzo 2001

Tipologie di richieste emerse dai detenuti:

Permesso di soggiorno;

Formazione;

Accesso alle misure alternative alla detenzione;

Sbocchi lavorativi una volta dimessi.

Di supporto all'iniziativa dello Sportello (avviata nel marzo 2001) si segnalano due pubblicazioni: il "Nuovo Regolamento penitenziario" e "Le strade del reinserimento" tradotte anche in albanese, arabo e inglese, che intendono essere due concreti strumenti di orientamento rispetto alle norme che regolano la vita carceraria.


2) Casa Circondariale di Modena:

La C.C. contiene una popolazione straniera pari a oltre il 60% della popolazione carceraria totale (202 stranieri su 336 - dati al 31.12.2001), per questo il progetto pilota ha interessato questo Istituto contestualmente a quello di Bologna.

Attività svolte dallo Sportello:

Fornire informazioni per favorire l'accesso alle opportunità che regolano la detenzione;

Orientamento rispetto ai diritti, tutela giuridica e formazione dei percorsi alternativi alla detenzione;

Informazione su lavoro e formazione;

Mediazione linguistica;

Sostegno materiale per detenuti in stato di indigenza.

I colloqui si svolgono due volte alla settimana alla presenza di due operatori del Centro Stranieri del Comune di Modena e di una mediatrice culturale di lingua araba.

Tipologie di richieste emerse dai detenuti:

Lavoro intra ed extra muraria;

Posizione giuridica;

Documenti e permessi di soggiorno;

Contatti con autorità consolari;

Telefonate a familiari nei Paesi d'origine;

Accesso alle attività scolastiche e formative.



3) Casa Circondariale di Ferrara:

La popolazione detenuta straniera rappresenta il 42% ca. (139 detenuti su 330 dati al 31.12.2001).

Attività svolte dallo Sportello:

Colloqui individuali;

Consulenza legale;

Informazioni su opportunità di reinserimento.

Numero di colloqui effettuati: 332 dal 13 novembre 2000

Tipologie di richieste emerse dai detenuti:

Rinnovo documenti;

Bisogni materiali;

Percorso trattamentale;

Lavoro.


4) Casa Circondariale di Ravenna:

La popolazione detenuta straniera rappresenta il 52% ca. (60 detenuti su 116 dati al 31.12.2001).

Attività svolte dallo Sportello:

Colloqui;

Orientamento e informazioni;

Creare una rete di supporto;

Facilitare il contatto con i familiari nel Paese d'origine;

Programmare l'eventuale reinserimento sociale.

Numero di colloqui effettuati: 76 da marzo 2001.

I colloqui si svolgono due volte alla settimana con un operatore.

Tipologie di richieste emerse dai detenuti:

Rinnovo permesso di soggiorno;

Ricerca di un lavoro;

Telefonare ai familiari;

Bisogni di prima necessità;

Supporto emotivo - relazionale.



5) Casa Circondariale di Bologna:

La popolazione detenuta straniera rappresenta il 51% ca. (449 detenuti su 882 dati al 31.12.2001).

Attività svolte dallo Sportello:

Interpretariato;

Lettura e decodifica di comportamenti, abitudini ecc.;

Orientamento e informazioni in campo giuridico, lavorativo, amministrativo;

Creazione di una rete di supporto;

Creazione di percorsi di reinserimento socio lavorativo;

Facilitare l'accesso alle informazioni e ai diritti previsti per i detenuti immigrati.

Numero di colloqui effettuati: 1500 dal 1999 al 31 maggio 2002.

Tipologie di richieste emerse dai detenuti:

Rinnovo documenti (permesso, passaporto, ecc.);

Contattare le famiglie;

Formazione e lavoro;

Contatti con le rappresentanze diplomatiche dei Paesi di provenienza;

Misure alternative;

Mediazioni con gli avvocati.

Nel corso della settimana si alternano 1 mediatore di lingua araba, 1 mediatore di lingua albanese ed 1 di lingua italiana.

