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Malattie del sangue e altre applicazioni delle cellule staminali ematopoietiche




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Malattie del sangue e altre applicazioni delle cellule staminali ematopoietiche


Prima che conquistasse le prime pagine dei giornali, l'esistenza delle cellule staminali era nota a poche persone: oltre ai ricercatori del campo e ai medici (soprattutto gli specialisti in ematologia), a un ristretto gruppo di persone composto dai malati affetti da alcune forme di tumore del sangue e dai membri dei Comitati etici ospedalieri, incaricati di valutare e approvare i protocolli di

sperimentazione di nuove forme di terapia. Sappiamo già che il sistema ematopoietico è il meccanismo di rigenerazione cellulare più importante e studiato e ne conosciamo

le prime applicazioni cliniche col trapianto di midollo e le trasfusioni. Da alcuni anni la ricerca è pervenuta a un'ulteriore e importante applicazione clinica nel settore della cura contro i tumori del sangue e, in qualche caso, altri tipi di tumori solidi. In genere, le cure oncologiche prevedono, oltre a operazioni chirurgiche quando è possibile, la radioterapia e la somministrazione di speciali farmaci chiamati chemioterapici. Questi farmaci sono fortemente tossici, perché il loro

scopo è appunto quello di uccidere le cellule cancerose, ma non sono molto selettivi e quindi uccidono anche le cellule sane. Per evitare ciò, fino a poco tempo fa venivano somministrati a basse dosi e quindi la loro efficacia era diminuita. Si è pensato allora alla seguente procedura. Prima della somministrazione, il midollo osseo del paziente viene stimolato farmacologicamente a produrre un maggior numero di cellule staminali (normalmente sono in quantità minima), che vengono poi

raccolte dal sangue periferico, isolate dalle altre cellule differenziate e infine crioconservate. Il paziente viene poi sottoposto a dosi sovramassimali di chemioterapici, che hanno un' efficacia maggiore, ma anche un maggiore effetto devastante: in pratica, ad alte dosi, i chemioterapici

distruggono la capacità produttiva del midollo osseo, che può riprendere grazie alla reimmissione in

circolo delle cellule staminali. Provenendo dallo stesso paziente, non vi sono problemi di rigetto e si parla quindi di trasfusione autologa. È un mezzo terapeutico importante, perché consente di aumentare le possibilità di guarigione o almeno di temporanea remissione del tumore.

Vi sono però dei limiti a questa utilizzazione delle cellule staminali, che dipendono dalla precocità della diagnosi, dal sito in cui il tumore si sviluppa e soprattutto dal fatto che esistono ancora molti problemi nell'espansione in vitro di queste cellule staminali. Non si può permettere a queste cellule di moltiplicarsi, perché in tal caso perderebbero le loro preziose proprietà differenziandosi precocemente. Devono essere tenute in stato di quiescenza e, nonostante i progressi realizzati

anche in questo campo, i tentativi di mantenere in vitro ed espandere le cellule ematopoietiche senza differenziazione sono ancora poco efficienti. Lo stesso meccanismo sopra descritto viene anche

applicato nel caso di alcuni tumori solidi (come il carcinoma mammario) e, qualche anno fa, dopo gli incoraggianti risultati ottenuti nella sperimentazione animale, è pervenuto alla fase della sperimentazione clinica l'autotrapianto di cellule staminali ematopoietiche nella sclerosi

multipla. Anche qui l'idea è di effettuare trattamenti immunosoppressivi molto aggressivi, tamponandone gli effetti devastanti con l'autotrapianto di cellule staminali ematopoietiche. I primi risultati (nel 1998 sono stati trattati 111 pazienti) sono incoraggianti, almeno in direzione del blocco della progressione della malattia. In questo settore, comunque, le maggiori speranze di ottenere terapie risolutive vengono dalle ricerche di cui abbiamo riferito nel paragrafo sulle malattie nervose.

C'è inoltre da notare che, in alternativa al prelievo di midollo osseo e di cellule staminali tratte dal sangue periferico, si sta sviluppando l'idea di utilizzare le cellule staminali tratte dal sangue del cordone ombelicale. Banche per la conservazione del cordone ombelicale sono sorte in molti paesi, Italia compresa, e viene fatto ogni sforzo per incoraggiare la donazione. La quantità di cellule recuperabili è estremamente limitata, ma queste cellule, grazie alla loro «immaturità» dal punto di vistaimmunologico, si prestano ad essere utilizzate anche in trapianti eterologhi (negli ultimi anni ne sono stati effettuati circa 2.000 e hanno un maggiore potenziale di ripopolamento del midollo osseo). Ciò che finora ne ha limitato l'uso estensivo è il problema dell'espandibilità in vitro. Un significativo passo in avanti in questa direzione è stato di recente (settembre 2004) riportato in Italia: un bambino affetto da talassemia è stato efficacemente curato grazie alle cellule staminali tratte dal sangue del cordone ombelicale di due suoi fratelli gemelli. L'intervento ha avuto una forte risonanza sui mass media, soprattutto dopo la rivelazione delle modalità della nascita dei gemelli: una fecondazione in vitro preceduta dalla selezione degli embrioni effettuata in Turchia

(la tecnica è vietata in Italia dalla recente legge sulla procreazione medicalmente assistita). Ma il dato scientifico più interessante è la moltiplicazione in vitro (fino a sessanta volte, riportano i giornali) dell'esigua quantità di cellule staminali, un procedimento di grande interesse e al quale lavorano anche altri gruppi di ricerca. Se questi dati saranno confermati e la procedura standardizzata, il sangue del cordone ombelicale diventerà un'importante fonte di cellule staminali.







Cellule staminali ematopoietiche



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