Si rinvia inoltre, per il caso della C.C. di Bologna, a quanto già detto in precedenza (cfr. par. 2.3) parlando del progetto in quanto proprio all'interno di questa Casa Circondariale ha avuto inizio l'esperienza pilota.


6) Casa Circondariale di Rimini:

La popolazione detenuta straniera rappresenta il 28% ca. (48 detenuti su 173 dati al 31.12.2001).

Attività svolte dallo Sportello:

Orientamento;

Informazione;

Contatti con i legali;

Contatti con i servizi socio - sanitari;

Contatti con Questure per permessi di soggiorno e di rinnovi;

Contatti con Questure e con cooperative sociali per l'eventuale reinserimento;

Numero di colloqui effettuati: 603 da marzo 2000.

Tipologie di richieste emerse dai detenuti:

Lavoro;

Documenti;

Telefonare ai familiari;

Contatto con i consolati;

Problemi di salute.

A conferma di quanto in precedenza detto circa l'intento del progetto regionale di offrire un intervento comune tenendo però presente le realtà in cui andava ad incidere, in questo Istituto il progetto regionale, attuato nel 2000, si è innestato su un'attività che era già stata avviata nel settembre del 1998. Si tratta di un progetto denominato "Progetto per la popolazione detenuta straniera" che nasce da un gruppo di lavoro, costituitosi nello stesso anno, composto da otto agenti di polizia penitenziaria, due operatori della Azienda Usl di Rimini, un educatore, il cappellano, un collaboratore di Istituto penitenziario delegato dal Direttore, quattro mediatori culturali di diversa nazionalità, un rappresentante sindacale per Cisl e Cgil. L'intervento ha l'obiettivo di migliorare le condizioni di vita degli stranieri all'interno dell'Istituto; infatti, compito del gruppo, che si riunisce periodicamente, è quello di organizzare e gestire uno spazio ove poter elaborare strategie che offrano opportunità trattamentali più vicine ai bisogni degli stranieri, e verificare l'andamento delle iniziative avviate. Sono stati organizzati due momenti assembleari con la partecipazione di tutti i detenuti stranieri per illustrare il progetto, e in tale occasione sono stati somministrati dei questionari con lo scopo di fare una rilevazione più analitica dei bisogni dei partecipanti. Le iniziative attivate dal gruppo, oltre i colloqui con i mediatori (e qui l'innesto con le modalità del progetto regionale), hanno interessato inoltre: la redazione di una scheda informativa (nuova), tradotta in lingua araba, francese e albanese, da consegnare ai detenuti al momento dell'ingresso in carcere, relativa ai servizi presenti nell'Istituto e come accedervi; la fornitura di libri in lingua araba acquistati tramite il Consolato del Marocco; la realizzazione di un laboratorio di lettura multietnico (il cui lavoro finale è stato anche pubblicato in un libro edito in collaborazione con l'Unità operativa biblioteche della provincia di Ravenna); la distribuzione di copie del Corano ai detenuti interessati, nonché momenti di preghiera con un Iman.


7) Casa Circondariale di Piacenza:

Attività svolte dallo Sportello:

Colloqui;

Informazioni su documenti e permessi di soggiorno;

Contatto con gli avvocati;

Informazione sull'evoluzione normativa;

Traduzione di documenti;

Incontri con educatori ed assistenti sociali.

Numero di colloqui effettuati: 150 dal 1 gennaio 2002

Tipologie di richieste emerse dai detenuti:

Rinnovo permessi di soggiorno e documenti scaduti;

Trasferimento di Istituto per avvicinarsi a parenti;

Accesso alle misure alternative;

Accesso ai permessi - premio;

Informazioni sulle Comunità terapeutiche per detenuti tossicodipendenti;

Telefonare ai familiari.




Casa Circondariale di Reggio Emilia:

La popolazione detenuta straniera rappresenta il 39% ca. (90 detenuti su 228 dati al 31.12.2001).

Attività svolte dallo Sportello:

Colloqui;

Lavori di rete (rapporti con Area Educativa ed Area Sanitaria);

Rapporti con Questura;

Contatti con il CSSA;

Informazioni su documenti, misure alternative e lavoro;

Produzione di una guida informativa in arabo e in italiano;

Attività culturali.

Numero di colloqui effettuati: 687 dal 17 luglio 2000 al 31 marzo 2002.

Tipologie di richieste emerse dai detenuti:

Informazioni su leggi, benefici, misure alternative;

Rinnovo del permesso di soggiorno;

Legge sull'espulsione;

Telefonate ai familiari;

Comunicazioni con Ambasciata e Consolato;

Alloggio;

Corsi e formazione;

Aiuto materiale.

Lo Sportello svolge la sua attività tre giorni alla settimana ed è operativo per tre ore.

In base agli elenchi relativi ai nuovi ingressi forniti dall'Ufficio Matricola, i detenuti vengono convocati dalle operatrici per un primo colloquio informativo individuale, mentre eventuali incontri successivi devono essere richiesti dagli stessi detenuti (con appositi moduli). Le figure professionali che operano nello Sportello sono:

Un' operatrice preposta all'informazione sul sistema penitenziario e penale: per facilitare la comprensione di leggi, la posizione giuridica del detenuto, gli atti giudiziari, le fasi del processo, ecc.;

Una mediatrice culturale di lingua araba: per facilitare il passaggio delle informazioni aiutandone la comprensione, per tradurre il materiale informativo, sia anche per creare una conoscenza interculturale fra operatori;

Un'operatrice addetta all'informazione sui servizi che operano nel territorio: possedendo ampia conoscenza delle modalità di accesso ai servizi pubblici e del privato sociale che erogano servizi e prestazioni a favore degli immigrati, il suo ruolo è quello di veicolare tali informazioni per agevolare la conoscenza del detenuto sul contesto sociale nel quale si trova e a quali servizi potrà fare riferimento qualora, al termine della pena, permanesse nel territorio comunale.

Come per la C.C. di Rimini, anche in quella di Reggio Emilia, prima dell'avvio del progetto regionale, venivano attuate dall'Amministrazione Comunale una serie di iniziative rivolte alla popolazione detenuta in applicazione di un apposito Protocollo d'Intesa fra la Direzione della Casa Circondariale e il Comune. Tali interventi miravano sia all'inserimento lavorativo esterno per i detenuti che beneficiano di un regime speciale di pena, sia al miglioramento della vita carceraria. Dal 1998, col Progetto regionale i fondi sono stanziati anche dalla Regione, nelle modalità di cui alla L.R. 2/85.

Le informazioni sulle attività svolte in tal senso dal Comune, inoltre, possono consultarsi sul sito www.municipio.re.it .


Casa Circondariale di Forlì:

La realtà di Forlì vede quali soggetti promotori del progetto un numero corposo di Enti pubblici, cooperative ed associazioni. La finalità dello stesso è quella di creare un percorso di reinserimento sociale e lavorativo, oltre all'attivazione di uno Sportello informativo per i detenuti immigrati. Per quanto riguarda il primo aspetto vengono organizzati dei corsi formativi di orientamento e formazione al lavoro finalizzati all'individuazione delle capacità spendibili nel mondo del lavoro ed al loro potenziamento o aggiornamento. La pre-selezione del gruppo di detenuti che parteciperanno alle iniziative di formazione, si effettua con il supporto delle Educatrici del carcere che attuano una verifica riguardo la situazione personale di ciascun detenuto. Il corso si articola in quattro moduli che affrontano il tema dell'educazione civica (tutela e godimento dei diritti civili, conoscenza e fruizione degli Istituti pubblici, etc.), un approfondimento dell'esperienza personale di vita, un percorso più specifico di orientamento al lavoro che valorizzi eventuali esperienze già effettuate e individui prospettive possibili, un corso di lingua italiana di prima alfabetizzazione. La fase di orientamento è di importanza fondamentale poiché permette una progettualità individualizzata, che si esprime in un percorso che parte, nell'immediato, dallo Sportello interno alla C.C., per poi spostarsi nello Sportello del Centro di Solidarietà, esterno e aperto a tutta la città, già operante nell'ottica di sensibilizzazione del mondo imprenditoriale all'inserimento nell'impresa di soggetti con deficit di opportunità (con il supporto del Centro per la Formazione Professionale di Forlì).

Strettamente connessa a questa attività è quella svolta dallo Sportello informativo operante all'interno del carcere che, sulla base del contesto socio-culturale locale, ha il compito di indirizzare nel mondo del lavoro coloro che si apprestano ad uscire dall'Istituto. Naturalmente lo Sportello è punto di raccolta e di ascolto dei bisogni dei detenuti e svolge funzioni di Segretariato e consulenza sociale soprattutto attraverso interazioni con le Istituzioni (si pensi alla Questura, ai Sindacati, alla ASL, etc.). Il progetto prevede anche che alcuni detenuti, che ne abbiano fatto specifica richiesta, prestino la propria attività all'interno dello Sportello.

Sintetizzando le attività svolte dallo Sportello:

Favorire l'accesso all'informazione;

Percorsi di inserimento in Italia o nel Paese d'origine;

Interpretariato;

Accesso alle misure alternative;

Miglioramento delle condizioni di vita materiale.

Numero di colloqui effettuati: 100 da marzo 2000

Tipologie di richieste emerse dai detenuti:

Consulenza legale;

Informazione su soggiorno,permessi;

Misure alternative;

Documenti;

Lavoro;

Telefonate ai parenti;

Praticare il proprio culto;

Libri in lingua.

Aspetto importante previsto dai promotori di questo intervento è quello di una attività di coordinamento e di verifica dell'andamento del progetto. A tal proposito vengono svolti incontri tra tutti i soggetti coinvolti creando possibilità di analisi e di confronto, per seguire lo sviluppo generale dell'iniziativa, gli stati di avanzamento degli obiettivi da perseguire, nonché eventuali scostamenti o necessarie azioni correttive. E' altresì prevista la figura del Coordinatore di progetto che, oltre a svolgere attività di coordinamento didattico in riferimento alla formazione prevista (programmazione degli interventi didattici, selezione dei docenti, cura degli aspetti burocratici ed organizzativi), segue gli inserimenti lavorativi sotto tutti gli aspetti: dall'individuazione delle Aziende ospitanti, alla definizione degli obiettivi degli stages. Egli si occupa anche della produzione di una documentazione adeguata che ripercorra l'esperienza di inserimento aziendale del singolo detenuto.
















Conclusioni


Le schede relative alle singole Case Circondariali sono state proposte per concretizzare i contenuti dell'attività di mediazione culturale con il fine, come già detto nel capitolo precedente, di definirne maggiormente i contorni. Da quanto si legge, seppur illustrata sinteticamente, l'attività che gli Sportelli svolgono nel concreto è ben più complessa ed articolata di un semplice lavoro di interpretariato, si tratta piuttosto di un servizio che crea i presupposti, o si pone quantomeno di crearli, affinché la condizione di detenuto non pregiudichi oltre (cioè oltre alle finalità sottese alla espiazione della pena stessa) un soggetto per il solo fattore della diversa nazionalità di provenienza. Attestata la presenza straniera come fattore tutt'altro che episodico o raro, un'organizzazione della stessa struttura penitenziaria che tenga presente ciò che tale elemento comporta negli equilibri interni dei propri Istituti, appare una imminente necessità.

Si torna a porre l'attenzione allora, sulla particolarità di quanto riscontrato nel lavoro sull'Emilia Romagna per tirare le fila di quanto sinora illustrato. Ciò che in questa regione si è tentato, più che altrove (se non qui soltanto) è un articolato lavoro di rete: il lavoro, prevalentemente proposto dall'Amministrazione regionale, ma seguito dai singoli Comuni, è dunque quello di operare insieme, insieme cercare definizioni e presupposti, insieme trasformarli in progetti concreti, insieme finanziarli e renderli possibili. Con ciò intendendo, nel caso della particolare situazione in cui vertono gli stranieri sia fuori che dentro il carcere, la volontà ad impegnarsi nella creazione di servizi appositi che rendano applicabile ed "applicato" quanto esplicitato circa il principio di uguaglianza dall'art. 3 della Costituzione, impegno che decisamente spetta in primo luogo ad un Ente pubblico, essendo diretta conseguenza della funzione che è chiamato a svolgere.

Si sa, infatti, che il mondo del volontariato da molto cerca soluzioni concrete che facilitino l'integrazione ed uguali condizioni di vita ed opera efficacemente in tal senso, ma laddove questo lavoro è sostenuto da un'istituzione presente e operativa, i risultati possono essere assai diversi; quando poi ci si sposta dentro un carcere, la collaborazione con gli Enti Locali, il loro intervento, può diventare fondamentale, proprio perché trattasi di una realtà molto complessa, per sua natura e finalità chiusa all'esterno, con una rigorosa burocrazia ed organizzazione interna, che più facilmente e realisticamente può interagire con un soggetto pubblico piuttosto che privato. In tal senso, una collaborazione che leghi una Regione con i suoi Comuni e questi con le Direzioni dei vari Istituti può avere forza ed incisività, anche e soprattutto in relazione alla durata degli stessi progetti, affinché questi abbiano una stabilità e non siano episodio sporadico, questo, infatti, è quanto ha principalmente inteso realizzare il progetto regionale di cui si è trattato.






















Conclusioni finali


Il lavoro svolto da questa ricerca ha tentato, come avvertito nella premessa, di fotografare l'esistenza e la natura dei progetti di mediazione culturale nelle carceri italiane.

Il discorso della mediazione ha fatto il suo ingresso in carcere sotto la spinta di un'esigenza fortemente avvertita da chi vi opera, vista la mutata compagine sociale di chi è detenuto. Infatti, la forte presenza di stranieri, nonostante ormai sia un evidente dato di fatto, trova il carcere impreparato: sia dal punto di vista di garantire, come formalmente è garantito, un trattamento pari a quello previsto per i detenuti italiani, sia dall'altro punto di vista, cioè quello degli operatori, i quali avvertono, ancora più fortemente, a livello di gestione, numerose difficoltà.

Nell'analisi dei progetti che sono stati rinvenuti, il primo elemento che si è evidenziato è stato quello dell'assenza di una azione coordinata a livello nazionale in tale materia. I progetti che esistono, indipendentemente dalla qualità degli stessi, vivono per così dire di vita propria, non esistendo una direttiva istituzionale che li convogli verso obiettivi comuni. Questo aspetto risulta essere fondamentale in quanto nello studio delle singole realtà, se si dovesse prescindere dal tenere in considerazione tale carenza, che poi è di fatto una carenza normativa, la valutazione del lavoro svolto, ne risentirebbe fortemente. Quello che si è riscontrato, in sintesi, è che l'esigenza avvertita con forza dagli operatori di un'azione di mediazione, è stata quella che in primis ha spinto verso la programmazione e realizzazione di molti dei progetti qui riportati. Ma, nell'atto pratico, i contenuti di tali lavori, le modalità e, anche se in modo minore, gli stessi obiettivi, presentano una gamma di differenziazioni notevoli, frutto della mancanza di chiare direttive comuni.

Questo influisce anche, ed inevitabilmente, sull'incisività degli stessi progetti. Infatti, altro fondamentale aspetto emerso, è quello relativo il centrale ruolo svolto dalle istituzioni. L'azione di mediazione per essere efficace necessita di un intervento di soggetti diversi: per gli aspetti della concreta attuazione, di organismi associativi specializzati in ambito di immigrazione, ma per gli aspetti relativi la realizzazione, da quelli finanziari a quelli amministrativi, è funzionale l'intervento di un ente pubblico. Non in tutte le realtà sono presenti sul territorio associazioni forti, che godono di una buona rappresentatività, che in concreto possano lavorare con il carcere; non tutte le istituzioni pubbliche, comuni, province, regioni, hanno la stessa sensibilità a determinate tematiche, ed, in assenza di alcun obbligo in tal senso, non tutte sono disposte ad investire in un'azione che sostenga un eventuale lavoro di mediazione nel carcere. E' proprio a questo punto che si inserisce il discorso circa la gravità dell'assenza di una normativa in proposito: è difatti evidente che se le azioni di mediazione fossero previste e coordinate, e non esistesse soltanto un semplice invito a favorirle, i risultati di esse sarebbero in maniera molto minore in balìa delle singole volontà o forze locali. Diversamente, si assiste ad una serie di interventi fortemente diversificati fra loro, che spesso non possono concludersi per scarsità di fondi, o per via di carenze a livello organizzativo.

Un esempio pratico di un tentativo nuovo in ambito della mediazione in carcere, che ovviasse a quanto sinora detto, si ha nel solo caso dell'Emilia-Romagna. Come già esposto nel capitolo relativo l'esperienza sperimentata in questa realtà si è, per la prima volta, di fronte al tentativo concreto da parte delle istituzioni, la Regione in prima linea, di creare un lavoro di rete al fine di realizzare un'azione comune in tutti gli Istituti di pena del territorio regionale. Nonostante le difficoltà che un tale progetto ha posto, e continua a porre, l'iniziativa è di certo lodevole. Quello che si è pensato di concretizzare è che i singoli progetti fossero il risultato del coordinamento di tutti i soggetti intervenienti: regione, comune, carcere (dalla direzione a tutti gli operatori), associazioni di volontariato e associazioni sociali. Quindi, ciò su cui si è lavorato, prima di passare all'azione concreta dentro i vari Istituti, è sulle premesse: creare presupposti comuni circa i contenuti ed i fini perseguiti, individuando anche un organo che monitorasse i lavori, e fungesse da coordinatore. Questo, naturalmente, per non disperdere i singoli sforzi, e perché i progetti avessero una certa efficacia attuativa.

In sintesi, qualora si reputi la strada della mediazione efficace strumento sul terreno della realizzazione di un' eguaglianza sostanziale tra detenuti italiani e stranieri, risulta necessario che questa venga supportata da un intervento di tipo normativo, che ne qualifichi con chiarezza i contenuti, e le modalità di realizzazione. E si tenga presente, come da molti messo in luce, che la realizzazione di una effettiva eguaglianza certo non può aversi solo grazie all'impiego di uno strumento quale quello della mediazione. Questa, più che altro, potrebbe, e sarebbe in tal modo più efficace, inserirsi in una auspicabile visione di più ampio respiro che voglia un cambiamento profondo e radicale dell'approccio alla questione immigrazione. Gli esperti della mediazione sono profondamente contrari al "miracolo" della mediazione, credono piuttosto che questa possa inserirsi in un contesto rinnovato sul terreno della politica generale che, fuori dalle trappole dell'emergenza, decida di governare la convivenza con gli immigrati secondo criteri razionali, nel rispetto dei diritti fondamentali dell'individuo. A questo proposito, in un suo articolo Angelo Caputo, sottolinea la necessità di "coniugare la doverosa tutela dei diritti fondamentali della persona con una disciplina della condizione giuridica dello straniero improntata a criteri di razionalità e di effettività, con un assetto normativo equilibrato, stabile, liberato dall'uso simbolico della detenzione degli immigrati irregolari e, quindi, meno permeabile ai picchi dell'insicurezza collettiva". Solo in un panorama così mutato la mediazione (e non si intende solo quella nelle carceri) potrebbe divenire, invece di occasionale mezzo a cui ricorrere per contenere realtà divenute insostenibili, un metodo che si coniughi ad altri strumenti messi a disposizione dal sistema istituzionale, che abbiano l'eguale fine della convivenza.








Protocollo d'intesa tra Ministero di Grazia e Giustizia e la Regione Emilia - Romagna per il coordinamento degli interventi rivolti ai minori imputati di reato e agli adulti sottoposti a misure penali restrittive della libertà, Bologna 5 marzo 1998

Intervento della Dott.ssa L. Golfarelli, Assessora del Comune di Bologna- Assessorato politiche sociali 1998, in Mediazione Carcere Immigrazione , Documentazione e materiali di riflessione dei seminari regionali svolti a Bologna.

Cfr. par. 1

CAPUTO A., Verso un diritto speciale per gli immigrati?, in "Questione Giustizia", n. 6, 2000.

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